Myanmar: giro classico

MYANMAR – Giro classico Come potevo ignorarla: piccola, esile, lunghi capelli neri e grandi occhi ancora piu' neri, un elegante sarong attorno ai fianchi e un paio di ciabatte infradito portate con un'eleganza da top-model. Come potevo ignorarla: aveva in mano un cartello con scritto sopra il mio nome che gia' in Italia non e' diffusissimo,...
myanmar: giro classico
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
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MYANMAR – Giro classico Come potevo ignorarla: piccola, esile, lunghi capelli neri e grandi occhi ancora piu’ neri, un elegante sarong attorno ai fianchi e un paio di ciabatte infradito portate con un’eleganza da top-model. Come potevo ignorarla: aveva in mano un cartello con scritto sopra il mio nome che gia’ in Italia non e’ diffusissimo, figurarsi in Myanmar. Paolo era davanti a lei e stava pronunciando la frase poi divenuta storica nel corso del viaggio: ” I’m the first of the group!” – Vero, ma sarebbe stata anche l’ultima volta; per tutto il resto del viaggio aspetteremo Paolo in continuazione, sara’ sempre l’ultimo ad arrivare, con Edy a ruota. Solo una volta riuscira’ ancora a precedere tutti: quando si e’ trattato di prendere la diarrea. Una volta radunati attorno a Ky-Ky il primo pensiero fu che Aung era a corto di personale e aveva mandato a prenderci la figlia piu’ piccola, invece il corrispondente non era a corto di personale, era il personale ad essere corto. Ky-Ky ha ventidue anni, portati cosi’ bene da dimostrarne sedici; il bus invece ha 24 posti a sedere portati cosi’ male da dimostrane 10, di anni ne ha molti di piu’, ma e’ cosi’ bello che decidiamo di rinunciare al treno per restarci sopra un giorno e una notte fino a Mandalay. Aung ci offre la cena all’Elefante Verde e abbiamo cosi’ un primo assaggio di quello che ci aspettera’ in seguito, riso, riso in bianco, riso fritto, riso con salse, riso amaro, riso col pollo, riso col pesce, riso con la marmellata, riso nell’acqua-zuppa, se fosse vero che il riso abbonda sulla bocca degli stolti, allora noi siamo un gruppo di rimbambiti. Bastano un paio di giorni per capire che il riso non c’entra niente! Il mattino dopo ce la prendiamo comoda e quando finalmente arriva anche Paolo, possiamo partire per la Roccia d’Oro. Lungo la strada attraversiamo parecchi villaggi, restiamo impressionati dalla velocita’ con cui si muove la gente, sia in bici che a piedi sorpassano il nostro bus con estrema facilita’; dopo dieci ore di strada ci rendiamo conto che siamo noi ad andare piano. Arriviamo al tramonto, dopo 260 chilometri in linea d’asfalto che con le cunette e le buche diventano circa 600 chilometri. A recuperare un po’ di tempo ci pensa l’autista del pick-up che ci porta su, al tempio: le prime dieci curve le fa a due a due mentre noi dietro sventoliamo come dieci bandierine di preghiere sbatacchiate dal vento, poi per fortuna la strada prende a salire e il nostro stomaco torna a scendere; il camion comincia ad arrancare. Veniamo scaricati a un paio di chilometri dall’hotel; al buio ci arrampichiamo per i ripidi tornanti, dietro la fila dei pellegrini di tutte le eta’ avviati verso la Roccia. Siamo felici di poterci finalmente sgranchire le gambe ma, dopo duecento metri siamo scoppiati marci e non riusciamo a tenere il passo del monaco novantacinquenne con una gamba di legno che sale fischiettando davanti a noi; mi viene in mente che il viaggio prevede anche dei trekking e non mi sono informato se tra i Palaung ci sono le portantine per gli