Sorprendenti Balcani – Road Trip 2017

Viaggio nei Balcani alla scoperta di bellezze naturali, monumenti UNESCO e della storia recente attraversando Macedonia, Serbia, Bosnia, Croazia, Montenegro, Albania, Kosovo e Bulgaria
Scritto da: Schlauchen
sorprendenti balcani - road trip 2017
Partenza il: 31/07/2017
Ritorno il: 14/08/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Questo è il diario del nostro viaggio per i paesi balcanici nel agosto 2017.

Inizierò con la rotta in breve e un po’ di consigli utili, come preparare il viaggio etc., e chi ha più tempo e voglia può leggere il diario completo in seguito.

La rotta era questa:

30.07. volo Norimberga – Skopje

31.07. visitare Skopje

01.08. strada Skopje – Belgrado via “Valle del Diavolo” (Davolja Varos)

02.08. Belgrado

03.08. strada Belgrado – Srebrenica memoriale – Sarajevo

04.08. Sarajevo città, visita guidata

05.08. giro sulla montagna “Trebevic”, tunnel museum

06.08. strada Sarajevo – Konjic – Mostar – Blagaj – Kravica – Neum

07.08. Neum – Dubrovnik, visitare Dubrovnik

08.08. Dubrovnik – Perast – Kotor

09.08. Budva – Shkodar (Albania) – Zabljak

10.08. Tara Canyon

11.08. Zabljak – Pec – Decani – Prizren – Pristina (Kosovo)

12.08. visitare Pristina, Gracanica, Bear Sanctuary, andare a Skopje

13.08. notte: Skopje – Sofia, visitare Sofia

14.08. volo Sofia – Norimberga

Considerazioni sulla rotta

I punti fissi da visitare per noi erano Sarajevo, Belgrado e il Kosovo. Siccome ci interessiamo molto per i patrimoni Unesco volevamo includere anche Dubrovnik e Kotor – e così il cerchio della rotta era già fatto.

Molto più difficile definire il giro preciso:

Perché abbiamo iniziato il giro a Skopje

Nè la mia macchina tedesca nè la macchina italiana del mio ragazzo hanno la copertura per l’Albania e il Kosovo. Anche se si può comprare l’assicurazione aggiuntiva in Italia o al confine, abbiamo preferito non fare il giro con la propria macchina.

Abbiamo contattato tantissimi autonoleggi a Sarajevo, Belgrado, Sofia e Skopje. Impossibile trovare qualcuno a Sarajevo o a Belgrado che permetta il Kosovo. A Sofia c’è apparentemente qualche autonoleggio piccolo che lo permette, ma in caso di problemi con la macchina (come successo a noi in Messico) preferiamo noleggiare da una delle grandi catene. Quindi rimaneva solo la Macedonia dove tutti permettono sia il Kosovo sia l’Albania. Da Avis il permesso costa 10 euro per ogni paese, da Hertz era gratuito, quindi abbiamo noleggiato da Hertz. La macchina ci è costata circa 800 euro (assicurazione super-cover), a Belgrado o Sarajevo avremmo pagato solo 500 euro – ma tralasciare il Kosovo non era un’opzione per noi.

I confini del Kosovo

Basta googlare per 5 secondi per capire che non si entra in Serbia dal Kosovo (nell’altra direzione nessun problema). Inoltre spesso la Serbia cancella il timbro del Kosovo, ma ce lo volevamo tenere come souvenir – quindi era chiaro per noi di fare il giro in senso antiorario, con il Kosovo alla fine. Chi non si interessa per timbri sul passaporto può comunque comodamente entrare in Serbia con la carta d’identità.

Il problema “turisti di crociera” a Dubrovnik

Un amico ci aveva detto che Dubrovnik può essere piena di gente quando arrivano le grandi navi da crociera. Sul sito web del porto di Dubrovnik c’è un bel elenco excel che indica il numero di passeggeri per ogni giorno dell’anno. Possono essere solo 82 turisti, 700 (il giorno quando c’eravamo noi) o oltre 6.000… e se con i “nostri” 700 turisti di crociera (ai quali si aggiungono i turisti che vengono in macchina) la città era già piena, non voglio neanche sapere come sia in un giorno con 6000 persone.

Perché la “coda” per Sofia alla fine

Semplicemente perché il volo Wizzair da Sofia parte un giorno dopo rispetto a quello da Skopje, così potevamo allungare le ferie un pochino 🙂

Consiglierei questa rotta ad altri viaggiatori?

Onestamente non lo so. Questa rotta include il top dei paesi balcanici (tranne la Slovenia e il nord della Croazia che conoscevamo già) ed è troppo lunga per 2 settimane, probabilmente non basterebbero nemmeno 4 settimane. Diciamo che abbiamo visto “un po’ tutto e un po’ niente”. Per farsi un’idea il giro è buono, per conoscere i paesi definitivamente no.

Nel giro manca più tempo a Belgrado e Kotor, Novi Sad, Visegrad, Studenica, le isole davanti a Dubrovnik, Rugova Canyon in Kosovo, Lago Ohrid (super consigliato da tutti), tantissimi monasteri lungo la strada in Serbia, camminare nel Durmitor NP etc.

Cosa fare prima delle vacanze

Studiare l’alfabeto, a lingua e la storia. Ecco perché:

Alfabeto

In Serbia, Macedonia e Bulgaria usano l’alfabeto cirillico. C’è un alfabeto “base” e ogni paese ha poi alcune lettere “proprie” extra. Bastano due ore per impararlo bene. Io ho imparato l’alfabeto russo (semplicemente perché è più facile trovare siti web per il russo che per il serbo). Non è necessario sapere il cirillico, i cartelli stradali sono tutti anche in lettere latine. Però è bello fermarsi delle volte e leggere – a velocità di un bambino in prima classe – un’insegna sotto una statua, un cartello di pubblicità o anche solo “posta”. E che soddisfazione quando ho letto “sok od jabuka” e sapevo anche cosa fosse (succo di mele)!

Lingua

Quasi ovunque la gente parla un inglese molto molto buono, probabilmente anche dovuto al fatto che i film nella TV hanno solo i sottotitoli, ma non sono doppiati. Quando ho provato a comprare una bottiglia d’acqua a Belgrado in serbo, mi hanno subito risposto in inglese. L’unico posto dove il serbo è servito veramente era nella Serbia rurale ed a Zabljak / Montenegro (non so perché, ma lì i vecchi non parlano l’inglese, nemmeno i camerieri).

Comunque sono contenta di aver studiato un po’ di serbo: dieci lezioni tramite un app, i numeri (purtroppo solo fino a 99, sarebbe utile saperli fino a 1000 siccome il dinaro serbo vale poco e spesso abbiamo i prezzi attorno ai 300 RSD), e un po’ di grammatica e declinazione, l’uso di “li” etc. Non so, mi pareva che la gente fosse subito più gentile / aperta dopo il mio “Govorite li engleski?” (“Parla l’inglese”) o semplicemente un bel “Dobar dan”.

Magari avessi studiato un po’ di albanese. L’albanese non ha niente a che fare con il serbo (mentre invece croato, bosniaco, serbo, macedone e montenegrino sono fondamentalmente la stessa cosa). Non mi sarei mai, mai, mai fidata di dire “Dobar dan” in Kosovo (gli albanesi e i serbi sono tutt’altro che amici). Quindi abbiamo detto “hello”, ma con la gente che parla pochissimo inglese è servito a poco e non abbiamo incontrato nuovi amici. Dopo un giorno sapevo dire almeno “faleminderit” (grazie).

Storia

Questo punto è molto importante. È importante informarsi bene in anticipo sulla guerra degli anni novanta. Ognuno vi racconterà il suo punto di vista su questa guerra, ed è bene informarsi per capire come poteva succedere questa guerra, perché i serbi si comportavano così e i bosniaci si comportavano così, perché i croati sono intervenuti…

Esempio: La nostra guida a Sarajevo (molto brava) ha detto che Sarajevo era circondata per 4 anni e l’Unione Europea non ha fatto niente tranne mandare cibo. Dal suo punto di vista ha ragione, però bisogna sapere (e questo non lo dice la guida) che un’intervento avrebbe molto probabilmente causato una terza guerra mondiale, la Russia avrebbe molto probabilmente aiutato i serbi.

Esempio II: Srebrenica, non ci sono cartelli informativi al cimitero della guerra

Esempio III: in Kosovo molta gente gira con bandiere albanesi sulle macchine, è utile capire questo conflitto.

Consiglio la documentazione della BBC “The death of Yugoslavia” (6 parti, 1 ora ciascuna, per esempio su YouTube), girata subito dopo la guerra. Ci sono interviste a tutti i presidenti (Milosevic, Izetbegovic, Tudjman, …) e si capisce bene sia il punto di vista della Serbia, sia il punto di vista della Bosnia e della Croazia. Purtroppo non ho trovato un documentario di una qualità simile per la guerra in Kosovo.

Ed è sempre buono sapere: La storia la scrive il vincitore. Nessuno in questa guerra era un angelo, neanche i bosniaci.

Consigli sulla navigazione

Mentre nell’Unione Europea il roaming è ormai gratuito, accesso a internet è carissimo negli altri paesi, parliamo di circa 35 euro per 10 Megabyte nel paese più caro. Quindi dimentichiamoci GoogleMaps con le sue soluzioni online.

Già nel primo giorno del roadtrip abbiamo anche smesso di usare il mio Garmin nüvi – navigatore vecchio del 2008 ma affidabilissimo in Italia e Germania. Per la Macedonia era okay, ma in Serbia conosceva solo le strade principali – inutile per noi.

Per noi si sono rivelate preziose le mappe di OpenStreetMaps. Le abbiamo scaricato già da casa e poi abbiamo navigato con il cellulare, ovunque e senza problemi. Solo a Sarajevo OSM voleva farci passare per una zona pedonale.

E dopo questa prefazione iniziamo con il diario.

30 luglio 2017: Skopje

Non c’erano voli comodi Bologna – Skopje, quindi usiamo la mia casa in Germania come base per il viaggio. In treno andiamo a Norimberga. La coda per la consegna bagagli Wizzair è lunghissima e c’è di continuo gente con problemi o gente che salta la coda senza scusarsi. Dopo più di mezz’ora finalmente ce l’abbiamo fatta. Per l’imbarco abbiamo meno stress in quanto abbiamo acquistato i biglietti più cari di Wizzair. Costavano solo 8 euro in più e così abbiamo evitato sia i problemi con peso / grandezza, sia le code per salire sull’aereo, e potevamo allungare le gambe nella fila di emergenza. Super consigliato soprattutto per queste airline low-cost.

Dopo circa 2 noiose ore vediamo le montagne che fanno il confine Kosovo – Macedonia, e all’atterraggio tutti applaudono – sembra che si faccia così nei paesi balcanici, lo hanno fatto anche al ritorno da Sofia. Appena atterrati, ancora sulla pista di atterraggio, la gente si alza subito per tirare giù le valigie etc…

Scambiamo un po’ di soldi subito all’aeroporto e acquistiamo dei biglietti per il “Vardar Express”, una linea autobus abbastanza nuova che collega l’aeroporto al centro. L’autobus non è molto frequente, ma c’era un autobus alle 7. Sul loro sito web non era riportato questa partenza e ci aspettavamo di prendere un taxi per 20 euro – invece raggiungiamo il centro comodamente per 3,50 euro a testa. L’autobus parte e si avvicina sempre di più il “Millennium Cross”, la croce che domina la città di Skopje e che è visibile da lontano anche di notte. L’autista è super-gentile e parla un inglese molto buono, ci fa il segno dove uscire, ci dà il suo biglietto da visita e ci ricorda cinque volte quale compagnia di autobus (la sua) e quale fermata (davanti all’Holiday Inn) usare per il ritorno all’aeroporto.

Il Vardar Express ferma alla stazione autobus, a un qualche supermercato e all’Hotel Holiday Inn. Da quest’ultimo erano solo 200 metri per il nostro albergo, l’Hotel Senigallia.

L’albergo è la seconda piacevole sorpresa del giorno. L’albergo sembra una galeone, ma è un galeone finto. Le stanze sono comode come in un normale albergo. La piazza centrale di Skopje dista solo 300 metri circa. C’è anche un ristorante/bar ed è bellissimo fare colazione lì in alto con vista fiume e ponti, guardando la città svegliarsi mentre si mangia un pancake. Consiglio questo albergo a tutti.

Purtroppo il ristorante scelto su Tripadvisor (“Old City”) risulta chiuso per ferie, così facciamo un giro per la città a vedere cosa c’è. Abbiamo fatto fatica a trovare un bel ristorante. Quasi tutti i ristoranti fanno un po’ di tutto (nella parte nuova della città), un po’ pasta, un po’ pizza, un po’ carne. È un giro di quasi un’ora finché non ci decidiamo per un ristorante quasi subito davanti al nostro albergo: “Dion” si chiama. Ci sediamo sulla terrazza e mangiamo qualcosa di tipico macedone, cubetti di carne mista con funghi e un sugo molto saporito. Mi è piaciuta questa prima impressione della cucina dei Balcani. Questo pasto è stato accompagnato da una birra “Skopsko” – al solito preferisco il vino ma con questo caldo ho quasi sempre bevuto birra in tutta la vacanza 🙂

Dopo la cena facciamo un’altro giro per il centro. Di notte Skopje è viva: Un trenino gira attorno alla piazza Alessandro Magno, le fontane sono accese e fanno giochi di luci e di acqua. I bambini corrono attraverso i giochi di acqua, cercando di non bagnarsi. Architettura e luci invitano di postare foto su Instagram.

Per chiudere la giornata prendiamo un Mojito nel bar dell’albergo, poi cadiamo a letto e dormiamo subito.

31 luglio: Skopje

Iniziamo il lunedì con la colazione sul nostro galeone. Mentre mangiamo pancake preparati al momento, vediamo la città svegliarsi. O meglio, non la vediamo svegliarsi. Sono le 08:30 e le persone che girano sono per lo più turisti. Gli abitanti della città fanno a) altre strade (non lungo il fiume) b) sono già al lavoro o c) dormono ancora. Ancora non sappiamo la risposta ma di notte c’è sicuramente più vita in centro. Sarà anche per le temperature che oggi sono quasi insopportabili.

Il piano era di visitare la città vecchia (il bazar) la mattina e la città nuova nel pomeriggio. Presto capiamo che questa tattica non funziona, tutti i negozi nel bazar sono chiusi alle 9 e aprivano man mano solo verso le 10. Quindi ci dirigiamo verso il castello. Troviamo un ingresso aperto (lato parcheggio) con cartello “The fortress is closed for visitors”, però il pezzo “is closed” è coperto da un graffito – sarà stato un artista o un ufficiale che voleva riaprire la fortezza ai turisti? Non lo so, noi, curiosi come siamo, siamo entrati. C’erano lavoratori e giardinieri, abbiamo salutato tutti con “Zdravo” e nessuno ci ha cacciati via. Abbiamo visto solo un altro turista, per il resto eravamo da soli. In questo momento avrei desiderato un altro gruppo di turisti, o un venditore di souvenir, tanto per capire che non eravamo fuori luogo!

Ci sono tre punti di vista sulla città, il più bello chiuso a chiave. Uno si raggiunge solo facendo una scala rotta. Diciamo che il castello ha potenziale.

Vicino al castello c’è una grande moschea. Visitiamo il giardino per rispondere a una domanda di una caccia al tesoro (geocaching). Un uomo ci fa segno di entrare nella moschea e non sembra di interessarsi del fatto che io non ho un velo. Così vediamo la prima moschea del nostro viaggio, bella da fuori e anche da dentro. La decorazione interna è quasi uguale in tutte le moschee del nostro giro.

Sul ritorno per la città vediamo un cartello per un tour guidato per il famoso Canyon appena fuori della città. Decidiamo di non farci più stress del necessario e tralasciamo questa tappa, ma vedendo le foto sono sicura che merita una visita se uno sta più tempo a Skopje.

Nella parte nuova della città visitiamo la casa dedicata a madre Teresa, nata a Skopje. Accanto alla casa stanno costruendo una nuova chiesa ortodossa. Visitiamo un parco con tante statue enormi e una stradina dietro un parcheggio che ricorda la Skopje di una volta. Oggi, essendo lunedì, i musei sono chiusi, quindi vediamo il museo archeologico, che domina tutto il lungofiume, solo da fuori – monumentale come tutta la città nuova.

Per visitare il vecchio bazar usiamo una guida in forma di una caccia al tesoro. Noi due siamo utenti di geocaching.com, un gioco che si sta diffondendo sempre di più: Sul cellulare appare la descrizione dove trovare la scatolina, e noi andiamo a cercarla (e magari trovarla). La geocache da trovare qui al vecchio bazar era fatta molto bene: Bisognava seguire un percorso e rispondere a varie domande per poi poter calcolare la posizione della scatolina. La nostra prima missione è quella di capire che forma hanno “padobranets”, che sarebbe un dolce. Onestamente noi non abbiamo trovato questo dolce da nessuna parte, ma abbiamo degustato tanti altri dolci in giro per il bazar.

Il giro della caccia al tesoro porta poi a un cortile (dove torneremo la sera per cenare), una moschea, un ex hamam ormai usato come galleria d’arte e la strada delle gioiellerie. La chiesa Sveti Spas dovrebbe essere il highlight del giro ma purtroppo è chiusa di lunedì e gli impiegati lì erano poco flessibili…

Sul ritorno dalla scatolina finale del giro ci fermiamo in un ristorante a prendere una birra fresca e un “Skopsko Salat”, un’insalata di pomodori, formaggio e cetriolo. Poi seguiamo il consiglio nella descrizione della geocache e andiamo alla caccia di altri dolci tipici. Il posto da visitare è il Café “Ohrid”, vicino al Kapan Han. Io ho provato ashure (un tipo di budino) e boza, una bevanda tipica, dolce, al latte, ma anche fermentata, quindi leggermente alcolica. In questo bazar è facilissimo capire l’impronta ottomana nella cultura dei Balcani.

