Messico classico
Arriviamo dopo un viaggio pieno di ritardi all’aeroporto di Città del Messico in taxi attraversiamo alcuni quartieri avvolti dalla penombra ed entriamo nella parte residenziale più elegante, Chapultepec. Il nostro albergo è veramente presidenziale, come indica il suo nome: grande, bello, all’americana, sembra tutto facile, ma il fattorino che ci accompagna in camera ci dice che è una città mostruosa, piena di problemi ed effettivamente non tarderemo ad accorgercene.
Avendo, con vari aerei non partiti, perso un giorno, decidiamo di ritirate subito l’auto che avevamo prenotato (VW Maggiolino) e di andare a Teotihuaocan; il viaggio non dovrebbe essere molto lungo trovandosi questa località a circa 40 Km da Città del Messico.
C’immettiamo fiduciosi su una delle grandi arterie a 12 corsie che attraversano la metropoli nella direzione indicataci dall’incaricato dell’Avis.
Vaghiamo per circa quattro ore nella parte orientale della città: non solo non troviamo la strada per le rovine, ma non siamo più in grado di riprendere quella del ritorno verso l’hotel. Alla fine ci arrendiamo, in via dell’Osservatorio fermiamo un taxi che ci guida fino al nostro albergo.
Questo girovagare a vuoto non è stato del tutto negativo infatti abbiamo avuto l’occasione di vedere una seppur minima parte della periferia di quello che viene considerato il maggior agglomerato urbano del mondo e di constatare come si cerchi, tra immense difficoltà, di fare il possibile per disciplinare la vita di questa città mostro.
Al pomeriggio sempre in taxi andiamo in centro. Attraversiamo la ‘zona Rosa’ molto elegante e la parte monumentale della città fino allo Zocalo sul quale si affacciano il Palacio National ed altri palazzi governativi e la Cattedrale. Questi edifici sono di epoca coloniale e rispecchiano il modello di architettura ufficiale presente in tutte le città grandi e piccole del Messico: la piazza sulla quale si fronteggiano la residenza del Governatore Spagnolo e la Cattedrale, i due grandi doni che la Spagna della Conquista ha fatto all’America Latina! I palazzi sono di linea molto sobria, al contrario la Cattedrale che è costituita dall’agglomerato di tre chiese ed è il solito tripudio di barocco spagnolo con fregi e dorature senza fine.
Nel 1913 fu appurato, in base a ricerche archeologiche, che queste chiese sorsero sulle fondamenta del Tempio Major della città di Tenochtitlàn, antico nome di quello che oggi è il Districto Federal.
Dalla piazza abbiamo imboccato la via della Moneda, molto affollata, piena di bancarelle con ogni genere di mercanzia, il poco traffico automobilistico permette di passeggiare tranquillamente. Gironzoliamo per il quartiere fra edifici dagli stili più diversi risalenti ad epoche differenti. Ci dirigiamo verso la torre Latinoamericana: dal belvedere al 41° piano si ha la veduta della città distesa nella immensa piana, circondata dalla catena di vulcani spenti. E’ uno spettacolo grandioso, impressionante, inquietante per ciò che significa in termini sociali, economici, politici, ecologici una siffatta concentrazione di persone.
Dalla torre discendiamo e torniamo fra il traffico e la folla di calle Uruguay il cuore commerciale della città, piena di negozi, botteghe di artigiani, banchi delle numerose lotterie, cinema, fermate di autobus. Sporgendoci fra auto strombazzanti riusciamo a fermare un taxi (il solito maggiolino senza sedile anteriore con ampia veduta della sede stradale attraverso il pianale) e ci facciamo condurre alla Plaza de las Tres Culturas: situata in una zona di ospedali e così chiamata poichè vi sorgono edifici espressione delle culture susseguitesi in Messico: l’atzeca di cui vi sono i resti della antica Tlaltalcolco città gemella di Tenochtitlan ed importante mercato, la cattolica testimoniata dalla chiesa di S. Giacomo, la messicana moderna degli edifici commerciali e residenziali.