sfigati. Comincio a perdere dei pezzi di gruppo mentre la piccola Ky-Ky, dalle minuscole infradito, ogni tanto si ferma ad aspettarci con un sorriso “for contract”. Quando arriviamo in cima Vito riesce a contare fino a cinque roccie d’oro e Ivana saluta l’Arcangelo Gabriele seduto sulla cima dello stupa a suonare le campanelle e urlare “Oooommmmm…”. In realta’ l’unica vera Golden Rock e’ appoggiata sopra uno spuntone di roccia e tenuta ferma, in bilico, grazie ad un capello del Buddha che doveva avere i capelli molto grassi perche’ la roccia sta incollata li’ da centinaia di anni. Io non credo a queste storie, ma da quando ho fatto due nodi alla finestra della fertilita’ di FatepurSikri e dopo nove mesi mia moglie ha partorito due gemelli, preferisco girare alla larga da tutte le leggende, e comunque se trovate dei peli per terra lasceteli dove sono perche’ i bungalow dell’hotel sono proprio sotto il roccione. Quassu’ a Kyaiktho fa un freddo cane; e’ l’unico posto dove fa veramente freddo ed e’ l’unico hotel ad avere le doccie all’esterno, pero’ e’ anche l’unico ad avere l’acqua fredda. Dopo le … Risate di cena e’ bello farsi una passeggiata a piedi nudi sulle piastrelle gelate del tempio; inutile tirare fuori le pantofoline ciulate sull’aereo, solo le calze di nylon passano inosservate, ma state attenti alle candele per terra perche’ se cominciano a sciogliersi i collant e’ difficile fermare le fiamme prima dell’inguine. Ky-Ky osserva disgustata i nostri tentativi di evitare il contatto gelido col pavimento e sgambetta come se niente fosse coperta solo da capelli e sorrisi, oltre che dal vaporoso leggerissimo sarong. Edy cammina sui talloni, Vito sulle unghie dei piedi tenute appositamente lunghe dall’Italia, Paolo ha tirato i piedi dentro i pantaloni come le teste di due tartarughe, ma cosi’ facendo la cintola gli arriva a mezza coscia e le ragazze buddiste sghignazzano come pazze: i boxer azzurri coi paperini danno nell’occhio. Da nell’occhio anche Luca: sta inginocchiato in adorazione davanti alla Roccia D’oro e Cristina ha il suo bel daffare per convincerlo che non si tratta di un nuovo tipo di patata gigante; anche noi altri stiamo piegati in due, ma non e’ l’adorazione, e’ il mal di pancia che comincia a farsi sentire, meno male che i cessi sono lontani dai bungalow, questi ultimi pero’ hanno le pareti cosi’ sottili che quando Luca scoreggia, protesta la moglie di Renzo tre bungalow piu’ in la’. Ci diamo appuntamento per vedere l’alba incendiare di luce la Roccia d’Oro ma alle sette, quando ci sveglia, Ky-Ky ci da’ una terribile notizia: stamane l’alba e’ venuta in anticipo di quasi due ore. Alle nove riprendiamo posto sul bus: ne scenderemo 22 ore dopo, a Mandalay. Nella notte tra un autogrill e l’altro ci siamo fatti una anguriata di mezzanotte, mentre Edy ripuliva i tavoli di tutti i ristoranti dalle fette di torta preparate per la colazione. Pur avendo circa due sedili a testa a disposizione, ci siamo rotolati per una decina di ore alla ricerca delle posizioni piu’ incredibili per prendere sonno, a un certo punto il bus sembrava un tempio tantrico, modello Kajuraho. Solo Ky-Ky ha dormito comodamente, del resto e’ l’unica che riesca a sdraiarsi completamente sul doppio sedile e ad avere ancora lo spazio per grattarsi la testa, senza contare che Paolo la tiene sveglia fino a tardi a chiacchierare, mentre Edy viene avanti a farle il solletico ai fianchi ogni un’ora circa, ritornando poi al suo posto sospirando con gli occhi al cielo e l’aria soddisfatta della serie: me la sono fatta un’altra volta.