Dopo due o tre ore lasciamo il labirinto che è il bazar. Facciamo una sosta al DM, catena presente ovunque nei Balcani. È una catena tedesca quindi mi sento a casa, e i prodotti hanno tutti il testo tedesco – sembra che non solo non si traducono i film, ma non si fa neanche un altro imballaggio per i fazzoletti per il mercato del sud est Europa.

Sono le 4 e abbiamo più o meno visto tutto a Skopje. Rimarrebbe la possibilità di andare su per la Millenium Cross. Facciamo una breve ricerca online ma non capiamo bene quale autobus prendere per arrivare alla stazione della funivia (che è dietro la montagna guardando dal centro della città). Ancora non sappiamo che i taxi qui non costano quasi nulla, quindi rinunciamo a questo giro e ci incamminiamo verso nord lungo il fiume. Lì ci aspettano altre geocache che ci fanno vedere un ex luna park e lo stadio. Sul ritorno vedo l’ambasciata italiana sulla mappa così facciamo un breve detour a farci la foto davanti all’edificio.

Come aperitivo (un concetto poco conosciuto nei Balcani) prendiamo un Aperol Spritz poco buono. Mentre sediamo sulla terrazza del Telekom Lounge possiamo osservare una famiglia di zingari che vende dei palloncini per strada. Nella mezz’ora che eravamo seduti lì hanno venduto esattamente un palloncino – poco per nutrire 8 persone. E non so quanti bambini hanno provato a venderci fazzoletti oggi.

Per cena torniamo al bazar e mangiamo in un ristorante nel cortile Kapan An. È un bel posto ma ci sentiamo un po’ a disagio perché siamo gli unici ospiti nel ristorante, mentre il resto del bazar è pieno di gente. Non ho capito questo, la cena non era male. Solo il mio ragazzo era di malumore perché non avevano il pesce in quella sera. Allora lui ha mangiato tipo uno stinco di vitello (mi sono arrabbiata quando ho visto che ha scelto il piatto più caro che c’è sul menù e poi vuole fare alla romana…), io ho nuovamente mangiato il piatto mangiato già ieri, una buona zuppa di carne mista.

Il ristorante non vuole accettare la carta di credito quindi devo andare ad un bancomat a pochi passi dal ristorante mentre il mio ragazzo aspetta come deposito. Facendo il prelievo due bambini mi assaltano, uno da sinistra, uno da destra, entrambi vogliono vendere fazzoletti. O forse vogliono anche rubare il mio prelievo? Per la sicurezza faccio uso dei miei due gomiti e prendo i soldi appena escono. Non è successo niente, ma mai più un prelievo senza un uomo accanto a me!

Spesso si legge che Skopje sarebbe una “Disneyland” o “se Las Vegas e la Corea del Nord fanno un bambino nasce Skopje II”. Un amico ha scritto “Skopje? Noiosa!”. Secondo me, Skopje vale una visita, un giorno basta per vedere il centro per bene. Dopo due giorni la città diventa noiosa sicuramente. Non mi ha appassionata come altre tappe del nostro viaggio, ma è una meta che merita.

1 agosto: Skopje – Đavolja Varoš – Belgrado

Dopo una buona colazione inizia veramente il nostro roadtrip per i paesi balcanici. Con un taxi andiamo all’ufficio Hertz. Si chiama “downtown office” ma è comunque fuori, in zona industriale. Gli impiegati dell’hotel ci hanno consigliato di prendere un taxi, costerebbe meno che comprare un biglietto per gli autobus (che vale per 6 corsie, quindi inutile per noi). Il taxi costa poco, 200 dinari e quindi la scelta di non prenotare la macchina all’aeroporto era una scelta buona. Raggiungere l’aeroporto ci sarebbe costato al minimo 700 dinari con l’autobus e molto più tempo. Il tassista ha messo il metro senza che noi lo chiedessimo, perfetto.

Ci vuole un po’ di tempo per sbrigare tutte le pratiche ma dopo 20 minuti ci siamo e partiamo verso Belgrado. C’è tipo una tangenziale quindi non abbiamo problemi con traffico. Non ci fermiamo lungo la strada e così arriviamo al confine con la Serbia dopo circa un’ora. Lungo la strada ci sono due posti per pagare un pedaggio. Si può pagare anche in euro ma non è favorevole farlo. 40 MKD diventano 1 euro, 60 MKD diventano 1,50 euro. Normale (in agosto 2017) sarebbe 62 MKD = 1 euro.

La coda di attesa è corta (10 minuti neanche), solo nell’altra direzione (entrando in Macedonia) c’è un lungo traffico. Subito capiamo che la ragazza del autonoleggio aveva ragione, è importante aver scritto sul documento che la macchina può lasciare il paese. La poliziotta guarda i documenti della macchina con cura, è il controllo più dettagliato di tutto il viaggio. Per fortuna tutti i documenti sono ok e possiamo proseguire. Un altro stop per prendere i timbri della Serbia. Qui non si interessano molto per noi e il mio ragazzo non doveva nemmeno togliersi gli occhiali da sole. E poi, eccoci qui nel secondo paese del nostro viaggio.

La strada diventa leggermente peggio, accanto stanno costruendo un’autostrada per chiudere questo “buco” di autostrada fra Nis e Skopje. C’è molto traffico e tante targhe tedesche e austriache. Questa è la strada che si prende per andare in Turchia o in Grecia. C’è un pedaggio di pagare di 80 RSD, o 0,50€ – cambio favorevole, normale (in agosto 2017) sarebbe 60 RSD = 0,50€.

Ci fermiamo in un piccolo luogo per prendere da bere. E va bene, la ragione vera per la sosta è la geocache nascosta qui alla chiesa di Predejane: Il nostro primo tesoro trovato in Serbia. La chiesa era bella da vedere, frescamente ristrutturata. Un giovane uomo (il prete?) stava cantando quando siamo entrati. Non volevamo disturbarlo ma lui ci ha fatto segno di entrare e in un buon inglese ci ha spiegato un po’ la chiesa – una dei nostri incontri con la gente del posto, sempre un highlight in un viaggio.

L’obiettivo intermedio del giorno è la visita al Davolja varos, la “valle del diavolo” con formazioni di sassi. Sembra vicino sulla mappa ma non lo è! La strada è buona, da Pukovac andiamo via Prokuplje verso ovest e poi giriamo sud. Nel centro di Prokuplje vediamo carri tirati da cavalli e muli – non solo uno. La Serbia non è un paese arretrato ma qui a Prokuplje siamo comunque un po’ indietro. Non abbiamo tempo di fermarci e c’è traffico quindi non ci fermiamo nemmeno alla banca – una male idea come capiremo dopo.

Seguiamo la strada in mezzo al niente e all’improvviso sorge una grande chiesa all’orizzonte. Siamo nella località di Kondzelj. Ci fermiamo spontaneamente e visitiamo la chiesa. È splendida, ben tenuta, e piena di dipinti. Forse alla fine del viaggio saremmo stati stanchi di chiese dipinte all’infinito, ma qui, all’inizio del viaggio, la chiesa è sicuramente riuscita ad affascinarci!

Sulla mappa ormai la valle del diavolo è vicina, ma ci vuole comunque un’altra ora. Sono quasi le tre quando arriviamo, il mio itinerario super-calcolato prevedeva le 13:30. Quindi ricordiamoci: i tempi di percorrenza indicati su Google Maps sono MOLTO ottimistici.

Ormai solo 500 metri e una cassa ci separano dalla valle del diavolo. Questa cassa è un problema perché non abbiamo dinari (non essendoci fermati a Prokuplje) e le mie 10 lezioni di serbo non prevedevano la frase “Posso pagare con la carta di credito?”. Qui, nella zona rurale della Serbia, non parlano assolutamente l’inglese, quindi prima volta che utilizzo le mie conoscenze del serbo! Mostriamo la visa ma lui dice di no. Mostriamo i nostri dinari macedoni, dice di no. Mostriamo i nostri euro, lui pensa un po’, e poi ce le accetta. Con la calcolatrice nel cellulare ci mettiamo d’accordo sul prezzo in euro e il cambio in dinari serbi. Va bene, non è proprio una “prima volta per il mio serbo”, ma qualche numero, tanti “hvala” (grazie) e alcuni “izvinite” (scusi) bastano per farsi capire. Al ritorno ho addirittura comprato l’acqua con parole e non con gesti!

Per arrivare alla formazione dei “diavoli” si attraversa un bosco. Interessanti le due sorgenti lungo il sentiero, l’acqua che esce ha un colore rosso per un alto contenuto di ferro. Non ci siamo fidati di assaggiare l’acqua (il valore PH è alto) ma ci siamo lavati le mani che dopo sapevano intensivamente di ferro. Dopo una breve camminata arriviamo alla destinazione. Ci sono circa duecento colonne, ognuno con un “tappo” nero sopra – i famosi diavoli. Facciamo alcune foto e ci godiamo il panorama. La valle è verde scuro con migliaia di alberi, senza nessun segno di civilizzazione. Molto bello. Per ritornare alla macchina scegliamo un altro sentiero che passa da una piccola chiesettina. Apparentemente spariscono le malattie se uno tocca il suo corpo con un fazzoletto e poi appende il fazzoletto in questa chiesa. Ho provato di curare così il mio raffreddore ma non ha funzionato…

Sicuramente la valle è bella da vedere, ma tutto il giro ci è costato circa 4 ore – forse il tempo era investito meglio in qualche monastero lungo la strada. Dall’altro canto ci piace sempre scoprire posti fuori dalla solita rotta dei turisti. Alla fine non so se consigliare il giro per questa valle o no.

In zona ci sarebbero alcune chiesettine (sempre con geocache), ma siccome distano 10 chilometri e le strade sono lente, decidiamo di proseguire direttamente verso Belgrado. Ci sono due possibilità di ritorno, una nord via Krusevac, più corta ma strade statali, o tornando a Nis e da lì autostrada. Secondo Google Maps il tempo voluto è uguale quindi torniamo verso Nis. Stavolta guido io (unica volta in tutto il viaggio) e il mio ragazzo può riposarsi un po’. Il ritorno mi sembra più veloce. Facciamo tappa a Prokuplje per fare benzina, e facciamo un giro aggiuntivo perché prendo la strada sbagliata per colpa di segnaletica scarseggiante. Ormai abbiamo anche smesso di provare ad usare il mio Garmin, conosce solo l’autostrada. A partire da lì useremo OpenStreetMaps per tutta la navigazione durante tutto il viaggio.

Lungo la strada ci sono varie monasteri e altre meraviglie da vedere (per esempio una cascata), ma non abbiamo tempo purtroppo e proseguiamo direttamente per Belgrado. L’autostrada è buona, tre corsie, dritte, asfalto nuovo, poco traffico. Peccato che c’è un limite di 120 – che non riesco a rispettare sempre 😉 .

Sono precisamente le otto quando arriviamo in zona del nostro albergo a Belgrado. Dobbiamo fare un giro aggiuntivo perché è vietato andare a sinistra dove avremmo dovuto andare a sinistra noi, e dopo un labirinto di sensi unici arriviamo. Per fortuna abbiamo cambiato autista poco prima di Belgrado – il mio ragazzo sa guidare meglio e io so meglio dare le indicazioni!

Possiamo parcheggiare subito davanti al nostro albergo, la “Villa Skadarlija”. Al momento della nostra visita c’erano lavori in corso e fra poco la strada sarà una zona pedonale – comunque c’è anche un parcheggio coperto nelle vicinanze.

L’albergo ci piace subito, è arredato bello, i proprietari sono super gentili, il bagno è nuovo. Ma la sorpresa più grande la scopriamo quando usciamo per la cena. Pensavamo di aver prenotato un hotel leggermente fuori, invece dopo 100 metri c’è subito una zona molto frequentata e bella per la notte, la Skadarlija. Ci sono tanti bar e ristoranti, musicisti che suonano, venditori raki (un grappa), fiori, colori, gente. Molto bello.

Mangiamo al “Šesir moj”, “il mio cappello”, e scegliamo un piatto di carne mista che include anche i cevapcici. La cena era buona ma niente di eccezionale. Eccezionale invece l’ambiente, ci innamoriamo subito di Belgrado. La ragazza al tavolo accanto a noi dà 2 banconote da 2000 RSD (un po’ meno di 20 euro, cioè in totale circa 35 euro) ai musicisti e suonano e cantano (e cantano anche gli ospiti del ristorante) al loro tavolo per un bel po’.

Per concludere la giornata facciamo un giro per il Trg Republike, la piazza principale di Belgrado. A un chiosco provo a comprare l’acqua in serbo ma la signora mi risponde in inglese. Non c’è molta vita alla piazza centrale. Un ragazzo molto insistente vuole una donazione che non gli diamo. I magneti e le cartoline mostrano tutte la chiesa “San Sava” e decidiamo di andarci domani. Sul ritorno proviamo un raki nella Skadarlija prima di cadere a letto stanchi.

2 agosto: Belgrado

Iniziamo la giornata con una colazione veloce nel nostro albergo e progettiamo la giornata. Non mi ero informata in anticipo cosa o quanto c’è da vedere a Belgrado ma sembrava poca roba. Che errore! Ci vorrebbero due giorni al minimo qui, meglio tre. Noi dobbiamo fare una visita compressa in una giornata. Il “problema” per il turista è che i punti da vedere sono lontani l’uno dall’altro. San Sava, la chiesa ortodossa più grande del mondo e ispirata dalla chiesa a Sofia, dista circa 3 chilometri dalla fortezza, l’altro punto da vedere. Sicuramente abbiamo camminato 10 chilometri oggi.

Il piano è di visitare San Sava la mattina e la fortezza nel pomeriggio – la camminata lunga la mattina quando ancora è un po’ fresco e siamo più in forma. Adesso si rivela che il nostro albergo ha un altro vantaggio: È precisamente in mezzo fra San Sava e la fortezza ed è quindi un buon punto di partenza.

La nostra prima sosta è l’ufficio turistico dove chiediamo quale autobus prendere per San Sava. Ci consigliano di andare a piedi. La proprietaria dell’albergo aveva detto la stessa cosa quindi ci fidiamo e partiamo verso San Sava. Ovviamente ci sono dei geocache da trovare anche a Belgrado, anzi, ce ne sono tanti. La strada per San Sava sarebbe dritta ma noi facciamo uno strano zig-zag per collezionare tutti i tesori tutta la strada.

Il primo tesoro del giorno ci fa vedere l’influsso russo su Belgrado – vediamo il famoso Hotel Moskva (molto bello da vedere), la statua di uno Zar (bello poter leggere la scritta cirillica!) e un ex consolato russo. Passiamo il teatro e a mezzogiorno arriviamo a San Sava. La chiesa è meravigliosa ed è da vedere assolutamente! È molto grande e bellissima da vedere da fuori. All’interno ci sono i lavori in corso e si vede solo un cantiere e tanto cemento – dobbiamo tornare a Belgrado fra qualche anno. Il highlight della chiesa è la cripta. È una cripta grande, illuminata, e c’è oro e marmo ovunque. Una cripta moderna e molto, molto bella.

Sul ritorno passiamo dal museo Nikola Tesla, purtroppo non abbiamo tempo per visitarlo. Ci fermiamo a mangiare un impasto in una panetteria. Il mio borek è poco buono ma la posizione del nostro tavolo è strategica: Lungo il marciapiede della strada principale passano molti pedoni e il mio ragazzo è entusiasto della bellezza delle ragazze serbe. Sono belle davvero e quasi tutte snelle e in forma – come fanno con tutta questa carne che mangiano?

Prossima tappa è la chiesa del santo Marco (bella da fuori e da dentro) e l’ufficio postale. L’impiegato deve cercare per noi i francobolli da 77 RSD perché abbiamo una cartolina per l’Australia. Le altre cartoline costano 74 RSD e mi chiedo se non era più facile fare un prezzo unico, tanto che 3 RSD non valgono quasi niente. Da notare è anche il negozio di filatelia. In vetrina i francobolli più nuovi: “Monasteri della Serbia” si chiama la serie, e mostra i monasteri protetti dall’Unesco in Kosovo. Una piccola provocazione delle poste serbe.

Più grande la provocazione davanti all’edificio accanto. Qui c’è il Palazzo dell’Assemblea nazionale. Davanti ci sono cartelli che spiegano la versione serba della storia – che a Srebrenica sarebbero stati i musulmani ad uccidere i serbi, e che l’UCK (il movimento per l’indipendenza del Kosovo) sarebbe un gruppo di criminali. Anche per questo dicevo all’inizio del diario che è una buona idea farsi un’idea della storia in anticipo e partire ben informati.

Dopo una pausa di mezz’ora al nostro albergo, che includeva una doccia veloce (turismo a 40°C è faticoso e non so quante bottiglie di acqua abbiamo comprato oggi), ripartiamo per vedere la zona pedonale e la fortezza. Anche qui camminiamo a zig-zag per trovare dei geocache. Passeggiamo un po’ per il parco della fortezza e visitiamo i panzer esposti davanti al museo militare. Poi ci riposiamo in un bar nella fortezza con vista Danubio. Qui beviamo un “Somersby Apple Cider”, decisamente la bevanda del nostro viaggio. Più caldo che c’è più buono diventa il sidro.

Tornando per l’albergo vogliamo visitare una chiesa. Cosí troviamo, senza volerlo, la taverna “?” – si chiama così, punto interrogativo, non ha un nome. Avevo sentito della taverna leggendo un articolo della New York Times e anche in un documentario della TV austriaca ne parlavano. Chiacchieriamo con la cameriera e decidiamo di tornare più tardi.