La piazza è un luogo suggestivo ed evoca le immagini della rivolta del popolo e degli studenti domata con l’intervento di carri armati.
La nostra seconda giornata messicana la dedichiamo alla visita di Teotihuacan fra le rovine delle piramidi del Sole e della Luna, lungo il Viale dei Morti, nel Tempio della Mariposa.
Questi resti archeologici, imponenti quanto altri mai, sono avvolti nel mistero, come quasi tutte le rovine messicane. La immense piramidi a gradoni si suppone servissero come are sacrificali sulle quale forse venivano immolati a migliaia i prigionieri di. Guerra e gli schiavi, oscure rimangono le origini ed i riti di queste religioni. A noi profani resta l’impressione di grandiosità, di solitudine, di mistero; volgendo lo sguardo in giro quasi si confondono le moli delle piramidi con le sagome dei vulcani che si stagliano contro il cielo blu cobalto. Visita del Museo de Antropologia y Historia. Situato nel bosco di Chapultepec è una costruzione moderna bellissima, studiata con grande cura e competenza per introdurre il visitatore nel mondo misterioso delle culture precolombiane. Sul grande atrio d’ingresso si aprono le varie sale in cui sono ordinati i reperti che illustrano lo svolgersi della storia del paese dalle origini; si passa poi nel grande cortile dominato da un immane pilastro avvolto da un velo d’acqua; su questo patio si aprono 12 sale dedicate ciascuna alla varie civiltà evolutesi in Messico.
La più affascinante, per i profani come noi, è quella atzeca al cui centro catalizza l’attenzione lo splendido calendario scolpito su una grande pietra. Esso riporta il ciclo di 52 anni con cui gli Atzechi dividevano il tempo. Innumerevoli i reperti esposti, dai grandi blocchi di pietra scolpiti nelle più diverse forme di animali simboli o di volti umani. Bellissimi gli oggetti esposti, invidiabile il criterio scelto per la realizzazione di questo monumento che un Paese con immensi problemi ha voluto erigere alla memoria del Suo passato.
CITTA’ DEL MESSICO -OAXACA Questi che ci accingiamo a percorrere sono circa 500 Km da farsi senza soste notturne poiché, passata Puebla, non vi sono più città fino ad Oaxaca. Subito la strada comincia a salire; il passaggio è piuttosto brullo e desertico, appaiono le prime piante grasse che posso finalmente vedere allo stato spontaneo.
Così fra valli di euforbie e cacti i chilometri scorrono, il fondo stradale è buono, il traffico poco intenso.Vediamo per la prima volta avvoltoi che ferocemente si contendono la carcassa di un cane. Frenata, fotografia. Ne vedremo in seguito a centinaia, ma questi sono i primi! Si sale e si scende lungo i fianchi della Sierra. Ora la vegetazione è quasi scomparsa: vi sono ampie valli pietrose; poi un altopiano chiuso da una catena di vulcani spenti. Ne saliamo le pendici ed al di là ci appare la conca di Oaxaca. In pochi minuti raggiungiamo la città dominata dal Monte Alban dove sorse e si sviluppò la fiorente civiltà zapoteca. L’altitudine di Oaxaca è di circa 2000 metri, il Monte Alban 400 metri più in alto.
Il mattino molto presto saliamo al parco archeologico.
Spettacolare la vista delle rovine.
Sono disposte su un altopiano, molti cumuli ancora da scoprire, piattaforme immense di incerto uso, un misterioso ed affascinante osservatorio astronomico rivolto verso la penisola dello Yucatan, le strane e contorte figure dei Dansantes che in realtà non si sa che cosa rappresentino (ballerino, guerriero, prigioniero che tu sia, hai portato con te il tuo mistero ! ), piramidi vertiginose dalla cui sommità lo sguardo spazia su di un orizzonte infinito di cielo e nuvole.