In realta’ tutte le ragazze birmane sorridono accattivanti ma l’impressione e’ che solo ad avvicinarsi si rischia la pelle per cui, oltre al solletico ai fianchi, i momenti piu’ erotici sono quelli in cui Ky-Ky si aggiusta il sarong aprendolo per accomodarselo meglio sui fianchi consapevole di avere addosso lo sguardo assatanato di mezzo gruppo nonostante fosse chiaro ormai a tutti che il sarong fa almeno una mezza dozzina di giri attorno alle gambe e quindi l’unico pezzo di pelle visibile e’ quello della borsetta. A Mandalay e’ esplosa la questione della lingua, oltre che l’epidemia di diarrea, ma le due cose non sono propedeutiche. Il primo a crollare e’ stato, come detto, Paolo. Per tutto il giorno abbiamo avuto il dubbio che facesse finta di star male per farsi fare gli impacchi di ghiaccio da Ky-Ky, ma quando dopo essere entrato in bagno ne e’ uscito dopo tre ore e non riuscivamo a distinguere la sua faccia dalle piastrelle azzurre e i pantaloni erano chiaramente tre misure piu’ larghi di quando era entrato, abbiamo cominciato a temere che stesse male davvero. Non possiamo evitare di chiamare il medico quando Ky-Ky non riesce piu’ a fare impacchi perche’ Paolo ha la febbre cosi’ alta che il ghiaccio si scioglie una spanna prima della fronte e nessuno ha il coraggio di leggere il termometro per paura di prendersi qualche malattia. Una volta andato via il dottore, siamo tutti piu’ rassicurati, tranne il dottore che, stranamente, prima di uscire si e’ spogliato nudo e ha bruciato tutti i vestiti nella hall dell’albergo. Certi che comunque non fosse contagioso ce ne torniamo nelle nostre stanze per i primi Aspirina party, mentre Edy, compagno di camera di Paolo si addormenta tranquillamente sul terrazzo della stanza con la scusa dell’aria condizionata. Infatti per seguire i consigli del medico, cioe’ cercare di far abbassare la febbre in qualsiasi modo, specialmente con impacchi freddi su tutto il corpo, abbiamo deciso di far dormire il nostro sfortunato compagno febbricitante, completamente nudo salvo i soliti boxer coi paperini, esattamente a una spanna dal condizionatore acceso alla massima potenza. Com’e’ come non e’ al mattino, quando lo scongeliamo, sta nettamente meglio e quando, due giorni dopo, ricomincia a parlare e ci informa della sua intenzione di erigere uno stupa sopra una scatola di Bimixin, siamo certi della sua guarigione. Nel frattempo, sempre seguendo le ciabattine di Ky-Ky, abbiamo visitato Mingum e la collina di Mandalay con allegato tramonto, mentre il giorno successivo siamo stati in quello che io considero il posto piu’ bello del viaggio, al ponte di tek di Amarapura. Prima del ponte, che deve per forza essere attraversato dopo le undici altrimenti fa troppo poco caldo, siamo stati ad assistere al pranzo dei monaci, se cosi’ vogliamo chiamarlo, in un monastero poco distante. Questi poveri monaci sono costretti tutte le mattine alle dieci a mettersi in cammino con la loro padellina mezzo vuota, anzi quasi del tutto vuota e passare in fila indiana davanti alla schiera di fotografi per andare a consumare il pasto, consistente in un cucchiaio di riso, nella mensa del monastero, mentre dalle finestre un nugolo di obiettivi e teleobiettivi fruga tra bocche e denti per rubare le inquadrature piu’ impressionanti. Io mi sento a disagio