Il padrone del nostro albergo ci aveva consigliato di mangiare in “Beton Hala”, la nuova zona cool di Belgrado lungo il fiume Sava. Purtroppo ho insistito di andare al “?”. La cena è sicuramente tipica ma non ci piace molto e il purè di patate sa di acqua. Il cameriere non è molto interessato in noi e la cameriera del pomeriggio non c’era più. Lasciamo il ristorante sazi ma delusi.

Prossima tappa Beton Hala (“capannone di cemento”) per un cocktail. Non è lontano dal “?”, basterebbe andare giù le scale come capiamo al ritorno. Invece giriamo sinistra, attraversiamo i binari (apparentemente l’unica possibilitá di arrivare al lungofiume) e andiamo a sinistra anziché a destra. Così vediamo la nuovissima Waterfront di Belgrado. Per ora c’è poca vita ma il progetto è stato lanciato solo nel 2015, aspettiamo qualche anno… Nonostante la nostra stanchezza torniamo indietro a vedere finalmente questo Beton Hala – e all’improvviso c’è gente, c’è musica, c’è vita. Difficile scegliere il locale, la scelta è grande! Andiamo al “Amber”, un cocktail bar, e beviamo il “Belgrade Smash”, tipo Mojito e molto molto buono.

Potremmo prendere un taxi per tornare all’albergo, però la nostra avarizia vince e camminiamo altri due chilometri prima di andare a letto, stanchi anche oggi.

Riassumo: Belgrado ci ha entusiasmati. È una città meravigliosa, c’è molto da vedere, ci sono ristoranti, c’è gente, c’è vita – secondo me la nuova destinazione top in Europa, il nuovo Barcellona. Da vedere assolutamente e forse prima che arrivino le masse. La città più bella del nostro viaggio.

3 agosto: Belgrado – Srebrenica – Sarajevo

La progettazione della giornata è stretta anche oggi: Il piano iniziale era Belgrado – Bajina Basta (3 ore), Bajina Basta – Srebrenica (1 ora), Srebrenica – Grotte di Bijambare (2:30h) e Grotte – Sarajevo (1 ora), quindi 8:30 di viaggio più il tempo per visitare le attrazioni. La giornata Skopje – Belgrado ci ha insegnato che un orario troppo stretto è tutt’altro che divertente. Durante la colazione decidiamo di andare a Valjevo e decidere lì se andare est per Srebrenica o sud per Bajina Basta.

Siamo solo a un chilometro dell’albergo quando mi chiama la signora dell’albergo: Per errore ha messo in fattura solo una notte. Il problema si fa risolvere velocemente con una semplice mail e il numero della carta di credito. La strada per Valjevo è prima una grande strada e poi diventa più piccola ma rimane comunque buona. Alle 11 siamo lì. Per Bajina Basta ci vorrebbero altre due ore quindi tralasciamo la “Drina River House”. Avevo visto questa casa, costruita su una roccia in mezzo al fiume Drina, su Instagram. È molto pittoresca e perfetto come motivo da fotografare, ma il detour è troppo lungo solo per una foto. Se uno ha più tempo vale sicuramente la pena andarci!

Cosa fare con il tempo guadagnato? Vicino a Valjevo c’è una geocache in una valle, e la descrizione dice di parcheggiare a un monastero. Il monastero sembra bello quindi ci andiamo. Si chiama “Celije” ed è segnalato perfettamente a ogni incrocio. Ci sono i lavori in corso che sono purtroppo un ostacolo per una bella foto. L’architettura è bella, tipico stile serbo, il monastero Gracanica (vicino a Prishtina) è quasi uguale. La porta del monastero stesso è chiusa e non ci fidiamo di essere curiosi. Dal monastero si vede un ponte dove passano i treni, direzione Belgrado (nord) e Bar / Montenegro (sud). Passa anche un treno piccolino. Dopo le vacanze carico la foto su Instagram, credendo che sia un treno piuttosto pittoresco e lento. Un amico sloveno spiega che in realtà sono trenini che effettuano manutenzione e girano un po’ ovunque nell’Ex-Yugoslavia.

Seguiamo un sentiero giù per la valle dove troviamo un piccolo punto ristoro. Una località pittoresca lungo il fiume e bisogna attraversare l’acqua su un tronco. Eravamo partiti senza acqua, una cosa molto stupida da fare quando ci sono 40 gradi. Qui non parlano l’inglese quindi ordiniamo solo una bottiglia di acqua. Purtroppo non so dire “Di questo cocomero che avete qui nel torrente si può ordinare due, tre fettine?” e neanche “Vedo che allevate delle trote, le preparate anche per pranzo per caso?”. Saprei dire solo “ribu” (“pesce”) e mi pare uno scarso punto di partenza , quindi lasciamo stare.

Per la geocache dovremmo camminare due altri chilometri lungo il fiume (e altri due ritornare), purtroppo non abbiamo tempo per farlo ma siamo felici che la descrizione ci ha portati a questo posto. Quando siamo convinti al 100% che qui siamo fuori dalla civilizzazione, arriva una macchina ed escono due reporter con telecamera e logo della TV Beograd. Okay, adesso il posto non è più un segreto.

Felici e innamorati della Serbia Ovest torniamo a Valjevo e prendiamo la strada verso Ljubovija / Bratunac / Srebrenica. La strada si arrampica e il panorama è meraviglioso. Il mio ragazzo si rifiuta di fare tutti i foto-stop che io richiedo e così ho solo una piccola collezione di foto di questa zona. Ogni tanto ci sono piccoli cimiteri lungo la strada, delle volte solo una tomba singola, delle volte 10 tombe. Oggi trovo pittoresco proprio tutto! Un po’ meno pittoresca la macchina molto lenta davanti a noi, proseguiamo piano piano senza possibilità di sorpasso.

A Ljubovija, la città al confine, proviamo a sbarazzarci dei nostri dinari rimasti, che hanno un valore di circa 10 euro. Non è facile perché qui, in mezzo al niente, la vita costa niente. Mangiamo due gelati e beviamo una “Cockta” (la cola serba) e due Somersby Apple Cider, e ancora rimangono dei soldi. Pagare il conto non è facile perché so i numeri solo fino a 99, il conto viene a 300 e qualcosa, e il cameriere non parla l’inglese. Dopo tre tentativi di capire la cifra gli diamo circa 500 RSD e speriamo nel cambio giusto.

Il confine con la Bosnia è molto facile, tempo di attesa zero. Davanti a noi solo due backpacker a piedi, chissà da dove vengono. Riceviamo il timbro della Bosnia e dopo pochi minuti siamo già al memoriale per le vittime di Srebrenica che si trova a Potocari. (Purtroppo non abbiamo tempo di visitare la città di Srebrenica).

Inutile ogni commento per il monumento, è triste, è incredibile, è grande, e dovrebbe essere una tappa fissa di ogni viaggio in Bosnia. La valle è verde e tranquilla e faccio fatica a credere che cose così possano essere successe qui. Cose come uomini che spariscono, gente che cammina in fila indiana attraverso i campi minati, serbi che aspettano con fucili in punti dove finisce il bosco che dava copertura. Anche per questo posto, che è privo di spiegazioni, è essenziale informarsi in anticipo sulla storia del posto.

Ancora non abbiamo soldi bosniaci quindi non visitiamo il negozio di souvenir. Intravediamo una signora con velo dietro le finestre e sicuramente sarà la padrona. Ho letto un’intervista a lei in un qualche giornale, anche lei ha perso il marito nel genocidio.

A Bratunac facciamo benzina, e dato che accettano solo contanti, faccio anche un prelievo nella banca a pochi passi dal distributore. Ora possiamo andare dritti a Sarajevo, è troppo tardi per visitare le grotte di Bijambare che sarebbero un piccolissimo detour. Ci sono due strade che vanno a Sarajevo, una più nord dell’altra, le grotte sarebbero lungo la strada più nord. Noi seguiamo la segnaletica ufficiale che indica la strada più sud. Ci fermiamo a Milici per vedere meglio le grandissime macchine edili esposti lungo la strada. A partire da Vlasesnice la strada inizia ad arrampicarsi e il paesaggio è bellissimo, pittoresco. A un certo punto ci sono molte macchine parcheggiate in una curva. Fermiamo anche noi pensando che c’è forse una chiesa o qualcos’altro da vedere. Quasi corretto: C’è un venditore di birra fresca.

Passiamo mucche, vediamo mucche in mezzo alla strada, vediamo valli, vediamo cinquanta sfumature di verde. Poi la strada inizia ad andare giù. Passiamo una galleria – e all’improvviso siamo nel pieno centro di Sarajevo davanti al municipio! Questa strada per Sarajevo è sicuramente più spettacolare dell’approccio da nord, con il classico autostrada – zona industriale – zona residenziale – centro!

Raggiungere l’albergo in teoria è facile, ma il GPS vuole farci andare per una zona pedonale. La seconda strada sarebbe quella corretta. Noi invece prendiamo la terza strada e ci troviamo in un labirinto di stradine che sono quasi impossibili da girare, sono strettissime. Per fortuna il mio ragazzo sa guidare bene, io sicuramente avrei aggiunto qualche graffio alla carrozzeria della macchina!

Il nostro albergo a Sarajevo, il hotel Aziza, si rivela l’albergo più bello del nostro viaggio. Il motto del albergo è “arrivare come ospiti, lasciare come amici”, e non è solo qualcosa scritto su carta. Gli impiegati prendono sul serio questa frase, sono super-gentili, si interessano veramente com’è andata la giornata, e ti costringono a provare il caffè bosniaco. E fanno bene a costringerti perché è veramente buonissimo!

Il nostro receptionist di fiducia, Ismar, ci spiega i punti da vedere, ci fa vedere due camere e ci fa scegliere, ci spiega la storia dell’albergo, insomma, fa vedere che ama il suo lavoro. Non consiglia un ristorante (che poi spesso non si sa se lo consiglia perché è buono o per la provisione), ma ci costringe di andare a mangiare Cevapcici da “Petica”. “Believe me, it’s the best cevapcici restaurant. You [il mio ragazzo] take 10 and you [io] take 5 cevapcici”. E dopo il ristorante? “Poi andate dalla Sarajevsko birreria a prendere una birra, c’è anche musica dal vivo. E ho già un’idea dove potete mangiare domani.” Inoltre ci dà dei consigli utili, per esempio che a Sarajevo l’acqua dal rubinetto è pulitissima. Nessuno a Sarajevo compra la sua acqua a un chiosco. “Lo fanno solo i turisti”. E in effetti ha ragione, ci sono molti chioschi che non vendono nemmeno l’acqua ma solo bibite. Ci sono fontane ovunque e l’acqua è buonissima e fresca.

Ci fidiamo di lui al 100% e la serata diventa perfetta. 10 e lode per la qualità del cibo a Sarajevo.

Petica sembra un ristorante fast-food, le cameriere corrono su e giù e non hanno tempo per te. I prezzi sono pure da fast-food, in due non abbiamo pagato neanche 7 euro. La differenza è la qualità, che è ottima. È venerdì e il locale era pieno. Due giorni dopo, domenica, c’era meno gente – sarà che il venerdì è festa per i musulmani. Stiamo un po’ in mezzo al ristorante, in piedi, aspettando che una cameriera ci aiuti, ma niente. Dopo alcuni minuti una ragazza e il suo padre ci invitano a sederci alla loro tavola. Ci aiutano con l’ordine. Ci sono alcuni piatti sul menù, tipo fegato di vitello, ma qui si viene per Cevapcici e la domanda è solo “pet” (cinque) o “decet” (dieci). Per accompagnare si beve yogurt, e i nostri nuovi amici alla tavola con noi suggeriscono il Kajmak, una crema di formaggio fresco che si abbina perfettamente ai cevapcici. Da bere cola o acqua dal rubinetto, in questo locale non servono alcolici.

Dopo poco tempo arriva il “Cevap”, cioè il panino con dentro dieci o cinque cevapcici. Ed è buonissimo. Buono, salato giusto giusto, non secco, il pane fresco. Ci innamoriamo subito di Sarajevo. I nostri amici al tavolo con noi ci danno un po’ di consigli cosa vedere il giorno dopo, la ragazza ci tiene molto che andiamo a vedere il municipio. E ci chiedono perché siamo venuti a Sarajevo. Gli abitanti di Sarajevo non possono crederci che la città possa essere interessante per turisti, anche due giorni dopo una signora ci avrebbe chiesto “ma perché Sarajevo? Non c’è niente….”. Invece a me la città ha stupito… è una città meravigliosa… ma andiamo in ordine prima di fare il riassunto!

Come consigliato da Ismar proseguiamo poi alla birreria Sarajevsko. La strada è buia ma appena entrati nel locale siamo in un altro mondo. Che bel posto, che ambiente! È una sala a due piani, molto legno, musica dal vivo, un bel ambiente. La birra è buonissima e Sarajevo ci piace di più con ogni sorso.

Alle 11, quando usciamo, la città è ancora piena di gente. Fanno gli orari strani, le poste per esempio sono aperte fino alle 10 la sera. Facciamo una passeggiata lungo la strada principale (“Ferhadija”) fino alla cattedrale. Lungo il percorso leggiamo sulla strada “Sarajevo – Meeting of cultures”, ed è verissimo. Donne con velo fanno shopping con le amiche in hot-pants, il bazar turco si mescola all’architettura dell’Austria-Ungheria, Moschee accanto a cattedrali. È affascinante. Di guerra neanche una traccia. Il mio ragazzo si era rifiutato per 5 anni di viaggiare a Sarajevo con la ragione che sarebbe un paese di guerra – e adesso è contentissimo anche lui. Un’ultimo sforzo per camminare su per la collina ed eccoci al nostro albergo dove andiamo a letto felici e contenti.

4 agosto – Sarajevo (centro)

La giornata inizia molto bene: Il proprietario dell’albergo è un panettiere e anche nel suo albergo la scelta di pasti salati e dolci è abbondante. C’è tutto, c’è la frutta, c’è la limonata fatta in casa, e c’è il caffè bosniaco. Non sono un’amante di caffè ma la ragazza insiste che devo provare il caffè bosniaco – e ha ragione, è buonissimo. In pratica si tratta di un caffè turco ma i bosniaci insistono a dire che è migliore e non posso che confermare.

Iniziamo la visita di Sarajevo con il punto di vista sopra il cimitero di guerra. Da qui si vede tutta la città. C’è anche un piccolo gruppo di turisti. La loro guida spiega gli edifici più importanti della città. Non è che ascolto tutto – sono impegnata a fotografare – ma quando spiega che la birreria ha la propria sorgente e quindi la gente poteva prendere acqua qui durante l’assedio, mi scappa un “ah!”. Subito lui mi rimprovera (“Io lavoro per loro”). Difficile chiudere le orecchie però!

Andiamo giù al fiume e visitiamo il municipio / National Library, ormai non è più una libreria. In un fuoco nel 1992 sono bruciati migliaia di libri e Sarajevo ha perso un pezzo importante della sua cultura qui. L’ingresso è abbastanza caro (5 KM a testa, cioè 2,50€) ma merita. Da fuori l’edificio è in stile austro-ungarico, da dentro ci sono elementi turchi. C’è una mostra di arte che ci interessa però poco. Molto più interessante la mostra sulla storia di Sarajevo nel piano terra. Viene spiegato molto bene l’inizio della prima guerra mondiale e tutta la storia di Ferdinando e Sofia, la quale morte forse non causò proprio la prima guerra mondiale, ma era la scintilla che mancava per far esplodere tutto.

Nella zona pedonale trovo le scarpe dei miei sogni, ma non ce li hanno nel mio numero. Shopping con poco successo quindi continuiamo con la visita turistica. Visitiamo la moschea (ingresso 3 euro per 2) che è bella da fuori e normale, come ogni altra moschea dei paesi balcanici, da dentro. Dobbiamo chiedere ad alcune persone dove trovare la tradizionale casa turca. Anche qui l’ingresso è 3 euro per 2 persone. La casa è bella da vedere. Poi torniamo sulla Ferhadija e andiamo sempre dritti fino al monumento dei bambini morti in guerra. Non è necessario andare più avanti perché abbiamo già prenotato un tour per il pomeriggio che ci farà vedere la zona attorno al famoso hotel ex Holiday Inn.

Da vedere è ovviamente anche il ponte latino, la nostra prossima tappa. Proprio qui morirono Ferdinando e Sofia. Per pranzo compro un cestino di lamponi. Mi pare di capire due marchi, ma quando gli do cinque marchi mi fa segno che è quello il prezzo. Non sono sicura ma credo che non sia stato onesto con me, alla prossima bancarella un cestino di lamponi costa due marchi…

Mentre mangiamo, si avvicina un ragazzo che offre i suoi servizi come guida. Ha studiato storia all’università e si vede che si intende molto bene. Ci suggerisce di visitare il museo con lui, e poi ci farebbe provare un caffè buonissimo, e ci presenterebbe la sua famiglia. Il prezzo non l’ho ben capito, 15 o 50 EUR? Nonostante avessimo già altri piani facciamo fatica a sbarazzarci di lui. Fa il suo mestiere solo da poche settimane ed è ancora tutto entusiasta, ancora deve imparare a capire quando la gente non è interessata. Comunque se qualcuno dei lettori cerca una guida personale che si intende molto bene di storia, cercate online per “Bosnian Experience”, lui si chiama Nermin.

