La Turchia in autostop

Non so perchè abbiamo scelto la Turchia, forse perchè il mio ragazzo ci era già stato quando aveva dieci anni (in camper con i genitori), ci era tornato a venti (da solo e con pochissimi soldi) e, vicino al traguardo dei trenta, aveva voglia di tornarci, insieme a me. Siamo partiti in nave da Ancona, volevamo avvicinarci gradualmente alla...
Scritto da: fedy75
la turchia in autostop
Partenza il: 10/09/2000
Ritorno il: 10/10/2000
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Non so perchè abbiamo scelto la Turchia, forse perchè il mio ragazzo ci era già stato quando aveva dieci anni (in camper con i genitori), ci era tornato a venti (da solo e con pochissimi soldi) e, vicino al traguardo dei trenta, aveva voglia di tornarci, insieme a me. Siamo partiti in nave da Ancona, volevamo avvicinarci gradualmente alla Turchia, per assaporare tutte le mutazioni di clima, di cultura, di gente. Avevamo deciso che avremmo viaggiato in autostop, e così è stato. Il vantaggio del muoversi in autostop è che ti costringe a stringere rapporti molto stretti con gli abitanti dei luoghi visitati, e questa era per noi una delle priorità più importanti. Viaggiare non tanto, o non solo, per vedere posti diversi e visitare monumenti e musei celebri, ma anche per conoscere, per entrare un po’ nella mentalità e nella cultura della gente. L’avvicinamento alla Turchia (rigorasamente in autostop) è stato un po’ difficoltoso a causa del secolare odio che oppone turchi e greci, ma grazie alla sorprendente gentilezza del popolo turco (di cui abbiamo avuto modo di godere innumerevoli volte, nel corso del viaggio), e a una buona dose di fortuna, siamo riusciti a varcare la frontiera, e ad arrivare a Istanbul. Qui abbiamo pernottato all’Horient House Youth Hostel, un ostello molto pulito, dai prezzi ragionevoli, e la clientela giovane e internazionale, con una vista mozzafiato, si trova infatti in piena Sultannamet, proprio traa la Moschea Blu e Ayasofya. Unico inconveniente: il canto dei muezzzim che ti sveglia all’alba, ma anche questa diventerà ben presto una piacevole consuetudine che ci accompagnerà per il resto del viaggio. Ci fermiamo poco a Istanbul, giusto il tempo per intravedere qualcuno dei suoi mille volti, per perderci nei suoi immensi e caotici mercati, per innamorarci delle sue bellezze (imperdibile il Topkapi, e soprattutto la visita all’Harem!). Ma siamo smaniosi di continuare il nostro viaggio e così la sera del 2° giorno prendiamo un autobus (l’unico in tutto il mese) che in una notte ci porta ad Antalya. Di qui cominciano a scendere verso il sud, seguendo la costa, alla ricerca di un angolo non ancora contaminato dal turismo di massa, e dall’invasione dei tedeschi. Il cambiamento che ha subito la costa turca negli ultimi anni ci amareggia un po’ (soprattutto il mio ragazzo, che l’aveva vista prima). Ma la gentilezza dei turchi ci conquista. Cominciamo a capire qualche parola e le conversazioni si fanno un po’ più agevoli anche con quelli che non parlano inglese (e sono tantissimi). Alla fine troviamo quello che stavamo cercando: proprio in fondo alla Turchia, a poche ore dal confine con la Siria, si nasconde una regione dove si parla arabo e il turismo non ha ancora fatto troppi danni. Ci sistemiamo ad Arsuz, e qui restiamo per una settimana. La regione è davvero bella, soprattuo Antachia, l’antica città di Antiochia, merita una visita approfondita: noi (purtroppo o per fortuna?) l’abbiamo visitata insieme a una famiglia di turchi di cui eravamo diventati amici, ed erano molto più interessati a farci conoscere tutti i loro parenti piuttosto che a farci visitare la città. Lasciando la regione abbiamo deciso di inoltrarci verso il confine con la Siria, attratti dalla speranza di poter passare la frontiera e andare a dare uno sguardo “di là”: l’impresa si è dimostrata assolutamente infattibile, ma in compenso abbiamo scoperto uno dei posti più belli e più “remoti” della Turchia. Qui il tempo sembrava davvero essersi fermato, e mentre camminvamo su per i colli sopra a Yayladag, i bambini ci seguivano, non per chiedere soldi o regali, ma solo per guardarci da vicino, per salutarci…E i vecchi fermavano le loro vecchie moto per regalarci i fichi più maturi, i dolcetti più buoni…Alla fine due ragazzi ci hanno fatti salire sulla loro macchina, e ci hanno portati a casa loro, per la notte. Tutta la famiglia (i nonni, otto figli, più i vari mariti e mogli e nipoti) era entusiasta della novità, e ci hanno regalato quanto di meglio può offrire l’ospitalità turca. Il mattino dopo all’alba, mentre insieme alle donne della famiglia assistevo al “rito” del pane (che la madre stava preparando apposta per noi) ho pensato che questa è la vera magia della Turchia. Poche ore dopo siamo partiti, per tornare nel “mondo”. Direzione nord-est, verso il grande fiume Eufrate, culla delle civiltà. A Birecik l’antichità di quei mercati, di quelle case, di quella gente ci ha incantati… Sulla strada verso Gazi Antep e Malatya ci ha catturati la desolazione quasi desertica dell’altipiano, interrotta solo dal passaggio occasionale di qualche famiglia nomade, o dai segni che hanno lasciato generazioni millenarie di pastori. E, proseguendo verso nord, ancora paesaggi diversissimi, il colore della terra che cambia come quello del cielo, villaggi antichissimi nascondono mercati animati, moschee silenziose, tracce perdute di mondi antichissimi.

E poi il verde rigoglioso del Mar Nero, in una malinconica atmosfera da “fine-stagione” e fine delle vacanze, anche. L’ultima tappa è Istanbul, e il cerchio si chiude. Questa volta ci fermiamo un po’ di più, anche perchè abbiamo bisogno di abituarci di nuovo alla civiltà, prima di affrontare il ritorno a casa (in aereo questa volta). Il Gran Bazar cattura tutta la nostra attenzione, e torniamo a casa tanto carichi di spezie da temere le reazioni dei cani, in aereoporto.



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