e me ne sto in disparte cercando di immaginare come mi sentirei con un cinquantina di giapponesi che mi fotografano dalla finestra di casa mia mentre mangio un piatto di casoncelli alla bergamasca. Alla fine, prima di andare via, lasciamo il compito al cassiere Edy di fare un’offerta per ripulirci la coscienza, ma lui, che non ha ancora capito bene la differenza tra kiat e FEC, sicuramente esagera un po’ perche’ il priore ci richiama indietro a gran voce e tra un inchino e una piroetta ci fa preparare dal suo scrivano un attestato di benemerenza, scritto al momento, con l’inchiostro dorato, e consegnato a me, come rappresentante del gruppo, tra un concerto di campane e un coro di centinaia di monaci appositamente riunito alle nostre spalle. Mentre usciamo dal monastero col nostro diploma in mano, nove sguardi di sbieco fulminano il cassiere, mentre lo sguardo di Ky-Ky e’ molto dubbioso e solo con l’ennesimo solletico ai fianchi Edy riesce a farle ritrovare il sorriso. Proprio durante l’attraversamento del ponte di tek piu’ lungo del mondo, l’ U’Bein’s bridge di Amarapura, comincio ad avere i primi dubbi, oltre che sul mio Inglese e sul mio Birmano anche sul mio Italiano. Di sicuro il birmano e’ incomprensibile per tutti, e l’inglese e’ incomprensibile per nove decimi del gruppo, ma pensavo che l’italiano almeno fosse chiaro, anche se con qualche inflessione bergamasca; invece no, nel gruppo c’e’ una specie di linguaggio segreto per cui quando io dico: “vado a prendere una po’ d’acqua” o: “cosa ne dite di un po’ di frutta?” in realta’ viene tradotto con: “appena trovate qualcosa di simile ad un ristorante, precipitatevi dentro, sedetevi e cominciate a mangiare come maiali fino a scoppiare!”; oppure quando dico “vogliamo dare un’occhiata a questo bel tempio?” in realta’ significa: “infilatevi in tutti i negozi della zona e anche tra le bancarelle e comprate tutto quello che trovate alzando leggermente il prezzo richiesto per non fare la figura dei tirchi”; e ancora se dico: “ci ritroviamo tra un’oretta in questo punto esatto!” vuol dire “tra un’ora verro’ a cercarvi uno per uno in mezzo al mercato e faro’ a botte per trascinarvi al bus prendendovi per i capelli”. Questa faccenda si e’ trascinata fino a Bangkok perche’ quando ho detto: “Ragazzi allora andiamo tutti a fare i massaggi tradizionali?” quasi tutti hanno capito: “Ragazzi, cercate tutti i locali il cui nome inizia per Pussy, chiudetevi tutto il giorno nei body-massage piu’ malfamati e scopatevi tutto quello che passa nel raggio di un metro!”. Lasciamo Mandalay alle 5 del mattino diretti al molo dove dobbiamo prendere il battello per Bagan, ex Pagan, ma almeno in questo caso il nome e’ rimasto simile. Non e’ sempre cosi’. Qui hanno cambiato tutti i nomi: citta’, villaggi, fiumi, laghi, strade, pagode, tra la vecchia e la nuova Nelles e’ rimasto uguale solo il nome della casa editrice. Il nostro mezzo si chiamava “pullman” fino a una paio di anni fa adesso si chiama “minibus”, la moglie del nostro autista si chiamava Raggio di Luna adesso si chiama Ugo e al ristorante il pollo fritto adesso si chiama “fried rice”, ma questo non e’ rilevante perche’ prima, quando ordinavi il pollo fritto portavano automaticamente anche il riso, adesso se ordinate il riso fritto portano automaticamente il pollo…

