Da Carrara a Parigi… Pedalando!
Frank, o meglio Umberto, ma dato che di cognome è Zappa noi preferiamo soprannominarlo così, è un amico mio e di Lorenzo. Studia fotografia a Parigi e ci ha invitato là. Decidiamo di raggiungerlo in bici, una tra le nostre grandi passioni.
La partenza è alle 9:30 del 2/4/2001 nel parcheggio dello stadio di Carrara. Lorenzo è immancabilmente in ritardo. Io in anticipo. Aspetto. Penso a ciò che posso aver lasciato fuori dal mio unico bagaglio: uno zainetto colmo di sacchettini per alimenti (in caso di pioggia…)riempiti con tutto l’occorrente per affrontare circa 8 giorni di viaggio su di una sella di una bicicletta Bianchi “Vento”. Aprendo lo zaino sembra di aprire il congelatore di mia madre contenente bistecche, pollame, cinghiale…Ma nulla di tutto ciò, i miei sacchetti contengono indumenti, cioccolata, un libro, “oggetti wc”, qualche medicinale, un accendino, la macchina fotografica, un paio di scarpe. Manca il dentifricio e un coltellino multiusi. Arriva Lorenzo. Non so ancora dove arriveremo questa sera, dove dormirò. Chiedo a Lorenzo, lui sicuramente lo sa. Scoprirò durante il viaggio che prima della partenza si era scritto una tabella con le varie velocità e a fianco i km che si percorrerebbero a quelle velocità, voleva pure contare le pedalate… “Dalle parti di Parma, Fidenza…” mi risponde lui. L’itinerario del viaggio è tracciato virtualmente su una cartina 1:1000000, un po’ vago ma essenziale.
DA CARRARA A PARIGI…Pedalando! Lorenzo chiama sua nonna: “Siamo arrivati a Parigi, tutto bene…”. Non è vero. Siamo in un paesino chiamato Costamezzana sperduto nella campagna parmense tra Parma e Fidenza. Lorenzo ha detto alla nonna che era già arrivato(in treno) per non farla preoccupare nei prossimi sette giorni in cui avremmo pedalato fino a Parigi. Questa prima tappa del viaggio è durata 135 km lasciando alle spalle il passo della Cisa (1002 m). Una bella fregatura questo passo: da Pontremoli sale fino alla sua quota massima con tornanti e brevi rettilinei non molto ripidi. Il sole ci accompagna e alla pausa pranzo scappa la penichella. Eh eh, saliamo ancora per mezz’ora e arriviamo al passo, ” Tutta discesa!! ” .No!! La strada risale, ” Ma come?” ,scende e risale; dopo due orette ho ancora fame, mi fermo a mangiare una tortina e a bere ad una fontanella, Lorenzo è sparito. Le salite continuano a presentarsi dopo brevi discese e comincio ad essere molestato dalla loro presenza, lo zaino pesa circa 6 kg e si sente sopra la sella. La strada è trafficata da centauri in sella alle loro beneamate motociclette, tutti bardati ed impegnati a piegare al limite nei tornanti della Cisa. Ci sono stati momenti in cui li invidiavo, ma appena raggiunta la cima di una nuova salita ero orgoglioso della conquista e li guardavosorridente. La sera, sul lettino dell’ostello ( un piccolo edificio ristrutturato per il Giubileo, ha accolto i pellegrini che andavano a Roma), ci sentiamo soddisfatti. Pensiamo che la tappa di oggi sia una delle più dure e perciò non dovremmo avere grossi problemi nei prossimi giorni. Il mio culo però sta maleper aver percorso 135 km, figuriamoci dopo altri 750 !!! La sera sogno la sella e i dolori che mi provoca, sogno di defecare sangue e al risveglio ho paura a sedermi sulla sella.
Faccio bene ad aver paura. Mi fa un male cane star seduto. Percorro una decina di km in piedi sui pedali senza sedermi fino a Fidenza e lì compro una nuova sella: 50.000 lire se ne vanno.