Ci fermiamo al “Baklava shop” (consigliato dal nostro receptionist) per prendere baklava da asporto, e poi aspettiamo al teatro nazionale per il nostro tour alle 3 nel pomeriggio. Questo “Free walking tour” è altamente consigliato su Tripadvisor e siamo rimasti soddisfatti anche noi. Arriva sempre più gente, alla fine siamo in trenta o quaranta! Noi con i nostri 28 e 37 anni siamo forse i più vecchi! Il tipico turista di Sarajevo dorme in un ostello e ha 20 anni al massimo. I turisti come noi, che vogliono stare in alberghi di qualità e hanno anche i soldi da lasciare in un posto, ancora mancano a Sarajevo. Infatti ha detto la guida alla fine: “Raccontate a tutti che la guerra è finita e che Sarajevo sta aspettando i visitatori!”.

Il giro del pomeriggio è specifico per la guerra degli anni novanta. Andiamo a vedere case bucate dalle schegge delle granate e una casa demolita non ristrutturata. La guida, nata a Sarajevo, rammarica questo fatto: I cittadini vogliono che la città sia bella e che non si veda niente della guerra. I soldi per riparare la casa ci sono, ma i proprietari abitano lontani e non fanno niente. E affinché pagano le tasse il comune non può fare niente. Meglio per noi turisti, così abbiamo un’idea di come fosse stato dopo la guerra. Senza il tour guidato non avremmo mai visto questo posto.

La guida è bravissima. Era una bambina quando c’era la guerra e ci racconta dei giochi che facevano da bambini – chi trova la scheggia di granata più grande? Storie tristi ma allo stesso tempo fanno ridere. Oppure ci ha raccontato che la vita a Sarajevo continuava quasi normalmente, chi poteva andava al lavoro ed i bambini andavano a scuola. Non sa dire il perché ma i serbi prima delle 10:00 non hanno mai sparato quindi loro andavano a scuola dalle 7:00 alle 9:00 perché era una fascia oraria “protetta”.

Il tour passa il famoso albergo Holiday Inn, da dove lavoravano i giornalisti durante la guerra. Intanto hanno perso la loro licenza e si chiamano ormai solo “Hotel Holiday”. L’albergo è lungo la Sniper Alley, una grande strada perfettamente in vista dalle montagne che circondano Sarajevo.

Al parlamento la ragazza spiega la storia della bandiera della Bosnia. Il significato è fondamentalmente quello di non avere un significato. Tralascia ogni simbolo che potrebbe causare discussioni. Non c’è il verde (colore dell’islam) o il rosso (comunismo). La bandiera è talmente insignificante che non c’è nemmeno un numero fisso di stelle. Possono essere 7, 8 o 9 stelle.

Al ponte di Romeo e Giulietta quasi tutti i partecipanti del tour hanno le lacrime agli occhi quando la guida racconta la storia di questa coppia morta in fuga dalla città. Il giro termina a un monumento per il cibo di guerra, il “canned beef monument”. Sotto c’è scritto che i “grateful citizens of Sarajevo” ringraziano per l’aiuto durante l’assedio. La guida ci spiega che è un monumento molto ironico, la carne puzzava e non si sa da quanto tempo fosse scaduta. I cittadini si aspettavano più aiuto dell’Unione Europea e la guida spiega fondamentalmente che l’Europa era lì a non fare niente. Anche qui è buono sapere com’era la storia dal punto di vista dell’Europa – la paura di una terza guerra mondiale, il pensiero di stare fuori dai casini, i continui tentativi di fare contratti di pace, non accettati alle volte da parte dai bosniaci, delle volte dai serbi, delle volte dai serbi bosniaci…

È importante avere una guida brava, siamo soddisfatti e diamo una mancia di 10 KM (5 euro) a testa. Il giorno successivo, al museo del tunnel, avremmo visto una guida che spiega il “canned beef monument” così: “L’unione europea ha dato del cibo e i cittadini di Sarajevo hanno costruito questo monumento per ringraziare”. Sbagliato, ho controllato, è corretta la interpretazione ironica del monumento.

Torniamo all’albergo in tram, i nostri piedi sono stanchi. Una curiosità sul tram di Sarajevo: Era il settimo tram elettrico dell’impero Austro-Ungarico, costruito per fare un test per la costruzione del tram a Vienna.

In albergo c’è il nostro receptionist di fiducia e anche oggi ci suggerisce un posto perfetto. Si chiama ristorante Park Prinčeva. Si trova a circa 2km dal albergo e c’è una bella salita, quindi il receptionist ci suggerisce giustamente di prendere un taxi. Chiama più o meno 10 numeri diversi ma da nessuna parte c’è un taxi disponibile, alla fine ci porta un amico del nostro nuovo amico.

La vista dal ristorante è mozzafiato. Sarajevo di notte è bellissima. Mangiamo trota (lui) e un tipo di Gulasch (io). Al mio ordine di un vino locale portano un vino montenegrino, unico peccato della giornata. Il cibo è buono e pure il baklava che mangiamo come dolce (dopo 30 minuti di attesa, il cameriere ci aveva dimenticato). Poi torniamo in albergo a piedi, in discesa è decisamente più facile. Siamo un po’ stanchi quindi saltiamo sia il rooftop bar sia la birreria per oggi.

5 agosto: Sarajevo (dintorni)

Oggi visitiamo i punti un po’ fuori dal centro. Ci sono molte possibilità, per esempio la sorgente del fiume, grotte, la cascata più alta della Bosnia, il museo della galleria che nutriva Sarajevo durante l’assedio, e i posti delle Olimpiadi del 1984.

Il nostro piano iniziale è “Pista per bob – rampe per salto con gli sci – museo della galleria”, che poi diventerà “Pista per bob – cima del Trebevic – museo” spontaneamente. Se dovessimo ripetere le vacanze sceglierei la cascata anziché la cima del Trebevic in quanto era molto faticoso arrivarci! Ma andiamo in ordine!

La prima tappa era dunque la pista di bob che ricorda le Olimpiadi 1984. Mi pare che ai cittadini di Sarajevo non piaccia molto questa pista, è messa male e piena di graffiti. Il nostro amico alla reception ci ha detto “non vi preoccupate, fra poco verrà ristrutturato”, ma per noi sono proprio questi graffiti e questo ambiente “perduto” che danno il fascino alla pista. Ci andiamo con la nostra macchina a noleggio, e appena usciti da Sarajevo, un grande cartello ci fa sapere che ormai siamo nella “Repubblica Srpska”, che copre il 49% del territorio della Bosnia-Erzegovina. Non posso che ripetermi, studiate la storia del paese prima di andarci.

La pista è bella da vedere, si può camminare sulla pista e ammiriamo i graffiti colorati. Poi la pista è chiusa perché c’è un allenamento in corso – il posto non è per niente perduto quanto credevamo. Più tardi arriva anche un intero autobus con turisti!

Vediamo sulla mappa che c’è un geocache a pochi chilometri e siccome sono solo le 10 decidiamo di andarci. Non ho le linee di altitudine sulla mappa e così ancora non sappiamo che salita ci aspetta. Si va sulla cima del Trebevic a 1629 metri!

Secondo la descrizione del tesoro si può salire fino alle torri di comunicazione in macchina. A un certo punto la strada non è più asfaltata e non ci fidiamo di andare avanti con la macchina a noleggio. (andando piano è possibile come vediamo dopo, c’è anche gente che va su con macchine piccoline). Parcheggiamo e guardiamo la mappa: Manca un chilometro in linea di area, su una strada curvosa. “Beh, al massimo saranno 2 o 3km, fra un’ora e mezzo siamo di nuovo alla macchina”, dico io. Saremmo tornati alla macchina ben 4 ore dopo – quindi era MOLTO più facile camminare i 5km pianeggianti per le cascate più alte della Bosnia.

Ovviamente non eravamo preparati neanche un po’ per trekking: pantaloni belli, scarpe belle (rovinate dopo la camminata), acqua 1 litro per due. Ma ancora siamo convinti che questo tesoro non sarà un problema, ed iniziamo felicemente a camminare. Insieme a noi vanno su due signore in bici. La strada è molto curvosa e dopo un’ora siamo appena a metà. Capiamo che un litro di acqua potrebbe essere poco ed iniziamo a bere solo in caso di emergenza. Per fortuna ancora c’è ombra (al ritorno non ce n’è più) e la vista diventa sempre più bella. Nelle curve ci sono piccole piattaforme murate e immaginiamo che i serbi bosniaci lanciavano granate da qui. Dopo, al museo della galleria, studiamo la mappa del assedio con cura e infatti, ci sono i simboli di panzer lungo la strada che abbiamo fatto oggi.

Un altro vantaggio di questa camminata è che capiamo che si vede Sarajevo veramente da ogni punto. Ci mette dei brividi vedere quanto è facile lanciare granate sulla città che non ha nessuna protezione.

E poi, dopo due ore, finalmente eccoci in cima! La vista è mozzafiato e siamo super-felici di essere arrivati fin qui! Troviamo anche il tesoro che ci aveva inspirato di salire fino a qui. La descrizione del tesoro suggerisce di andare 200m più avanti per avere una vista panoramica, e seguiamo questo consiglio. La vista da lì è ancora meglio e mi godo il panorama per precisamente 10 secondi. Ancora prima di aver fatto una foto, mi morde un insetto (secondo il mio ragazzo un bombo, secondo me una vespa). E adesso?

Beh, anche questa cosa ha sorprendentemente un vantaggio! Ci avviciamo a delle signore che fanno pic-nic. Parlano l’inglese ma non hanno niente di freddo per il morso, “posso offrire un grappa però”. Le signore sono molto gentili e non solo mi danno dei fazzoletti alcolici per il mio morso, ma condividono anche il loro pic-nic con noi. Praticamente ci costringono di mangiare tutto quello che ci danno. Sono appassionate dell’Italia, una parla anche un po’ di italiano. E anche loro chiedono “ma perché venite a Sarajevo? Non c’è niente!”.

Insomma, torniamo giù alla macchina con tre amiche in più. Lungo la strada chiacchieriamo anche con altri ragazzi che stanno preparando tutto per un concorso di bici giù dal Trebevic.

Ormai sono le due e decidiamo di saltare le rampe per salto con gli sci, tanto che avremmo fatto solo una foto e nient’altro. Prossima tappa il museo del tunnel subito dietro l’aeroporto.

L’ingresso è carissimo per gli standard bosniaci (5 euro a testa) e devo dire che io personalmente sono rimasta un po’ delusa. La galleria è la ragione perché Sarajevo ha sopravvissuto l’assedio, mi sono venuti i brividi leggendo l’articolo Wikipedia a casa. Era molto pericoloso attraversare il tunnel con i cavi di corrente e il tubo di petrolio, poi entrava sempre l’acqua nella galleria. Il museo invece non mi tocca per niente. Si può percorrere 20 metri del tunnel e c’è una piccola mostra. C’è anche un’audioguida da usare con il proprio smartphone, ma senza cuffie non fa senso. La cosa più interessante è infatti la mappa delle posizioni. Grazie alla camminata di prima mi intendo ormai almeno sul Trebevic ed è interessante studiare le linee di difesa. L’altra cosa interessante è la partenza di un volo Adria Airways sull’aeroporto accanto. La guida di un altro gruppo spiega poco motivato “e questo è una lattina di carne dato ai cittadini dagli Stati Uniti, gli Stati Uniti ci hanno aiutati, e i cittadini erano talmente riconoscenti che hanno costruito una statua per questa lattina.”. Spiegazione sbagliatissima, già semplicemente perché sul retro della lattina si vede chiaramente la bandiera dell’Unione Europea. E Wikipedia conferma la versione della nostra guida di ieri: La statua di “riconoscimento” è ironica. Riassunto del museo: Sicuramente non si può tralasciarlo in una visita di Sarajevo, ma non aspettatevi troppo.

Ci fermiamo a un motel nelle vicinanze per un tesoro e per una radler poco buona, poi torniamo in albergo. E abbiamo un’altra missione per oggi, trovare un tesoro vicino al memoriale dei bambini morti in guerra. Purtroppo non troviamo il tesoro quindi 4km di camminata per niente…

Tornando verso il centro, ci viene in mente che potrebbe essere una bella idea guardare il tramonto dal castello. E non parlo della “fortezza gialla”, cioè il punto di vista sopra il cimitero vicino al nostro albergo. Parlo della “fortezza bianca”, ben più in alto. Sulla strada una ragazza ci dà una nuova bevanda da provare, perfetto perché ci servono energie per la salita. La strada è più lunga di quanto pensavamo ma arriviamo ben 20 minuti prima del tramonto, perfetto! Adesso abbiamo tempo libero e ci sediamo, ci godiamo la vista, e ci rilassiamo. Il tramonto è bellissimo.

In albergo oggi c’è un’altra addetta alla reception ma questo non fa niente perché sappiamo già dove vogliamo cenare: Di nuovo da Petica, Cevapcici. Anche stasera incontriamo la gente del posto qui. Stavolta è una coppia bosniaca che lavora a Milano. Lei viene da Mostar e rimane delusa quando scopre che ci andiamo domani solo per poche ore – secondo lei la sua città merita una visita più lunga e sicuramente ha ragione.

Le camminate della giornata si fanno sentire e non ce la sentiamo di camminare fino al rooftop bar del Marriot. Nel bazar beviamo una limonata invece. Qui a Sarajevo è molto popolare la limonata fai-da-te – tantissimo succo di limone e acqua dal rubinetto, mica mettono lo zucchero. Quando la bevanda ti fa male perché troppo aspra è giusta. Infatti devo chiedere al cameriere di aggiungere un altro po’ di acqua.

6 agosto: Sarajevo – Konjic – Mostar – Blagaj – Kravica – Neum

Per oggi abbiamo molti piani quindi partiamo subito dopo la colazione. La mia progettazione prevede un tardissimo arrivo a Neum, alle 9 la sera. Mentre facciamo colazione suggerisco di tralasciare la tappa a Konjic. All’inizio il mio ragazzo dice di sì, ma poi guarda un po’ in internet cosa c’è da vedere e decide che non lo possiamo tralasciare assolutamente. E meno male che ha deciso così, Konjic è il highlight della giornata e forse uno dei punti più memorabili di tutto il viaggio.

Stanno costruendo un’autostrada verso Konjic che è già percorribile per circa 20 chilometri e costa un modesto pedaggio. Poi diventa una strada statale che è comunque ben percorribile. Dopo esattamente 01:15, come previsto da Google Maps, siamo in centro del paese. Facciamo una foto veloce del famoso ponte, architettura simile al ponte di Mostar. Ma il nostro obiettivo a Konjic è un’altro: Visitiamo il bunker di Tito!

Leggere di questo bunker era un grandissimo caso. Non è pubblicizzato da nessuna parte. Grazie ai Lufthansa EJournals avevo la possibilità di scaricare una rivista di viaggi del Regno Unito, e in quella rivista si parlava di mostre d’arte in Europa – fra di loro, una mostra nel bunker di Tito a Konjic. Su Google avevo studiato la posizione e trascritto le coordinate, ma l’accesso è chiuso – zona militare. Diventiamo nervosi, manca solo mezz’ora fino all’inizio del tour e bisognerebbe esserci mezz’ora prima. Come già detto, segnaletica zero, probabilmente apposta per evitare che venga troppa gente. Vediamo un singolo segno che indica “Projektat D” o qualcosa del genere, dopo capiremo che questo è il nome di copertura del bunker.

Proviamo di accedere alle coordinate dal lato est siccome dal lato ovest non si può. Problema: c’è un fiume in mezzo, e secondo la mappa nessun ponte. Però più lontano si vede un villaggio sull’altra sponda del fiume, ci deve essere un qualche ponte per forza. E infatti, due chilometri dopo Konjic, troviamo un ponte non segnalato sulla mappa! Adesso dobbiamo solo andare a sinistra per circa un chilometro e poi vediamo già altra gente in attesa. Il bunker si trova nella zona militare e dobbiamo aspettare che qualcuno apra la barra. Le guide, anche loro in attesa, sono nervose, non sarebbe mai successo prima che il cancello è chiuso. Intanto possiamo chiacchierare con altri (pochi) visitatori, e non eravamo gli unici ad avere problemi a trovare il posto. Un ragazzo turco, venuto in bici, si è fatto dipingere la mappa da un signore a Konjic, e tre altri sono venuti in taxi. Finalmente si risolve anche il problema “chi ha la chiave per la sbarra” e possiamo entrare nell’area militare.

L’ingresso per il bunker è abbastanza caro ma merita moltissimo. Qui siamo in Herzegovina e quindi accettano anche gli euro (in Bosnia è vietato accettare altre valute). Il prezzo del biglietto è 20KM o 11 euro, paghiamo un po’ misto KM/€ in quanto siamo sorpresi dal prezzo abbastanza alto non abbiamo portato abbastanza soldi. Carte di credito non sono accettate qui.

Intanto è anche arrivato un grande gruppo, ma loro fanno la visita in bosniaco/serbo. Il nostro gruppo inglese invece è bello piccolo, 10 persone circa. Il bunker è grandissimo, molto interessante, e ci sono più di 100 opere di arte esposte. Mi intendo poco di arte moderna ma alcune opere mi hanno colpite. Si può toccare tutto e sedersi alla scrivania di Tito. Il bunker non è mai stato usato, Tito è morto poco dopo la inaugurazione. Il segreto del bunker è stato rivelato solo nel 2000, forse anche per quello il posto è poco conosciuto. Comunque è una fortuna che c’è poca gente, con mille visitatori al giorno sicuramente non sarebbe permesso tutto quello che si può fare oggi. Sulla storia del bunker invece si sa poco – tutti i documenti sono a Belgrado e loro non hanno la minima voglia di condividere queste carte con la Bosnia.