Arriviamo al molo pronti a batterci con le unghie, con i denti e con i coltellacci di Vito pur di salire sul battello LOCALE; mandiamo avanti Ky-Ky perche’ quando c’e’ da fare a botte non e’ seconda a nessuno. Mi sembra che il controllore abbia qualche dubbio per cui intervengo immediatamente: – Guardi che noi vogliamo assolutamente salire sul battello LOCALE! Non faccia il furbo! – No problem! – – Come no problem? Noi vogliamo assolutamente il battello locale!!!- – No problem! – Per fortuna interviene Ky-Ky a dividerci e a spiegarmi: – Guarda che non c’e’ nessun problema. Alla Domenica c’e’ solo il battello locale, bisogna prendere per forza quello. Anche al Giovedi’.

– Come?! Ma se il giornalino dice che bisogna trattare a lungo … E come mai non c’e’ nessuno su questo traghetto, dove sono i locali? – I locali prendono il battello turistico, perche’ e’ sempre vuoto, e’ piu’ comodo e arriva sei ore prima di questo. Mica sono scemi! – – Ma,allora…! I contatti con la realta’ e …

– Beh! Su ci sono le donne che vendono le noccioline, i panini, i dolci e la frutta …

– Ma, le fotografie … Come facciamo adesso a fare le fotografie dei locali ammassati come bestie uno sopra l’altro, uomini, donne, bambini, capre e bufali? – – Devi prendere il battello turistico! – Ma, allora il battello locale e’ diventato turistico e … Quello turistico e’ diventato il vero locale? – – Esattamente, ma non dirlo a nessuno e non scriverlo sulle relazioni, altrimenti ricomincia tutto di nuovo! – Ci vorranno anni e decine di gruppi per ripristinare il giusto equilibrio e rimettere le cose a posto.

– Lascia perdere, qui sono contenti cosi’. Andiamo.

Per accontentarci il capitano fa qualche sosta caratteristica, in cambio noi gli offriamo un piatto di nuddles aglio, olio e peperoncino cucinati da Cristina e Vito con la supervisione di Ezio. Il paesaggio scorre tranquillo e cosi’ rilassante che ci addormentiamo tutti per ore e ore e nel sonno sognamo tutti il battello turistico, con doccie e bagni, e con sei ore in meno di relax, e a quest’ora ci staremmo godendo il tramonto sulla piana di Bagan costellata di stupa. Intanto continua ad aleggiare sul gruppo la maledizione della epidemia misteriosa; Paolo si e’ appena rimesso quando Ivana, tutta imbacuccata nella giacca a vento di piumino, se la va a cercare: – A me questo giro in barca mi fa c… – non fa a tempo a finire la frase, la temperatura si alza, le guance si arrossano, i capelli si arricciano, la lingua penzola dalle labbra bluastre e soprattutto deve correre subito verso il fondo della barca e chiudersi nel cesso. I sintomi sono inconfondibili, e anche i rumori. Cominciano a scarseggiare i medicinali, mentre il mio termometro passa di mano. E non solo di mano.