In serata visitiamo la città ricca di chiese, con uno Zocalo bellissimo pieno di alberi in mezzo ai quali vi è il chiosco per l’orchestra che tiene un fragoroso e seguitissimo concerto. Il vento fa stormire i rami e spande la musica anche nelle sale del ristorante in cui mangiamo ostriche del Pacifico e guacamole.
Secondo giorno di permanenza: mattinata dedicata al mercato coperto, vera istituzione.
C’è da perdersi fra banchi di sapates, sombreros, pescado, flores, frutas, tortillas, tacos. Donne sedute a terra vendono tortillas e tacos, le loro trecce lunghissime sono adornate da nastri colorati attorti coi capelli; il profumo delle tuberose satura l’aria misto a quello delle spezie e delle decine di qualità diverse di chili essiccati.
Al pomeriggio andiamo verso Puerto Angel sulla strada che porta alla costa del Pacifico.
E’ un paesaggio a forti tinte.
Radi cacti con fioriture stupende, avvoltoi che proiettano la loro ombra sulla strada, valli desertiche colorate da minerali affioranti; sulla strada deserta di tanto in tanto scorgiamo dei gruppetti di persone sedute sul ciglio della carreggiata: aspettano la corriera che arriva traballando adorna di immagini sacre, corna, frange, nappine, specchietti e trombe, stracolma di umanità varia e carica di pacchi, sacchi e fagotti, sul portapacchi sono legate alcune capre.
Percorriamo questa strada affascinante sino a San Martin Ocotlan. Sullo zocalo di questo paesino è in pieno svolgimento un mercato fantastico, molto più naïf di quello di Oaxaca, ma, se possibile, ancora più colorato e vivace. Sotto le candide coperture dei banchi una festa di colori e di sapori che sembrano moltiplicarsi ad ogni angolo.
Molta gente si riposa accovacciata sul pavimento dei portici: visi, sguardi, abbigliamenti interessantissimi, anche noi dobbiamo essere interessanti per loro considerando il fatto che non vi sono altri stranieri in giro.
0AXACA – TEHUANTEPEC Appena fuori dalla città di Oaxaca s’incontra l’Arbor del Tule: un albero immenso che si ritiene esser vecchio di 2000 anni, alto 40 metri ha 42 m di circonferenza alla base; ospita centinaia di nidi, si erge maestoso vicino ad una chiesetta bianca con i contorni disegnati a vivaci colori pastello.
Proseguiamo incontrando paesini di poche case, strade sterrate, mercatini e tante serapes che vengono tessuti a telaio dalle donne di questa zona.
La strada molto mossa poichè si sale e si scende lungo le pendici della Sierra Madre du Sur, il paesaggio non è esaltante. A circa 250 km da Oaxaca si arriva nella piana dell’Itsmo. La strada Panamericana corre sulla striscia di terra pianeggiante fra due catene di montagne. E’ una terra perennemente battuta da un vento terribile, il clima è torrido e il terreno molto arido. TEHUNTEPEC — SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS Da Tehuantepec cominciamo a salire sulla Sierra in un paesaggio brullo e scostante, poca gente in giro, piccoli paesi sempre più polverosi; tutto rimane invariato fino a TuxtlaGutierres.
Dopo la città incominciamo ad attraversare le foreste. E sono foreste fitte, verde smeraldo, valli e valli a perdita d’occhio senza segni evidenti di presenza umana. Il fondo stradale è buono, il traffico scarsissimo, spariti anche i piccoli segni che denotano la vicinanza di case.
I bordi della strada fioriti di orchidee.
Possiamo ammirare stranissimi alberi che paiono completamente rinsecchiti, unici segni di vita splendidi fiori gialli e bianchi sulla sommità dei rami, nell’aria sfrecciano velocissimi colibrì dai fantastici colori con riflessi metallici.
SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS E’ questa cittadina la capitale dello Stato del Chiapas, uno dei più selvaggi del paese, ricoperto per molta parte da foreste è abitato dagli indios Lacandones; essi sono una popolazione originaria ancora integra e molto schiva, legata ai vecchi costumi, che vive in piccoli villaggi spersi nelle foreste e scende in città solo per traffici minuti.
Arriviamo di domenica nel tardo pomeriggio.
La città, a 2110 m di altitudine, ci abbaglia subito con i suoi intensi splendidi colori, le costruzioni sono di epoca coloniale, quasi sempre ad un solo piano, hanno bei portali scolpiti, finestre con ‘miradores’ in ferro battuto, i colori vivaci degli intonaci riprendono quelli splendenti del paesaggio di montagna che circonda la città.
Subito si percepisce la diversità di atmosfera che regna qui: raccolta, discreta, silenziosa, quasi sospesa.
Il cielo blu cobalto è percorso da schiumose nuvole bianchissime; l’orizzonte è chiuso da montagne ricoperte da fitti boschi; ovunque vi è silenzio, anche nelle vie più affollate dal passeggio domenicale o sui sagrati delle chiese, luogo di incontro dei giovani. Sullo Zocalo è in pieno svolgimento lo ‘struscio’ domenicale, non vi è musica, la gente cammina composta o siede sulle panchine e parla sottovoce; giovani coppie camminano tenendosi per mano; donne indie passano a vendere bamboline di pezza, cinture e braccialetti intrecciati.
Ci stiamo dirigendo verso il santuario dì Santo Domingo quando sentiamo suoni di percussioni e raganelle: sta arrivando un piccolo corteo di maschere.
Già, è Carnevale! Sono tutti ragazzi vestiti con ‘serapes’ coloratissimi, sul volto mascheroni di legno dai lineamenti grotteschi, in testa una specie di ispida parrucca di setole, ballano accompagnandosi con tamburelli, raganelle e delle specie di ‘marracas’.
A salti e balzelloni, come dei ‘mamutones’ entrano in una chiesa seguiti da ragazzi e ragazze che portano fiori e ceri guarniti di nastri, ne lasciano alcuni sull’altare, si dirigono poi verso un’altra chiesa.
Il corteo non suscita allegria e spensieratezza, i gesti dei figuranti sono schematici, rituali, quasi guerreschi.
Il sole calante indora i colori dello Zocalo, le indie che prima ricamavano e tessevano sul prato dinnanzi alla chiesa raccolgono le loro merci in grandi fagotti e si avviano coi figli verso le loro capanne.
Rapidamente scende il buio e subito l’aria si raffredda. Appaiono le stelle scintillanti nell’aria tersa.
Siamo affascinati da questo posto: domani ci alzeremo prestissimo per visitare il mercato.
Facciano colazione dinnanzi al camino acceso e quando usciamo il cielo è terso ed il sole splende nella fredda aria di montagna. Andiamo nuovamente verso il santuario di S. Domingo nelle cui vicinanze si svolge il mercato giornaliero. E’ molto presto, facciamo la strada in compagnia di indios carichi di sacchi, fagotti, ceste, sporte dove hanno stivato le mercanzie che portano a vendere.
Gli uomini vestono un costume costituito da pantaloni di tela bianca, casacca rossa con i bordi ricamati e due nappe rosse sui fianchi, molti hanno anche una specie di ‘serape’ bianco di lana grezza fermato in vita da un cinturone di cuoio che serra un machete, sul capo un piccolo sombrero bianco, ai piedi sandali di cuoio oppure nulla, alcuni nascondono la parte inferiore del viso dietro un fazzoletto.
Le donne portano tutte trecce molto lunghe, coi capelli sono intrecciati anche nastri multicolori, hanno una lunga gonna nera di tessuto molto spesso e rigido, una camicia bianca ed uno scialle blu ornato di nappe agli angoli. Esso serve da passeggino per bimbi addormentati i cui capini nerissimi spuntano dietro le schiene delle madri.