Per tornare in paese diamo un lift ai tre che erano venuti in taxi. Abbiamo cinque minuti per conoscerci, sono molto simpatici. E giustamente ci dichiarano pazzi che facciamo tutta la rotta Sarajevo – Neum in un giorno. Una di loro dice “Avrei preferito avere più tempo per la visita al bunker, ma questo avrebbe distrutto i vostri piani.” Ha ragione…

Per andare a Mostar ci sono due strade, una più lunga ma più veloce, e una più corta ma più lenta. I nostri nuovi amici ci dicono di andare dritti e così, senza volere, prendiamo la strada giusta (1 ora più veloce). La strada passa un bellissimo lago (Jablanicko jezero) e si snoda poi lungo il fiume Neretva. ll fiume ha un blu intenso e anche qui si potrebbe passare un giorno senza annoiarsi.

Ci fermiamo brevemente a Jablanica per una foto del ponte distrutto nella seconda guerra mondiale. La storia non l’ho capita bene, c’erano i tedeschi e c’era Tito, uno ha distrutto il ponte ma vincitore era l’altro… boh? Ci sarebbe un museo accanto al ponte che spiega la storia, ma anche qui abbiamo il solito problema di mancanza di tempo.

Verso le due arriviamo a Mostar. Prima del viaggio pensavo che Mostar sarebbe stata una delle città più belle del nostro viaggio, e invece risultava una delusione. Positivo: abbiamo trovato un parcheggio gratuito. Negativo: Sono le due del pomeriggio, fa caldo, e Mostar si trova in una valle, quindi il caldo diventa caldissimo. Soffre anche il mio ragazzo a cui al solito piace il caldo. E quando soffre lui, significa che io (la tedesca) sto già mezzo morendo.

Poi la città è super-affollata, qui vengono in giornata i turisti da Spalato e Dubrovnik, e in Croazia ci va molta gente. Dopo la tranquillità a Sarajevo e Belgrado queste masse di turisti vengono un po’ come uno shock per noi. La città di Mostar si è data interamente al turismo. Per 2 euro entri in museo, per 5 euro sali anche sul minareto. Questo non l’ho visto in nessun altro paese islamico, nemmeno a Dubai dove vendono la loro anima per i turisti anche lì.

La mia progettazione prevede tre ore per Mostar, ma dopo un’ora scappiamo. Sicuramente la città diventa più bella verso la sera, quando arriva un po’ di freddo e i turisti tornano alla costa. Noi, purtroppo, non ce la siamo goduti neanche un po’.

Cosa fare con il tempo libero? Su alcune cartoline abbiamo visto foto belle di Blagaj, a circa 7km da Mostar. Blagaj ci è piaciuta molto. Il monastero stesso forse non vale l’ingresso, c’è poco da vedere dentro l’edificio. Ma da fuori, dal altro lato del fiume, è bellissimo. È una scena incantevole, l’acqua blu e chiarissima, la roccia altissima (più di 50 metri) e nel angolo il pittoresco monastero. Un altro vantaggio: L’acqua esce dalla grotta sotto il parete di roccia con una temperatura costante di 18°C. La temperatura più alta misurata sarebbero stati 19°C. Bellissimo in una giornata di oltre 40°C, mi sono bagnata i piedi e dopo un minuto avevo già freddo. Ci sono anche alcuni ristoranti e si può visitarela grotta con una piccola barca.

La prossima tappa sono le cascate di Kravice che raggiungiamo dopo circa un’ora di macchina. Lungo la strada c’è la pittoresca città di Pocitelji, e poco lontano c’è Medugorje, ma come al solito, il nostro problema è il tempo, quindi purtroppo non ci possiamo fermare.

Le cascate di Kravice le avevo viste su Instagram, sono sette o otto cascate che cadono tutte nello stesso bacino. Pensavo di aver trovato un posto incantevole e segreto. Quando vediamo due parcheggi enormi è chiaro: Sicuramente le cascate non sono un segreto. C’era tantissima gente, impossibile fare una foto bella. E poi, d’estate, c’è ovviamente molto meno acqua quindi le cascate sono belle sì, ma sicuramente non spettacolari quanto immaginavo. Mai, mai, mai credere in quello che si vede su Instagram.

Prendiamo una radler molto buona come aperitivo, e adesso la prossima tappa è già l’albergo a Neum. Durante l’organizzazione avevamo pensato di pernottare a Medugorje, che per oggi sarebbe stato molto più comodo. Dall’altro canto bisogna arrivare presto la mattina alle Croazia-Bosnia, Bosnia-Croazia e Croazia-Montenegro – per mezzogiorno / pomeriggio si parlava fino a quattro ore di coda, confermato dal proprietario dell’albergo a Neum.

OpenStreetMaps suggerisce la strada via la Croazia (Opuzen) (attraversando il confine a Gabela) e ci dà l’arrivo a Neum fra un’ora, mentre Google Maps aveva suggerito la strada nell’entroterra senza lasciare la Bosnia, suggerendo un arrivo tra 1,5 ore. La decisione è un gioco di fortuna, dipende tutto dal tempo di attesa al confine. Come sempre quando ci sono decisioni difficili da fare devo decidere io. Decido di provare la rotta lungo la costa, passando per la Croazia. E almeno per stasera la decisione era buona. Zero tempo di attesa entrando in Croazia (un posto di confine molto molto piccolo) e circa 15 minuti di attesa per entrare in Bosnia.

Il nostro albergo, la Villa Obad Guest House, è in fondo di Via Mimoza, non è facile arrivarci perché tutti parcheggiano un po’ come vogliono e quando viene incontro una macchina è un disastro. Pian piano andiamo avanti e poi eccoci al albergo. Qui pensavamo di aver fatto l’affare della nostra vita: 38 euro per la camera doppia su booking, 9,6 stelle, anche su TripAdvisor buonissime recensioni. Il proprietario è molto gentile, ma la stanza è bruttissima: Arredamento anni 70, letto doppio con 4 centimetri di spazio fra i due materassi. Sembra che loro abbiano anche una suite a cui si riferiscono le buone recensioni, e poi questa altra camera. Stasera impariamo: Si riceve quello che si paga. C’è da dire che il proprietario è molto simpatico e ci porta del raki come benvenuto, ma sta di fatto che è chiaramente l’albergo più brutto del nostro viaggio.

L’albergo è anche un po’ fuori, ma dopo un giorno in macchina questo non fa niente. La passeggiata per il nostro ristorante, “La Bonaca”, è 1,7km lungo il mare. Il ristorante si rivela una buona scelta: Prendiamo un piatto di pesce misto, e il pesce lo possiamo scegliere noi. Nessun problema di arrivare così tardi a cena (le 10 la sera). E poi il prezzo era molto più basso (47,98€) di quanto abbiamo pagato a Dubrovnik (72,06€) e Kotor (67,00€) per un piatto simile.

Mentre aspettiamo il pesce (che si rivela buonissimo, e mi piace anche il contorno di spinaci misti a formaggio (?)), studio un po’ la storia di Neum su Wikipedia. La Croazia è a pochi chilometri e prendo la rete croata, quindi roaming gratuito grazie all’Unione Europea. Il mio ragazzo invece prende solo la rete bosniaca. Neum è l’unico accesso della Bosnia al mare e questa situazione risale al 1699. L’idea è che la Repubblica di Ragusa avesse gli osmani fra di sé e i veneziani per un’ulteriore protezione, quindi hanno volontariamente venduto una parte del loro territorio al regno osmano. E così è rimasto fino ad oggi. Ovviamente questo pezzo bosniaco in mezzo alla costa non piace a nessuno in Croazia, attraversare due confini rallenta moltissimo la strada Spalato – Dubrovnik. Non solo una volta hanno provato a comprare il territorio. L’ultima idea della Croazia era di costruire un ponte per l’isola croata davanti a Neum, così che la strada potesse evitare il confine. Questo non è piaciuto molto alla Bosnia che vive dalla gente che passa (per esempio la benzina costa molto meno qui). La loro risposta al ponte, secondo me molto furba: Sì, la Croazia potrebbe costruire il ponte, ma deve essere alta abbastanza per navi di crociera, semmai in futuro Neum vuole costruire un porto. Questa richiesta moltiplica i costi del ponte, quindi per ora la Croazia non segue questo progetto.

Un’altro vantaggio della rete croata: Vedo sulla mappa che c’è un tesoro nuovo che non ho salvato a casa. Per trovarlo dobbiamo scendere in spiaggia. Ormai è quasi mezzanotte e c’è pace, le centinaia di lettini sono quasi tutti vuoti. Qualcuno sta facendo il bagno sotto la luce della luna piena. È una bellissima atmosfera e una bella chiusura per la giornata.

7 agosto: Dubrovnik

La giornata inizia con un mistero: Le poste a Neum sono gestite dalle poste croate. Ho tre cartoline da imbucare e ho già attaccato francobolli bosniaci. Non ho una scelta e quindi le imbuco, sono anche arrivate, ma non so se era corretto mettere il francobollo bosniaco o no.

Facciamo una colazione veloce in un bar, facciamo benzina, e poi partiamo. Sono le 09:30 circa ed è fra settimana quando arriviamo al confine e ancora non c’è tantissimo casino, l’attesa sarà stata 25 minuti circa.

Appena passati il confine non abbiamo più fretta. Alla signora dell’albergo avevamo indicato mezzogiorno come orario del arrivo, quindi ci fermiamo lungo la strada a Trsteno. C’è un geocache da trovare al porto. Noi parcheggiamo lungo la strada principale e facciamo una passeggiata giù. Il problema è poi il ritorno, fa caldissimo anche oggi, e io a metà strada sono convinta che non ce l’avrei fatta di tornare al parcheggio. Invece, in qualche modo, ci arrivo, e continuiamo la strada. Un’altra piccola sosta al parcheggio davanti al grande ponte alle porte di Dubrovnik. Senza volerlo, arriviamo giusto giusto a mezzogiorno al nostro albergo, “Villa Mia” . Si trova un po’ fuori sulla penisola di Lapad perché gli alberghi in centro sono troppo cari (Hilton 400€ – tanto per avere un confronto: Sofia 100€). Due minuti dopo di noi arriva anche la padrona e ci spiega la città. Ci consiglia di andarci solo alle 6 e di passare il pomeriggio in spiaggia, “troppo caldo per sightseeing”. E ovviamente ci dice che un giorno a Dubrovnik è poco. Devo dire che un pomeriggio in centro era più che abbastanza per i miei gusti, con due, tre giorni di più si potrebbe visitare i musei o fare un giro in barca per le isole davanti a Dubrovnik.

Siccome siamo qua per poco tempo, partiamo subito per il centro. Si raggiunge comodamente in autobus. Attenzione che il biglietto comprato dal autista costa circa 50 centesimi di più, abbiamo dovuto imparare questa lezione al ritorno!

Appena arrivati in centro vediamo subito un gruppo che gira per i luoghi di “Game of Thrones”, la guida ha fatto qualche lavoretto nella produzione. Noi due non abbiamo mai guardato questa serie ma per gli affascinati di GoT Dubrovnik ha un charme in più. C’è anche un museo di GoT con coda lunghissima per farsi la foto su un trono.

Visitiamo il castello da fuori e compriamo un gelato poco buono con i frutti ancora surgelati in uno dei tanti vicoli del centro. Non ho segnato il prezzo ma mi parevano 5 euro a testa…

Facciamo un giro e ci perdiamo per le stradine. Lì si sta bene, c’è tanta ombra, invece alla cattedrale non mi diverto molto.

Facciamo poi un altro giro per la città e da un bar fuori le mura osserviamo i ragazzi che saltano nel mare dalle rocce. Stimo l’altezza con 10 metri, io non mi fiderei mai di fare questi salti!

Poi seguiamo una caccia al tesoro molto bella dove è necessario cercare dettagli in due strade di Dubrovnik. E poi sono già le 5 – ormai non fa più così caldo ed è l’orario perfetto per fare il giro attorno alle mura. Ci vuole circa un’ora per fare in giro, più il tempo per eventuali soste per fermarsi in una bevanda. Noi abbiamo tralasciato questo, costa tutto tantissimo, mi pare un’aqua abbia costato 2,50€ – in centro è gratuito dalle fontane, e una bottiglietta dovrebbe costare 1 euro al massimo.

Anche l’ingresso stesso costa una cifra, circa 18 euro a testa. Comunque consiglio di fare il giro lo stesso perché è la cosa più bella che Dubrovnik abbia da offrire. Meglio non parlare del rapporto qualità / prezzo però…

E ormai che il turista è abituato a pagare cifre enormi: La funivia andata/ritorno costa 20 euro a testa. Appena usciti dalle mura, ci sono due chioschi che vendono i biglietti. Una tattica furba: Così uno ha in mano i biglietti prima di vedere la lunghezza della coda. Noi pensavamo di fare i furbi e andare su per il tramonto. Peccato che circa 50 persone avevano la stessa idea prima di noi. Solo ogni 5-10 minuti parte una funivia, e in una cabina stanno 10, 15 persone. Un calcolo veloce basta per capire che il tramonto non lo vedremo dal castello. I tassisti lo sanno e aspettano accanto alla fila. Peccato che abbiamo già i biglietti per la funivia. Aspettiamo un po’ ma poi decidiamo di lasciare stare. Per fortuna riusciamo a vendere i nostri biglietti a qualcun’altro in fila.

Prendiamo l’autobus per tornare al nostro albergo in zona Lapad. Troppo tardi capisco che il biglietto costa 0,50€ di più comprandolo dal autista. E troppo tardi capisco che avremmo dovuto scendere alla posta (al ritorno fa un altro giro). Sto controllando la rotta sulla mappa, e dico “adesso l’autobus dovrebbe girare a sinistra alla rotonda, poi usciamo”. Ovviamente l’autobus gira a destra. Siamo confusi e paralizzati e non suoniamo nemmeno lo stop – così l’autobus fa due altre fermate prima di fermarsi per qualcun’altro. Certo che il mio ragazzo dà la colpa a me per questo errore. Ma questo errore ha una fortuna: La seconda fermata è su una collina e da lì vediamo benissimo la parziale eclissi lunare.

La stanza si rivela bella, ma probabilmente dopo la esperienza a Neum troviamo bello tutto. Diciamo bella si, particolare no, per una, due, tre notti perfetto.

Per cena seguiamo il consiglio della proprietaria dell’albergo e andiamo al Orsan Yacht Club. Non abbiamo la prenotazione e dobbiamo aspettare un po’, ma questo non ci dà fastidio perché se c’è tanta gente sarà pure perché è buono. È buono lo è. Ci danno un posto sulla terrazza sul tetto e abbiamo una bella vista del porto e vediamo una nave di crociera in partenza. Mangiamo pesce fresco molto buono. Il conto ci pare alto (siamo ancora abituati a prezzi bosniaci!), attorno ai 70 euro, ma a Kotor abbiamo pagato uguale quindi il prezzo è ragionevole.

Il mio riassunto per Dubrovnik: Personalmente per me era la tappa meno bella del nostro viaggio, ma sarà anche per le temperature molto alte in questo giorno. I prezzi alti ovunque non hanno aiutato a migliorare la mia opinione. La città per sé è bella e per fan di Games of Thrones d’obbligo. Tralasciare Dubrovnik è difficile perché è sicuramente da vedere e anche Unesco – ma meglio non aspettarsi troppo.

8 agosto: Dubrovnik – Perast – Kotor

Partiamo presto anche oggi, abbiamo sentito storie molto brutte sul confine Croazia – Montenegro. Il piano era di partire alle 7 perché gli autobus per tour in giornata partono alle 7:45. Siamo un po’ pigri anche oggi quindi alla fine si parte alle 08:15.

Nonostante a nostra fretta ci fermiamo a Mlini appena est di Dubrovnik. C’è una geocache particolare che ci porta in questo paesino. Ci incanta subito, tutto bellino e tranquillo, con frequenti traghetti per Dubrovnik – questo paesino potrebbe essere un’alternativa valida come punto di base per scoprire Dubrovnik e dintorni.

Al confine dobbiamo aspettare un po’, ma siamo felici dei nostri 35 minuti (09:40 – 10:15) perché abbiamo storie di 4 ore e più. Il poliziotto montenegrino ci chiede “libretto, assicurazione, carta verde” – ma appena vede il foglietto Hertz dice “rental car, ok” e non vuole più vedere niente.

La nostra prima sosta e Herceg Novi. Il parcheggio lungo la strada statale è a pagamento e ci vuole un po’ di tempo per capire come funziona la “parking karta” e dove comprarla. La proprietaria del chiosco ci aiuta e lo compila per noi. Un foglietto per un’ora costa 80 centesimi e bisogna fare le croci per le date e l’orario che è applicabile.

Herceg Novi non è niente di che, sì, hanno chiese e una piccola torre, ma è tutto molto tranquillo, non c’è vita, insomma non è amore a prima vista assolutamente. Al bancomat un po’ di confusione: Sarà gratuito il prelievo (siccome siamo in un paese che accetta euro) o no (perché Montenegro non fa parte dell’Unione Europea e all’inizio ha usato l’euro contro il volere della Banca Centrale Europea)? (vi consiglio di leggere su questa storia interessante su wikipedia). Alla fine è misto: gratuito per me, 5 euro di spese per il mio ragazzo.

Per pranzo ci fermiamo a Ducenici. All’ingresso del paese vediamo un maialino che gira e il mio ragazzo si appassiona subito dell’idea di mangiare una cosa del genere. Non si capisce bene se il maiale gira o a chi rivolgersi, così mangiamo un piatto di pasta con vista baia. Il cibo è mediocre, a me piace, il mio ragazzo più esigente lo trova scotto e con troppa panna. Però la vista baia era bella.