Orfani di Ivana, il giorno dopo decidiamo di girare Bagan in bicicletta, tranne Vito e Daniela che preferiscono il calesse. Si scatenano subito le gare e gli sprint, ma vince sempre il cavallo. Durante il passaggio sotto il traguardo volante dell’Ananda, Luca prende a tutta velocita’ una curva a destra ma, mentre il manubrio ubbidisce al comando, la ruota davanti continua dritta per la sua strada: – Ragazzi, ma queste bici fanno c… – il cavallo dietro di lui si imbizzarisce, la faccia di Luca si infiamma, la febbre cresce a vista d’occhio, le labbra bluastre ecc.. Ecc…, mollata la bici per terra il povero ragazzo corre a gambe levate in direzione dell’hotel. L’epidemia dilaga, Ky-Ky dice che non aveva mai visto un gruppo cosi’, per fortuna arriva Edy e le fa il solletichino sui fianchi: siccome li’ vicino ci sono degli alberi, quando Ky-Ky si mette a ridere lui e’ convinto di averla portata in camporella! Lasciate le bici al parcheggio e un mucchio di dollari nel negozio di lacche, i pochi resti del gruppo ancora sani si godono il panorama dall’alto del tempio. La pianura disseminata di stupa e’ impressionante, il silenzio totale e una grande serenita’ si fa largo nelle nostre menti. Il cielo e’ coperto quasi del tutto per cui il tramonto lascia molto a desiderare anzi, a dire il vero, questo tramonto fa proprio… Hmmm… Cioe’… Siamo tutti d’accordo che e’ un tramonto bellissimo, anzi forse e’ piu’ bello cosi’, perche’ tutti quei tramonti rossi fiammanti hanno un po’ stancato, son tutti uguali, vuoi mettere un bel tramonto grigiastro, quasi buio, con una leggera pioggerellina che sfuma l’orizzonte e bagna i calzini… Torniamo in hotel per l’ennesimo Aspirina party prima di fare il giro della corsia per visitare i degenti e stilare la classifica delle febbri dove fa il suo ingresso trionfale anche la piccola Ky-Ky: la numero quattro. La riforniamo con le ultime gocce di Novalgina e pastiglie miste per mal di gola e non si sa cos’altro. Stiamo ormai esaurendo i medicinali e siamo costretti a sacrificare quelli negli scatoloni destinati alla missione di P. Angelo. Il mio termometro fa il giro delle camere, ma sembra che per ora non ci siano altri focolai, e comunque il buon prete ci perdonera’, piuttosto che vedersi arrivare un bus pieno di malati, meglio uno scatolone semivuoto di medicine. Il giorno dopo, lunga traversata da Ovest a Est per arrivare al lago Inle dove ci stabiliamo al November hotel. Dopo cena, danze tradizionali cui siamo costretti a partecipare perche’ nel paese la vita notturna lascia molto a desiderare e anche perche’ alcune donzellette teutoniche ci sollevano di peso dalle sedie e ci trascinano in una scatenata tarantella birmana in mezzo al cortile. La sera successiva, per evitare di essere di nuovo coinvolti nei balletti rosa decidiamo di tuffarci nella vera vita notturna locale, anche perche’ per tutto il giorno ci siamo tuffati nel lago Inle a caccia di mercati galleggianti, pomodori galleggianti, monasteri galleggianti, villaggi galleggianti, gatti galleggianti e se anche le barche fossero state galleggianti avremmo visto tutto senza bagnarci dalla testa ai piedi. Comunque una volta salutata la dolce Ky-ky, in via di guarigione nonostante abbia rifiutato i nostri impacchi, organizziamo la nottata. Cominciamo riunendoci al gruppo del personale di servizio, maschile, davanti al grande televisore nella hall dell’albergo e assistiamo, al culmine dell’eccitazione, alla puntata 2473 di una intensa tele-novelas indiana in lingua originale con sottotitoli in birmano, di cui nessuno conosce le origini in quanto le prime televisioni sono comparse in Birmania verso la seicentesima puntata. Non e’ un problema perche’ dopo tre minuti Vito, esperto di telenovelas da tutto il mondo, ha gia’ capito la trama di tutte le puntate precedenti e delle prossime 3822 infatti ci fa notare come i due protagonisti, separati per anni dagli eventi piu’ incredibili, stiano finalmente coronando il loro sogno d’amore: corrono felici in mezzo ad un prato fiorito, le braccia al cielo, gli occhi sognanti, i capelli al vento, ma corrono entrambi nella stessa direzione, ormai da sedici puntate e cosi’ facendo s’incontreranno solo all’infinito chissa’ dove, chissa’ quando… Lasciamo l’hotel e andiamo a scorrazzare per la via principale di Nyaungshwe. Quante cose si possono fare! Abbiamo l’imbarazzo della scelta: una passeggiata al buio totale fino in fondo alla via e ritorno, una passeggiata sempre per la stessa strada ma da un lato all’altro invece che per lungo, una sosta sul ponticello ad ascoltare un chitarrista del posto che sta cercando, al buio, di riannodare tre delle cinque corde del suo strumento, una bevuta nell’unico bar aperto della citta’ con la possibilita’ di avere, forse, una correzione del the con latte fresco di bufala; alla fine optiamo per lo svuotamento della borraccia di Vito piena di whysky proveniente dall’aeroporto di BKK e truccata con le etichette gialle di Lipton. L’effetto e’ devastante e rischiamo di svegliare tutta la citta’, l’euforia si impadronisce anche degli altri clienti e delle tre ragazze che gestiscono il bar, ma poi arriva il padre e ci sbatte fuori tutti. Rientriamo in hotel barcollando come se fossimo ancora in barca, tentiamo a turno di scardinare la serratura della stanza di Ky-Ky con la scusa di vedere come sta. Inutile, la porta resiste, ma ormai … Qualcuno e’ cosi’ eccitato che decide di masturbarsi facendosi solletico da solo sotto i piedi e ai fianchi.