Ci dirigiamo verso Alessandria, tutto in piano, nessuna salita, ma in questa tappa che durerà 150 km incontriamo il vento. È sfavorevole, va nella direzione opposta alla nostra. Avverti la sua presenza ma non ti accorgi quando inizia e quando finisce, lo senti che ti trattiene, pedali sempre più ma senza superare i 20 km/h che ti stai sudando con grande fatica. Lo senti tra le cinghie del casco, il rumore che fa è invisibile, non capisci da dove proviene e ciò ti innervosisce ancora di più; è molto strano: davanti a te non hai nulla, ma urli di rabbia contro un qualcosa che ti ascolta con inconsapevole indifferenza, “Basta!! Stronzo! Cazzo!!!”; Lorenzo mi dice di stare calmo, ma subito dopo lo vedo in piedi sui pedali che spinge più forte: lui non urla ma si sfoga così. Proseguiamo lenti faticando molto, il culo sta meglio, ma comincio a sentire la stanchezza; arriviamo ad Alessandria fiacchi, con una gran voglia di una doccia caldissima e un letto, ho fame e ho pure dei piccoli svenimenti, devo fermarmi per riprendermi. Troviamo l’ostello di Santa Maria di Castello. Il papà albergatore dice che non ha posto e non può ospitarci, e lo dice con una indifferenza che mi fa innervosire, “…Ci van bene anche due brandine in un buco, siamo stanchissimi, e dobbiamo ancora cenare, abbiamo percorso 150 km …” dice Lorenzo, “Non so che dirvi, ciao” CHE STRONZO!!!!! non ci ha neppure dato le indicazioni per un hotel. Dopo un’altra ora troviamo l’hotel REX, due stelle, riposiamo! La mattina partiamo lasciandoci dietro 285 km e ci prepariamo per arrivare a Torino.100 sono i km della terza tappa, tranquilla, non ho pensieri particolari, il vento si è calmato, il culo dopo i primi trenta minuti perde la sensibilità e non sento dolore (solo alla sera), la schiena fa male ma basta non pensarci e riesci a sopportarla. Il paesaggio è piacevole, i campi formano uno sfondo che mi ricorda tetris, tutto incastrato con colori diversi. In questa tappa siamo più rilassati e cominciamo a goderci il viaggio, comincio ad osservare la linea bianca longitudinale continua che delimita la carreggiata dalla banchina e dall’erba, scorre sotto di me, cerco di starle in mezzo con le ruote, trovo l’equilibrio e la seguo. Mi sento ipnotizzato.
Torino e Lyon hanno di mezzo le Alpi, c’è neve, comincia a far freddo e abbiamo circa 385 km nelle gambe. Io non ho neppure il ricambio degli abiti, se dovesse piovere? Fino ad adesso solo qualche gocciolina. Decidiamo di attraversare le Alpi by train. Ma…Sciopero!! Dopo qualche ora passate in Porta Susa carichiamo furtivamente le bici sul TGV francese, occupiamo una decina di posti, due ragazze giapponesi ci guardano interrogativamente. Cerco il capotreno, gli spiego la situazione e non ci fa pagare il biglietto per le bici e le multe.Scendiamo a Chambery, da lì parte alle 16:30 un autobus per Lyon. Su quest’autobus sono stato di un male cane. Prima di salire avevo pure fatto una cagatina ed ero sicuro che per almeno tre orette non avrei avuto il bisogno di evacuare l’interno del mio culo, ma dopo 10 minuti di lettura sull’autobus ho un po’ di nausea,(sarà stata La metamorfosi di Kafka?) dopo poco ho dei dolorosi strizzoni alla pancia: lo conosco questo dolore, associato a una insistente pressione interna all’ano è la diarrea! Noooooo!!!! Devo sopportarlo per tre ore!! Come faccio? Adesso rido, ma per quelle tre ore stavo per piangere, pensavo continuamente a non mollare, stringevo le chiappe. Ci sono stati tre momenti in cui ho pensato seriamente di dare libero sfogo alla merdaccia e di farla depositare nelle mutande, ma no! Mi ripetevo: “dignità! dignità!!!”; c’erano bambini, vecchi, ragazze. Se pensavo al momento in cui avrei finalmente svuotato il mio culo mi sentivo ancora peggio e cercavo di distrarmi, ma nulla da fare, troppo doloroso! E poi mentre guardo fuori dal finestrino leggo cartelloni del tipo:” LIQUIDATIONTOTAL”, leggo la targa e le ultime lettere sono “WWC” , e che cazzo!! Soffro fino a Lyon e appena sceso dall’autobus mi dirigo verso un qualsiasi posto dove possa esserci un wc, la stazione!! Lì ci sarà… Attacco, strizzone micidiale mentre mi dirigo verso la salvezza, nel bel mezzo di un piazzale mi fermo e mi piego, stringo forte e quasi mi sembra d’essermi cagato nelle braghe. Trovo il wc, pago 4 franchi ed entro in un cesso che mi fa veramente cagare. Urlo iiiiiihhhhhhahhhhh!!! Penso che “mandare a cagare una persona” non sia un’offesa, ma un augurio.(Leggo nei miei appunti, ho scritto 12 pagine su questo argomento!! Una vera agonia!).