Un’altro giro per Ducenici in macchina, lungo un stretto senso unico, e poi continuiamo la nostra strada per Perast, suggeritoci da molti e anche da altri diari su TPC. E davvero la città è bellina, una piccola chiesa, il lungomare, una venditrice di cocomero a cubetti. Il vero highlight di Perast sono le due isole nella baia. Innummerevoli persone ci hanno chiesto “Boat to the island? Boat to the island? Taxi boat?”. Normalmente questo ci avrebbe dato fastidio e non saremmo andati alle isole. Però su una isola c’era una geocache nuova nuova nuova, quindi non avevamo scelta. Per 5 euro a testa compriamo un biglietto andata / ritorno per la barca che ci sembra più affidabile.

L’isola merita davvero, era sicuramente il punto più bello della giornata. Quando arriviamo c’è molta gente, ci sono due navi da Kotor che fanno il giro della baia in giornata. Vediamo un ragazzo che chiede alla sua ragazza di sposarlo. Visitiamo la chiesa e capiamo solo più tardi che si avrebbe dovuto comprare un biglietto. E poi le due navi partono e rimane solo una decina di persone sulla isola. Mi ripeto, ma: è un posto molto, molto bello.

A Perast c’è un wifi aperto alla chiesa e cosí capiamo che c’è una nuova geocache nelle vicinanze di Perast. In realtà l’abbiamo già passato e dobbiamo tornare indietro: Senza questa geocache non avremmo mai visto una grotta vulcanica. È un raro tipo di grotte, al solito grotte sono scavate dall’acqua.

La prossima tappa è già Kotor. Stiamo a “apartmani Bajkovic”, prenotati su booking. La strada più corta secondo la mappa è molto ripida e si rivela troppo stretto per macchine, è un’avventura uscire in retromarcia. Meno male che il mio ragazzo sa guidare meglio di me. Il padrone è molto gentile, ci offre una birra e ci spiega cosa vedere e fare. Ci suggerisce di aspettare la sera per andare a Kotor, non è un piacere andare su per la fortezza con più di 30 gradi. Seguiamo il suo suggerimento e andiamo in spiaggia – la prima nuotata delle vacanze! L’acqua non è chiarissima come in Croazia ma ci divertiamo lo stesso.

Il nostro albergo dista circa 15/20 minuti a piedi dal centro. La nostra idea è di vedere il tramonto dalla fortezza. Partiamo in città alle 19:45 e calcolavo di arrivare in cima dopo mezz’ora. Magari…

Quando arriviamo a una piccola chiesetta dopo 20 minuti circa pensiamo di essere a metà, meglio che non sapevamo che non eravamo a metà neanche un po’! Facciamo una piccola pausa qui e siamo felici già adesso che saliamo in serata e non a mezzogiorno. La instagrammer “Travelthelife” sta facendo un photoshooting lì, il posto non ci sembra tanto particolare ma su instagram invece sembra un posto bellissimo (con oltre 3000 cuoricini). Impariamo un’altra volta: Mai credere in quello che si vede su instagram.

In totale arriviamo in cima dopo un’ora, incluso un detour per una geocache a una piccola chiesetta vicino alla cima. Ormai è buio, siamo tutti sudati, non sappiamo se tornare in albergo a farci la doccia o no, insomma, anziché poterci godere la vista facciamo una foto veloce e torniamo giù. Non so cosa faceva la gente prima dell’era degli smartphone, è buio e senza la app della torcia non si vede nulla. La torcia vera e propria è in valigia, chi avrebbe pensato che ci sarebbe servita?

Andare in albergo costerebbe troppo tempo quindi ceniamo subito in centro. Possiamo scegliere il pesce dalla vetrina, il rombo ci è piaciuto molto. Dopo cena facciamo un giro per il centro, c’è veramente tanto movimento con tanti bar e musica dal vivo. Che peccato che dopo la salita sulla fortezza siamo super stanchi, quindi stasera niente party per noi. Vediamo anche tanti gatti randagi, Kotor si è dichiarata “città dei gatti” e sicuramente i gatti sono molto carini, ma non so se sia una buona idea non sterilizzarli.

Quindi il mio riassunto su Montenegro finora: Perast e Kotor da visitare assolutamente, Herceg Novi potrebbe essere tralasciato.

9 agosto: Kotor – Budva – Shkodar (Albania) – Zabljak

Era molto difficile decidersi per una rotta per oggi. La nostra idea iniziale era di fare il giro Kotor – Budva – lungo la costa – Shkodar in Albania – Podgorica – Zabljak. Il proprietario del albergo invece ci suggerisce un’altra rotta: Salire sulle montagne attorno a Kotor (il parco nazionale Lovcen), visitare la vecchia capitale del Montenegro, Cetinje, il monastero Ostrog (bellissimo) e andare a Zabljak da lì. Sicuramente il suo giro sarebbe stato più bello come posti da vedere, ma dopo lunghe discussioni e considerazioni decidiamo insieme di fare il giro come previsto all’inizio. Ci piace troppo l’idea di avere l’Albania in tutte le nostre statistiche di viaggio e anche di geocaching. Siamo indecisi fino all’incrocio dove si andrebbe a destra per Cetinje!

La nostra prima tappa è dunque Budva. Parcheggiamo un po’ fuori del centro e andiamo a vedere la città che si è dedicata interamente al turismo. Attorno al centro storico crescono i grattacieli e ci sono tanti cantieri, sicuramente non riconoscerò la città fra 5 anni. Ovunque si legge che la città sarebbe invasa da russi, noi non possiamo confermare questo – sono le 10 di mattina e c’è poca gente.

Facciamo un giro e la città non è male ma neanche ci ispira tanto, così andiamo via dopo un’oretta.

Il prossimo stop è a Sveti Stefano, un’isola molto pittoresca, purtroppo non visitabile. È un resort molto caro. La vediamo da lontano, facciamo una foto e andiamo avanti.

Il proprietario dell’albergo ci aveva promesso di perdere tanto tempo in traffico a Budva. La mattina si gira bene invece; il traffico lo incontriamo a Sutomore. Appena uno vuole andare a sinistra si ferma tutta la città e ci costa quasi mezz’ora attraversare il piccolo paese.

Poco dopo la città di Bar, la strada statale fa una curva (detour di 20 chilometri) per Ulcinj. Noi tagliamo la strada su stradine piccole che sono in buone condizioni. Vediamo anche tante targhe straniere su questa strada. Poco prima del confine vediamo una moschea, e iniziano i segni stradali bilingui.

Il confine Montenegro – Albania è memorabile: Per errore stiamo nella corsia a destra, che è la corsia degli autobus. Ci sono comunque tante altre macchine che fanno come noi, prima di noi e dopo di noi. Al confine c’è uno che trascrive la targa e ci fa segno di andare avanti. Pensiamo che sicuramente c’è un altro punto di controllo, ma invece ci sono le prime case di un piccolo villaggio – siamo in Albania senza che nessuno lo sappia. Purtroppo questo significa che non abbiamo il timbro dell’Albania nel nostro passaporto.

Adesso eccoci in Albania e devo dire che questo paese ci ha sorpreso positivamente. Mi aspettavo case povere e strade pessime. Questo è probabilmente vero per alcuni parti del paese, ma non per la strada per Shkodar: Case buone e anche ville , una strada buona, poco traffico. Anche al ritorno per il Montenegro la stessa situazione: Una strada nuovissima e larga, poco traffico, tante rotonde.

Lungo la rotonda ci sono delle volte delle persone e macchine si fermano, non so se questo è un tipo di autostop o se ha un altro significato.

Purtroppo non c’è tempo di visitare il centro di Shkodar (un abitante del posto giura che è bellissimo), ma visitiamo il Rozafa castello. L’ingresso è a pagamento e ce ne accorgiamo che non abbiamo valuta locale: Questo però non è un problema, ovunque accettano gli euro. L’ingresso del castello costa poco, 1,50 euro a testa (200 Lev).

Il castello è bello e merita una visita, è molto grande, di epoche diverse, e offre una vista spettacolare. Ma ancora più bello è incontrare la gente del posto: Un venditore di souvenir prova ad insegnarci un po’ di albanese (Faleminderit – grazie), la signora custode del parcheggio abita a Karlsruhe (Germania) e passa l’estate in Albania, il venditore di bevande è un canadese con genitori albanesi che trova la Canada poco vivibile e sta passando la sua prima estate in Albania („I’m shocked how beautiful Albania is“, „everything is so near“, „tourism is slowly developing“) – lui è molto deluso che stiamo solo poche ore in Albania. Promettiamo di ritornare!

Il confine per il Montenegro (andando nord-ovest verso Podgorica) è molto, molto, molto lento. Aspettiamo 45 minuti. Qui sia l’Albania (che all’andata non si interessava proprio per nulla) sia il Montenegro chiedono i documenti della macchina. Il poliziotto montenegrino ci chiede dove andiamo e da dove veniamo. È rimasto contento di sentire che ci è piaciuta Kotor e che andiamo a Zabljak, e anche secondo lui Budva non è tanto bella.

Superato il confine è già tardi e in teoria andiamo dritti per Zabljak. Il monastero di Ostrog, che volevamo visitare, lo vediamo solo da lontano. Poco prima di Podgorica vediamo un mini-canyon (largo circa 1 metro) sotto un ponte, questo ci incuriosisce, parcheggiamo e andiamo a scoprirlo – una sorpresa piacevole. Tornata a casa ho cercato un po’ in internet ma ci sono poche informazioni su questo fenomeno.

La cosa più memorabile della strada Podgorica – Zabljak era sicuramente la polizia che ci ha fermati in zona di Niksic. In Montenegro c’è polizia ovunque e dopo abbiamo letto molte storie cattive su Tripadvisor, multe salate, passaporti non dati indietro etc. Noi avevamo molta fortuna. Il poliziotto parlava solo poco inglese e il mio ragazzo ha fatto finta di non capire il suo serbo/inglese: „speed limit Scesdecet! Sces-de-cet!“ (dipinge un 60 con il suo dito). „you osamdecet! Eighty!“ Insomma ci voleva dire che guidavamo ad 80 in una zona 60. Ha misurato ad occhio e croce, non aveva nessun attrezzo per misurare la velocità e quindi nessuna prova. La discussione andava avanti così per un bel po’, ha trascritto qualcosa e ha detto „pay at bank“, però non ci ha dato nessun foglio. Noi abbiamo detto „okay“ e siamo andati via…

La strada per Zabljak sembra corta sulla mappa ma è curvosa con un bel panorama che cambia da un chilometro all’altro. Montagna spettacolare, poi una galleria, poi prati verdi, prossima curva, bosco – qui c’è del tutto. Siamo un po’ in ritardo e quindi non possiamo fermarci per delle foto.

E poi, all’improvviso, appare civilizzazione, il paesino prima di Zabljak, e poco dopo Zabljak stessa. Zabljak è il posto dove stare per visitare il Durmitor National Park.

Stiamo in un appartamento prenotato su booking.com. Nelle recensioni c’era scritto che la signora non parla l’inglese e quindi, finalmente, per la prima volta serve veramente la mia conoscenza del serbo.

In macchina memorizzo la frase „Ho prenotato una stanza per due notti“ e sembra che la signora mi capisce (o ha visto le due valigie?). Lei chiede „booking?“, io „da da da“ (sì sì sì) e siamo a posto. Poi dice alcuni altri frasi che non capisco, una frase che capisco („ovo je freezer“ – „ecco il frigo“), e qualche frase che contiene la parola „kafu“ (caffè) e „sok“ (succo), quindi immagino che ci voleva offrire qualcosa.

Non siamo sicuri però quindi ci sediamo in giardino e vediamo cosa succede. Arriva il figlio della proprietaria che parla un po’ di inglese e che ci offre una grappa fatta in casa. È lui che ci suggerisce il ristorante per stasera: Nel ristorante del albergo Jxxxxxx mangiamo un agnello molto molto buono. Inutile dire che anche al ristorante parlano poco l’inglese.

In totale una bella giornata, visitare l’Albania meritava e non vedo l’ora di vederne di più di questo paese.

10 agosto – Durmitor National Park

Oggi una giornata di relax senza spostamento. Iniziamo la giornata in giardino per vedere se avevo capito bene che la signora ci voleva fare un caffè per colazione. E infatti, e il caffè bosniaco/serbo/montenegrino è come sempre buonissimo.

In una panetteria compriamo cornetti farciti e partiamo subito per la prima geocache (e la prima camminata) del giorno, il punto di vista “Crucevac”. Rimaniamo sorpresi di vedere un chiosco in mezzo al bosco lì, ma la sera avremmo capito che qui arrivano i gruppi che fanno il giro di rafting in giornata. A un punto di vista mangiamo i cornetti e al prossimo punto di vista facciamo molte foto del canyon dall’alto.

Al ritorno una sorpresa: Al parcheggio ci aspetta un uomo, in divisa e con cassa automatica, e ci chiede 3 euro a testa per la camminata. Il biglietto è valido anche per il Crno Jezero (Black Lake). Molto strano pagare un biglietto in mezzo al nulla, se lo sapevamo parcheggiavamo 100 metri giù la strada. Ma sembra che questo biglietto era corretto, la sera al lago lo accettano senza problemi come biglietto di ingresso.

Ora andiamo al famoso ponte che attraversa il Tara Canyon. Ci sono varie aziende che offrono degli zip-line per attraversare il canyon, i più corti costano 10 euro, i più lunghi 25 o 30, non mi ricordo bene. Pensavamo di fare questo zip-line per capire quanto siamo coraggiosi, ma poi vince la nostra avarizia, 10 euro per 30 secondi sono un po’ tanti.

Invece vediamo dall’alto che il rafting potrebbe essere bello. Il fiume porta poca acqua e quindi le barche vanno piane, c’è poca avventura nel farlo. Per altri potrebbe essere noiosa, per noi è giusto giusto. Osserviamo le barche per un po’ e decidiamo di fare il giro anche noi. Costa 45 euro a testa, da pagare in contanti subito. C’è posto per il giro delle 2 nel pomeriggio. Addio all’idea di fare la strada panoramica per Pluzine, ma delle volte bisogna essere spontanei anche se è contro la mia natura da tedesca super organizzata.

Torniamo a Zabljak (20-25 minuti), mettiamo costumi da bagno, e ripartiamo per il ponte.

Il minibus dell’azienda (ce ne sono 3, 4 aziende diverse ma alla fine tutte le barche partono insieme) ci porta prima a un capannone dove ci mettiamo la giacca salvagente e un elmetto. Poi il minibus ci porta al punto di inizio del giro. Spiego alla signora inglese accanto a me che in Albania non si mettono l’elmetto da nessuna parte, e l’autista, che ha sentito solo la metà della mia frase, si scusa che ci dobbiamo mettere l’elmetto, “la amministrazione del parco naturale lo vuole così”. Sì, meglio avere l’elmetto, ci sono rocce grandi nel fiume.

Il giro è bello ma più faticoso del previsto, e due vesciche alle mani mi hanno ricordato il giorno per un po’ di settimane. Condividiamo la barca con due francesi e la guida. In un’altra barca invece ci sono 9 persone, forse quello è più facile. I nostri due “amici” francesi sono molto pigri, loro guardano l’ambiente e noi due facciamo il lavoro.

La prima fermata di tutte le barche è il fiume Ljutica. È un fiume molto corto, solo circa 60 metri poi arriva già nel fiume Tara. Il fiume è molto potente, dal sorgente escono migliaia di litri al minuto. È bello da vedere.

Dopo questa pausa i francesi si svegliano e si sforzano molto, la nostra barca sorpassa molte altre barche! Peccato che perdono la loro motivazione già dopo la prossima pausa!

Il giro in totale è durato dalle 2 alle 5 ed era molto bello! Alle 5 non c’era più nessuno al ponte, tutto tranquillo, zero turisti. Anche noi andiamo e torniamo a Zabljak.

Domani dobbiamo partire ma non possiamo andare via senza aver visto il famoso lago nero di Zabljak. Una stradina asfaltata porta al lago e lungo la strada ci sono tante bancarelle che vendono frutti di bosco, un misto di mirtilli, lamponi e fragole. Prendiamo un pacco grande e grazie al mio ragazzo il cestino è già mezzo vuoto quando arriviamo al lago. Voglio nuotare ma affondo nel fango (ecco perché su quel lato del lago non faceva il bagno nessuno!), alla fine mi sposto al lago piccolo per fare due, tre cerchi.

Per cena il locale scelto su TripAdvisor non aveva posto. Peccato ma il destino ha una sorpresa per noi! Nel altro locale (per me agnello anche qui) dobbiamo condividere la tavola con un’altra coppia. Troviamo nuovi amici qui, la coppia spagnola sta facendo un giro in moto per i paesi balcanici. Scambiamo un po’ di informazioni, ci raccontiamo dei nostri viaggi, giuriamo di visitare Granada in Spagna, e su una salvietta dipingo una mappa di Konjic e come arrivare al bunker di Tito.

Insomma una bella giornata, sono contenta di aver previsto un giorno intero nel Durmitor National Park.

11 agosto – Zabljak – Pecs – Prizren – Pristina

Ieri tanto relax, oggi invece neanche un po’ – abbiamo molta strada da fare. A chi vuole fare un giro simile consiglierei di stare la notte a Prizren, la città è più bella rispetto a Pristina e la strada si accorcia di circa 45 minuti.

Un’altra idea sarebbe una notte a Pecs, il Rugova Canyon sarebbe bello da vedere e secondo un libro che ho trovato su Google Books dopo il viaggio c’è una cascata nascosta nella zona. Il turismo nel Kosovo non è molto sviluppato quindi conviene comprare un buon libro per la zona, per noi che eravamo lì solo per 2 giorni non conveniva.

Molto importante: La rotta da Zabljak a Pecs via Rozaje che suggerisce Google Maps è corretta. La strada fa una grande curva e sembra un detour, ma il confine ad ovest di Pecs è chiuso, non è possibile passare dal Montenegro al Kosovo via il Rugova Canyon. Il posto di confine a Cakor è stato chiuso nel 1999 e non è mai stato riaperto. Questa è la situazione in agosto 2017, forse la situazione cambierà un giorno.