Il mercato è molto colorato, pieno di bancarelle di frutta, verdura, utensili per l’agricoltura e la tessitura, di nastri, di fiori, di fazzoletti, di sombreri, capre, galline, tortillas, recipienti di zinco, semi, immagini sacre, candele.
Restiamo in silenzio, presi da questa atmosfera: ci sentiamo veramente in un mondo diverso dal nostro; guardiamo e ci sentiamo guardati, da entrambe le parti vi è una specie di pudore. * NB questo viaggio è stato effettuato quando il Chiapas non era ancora noto per i fatti che poi lo avrebbero portato sulla scena mondiale SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS – PALENQUE Tappa non molto lunga, ma piuttosto impegnativa, poichè il percorso si snoda attraverso la foresta, senza paesi e comprende la salita al passo di Ococingo a circa 3000 metri.
Paesaggio bellissimo, in piena foresta, alberi altissimi, molte orchidee lungo il ciglio della strada, felci alte oltre i due metri. Prima di arrivare a Palenque, a circa 70 km da Ocosingo, ci fermiamo ad Àgua Àzul dove il Rio Tulija forma una serie di piccole cascate; le pietre azzurre che costituiscono il letto del fiume danno una colorazione molto intensa alle acque ed il nome al posto.
L’ acqua forma cascate spumeggianti fra il verde smeraldo dei prati e gli alberi che si protendono sulle sponde sono carichi di liane e piante parassite , ma purtroppo vi sono parecchi turisti trasportati qui da pullman che sostano coi motori accesi sì che l’aria è ammorbata ed lo scroscio delle cascate coperto. Pazienza! E’ comunque un posto che merita la deviazione. In breve arriviamo a Palenque.
Il vi1laggio nuovo, molto brutto vive in funzione delle rovine; fatto un rapido giro decidiamo di non fermarci in paese, ma di cercare un hotel sulla strada che conduce al Parco archeologico.
Qui troviamo un hotel costituito da bungalows immersi nella foresta; la costruzione centrale che funge da ristorante e da reception è in legno con il tetto di paglia ed è priva di pareti sostituite da una cortina di fiori e piante. Siamo immersi nella foresta tropicale un groviglio di alberi, liane, piante parassite, alte felci, kentie, una miriade di insetti ronzanti; processioni di formiche che trasportano alte sui capini porzioni di foglie ritagliate con le loro possenti mandibole. Ad un tratto sentiamo strida di uccelli ed, alzato il capo, vediamo parecchi tucani coloratissimi che si sono posati sui rami nudi di un grande albero.
Lo spettacolo delle rovine è superiore ad ogni aspettativa. A parte l’importanza che questi resti hanno per lo studio della civiltà Maya, è incredibile la suggestione delle costruzioni che emergono dalla foresta la quale sembra inghiottirle nuovamente celandole alla vista umana.
Si passa da una costruzione all’altra camminando su un tappeto di soffice erba color smeraldo immersi in una silenziosa atmosfera di mistero.
PALENQUE – UXMAL Partiamo da Palenque per raggiungere la penisola dello Yucatan.
Scendiamo rapidamente in pianura. Nello Stato del Campeche, attraversiamo il grande Rio Usumancita che raccoglie le acque dei monti del Chiapas, arriviamo in una zona paludosa molto estesa, vi è una tale abbondanza di uccelli acquatici che veramente è difficile fare una, anche sommaria descrizione. Arriviamo a Campeche sul Golfo del Messico: una cittadina di pescatori, le acque del Golfo sono tranquille e torbide,unica nota interessante i pellicani che si dondolano pigramente presso la riva e le fregate che volteggiano in cielo stridendo e gonfiando la gorgiera rossa.