Da Lyion si ricomincia a pedalare, speriamo di arrivare fino a Chalon in serata. Fa freddo, ho le scarpe che mi fan passare troppa aria e mi si congelano le dita dei piedi (l’avevo già notato nel tratto Alessandria -Torino), così preso un panetto di burro durante la colazione mi cospargo le scarpe con il burro. Ma col freddo si sgretola e si stacca. Finalmente proviamo la gioia del vento a favore, in circa due ore percorriamo 70 km ad una velocità di circa 30/40 km/h. Pedalare così è una gioia, ti rilassi, sgranocchi biscotti mentre pedali, ti gusti il paesaggio che scorre lento di fianco a te, ci sono vastissimi campi di fiori gialli che si contrastano con il colore marrone di quelli incolti, apprezzi l’aria che attraversi e pensi a quando avevi la diarrea o quando il vento non ti era amico…
La linea bianca continua a scorrere sotto. Pedalando osservo la ruota posteriore di Lorenzo, delle volte mi ipnotizza pure lei, ho pure parlato col freno posteriore della bici, si lamentava per i bruciori e per gli schizzi di fango. Dopo altri 61 km arriviamo a Chalon.. Totale: circa 520 km.Passiamo la notte in un hotel veramente carino, tutto in legno e scale ricoperte di moquette rossa, mi sembra un teatro. Il prezzo non sembra alto. In camera mi sento impossessato dallo spirito di una prostituta, forse questo albergo era un vecchio bordello? Mi ricorda un libro che lessi qualche mese fa: la storia di una puttana vissuta tra St.Louis e New Orleans e che frequentò il famoso Storyville (ex bordello di fine ‘800). Lorenzo interroga lo spirito della puttana, ma non né ricava nessun appuntamento. Al mattino paghiamo 225 F, e ci avviciniamo ad un posto chiamato Cirque du Bout du Monde, dalla cartina sembra una zona collinare e ciò non ci fa molto piacere, ma da come è tracciata la strada sembra che rimanga bassa e prosegua in una valle. Non è così. Eccoci di nuovo in piedi sui pedali a spingere. Dopo la prima salita comincia un sali/scendi che durerà per circa 60 km. Questo paesaggio ampio con una strada che si perde nelle nubi, mi ricorda la copertina di un cd: “On the road”, classica musica americana da coast to coast. Mi stacco da Lorenzo, lo vedo in lontananza alla fine di una salita, è un puntino, tiro fuori la macchina fotografica e comincio a far foto dalla sella, guardo dentro il mirino e pedalo, mi sembra una telecamera. Perdo troppo tempo, spingo un po’ di più e raggiungo il ciclista in fuga, col grandangolo scatto delle foto alla linea bianca e alla ruota posteriore della bici di Lorenzo.