La strada da Zabljak a Rozaje si snoda lungo il canyon del Tara. A destra il parete di rocce senza reti – meglio non pensare alla possibilità che potrebbe cadere giù un sasso in qualsiasi momento. Usciti dal canyon c’è un paesino che si chiama Mojkovac, qui mangiamo per colazione il pessimo cornetto in vita mia.

La strada da Mojkovac a Rozaje è molto lenta, non c’è possibilità di sorpassare e girano tanti camion lenti (40km/h). A Berane ci fermiamo per una geocache in una fabbrica fuori uso.

Dopo Rozaje la strada inizia ad arrampicarsi. Questa catena di montagne forma il confine tra il Montenegro e il Kosovo. In un documentario su youtube ho imparato che i due stati hanno definito il confine ufficialmente solo nel 2015, necessario per il Montenegro per poter entrare nell’Unione Europea. Forse per questo c’è molto spazio tra la polizia montenegrina e la polizia kosovara. Ci sono ben 11 chilometri fra i due controlli. Il confine secondo Google Maps è più o meno in mezzo ai due posti e mi chiedo fino a quale punto possono arrivare le macchine che non hanno l’assicurazione per il Kosovo.

Lungo la strada, anzi, proprio sulla strada, vediamo un pastore con le sue pecore. Secondo quel documentario loro hanno un permesso speciale di attraversare i confini. C’erano o ci sono problemi del tipo che i campi di alcuni contadini sono all’estero dopo la nuova definizione del confine. Nel contratto fra il Montenegro e il Kosovo ci sono permessi speciali per pastori e contadini che devono attraversare il confine.

Superata la terra di nessuno riceviamo il timbro del Kosovo (il mio purtroppo poco leggibile) e iniziamo la discesa per la città di Pecs. Facciamo benzina a un prezzo bassissimo (attorno ai 90 centesimi per il litro), e finalmente arriviamo a Pecs. Non abbiamo tempo per visitare il centro, il canyon o altre bellezze, ci concentriamo sul monastero di Pecs. Fa parte del gruppo di monumenti protetti dall’Unesco. In tutta la città vediamo solo un singolo cartello che indica la direzione per il monastero. Il giorno dopo, a Gracanica, ci spiegano che fanno apposta: Non vogliono attirare troppa attenzione sui monasteri, vogliono mantenere la pace dei posti. Infatti nemmeno fuori dal monastero c’è un grande pannello tipo “benvenuto in zona Unesco”, no, non c’è niente – senza mappa si è perso.

La mia ultima informazione era che il posto è protetto dal KFOR, ma questo non è più il caso. Intanto è responsabile la polizia kosovara, anzi, un singolo addetto poco interessato. Se arrivasse uno deciso a fare un casino in questo monastero serbo non avrebbe il minimo problema. Guarda i nostri passaporti, telefona a qualcuno, e possiamo entrare. Al telefono dice “tedesco e italiano”, quindi nessun problema – immagino che un cittadino albanese non può entrare in questo monastero.

Grazie al traffico siamo qui solo alle 12:30 – oggi il mio piano di marcia è decisamente troppo stretto!

Il monastero è splendido, bellissimo, assolutamente da vedere. È decorato fino al soffitto con tanti dipinti diversi. Ed è così tranquillo! Chi l’avrebbe mai pensato che il posto più pacifico del viaggio lo avremmo trovato nel Kosovo?

L’ingresso costa un modesto ingresso di 2 euro e include l’audioguida. Senza audioguida ci si perde con tutti questi dipinti, saranno più di mille scene diverse. Già nella casa di ingresso c’è un calendario con 365 scene. Peccato, ma è vietato fare le foto, e c’è sempre una suora che guarda. Una bella sorpresa: Un bagno pulitissimo e nuovo.

Il prossimo monastero UNESCO che vogliamo visitare è quello di Decani. A Decani c’è molto traffico, tutto si muove lentamente e siamo felici quando finalmente arriviamo alla nostra destinazione. C’è un parcheggio piccolino, sembra che al solito passa poca gente – ma oggi ci siamo noi due, e due autobus. Al punto KFOR parliamo con i soldati austriaci che ci spiegano che il monastero ha iniziato la pausa pranzo giusto 2 minuti fa. Il soldato era tutto gentile e ha chiesto alla guardia locale se potevamo entrare lo stesso. Il pannello diceva „aperto fino alle 14:30 e a partire dalle 15:30“. La guardia guarda il suo orologio (14:33) e dice „no no, ma fra tre ore forse sì“. Anche l’austriaco era molto stupito da questa risposta ma non poteva fare nulla. Forse il monastero era già pieno con i turisti (serbi?) di due autobus. Che peccato, dovevamo continuare il viaggio senza aver visto lo splendido monastero da dentro, e dicono tutti che merita.

Molto delusi continuiamo il viaggio in direzione Prizren. Giusto quando iniziamo a pensare che il Kosovo sia un brutto paese una sosta per geocaching ci fa vedere un bellissimo antico ponte ottomano. Per cinque minuti il paese ci piace, poi continuiamo con la strada e l’inevitabile traffico. Parcheggiamo a Prizren alle 16:25 – quindi 3 ore da Pecs a Prizren quando Google Maps dice 01:30.

Prizren invece è una bella sorpresa. Superati il traffico troviamo parcheggio subito in centro. Ad ogni angolo ci sono dei segni „P“ dove gente privata offre uno, due o tre spazi a un euro o anche a 50 centesimi l’ora. Per me Prizren è la città più bella del Kosovo. C’è un fiume, una bella moschea, bar lungo il fiume, un castello, e c’è atmosfera. Il film festival che c’era quando c’eravamo noi e la base KFOR portavano un decente numero di turisti.

Ci stupiscono i prezzi qui in Kosovo. Prendiamo due palline di gelato a testa e il gelataio vuole 1,60 euro. Gli chiedo “per noi due insieme?” e lui dice di sì, una pallina costa 0,40€…

A pochi passi c’è la moschea turca, molto bella da dentro. Una signora mi dà un velo per coprirmi i capelli. La moglie di un soldato tedesco invece entra senza neanche interessarsi per il velo e sembra che vada bene anche questo (anche se io personalmente non farei così).

Facciamo un giro per la città e visitiamo il terzo posto UNESCO in Kosovo. E qui capiamo perché il complesso di monumenti è sull’elenco rosso dell’UNESCO: Il posto è trasandato, una recinzione vieta l’ingresso, la casa di guardia non è occupata. Dopo avrei letto su Wikipedia che gli albanesi hanno incendiato la chiesa nel 2004 e i danni di allora non sono mai stati riparati. C’è qualche strumento di restauro ma il cantiere sembra abbandonato da tanto tempo.

Tornando al centro proviamo di fare un prelievo. Qui in Kosovo ogni banca (uguale se preleviamo con bancomat o VISA) vuole una commissione di 5 euro per ogni prelievo – meglio fornirsi di contanti prima di venire in Kosovo, la situazione è uguale a Prishtina! Interrompere la transazione non è facile, il testo è in inglese, ma i pulsanti decisivi „sì“ o „no“ sono solo in albanese. Fermiamo qualcuno a chiedere una traduzione. I due ragazzi non parlano bene l’inglese ma il tedesco si. In agosto abbiamo visto molta gente parlare il tedesco qui. La sera il giorno dopo abbiamo chiacchierato con uno di loro in un locale. Lui è emigrato in Germania 30 o 40 anni fa e torna ogni estate. Immagino che le storie si assomigliano.

La città ci piace molto e siamo tristi che abbiamo prenotato l’albergo a Prishtina anziché a Prizren. Che bello sarebbe cenare lungo il fiume e godersi l’ambiente un po’ più lungo! Per terminare la visita camminiamo su, fino al castello, e ci godiamo la vista. Lungo la salita c’è una piccola chiesa. L’ingresso è di 2 euro e non conviene molto, l’interno è poco interessante. Più interessante la risposta alla nostra domanda „la chiesa è aperta?“. La risposta fu „Quale nazionalità avete?“. Tedesco e italiano, allora sì, la chiesa è aperta. Immagino che per un albanese la chiesa sarebbe stata chiusa.

Sul ritorno compriamo un bicchiere di una buonissima limonata fatta in casa.

La strada da Prizren a Prishtina è sorprendentemente buona! Autostrada, tre corsie, quasi zero traffico. Solo mezz’ora e siamo a Prishtina. Ripeto che per la stessa distanza Pecs – Prizren abbiamo voluto tre ore…. Lungo l’autostrada ci sono già i cartelli che indicano le aree di servizio che ancora devono essere costruite, e i cartelli per il pedaggio sono già lì, ma cancellati. Probabilmente un giorno arriverà un pedaggio.

Un’altra curiosità su traffico in Kosovo: I prezzi per la benzina non sono esposti. Ci sono dei cartelli grandi come esistono in ogni altro paese, ma mostrano 0,0000. Il prezzo lo si vede solo quando si fa la benzina. È molto economico, 1,03 euro, tanto per confrontare: in Montenegro si paga 1,22 euro.

Nel centro di Prishtina i sensi unici fanno la navigazione un po’ difficile ma OpenStreetMaps è affidabile anche qui e arriviamo al nostro albergo „Hotel Prima“ senza problemi. Il receptionist è gentile ma il suo orgoglio di essere albanese è ancora più grande della sua ospitalità. È l’unica persona del viaggio che ha un problema con la mia frase “We’re doing a Balkan roadtrip” – secondo lui il Kosovo non fa parte del Balkan, sarebbe tutta un’altra cosa e da non confrontare con la Serbia o la Bosnia. Poi ci spiega che l’Etna (sì, parlava proprio del vulcano in Sicilia) proviene dalla lingua albanese, un “fatto” che nè Wikipedia nè altri siti web possono confermare.

Sulla strada per il ristorante vediamo uno che ha una mazzetta di banconote da 50 in mano e vende i pezzi. Non abbiamo chiesto per il prezzo, peccato, dopo ci è venuto in mente che sarebbe stato interessante controllare la qualità delle banconote false. Comunque sì, questa è la nostra prima impressione di Prishtina.

Il ristorante è bellino e buono. È a pochi passi dall’albergo nella zona vecchia di Prishtina. Qui ci sono le stradine piccole ed è facile perdersi. Il ristorante si chiama Liburnia. Non mi ricordo più cosa abbiamo mangiato (agnello?) ma mi ricordo la mia sorpresa per la bontà del vino kosovaro, un vino bianco molto fruttato. Il mio ragazzo invece prova la birra locale, “Prishtina”, buona. I kosovari dicono che la birra di Pecs sarebbe ancora più buona!

Dopo la cena camminiamo su e giù per la zona pedonale di Prishtina. C’è tanta gente sulla strada. Una cosa popolare per i giovani uomini è misurare quanti secondi (o minuti) possono appendersi a una sbarra. Lungo la strada principale non vediamo tanti bar e di negozi non ce ne sono molti (le grandi catene mancano qui). Su internet si legge che Prishtina sarebbe la “nuova capitale cool” in Europa, noi non possiamo confermare che la città sia cool, anzi, la troviamo un po’ noiosa. O forse siamo stati nei posti sbagliati?

12 agosto – Prishtina – Gracanica – Bear Sanctuary – Skopje

L’idea per oggi è di visitare Prishtina la mattina e poi andare sud verso Skopje, visitando Gracanica e il Bear Sanctuary lungo la strada.

Il nostro receptionist ci aveva indicato sulla mappa quali posti sono da vedere. Vediamo un mercato e alcune moschee dove non ci fidiamo ad entrare. Poi vogliamo visitare il museo della Indipendenza, Dr. Ibrahim Rugova Independence Museum. Internet ci conferma che dovrebbe aprire alle 10 ma in cancello è chiuso e non c’è nessuno. Ormai siamo abituati a come funziona il turismo in Kosovo (male) e andiamo avanti. In zona del museo ci sono alcuni bar carini. Prendiamo un caffè e ci chiediamo se dovevamo venire qui ieri sera?

Il prossimo punto da visitare è il Newborn Monument. Questo monumento è il simbolo della città e cambia colore ogni tanto. Ci divertiamo a fare tante foto qui. A pochi passi c’è la chiesa di Madre Teresa. Qui ci sono i lavori in corso e vediamo le statue di gesso ancora nei loro cartoni – un giorno faranno parte della decorazione di questa chiesa. Non sappiamo se si può salire sulla torre della chiesa e non ci fidiamo a provarlo. Prossima tappa la biblioteca nazionale subito sull’altro lato della strada. L’edificio ha un’architettura molto particolare, può piacere o anche no. Il Telegraph UK ha listato la biblioteca come uno dei “edifici più brutti del mondo”. Sarebbe interessante anche da dentro ma, sorpresa, l’edificio è chiuso.

La decisione è fatta, per ora Prishtina non ci piace, ma vogliamo rivederla magari fra 10 anni. Torniamo all’albergo, prendiamo la macchina e partiamo verso Gracanica.

A Gracanica, un’enclave serba con bandiere serbe ovunque, si trova l’ultimo dei quattro monumenti UNESCO. Anche questo monastero non è segnalato sui cartelli stradali, e il custode ci spiega il perché: Non vogliono attirare l’attenzione su questo monastero, vogliono conservare il silenzio e la pace del posto. Anche qui la mappa OpenStreetMaps si rivela preziosa.

Il custode tiene a dirci che l’ingresso sarebbe 2 euro, ma non ci vuole obbligare a pagarlo, ci suggerisce di donare i soldi che vogliamo per il bene della nostra famiglia. Doniamo 2 euro a testa…

Qui non c’è un’audioguida come a Pecs. Ci sediamo e rimaniamo stupefatti anche qui dalla bellezza della chiesa. Ci ricordiamo di alcuni riferimenti a Gracanica nella audioguida a Pecs, e infatti, anche qui a Gracanica troviamo un albero della famiglia Nemanjić. Non so come spiegare la bellezza di Gracanica e Pecs con parole, posso solo dire che merita una visita assolutamente.

La strada per il Bear Sanctuary è buona, c’è poco traffico e facciamo i 10 chilometri in fretta. Si passa un lago che purtroppo è sporchissimo, ci sono centinaia di bottiglie di plastica in spiaggia. E giusto quando lo faccio notare al mio ragazzo, l’autista della macchina davanti a noi butta via una bottiglia di plastica mentre guida. Ormai purtroppo in Kosovo non ci sorprende più niente.

Il Bear Sanctuary invece è bellissimo! L’ingresso costa pochissimo (1,50 euro mi pare) e ci sono 13 orsi da vedere. Tutti gli orsi sono stati liberati da ristoranti o piccolissimi zoo dove servivano come attrazione e per attirare la gente. Su pannelli di informazione ci sono informazioni sulla vita di ogni orso, cosa preferiscono fare (“lui non mangia cetrioli”) etc. – è fatto veramente bene. Alcuni orsi sono molto curiosi e si fanno fotografare, altri preferiscono ritirarsi, e uno girava solo su e giù, probabilmente un danno rimasto dai suoi anni in prigione.

Una nota: Il terreno del santuario è ripido, quindi ci vuole un po’ di sforzo per fare il giro e immagino che il sentiero ghiaiato non sia adeguato per disabili.

Ora ci dirigiamo verso Skopje. Non abbiamo piani fissi, dobbiamo fare solo qualche sosta geocaching e eurobilltracking, i nostri due hobby che accompagnano la vacanza.

C’è un’autostrada fino a Ferizaj, per un errore mio prendiamo la statale quindi siamo un po’ più lenti, la statale è comunque buona e appena usciti da Pristina la strada è quasi libera. La situazione cambia quando siamo in arrivo a Ferizaj. Circa 500 metri prima dell’incrocio dove escono le macchine che vengono dall’autostrada inizia un traffico. Anzi, un TRAFFICO. Arrivare da questo punto alla nostra destinazione, una geocache lontana 2 chilometri, ci vogliono 45 minuti, e se non prendevamo una strada sterrata per uscire dal traffico, forse ci voleva un’ora intera. È facile analizzare il problema di Ferizaj, che dopo incontreremo anche in centro: Non ci sono corsie per girare a sinistra, quindi tutto si blocca appena uno vuole girarsi. Non ci sono semafori. Ognuno gira un po’ come vuole. Girare il Kosovo in macchina di agosto (quando ci sono tutti gli stranieri in visita alle loro famiglie) è un grandissimo test per i nervi.

La geocache ci porta a una “Biforcazione”, un punto dove un fiume si separa in due, e le acque raggiungeranno mari diversi. Il posto ci delude un po’. Accanto c’è un ristorante e siccome sentiamo un temporale avvicinarsi ci fermiamo qui a cenare. Il cameriere non parla l’inglese e noi non parliamo albanese, ma il signore alla tavola accanto a noi ci aiuta e traduce dal tedesco all’albanese. Con il suo aiuto ordiniamo un tipico piatto albanese che sarebbe un antipasto per uno ma ci basta come cena per due! È una crema di non so che cosa (forse ceci? come humus?) con un pane enorme fatto in casa. Non era male ma neanche tanto particolare, cena mediocre per i miei gusti. Forse la lunghissima attesa (45 minuti!) dopo il lunghissimo traffico (altri 45 minuti) ci ha rovinato l’appetito, avevamo un autobus da prendere a Skopje!

Purtroppo non abbiamo visto niente dalla città di Ferizaj, non c’era tempo. Uscire dal centro era un’altra fatica, con sensi unici non segnati sulla mappa, binari, un treno che passava lentamente, una rotonda subito dietro la barra chiusa per il treno, ognuno che gira un po’ come vuole… anche il traffico nel centro del paese è da vedere! Ormai il mio ragazzo guida tutto tranquillo in questo casino.