Entriamo nello Stato dello Yucatan.
Il paesaggio, che si rivelerà poi uniforme in tutta la penisola, è pianeggiante, ricoperto da una fitta vegetazione di acacie; al di fuori di poche piccole città la popolazione vive in villaggi ai margini delle foreste, le case sono in legno e frasche con il pavimento in terra battuta.
Le donne indossano il juspede: una corta vestina bianca con il dorso e la scollatura ricamata a vivaci colori, sulle spalle portano una lunga sciarpa scura.
Arriviamo ad Uxmal verso il tramonto: l’ora è ideale per visitare le rovine indorate dai raggi obliqui del sole calante.
Gli edifici hanno nomi quali: il Quadrilatero delle Monache, la Piramide dell’Indovino, la casa delle colonne, il palazzo del Governatore, la casa delle tartarughe ecc, ma non si sa assolutamente quale fosse la loro destinazione
UXMAL – TULUM Attraversiamo orizzontalmente la penisola, il paesaggio non cambia: fitta foresta senza soluzione di continuità ai lati della strada che la taglia dritta come una lama.
Finalmente arriviamo al mare: il Caribe.
Tulum l’unica fortezza Maya in riva al mare; le costruzioni sono cupe, pesanti, oppressive, forse era un luogo di espiazione come lasciano supporre le figure capovolte che compaiono ovunque sui capitelli delle colonne, sugli affreschi, sui bassorilievi, oppure era un ‘finis terrae’ un punto oltre il quale era temerario o addirittura sacrilego spingersi.
Dalla rocca si ammira lo spettacolo del mare dai colori puri e trasparenti. E’ blu, azzurro, verde, bianco, violetto, le spiagge sono dorate, le palme si sporgono sull’acqua, il cielo ripete le mille sfumature delle onde. Dormiamo in una ‘cabana’: un rudimentale bungalow, la veranda finisce sui sassi lambiti dall’acqua quando è alta marea e lasciati scoperti quando il mare si ritira; le palme pendenti e fruscianti ad ogni alito di vento crescono sulla sabbia bianca. In un modesto ristorante sulla spiaggia mangiamo gamberoni e salada de frutas e ci godiamo il respiro caldo del mare che si muove calmo nel buio della notte.
Al mattino ci sveglia il sole già cocente.
TULUM – CHICEN ITZA Si riparte e siamo nuovamente circondati dalla monotona distesa di acacie.
Imponenti le rovine di Chichen Itza, molto importanti; visitiamo il ‘cenote dei sacrifici’, la casa delle monache, lo sferisterio, il gruppo delle colonne ecc, però non riusciamo a ritrovare la magica atmosfera di Monte Alban o di Palenque; forse siano troppo stanchi oppure l’approssimarsi del ritorno ci dà tensione.
Pernottiamo a Merida per tre notti.
La città è piuttosto caotica, affollata di negozi e di turisti, lo Zocalo non ha certo il fascino di quello di Qaxaca o di S. Cristobal.
Facciamo un’escursione verso il Golfo.
Per arrivarci attraversiamo ampie distese coltivate a sisal: agave da cui si ricava un’ottima fibra, vi è anche una città che si chiama così ed è il porto d’imbarco per questo prodotto. Celestun è un paesino sul mare, molti pescatori tirano a riva reti stracolme di bellissimi pesci rosati, rapaci gabbiani e fregate dal caratteristico gozzo rosso volteggiano bassi. Pranziamo in un piccolo ristorante veramente rustico con i tavoli messi direttamente sulla sabbia. Dopo pranzo giriamo attraverso ampie zone di stagni marini e superfici salate, il cielo è percorso da fenicotteri. Torniamo nel caos di Merida a preparare le valigie per la partenza del mattino seguente destinazione: Città del Messico. Viaggio attraverso gli Stati di: v Districto Federal v Oaxaca v Chapas v Campeche v Quintana Roo v Yucatan