Nei campi ci sono mucche, molte mucche e tutte color bianco/sporco. Sono immobili, sembra di vedere un presepe in scala uno a uno. Ci fissano e noi fissiamo loro. Strano per loro vedere due ciclisti? Immagino di si: da quando siamo partiti non abbiamo incontrato nessuno su due ruote e senza motore. Ad Arnay le Duc scelgo una pizza Riyale, mi sembra sostanziosa e si meriterà questo attributo a pieni voti: funghi, prosciutto, pomodoro, formaggio, olive, tracce di peperoni, molto olio e per concludere un uovo. Fuori piove e fa freddo. Dopo il pranzetto ripartiamo ed io sto male, la pizza!!! Ci fermiamo in un’area di sosta e rutto per tre quarti d’ora accompagnato dalle scorregge di Lorenzo. Sto meglio e si risale in sella per altri 54 km che sommati a quelli della mattina fanno 126 km. Siamo ad Avallon in un alberghetto/ristorante. La camera da letto è minuscola, al posto del comodino c’è il box doccia e dall’altra parte il lavandino. Scendiamo al ristorante e tutti ci fissano, mi chiedo perché, non siamo vestiti molto male, Io mi son quasi pettinato e ho pure messo la maglia pulita. Dopo poco mi accorgo che la porta da cui eravamo entrati al ristorante era quella del WC. La notte sogno di fare il bagno in una piscina e mentre nuoto mi sento mordere l’alluce del piede, lo tiro fuori dall’acqua e vedo un pesciolino con la bocca piena del mio dito. Una ragazza, dal bordo della piscina mi urla: ” Quello è il pesce pitone che mangia in continuazione!!”, mi sveglio e mi domando che interpretazione avrebbe dato Freud di questo sogno. Al mattino sento freddo e metto tutte le maglie che ho, ricopro le scarpe di burro e faccio una colazione con Caffè olè, molto caffè e un goccio di latte. Appena partiti attraversiamo un rettilineo che passa nel mezzo di un grande campo con un gregge di pecore che sta ruminando l’erbetta ancora bagnata dalla rugiada. Sono bello riposato eho voglia di salutarle, urlo: “Waaayyooo!!! Waaayyyooo!!!”, appena dico così tutte le pecore si girano verso di noi e cominciano a correre a lato della strada parallelamente alla nostra direzione per un centinaio di metri, splendido, mi sentivo un pastore in bicicletta. Durante la pausa pranzo accuso i primi dolori al ginocchio destro e finalmente rientro nella normalità, mi pareva strano tutto questo tempo senza un dolore. Lorenzo mi da qualche consiglio: 1) la bici è di qualche taglia più corta e per questo ti fa male la schiena, 2)tieni le gambe troppo aperte e la pedalata è più faticosa (se stringo le gambe mi fa male il culo…), 3) la sella è storta e questo lo sapevo, ma per circa 500 km non ho mai avuto voglia di sistemarla ( un calcetto ed eccola a posto), 4)le tacche delle scarpe sono storte e per ciò anche le gambe rimangono tali e ti fanno male. A questo punto mi domando perché queste cose non me le ha dette prima. Io non ho nessuna esperienza di biciclette da strada, fosse una MTB me la caverei bene, ma queste bici non le ho mai viste. Nel pomeriggio siamo di nuovo al cospetto del vento: ancora Lui. Un momento prima non c’era e subito dopo eccolo, ma non lo vedi, ti accorgi di Lui attraverso il rumore che fa tra le fessure del casco e tra le cinghie, oppure dalla forza che devi aumentare per non andare a passo d’uomo, oppure semplicemente guardando i verdi fili d’erba che compassati si piegano al suo passaggio. Il suo rumore può essere piacevole al mattino, ma diventa odioso alla sera, quando sei stanco e ti fanno male le gambe, hai fame e cominci ad avere freddo. (In una giornata si pedala per circa sei/sette ore suddivise in due parti, ma non c’è ricambio di vestiti, e ogni volta che ti fermi, essendo sudato, senti immediatamente freddo). Anche l’argomento “vento” occupa buona parte degli appunti, l’ultima frase che ho scritto in tema è stata: “…Diventa un contrasto reciproco tra Te e Lui dove ognuno toglie proporzionalmente forza all’altro. Arriviamo a Sens in serata, circa 120 km. Troviamo un albergo senza personale, solo carta di credito. Riusciamo ad entrare con quella di Lorenzo e buonanotte! Al risveglio la bella notizia: ancora più freddo, piove ed il vento è ancora contro di Noi. Cazzo!!! L’ultima tappa è stato un esame, ci ha messo alla prova. Ci prepariamo fisicamente e psicologicamente, difronte a noi