Usciti dalla città rimaniamo sorpresi: la strada è libera e scorrevole. Passiamo un grande memoriale per il UCK (vediamo troppo tardi che c’era un parcheggio) e facciamo benzina poco prima del confine (in Kosovo costa di meno) e un’ora dopo la partenza a Ferizaj siamo già al confine. Qui dobbiamo aspettare un po’ (15-20 minuti circa) e poi attraversiamo senza problemi.

Ormai manca solo mezz’ora per arrivare a Skopje. Vediamo la Millenium Cross illuminata avvicinarsi e sappiamo che la croce indica la fine di questo road trip. Troviamo un’uscita dell’autostrada chiusa, quindi un po’ di confusione ma poi finalmente eccoci in aeroporto. Non c’è nessuno al banco di Hertz. Aspettiamo pochi minuti, purtroppo questa attesa ci fa perdere l’ultimo autobus del giorno per il centro. Poi chiediamo all’impiegato di Europcar che ci dice di lasciare le chiavi semplicemente sulla scrivania.

Con l’ultimo autobus delle 20:30 già partito non abbiamo una scelta: 20 euro per un taxi per la stazione degli autobus. L’autista racconta della partita Supercup Manchester United – Real Madrid a Skopje pochi giorni prima, e ci suggerisce che può portarci a Sofia direttamente, per 130 euro l’affare sarebbe fatto, e in taxi è molto più veloce che in autobus. L’autobus dovrebbe costare attorno ai 25 euro a testa, e ho previsto l’autobus della mezzanotte nella mia progettazione. Fino a questo punto, la mia precisa organizzazione ha funzionato ovunque e niente è andato storto. Forse dovevamo aspettarci che qualcosa andasse storto prima o poi.

Questo trasporto Skopje – Sofia è poi diventato la più grande avventura di questa vacanza. Ho i brividi quando ci rifletto quanto avrebbe potuto andare storto, e spero che la mia mamma non legga mai questo diario.

Ci sono 5 o 6 autobus al giorno ed è facile googlare gli orari. Prenotarli online è possibile ma non in una lingua che io conosca. Su Tripadvisor la gente diceva che basta andarci il giorno prima e comprare il biglietto sul posto. Quindi noi andiamo allo sportello “Two tickets for the midnight bus to Sofia please”, e la signora dice “mi dispiace, l’autobus è pieno”. Ovviamente la mia progettazione prevedeva anche questo caso, prenotare un albergo spontaneamente su booking a Skopje e prendere l’autobus delle 7 la mattina. “I’m sorry, the bus at 7am is full as well”. Avremmo potuto prendere l’autobus delle 8 e qualcosa, arrivo a Sofia verso le 2, andare in albergo etc. – non avremmo visto niente della città di Sofia. Ho chiesto alla signora di darci due minuti per rifletterci, avevamo ancora in mente il tassista dell’aeroporto. 80 euro di più per andare a Sofia per poter vedere la città non ci sembrava una brutta idea.

E giusto in questo momento un signore ci approccia “taxi? taxi?”. Velocemente ci mettiamo d’accordo: 7000 MKD per andare a Sofia, circa 116 euro. C’è un bancomat nella stazione degli autobus, c’è un bagno, e c’è un bar dove possiamo comprare una bottiglia di acqua. Noi siamo pronti.

Il nostro tassista invece non è tanto pronto. Perché non mi ero ricordata dei libri di viaggio che dicevano di non mai, mai, mai andare con i tassisti che ti assaltano? Il tassista telefonava in giro, ci diceva di continuo “no problem, no problem”, “adesso un amico mi porta la macchina”. All’inizio pensavamo che la macchina fosse parcheggiata all’angolo, invece abbiamo aspettato ben 30 minuti. Intanto lui ha chiamato anche la sua sorella che abita ad Ancona, e il mio ragazzo ha chiacchierato un po’ con lei.

Poi arriva una macchina privata, nera, con un autista che non sembra per niente felice dell’idea di andare a Sofia adesso. Sono le 22 e sta arrivando un forte temporale. E noi, vedendo questa macchina privata, ormai siamo sicuri: Questo tipo non è un tassista. Ma siamo timidi e non sappiamo bene come ritirarci, dopo tutto abbiamo già fatto un po’ di amicizia. Mi viene in mente solo una possibilità come sicurezza per noi: Mi faccio dare il suo numero di telefono (ovviamente verifico che sia corretto con uno squillo). Rimaniamo perplessi quando sale sulla macchina anche lui, basta un affare al giorno?

Non riesco a rilassarmi e verifico sulla mappa che stiamo andando nella direzione giusta. Sempre quando un cartello dice “Sofia” e noi lo seguiamo, facciamo un sospiro di sollievo: Forse stiamo andando a Sofia davvero. Quando siamo sull’autostrada giusta chiudo addirittura un po’ gli occhi. Allegramente ci chiede il nostro amico se vogliamo un cappuccino o un caffè al prossimo distributore. No, non ho nessun senso per caffè adesso, voglio solo arrivare a Sofia sana e salva. Ci fermiamo per il caffè del finto tassista, e poi lui dice “scendete”.

Noi due ci guardiamo negli occhi e pensiamo “ecco, e adesso?”. Vuole raddoppiare i soldi? Vuole lasciarci qua in mezzo al nulla?

Invece no: Saliamo su un’altra macchina, nuovo autista, più grande, pulita, e soprattutto: targa bulgara. (“più facile attraversare il confine”). L’autista parla un po’ di inglese e ci racconta fieramente che ha preso la macchina usata dall’ambasciata italiana a Sofia. Si condividono i soldi, 4000 per il nostro “amico”, 3000 per il bulgaro che ha una strada più lunga da fare.

Il confine a mezzanotte è vuoto. “Dove vai oggi?”, chiede il poliziotto, sembra che fanno questi trasporti più spesso. Il nuovo autista deve solo comprare l’adesivo per il pedaggio, il poliziotto apre il baule senza però aprire nessuna valigia, e poi possiamo partire. Dobbiamo andare piano piano, c’è un fortissimo temporale e pioggia a dirotto, io non avrei voglia di guidare in questi condizioni. Tre motociclisti ci sorpassano, pazzi!

Ormai che siamo in Bulgaria e quindi anche Unione Europea abbiamo le telefonate gratuite e internet come a casa. Il nostro “amico” aveva detto al bulgaro di portarci a un “cheap hotel” a Sofia. Per il giorno dopo avevamo la prenotazione per il Hilton. Non siamo ricchi ma il mio ragazzo aveva dei punti bonus da consumare. Lui chiama lì per chiedere se possiamo venire già stanotte. Sì, hanno una camera disponibile, 89 euro. Gli altri alberghi (riportati da una veloce ricerca su booking) costano più o meno uguale, quindi accettiamo subito.

Alle 3 di notte siamo finalmente lì. Non ci avrei mai creduto, ma alla fine ha funzionato tutto! L’autista bulgaro non voleva un aumento di soldi, ha guidato con prudenza nel maltempo, è stato gentile, e siamo ancora vivi! Comunque sicuramente NON consiglierei di copiare il nostro giro – meglio andare alla stazione degli autobus qualche giorno prima, o semmai prendere un taxi ufficiale.

Al Hilton la sorpresa: Ci hanno fatto l’upgrade per la suite! Il forte maltempo ha causato ritardi e cancellazioni all’aeroporto di Sofia, e quindi il suite era già preparata per qualcuno che poi non poteva venire! Una suite ad 89 euro la notte – e molto più comoda della notte in autobus che sarebbe stata prevista! Andiamo a letto eccitati, contenti, felici, ma anche molto stanchi.

13 agosto – Sofia

Inutile dire che dopo una notte come questa, noi dormiamo lungo. La colazione al Hilton è eccellente. Purtroppo piove anche oggi, la prima giornata con brutto tempo delle nostre ferie. Questo (e soprattutto anche un po’ di fortuna che avevo io su EuroBillTracker con una banconota del Kosovo e lui no) causa un po’ di malumore dal mio ragazzo e alla fine usciamo con la pioggia (e un po’ di temporale) per evitare le sue lamentele tipo “ecco che non vediamo niente di Sofia”.

Inutile dire che dopo 10 minuti i miei piedi sono già tutti bagnati – è chiaramente in vantaggio il mio ragazzo con le sue scarpe da trekking. Dopo mezz’ora mi tolgo le calze e quando torniamo in albergo alle 4 i miei piedi hanno sofferto parecchio e hanno addirittura assunto il colore delle scarpe. Nonostante ciò, mi è piaciuto il nostro giro a Sofia.

Ci siamo orientati grazie alla geocache “Tourist guide round Sofia”. Il primo punto da visitare era il palazzo della cultura “NDK” a pochi passi dall’albergo. Architettura imponente che ricorda, come molti posti a Sofia, i tempi sovietici. Statue di guerrieri e strade larghissime non lasciano dubbi sulla vicinanza alla Russia. Poi ci dirigiamo verso la zona pedonale e con qualche detour per geocache lungo la strada arriviamo a una chiesa mezza sotterranea, la chiesa medievale Sveta Petka. La chiesa è bella da vedere e la strada sopra di noi ci protegge dalla pioggia. Ci sono alcuni negozi di souvenir dove compriamo cartoline e magneti. Non abbiamo dei lev, la valuta bulgara, ma molti negozi accettano euro, quindi nessun problema.

La prossima tappa della geocache (che in totale è lunga 5km e ci farà vedere tutto) è una chiesa chiamata “Rotonda Sveti Georgi”. È nascosta dietro un edificio e senza geocaching sicuramente non la scoprivamo. Vediamo l’edificio rotondo solo da fuori, c’è una funzione religiosa quindi non possiamo entrare. Questa chiesa risale ai tempi dei romani ed è considerato l’edificio più vecchio della città.

Il prossimo punto da vedere è sempre una chiesa, stavolta ortodossa. L’edificio è bellissimo sia da fuori che da dentro. Segnatevi la chiesa Sveta Nikolai. Adesso mancano pochi passi e finalmente vediamo la chiesa più famosa della città: La cattedrale di Aleksandr Nevskij. A Belgrado, Serbia, avevamo visto la cattedrale San Sava. Adesso capiamo che è vero: L’ispirazione e l’architettura per San Sava vengono da qui, da Sofia. Le cupole e la geometria si assomigliano molto. San Sava ha rubato il posto della chiesa ortodossa più grande dei Balcani alla cattedrale di Sofia. La cattedrale di Sofia però è attiva e viene usata come chiesa, San Sava invece all’interno è sotto costruzione. Lo spazio qui dentro alla cattedrale di Sofia è enorme e tutti i muri sono dipinti. Personalmente le pareti tutte molto scure non mi piacciono molto ma la visita conviene anche solo per ammirare la grandiosità. Inoltre ci divertiamo ad osservare il custode della chiesa che gira su e giù per la chiesa a ricordare tutti di non fotografare – guarda male già se uno tira solo fuori il cellulare.

Accanto alla cattedrale c’è una chiesa in stile romano, un po’ più piccolina ma sempre con dimensioni notevoli. Facciamo un breve giro anche qui. Sofia è veramente la città giusta per chiunque interessato in chiese!

Interessante anche il pavimento giallo qui in zona della cattedrale. Non sono sassi dipinti gialli, invece sono proprio sassi gialli. Con la pioggia il colore è ancora più intenso – l’unico vantaggio del maltempo di oggi.

Ora la geocache ci porta a vedere i parchi della città. Giriamo su e giù per il Knyazheska Garden per trovare una geocache particolare. Attraversata la strada ci troviamo nel parco enorme “Borissowa gradina”. Inutile dire che la ultima tappa della nostra geocache che ci fa da guida turistica è in fondo al parco a distanza di 1km. Le gambe si fanno sentire ma non abbiamo una scelta. Sotto la pioggia proseguiamo, sempre dritto, passando statue enormi, e in tutto il parco non c’è nessuno. Questo ci fa vedere che i cittadini di Sofia possiedono un buon senso: quello di non uscire quando piove.

Dopo 1km di andata e una ricerca per fortuna coronata di successo ci aspetta un ritorno di 1km, in quanto non capiamo il sistema di autobus e una stazione metro non c’è nelle vicinanze. Arrivati alla stazione metro “Stadium Vasil Levski” capiamo che non c’è una metro diretta per il nostro albergo (fermata “European Union”) ma che dobbiamo salire a Serdica e scendere. A questo punto facciamo prima se andiamo a piedi, quindi un chilometro bonus. E finalmente eccoci! I miei piedi bagnati sono superfelici quando finalmente gli permetto di uscire dalle scarpe…

Ci rilassiamo un po’ e poi ci rechiamo all’Executive Lounge del Hilton per la cena. Lo chiamano “light dinner” ma spesso, per esempio al nostro ultimo viaggio in Australia ad Adelaide, si può mangiare abbastanza per saltare la cena. Qui a Sofia invece il dinner è “light” davvero, quindi dobbiamo decidere per un ristorante.

Attorno alla fermata metro Serdica ci sono alcuni ristoranti quindi facciamo un’altra piccola passeggiata. Ci diciamo che sarebbe una passeggiata tanto per muoversi un po’, ma anche senza parole sappiamo entrambi dove vogliamo arrivare: C’è una geocache interessante che ancora ci manca. Questa geocache ci porta alle fontane di acqua minerale. A pochi passi dalla stazione metro Serdika c’è una piazza piena di fontane. Esce un’acqua molta calda (46°C) che farebbe bene alla salute. Ed è buonissima! Ci sono tante persone che riempiono qui bottiglie e anche contenitori da 5 litri. È uno spettacolo ed è sicuramente da vedere quando uno è in visita a Sofia.

In zona c’è la moschea di Sofia, bella da vedere, ci pare uguale a tutte le altre mosche dei Balcani, quindi ci fermiamo solo a breve. Molto più interessante gli scavi dell’antica città di Serdika. Sofia è un po’ come Roma, appena uno vuole costruire una metro trova qualcosa di antico. La stazione metro Serdika è un museo all’aperto. La esposizione sotterranea è larghissima e sembra nuova, c’e vetro ovunque.

Ceniamo al ristorante “Moma Bulgarian Food & Wine” che sembrava interessante su TripAdvisor. Il posto ci piace molto e valeva la pena aspettare un po’ che si liberasse un tavolo. il personale è gentile. Prendiamo un aperitivo a base di acqua di rose – rose sono tipiche per la Bulgaria e i negozi di souvenir sono pieni di saponi al profumo di rose e cose simili. Mangiamo pure bene anche se mi pento un pochino di aver preso qualcosa visto su Tripadvisor (carne in un cestino di pane) anziché un piatto stagionale.

Purtroppo non abbiamo occasione di provare le capacità del barista del bar nel Hilton, dobbiamo svuotare la bottiglia di vino regalataci dall’albergo – è facile abituarsi all’idea di stare due notti in una suite di Hilton! Quindi concludiamo la giornata guardando TV, prima i mondiali di atletica leggera e poi “Shopping Queen” su un canale tedesco.

Per Sofia riassumo che la mia opinione è mista. Le bellezze da vedere ci sono sicuramente e le chiese sono innumerevoli. Ma c’è qualcosa che mi manca. Non c’è la vita che c’è a Sarajevo, non c’è il vibe di Belgrado. Abbiamo fatto fatica a trovare un cocktail bar. Sofia è come una vecchia signora, bella ma poco spettacolare. Vale sicuramente la pena andarci per un fine settimana.

Consiglierei di prendere l’albergo nella zona attorno alla stazione metro Serdica, dove si incrociano le due linee. Questo non è solo strategico per i mezzi di trasporto, ma anche vicino ai punti di interesse e alla zona pedonale. Il Hilton ci è piaciuto, il posto è un po’ meno strategico ma bastano comunque due fermate con la metro per arrivare a Serdika.

14 agosto – ritorno

Il nostro volo di ritorno è alle 13:00 quindi non c’è tempo per visitare qualcosa oggi. Facciamo colazione con calma, poi prendiamo la metro per andare in aeroporto. La impresa sembra facile: Ci sono solo due linee di metro a Sofia, e dobbiamo cambiare a Serdika. A Serdika scarseggia la segnaletica per trovare l’altra linea, e arrivati al binario giusto, dobbiamo chiedere di nuovo ad altra gente quale treno prendere. Perché? Facile: Il panello che annuncia il prossimo treno indica “Mladost”, il vecchio capolinea. Intanto ci sono due linee dopo Mladost: Una per Sofia Business Park e una per l’aeroporto. Non so quanto sia nuova la linea per Sofia Business Park ma non è indicata da nessuna parte. Senza la signora che ci ha spiegato quale treno prendere (“non questo ma quello dopo”) ci saremmo persi sicuramente!

Anche il trasporto all’aeroporto è organizzato malissimo. La navetta dal Terminal 2 (dov’è la stazione metro) al Terminal 1 (circa 1,5 chilometri quindi difficile a piedi con bagagli) va solo ogni 30 minuti e ha solo circa 20 posti – e attorno a mezzogiorno partivano circa 6 voli, cioè 900 passeggeri circa. Non so come questo sistema può funzionare ma in qualche modo funziona.

C’è tanta gente che aspetta il boarding e siamo felicissimi di aver prenotato il priority boarding per solo pochi euro in più.

E poi… le vacanze sono finite. L’aereo parte verso Norimberga, a bordo noi due e migliaia di ricordi di un viaggio fantastico.

Grazie di aver letto questo diario, se vi è piaciuto o se vi è stato utile, sarei felice se me lo faceste sapere tramite un messaggio! Potete trovare alcune foto del viaggio sul mio instagram account @mrs_schlauchen.



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