Al mattino partiamo per le grotte di Pyndaya e quindi per Kalaw. Ky-Ky, quasi del tutto ristabilita dalla malattia, non dalla paura per i rischi della sera prima, comincia a parlare un italiano di buon livello: ” Buongiorno a tutti. Benvenuti in Myanmar. Io mi chiamo Ky-Ky, domani mattina alle 7 si parte”.

Sembra che anche il malato numero quattro sia completamente ristabilito.

Il numero cinque e’ l’autista che crolla sul volante scosso dai tremiti della febbre. Il numero sei e’ l’autubus che perde la coppa dell’olio. A Kalaw andiamo tutti a farci benedire da P. Angelo dove in mancanza dei medicinali, ormai esauriti, lasciamo i vestiti sporchi che non riusciamo piu’ a far rientrare negli zaini. Rimane solo da fare il trekking al villaggio dei Palaung; molto interessante ma anche molto imbarazzante. Infatti abbiamo tolto dagli zaini tutta l’attrezzatura da trekking, giacche a vento, piumini, pile, scarponcini, ramponi, berrette, picozze, minestre liofilizzate e, legati a corda doppia ci avviamo per il sentiero infangato e completamente piano, dietro la nostra guida. La nostra guida e’ sempre lei. Ky-Ky ci fa strada sgambettando velocemente, molto piu’ velocemente di noi, marciando senza nessun problema a piedi nudi, con le ciabattine infradito, con un sarong leggerissimo che lascia scoperto l’ombelico e i fianchi a disposizione di Edy, sculettando imperterrita come se stesse passeggiando in Piazza Navona e senza un filo di sudore. Il problema maggiore e’ quello dei fotografi, perche’ devono cercare di lasciare fuori dalle inquadrature Ky-Ky altrimenti poi chi ci crede che stiamo facendo un trekking impegnativo. Riposiamo tutta notte sul treno per Yangon e poi andiamo all’aeroporto. Lasciamo commossi la nostra accompagnatrice, chi la saluta, chi le stringe la mano, chi la bacia, chi l’abbraccia, chi le lascia il vocabolarietto Italiano-Inglese, chi le fa solletico ai fianchi …

In aereo facciamo il punto sulla situazione sanitaria. Finalmente siamo tutti ristabiliti e in perfetta forma. Salta fuori anche il mio termometro, sicuramente l’oggetto piu’ usato del viaggio. Nell’occasione si discute sui metodi piu’ precisi di misurazione della febbre. Edy e Paolo difendono strenuamente il loro vecchio metodo di misurazione anale; tutti ci ridono sopra sostenendo che la misurazione ascellare e’ ormai la piu’ usata, solo Cristina ed Ivana non ridono per niente, anzi sono di colpo impallidite, loro hanno usato il metodo orale e sono state le ultime a provarsi la febbre. Ivana addirittura ricomincia a vomitare, pero’ non vuole assolutamente provarsi la febbre …



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