sappiamo che ci sarà una lunga giornata. Metto due strati di sacchetti del supermarket nelle scarpe, indosso ogni maglietta e insacchetto ogni cosa contenuta nello zaino. Lorenzo mette due calzamaglie, Io ne ho solo una, ma ho la mantellina. Partiamo. Hai presente alzarti al mattino con il mal di testa o essere svegliati da un rumore insistente tipo un cane che abbaia? Beh, non è nulla confronto all’alzarsi e pedalare sotto la pioggia, dopo qualche metro senti un rigagnolo d’acqua che ti sgorga tra le chiappe e va giù fino alle caviglie, la testa è fredda e subito bagnata, gli schizzi della ruota portano con se dei granelli di sabbia che sgranocchi tra i denti… Ma l’abbiamo deciso Noi questo viaggio e proseguiamo. La strada che percorriamo è ampia e a quattro corsie, su di essa transitano molti TIR e auto. La strada è molto lineare e sia le auto che i TIR hanno velocità sostenute, non è un bene per Noi. Piove sempre più forte, siamo come savoiardi inzuppati nel Tiramisù, sputo sassolini dalla bocca e strizzo gli occhi. Dopo circa 20 km cominciamo ad essere sballottati dallo spostamento d’aria provocato dai TIR che ci passano a poco più di un metro ad una velocità che supera i 100 km/h. La strada è completamente allagata e quando un mezzo di queste dimensioni ti passa vicino a quella velocità e senza preavviso va a rompere quell’equilibrio fisico che cerchi di mantenere sulla linea bianca e a disturbare l’ipnotico equilibrio psicologico che essa ti dava. Quando ti passa vicino, solleva un nuvolone di goccioline d’acqua che ti avvolgeper qualche attimo: non vedi nulla. Ecco, in quel momento ho avuto paura. Sembra uno di quei brutti sogni in cui ti svegli di botto, e poi ti accorgi che è tutto a posto, ma rimane un forte battito al cuore, uguale: ogni Tir che passava era così, stringi il manubrio sempre più forte per paura che non ti scaraventi a terra. Sono dietro Lorenzo, a circa cinquanta metri, un TIR mi ha appena sorpassato e lo sta per sorpassare, vedo con precisione ciò che succede: i camionisti inconsapevoli non rallentano, passano a poco più di un metro e se ne vanno, quando il TIR è al fianco di Lorenzo Lui scompare nel nuvolone e non si vede più, mi fa una grande impressione, dopo poco ricompare ma spostato più a destra. Sbagliamo strada ben tre volte, con la pioggia ci è difficile consultare la cartina e appena ci fermiamo sentiamo un gran freddo. Pranziamo dentro una cabina della fermata dell’ autobus, in Fountambleau. Siamo fradici, inzuppati. Mangiamo avidamente pane insacchettato e pancetta affumicata confezionata. Una vecchietta alla fermata ci guarda infastidita, mentre un vecchietto ricambia un mio saluto. Siamo fermi e bagnati, errore: ci assale il freddo. Comincio a saltellare e a far piegamenti, saliamo sulle bici e ricominciamo a pedalare, Parigi dista solo 70 km! Appena ripartiamo ho forti tremolii; il corpo reagisce al freddo con brividiassociati ad una diminuzione della circolazione sanguigna; penso: “…Allora sta reagendo bene, ma ho appena mangiato…”. Ho dubbi, ho paura di star male. Mi passa di fianco Lorenzo che borbotta: “..Tra qualche km sentiremo più caldo, pedala, pedala…” e si mette davanti a me. Per più di cinque km ho tremiti e mi tremano le braccia. Ma dopo mi sento più sollevato e riesco a cantare Romagna mia. Sorpresa: la strada che percorriamo ci porta in autostrada! Scavalchiamo una rete e saliamo su una rampa, siamo sopra un ponte dell’autostrada: e adesso? La cartina che abbiamo è 1:1000000 e non sono segnalate queste stradine. Proseguiamo un po’ a caso e sbagliamo inevitabilmente. Siamo stanchi! Dopo circa un’ora arriviamo alla prima fermata metropolitana. Ci sentiamo soddisfatti, anche oggi più di 100 km e sommati agli altri fanno circa 900 km. Otto giorni di viaggio per arrivare a Parigi. Alla fermata di Porte des Lilas aspettiamo Frank, chiamo mia mamma e dico: “Siamo arrivati a Parigi, tutto bene. Ciao”, compro un mango: 10 franchi.
Questo viaggio termina qui, davanti ad un fruttivendolo in Porte des Lilas.
Sul soggiorno parigino avrei da raccontare ancora molte cose, ma non voglio annoiarti. Solo una cosetta: ho provato l’emozione della camera oscura, ho sviluppato e stampato fotografie B/N. Matteo Cappè e-mail: telaiopiegato@libero.It