BVI e USVI in un solo viaggio: il paradiso

Appunti di Viaggio ed Info sulle Isole Vergini Britanniche ed Americane Il Clima che ho trovato: Durante tutto il periodo ho incontrato solo giornate di sole, spesso pieno, talvolta alternato da piccole nuvole bianche in fuga veloce. Il vento è stato quasi inesistente, meno che brezza, e non ho mai spillato una goccia di sudore, nemmeno...
Scritto da: steverm
Partenza il: 06/08/2007
Ritorno il: 26/08/2007
Viaggiatori: fino a 6
Appunti di Viaggio ed Info sulle Isole Vergini Britanniche ed Americane Il Clima che ho trovato: Durante tutto il periodo ho incontrato solo giornate di sole, spesso pieno, talvolta alternato da piccole nuvole bianche in fuga veloce. Il vento è stato quasi inesistente, meno che brezza, e non ho mai spillato una goccia di sudore, nemmeno durante una moderata attività fisica e questo in Agosto è rarissimo nel resto dell’area Caraibica. I soli giorni che hanno fatto eccezione a questo clima ideale sono stati rappresentati da una mattinata di raffiche di vento seguita da un paio di pomeriggi molto nuvolosi (ma con assenza di vento) corrispondenti al passaggio dell’uragano Dean (cat.5) che ci ha sfiorato con la sua corona più esterna (cioè la parte più calma della depressione tropicale)…Ovviamente questo non ha influito minimamente nelle nostre attività balneari. Gli unici fenomeni di precipitazione si sono limitati a tre o quattro volte di leggerissima pioggia della durata di 10-30 secondi seguita dal sole. La Guida con auto a noleggio: E’ richiesta una età minima di 25 anni; alcune compagnie accettano minori di 25 anni con sovrattassa; la carta di credito è obbligatoria. Come per la maggior parte dei Caraibi di lingua inglese anche alle Isole Vergini la guida è a sinistra, quindi inversa alla nostra. C’è però una ulteriore particolarità: il volante delle auto (a differenza che in Gran Bretagna o in Australia) non è invertito, ma si trova come in Italia nella parte sinistra della vettura a causa dell’importazione dei veicoli provenienti dal continente americano dove, salvo rare eccezioni, si guida tenendo la destra. Questa anomalia è comune anche alle Cayman, alle Bahamas e alle Turks and Caicos. Personalmente mi sono trovato meglio a tenere la sinistra con il volante a sinistra che tenere la sinistra con il volante a destra…In fondo era come percorrere in Italia una strada in corsia di sorpasso oppure in mezzo al traffico su file parallele nella corsia più esterna. Le strade delle isole sono spesso strette e tortuose con pendenze abbastanza importanti, non sempre protette da muretti o guardarail. Le automobili ovviamente sono rigorosamente a marce automatiche; consiglio di affittare un fuoristrada perchè alcune spiagge (soprattutto a Virgin Gorda, un pò come in alcune parti della Sardegna) sono raggiungibili solo con strade sterrate talvolta piene di grandi buche. Nelle Isole Vergini Americane è necessario stipulare anche un permesso di guida locale (viene fatto pagare automaticamente quando si affitta l’auto). Nessuno mi ha chiesto la patente internazionale, è sufficiente quella Italiana. I bambini sino 5 anni devono viaggiare con il seggiolino. Come in tutto il mondo è obbligatoria la cintura di sicurezza ed è spesso ricordato (come anche il fatto di dover mantenere la sinistra) nei cartelli stradali…Salvo poi vedere molte eccezioni (non legali) come fare l’autostop (molto in voga) e salire “al volo” dietro un cassone di un furgoncino o portare un gruppo di turisti stipandoli nel retro un camion da trasporto merci, ecc. Attenzione in tutte le isole agli eventuali dossi di rallentamento (chiamati non a caso “bump”): alcuni sono veramente “violenti”; la quantità maggiore si trova a Virgin Gorda (BVI). Le indicazioni stradali riguardo le località, anche importanti, sono molto scarse, talvolta inesistenti. Indispensabile una mappa. La Moneta: La moneta corrente per tutte le isole Vergini è il dollaro USA. Se questo appare normale per le Vergini Americane può sembrare anomalo per quelle Britanniche. Per queste ultime è stato introdotto ufficialmente nel 1959 per regolarizzare una pratica che era già comune; infatti, molti abitanti delle Isole Vergini Britanniche andavano a lavorare quotidianamente nelle più ricche isole Americane e tornavano quindi a casa con dollari USA che pian piano diventavano la moneta circolante più diffusa; una curiosità: i francobolli delle BVI sono gli unici al mondo a riportare l’effigie della Regina Elisabetta II d’Inghilterra con il valore espresso in centesimi di dollaro USA. Itinerario effettuato: Volo Fiumicino->Atlanta – 1 notte ad Atlanta Volo Atlanta->St.Thomas (USVI) – 5 notti a St.Thomas Car-Ferry St.Thomas->St.John e ritorno. – 1 giorno a St.John. Ferry Boat St.Thomas->St.Jonh + Ferry veloce St.John->Virgin Gorda (BVI) – 13 notti a Virgin Gorda. Ritorno: Ferry veloce Virgin Gorda->Tortòla->St.Thomas (pagamento a Tortòla della tassa di uscita di 10 US$ cash a testa, 5 US$ i bambini) + taxi a St.Thomas da Red Hook all’aeroporto + Volo St.Thomas->New York + Volo New York->Fiumicino e taxi fino a casa (circa 30 ore). Itinerario che consiglierei: Per una serie di cause, quali l’organizzazione del viaggio da me effettuata all’ultimo momento (per cambio meta) e la scarsità di informazioni preventive sicure sulla schedulazione dei traghetti/aerei locali il mio itinerario non è stato ottimale; col senno del “poi” consiglierei di pernottare sulle isole principali utilizzando la sequenza: St.Thomas-St.John-Tortòla-Virgin Gorda tramite i traghetti che da isola ad isola (con l’ordine da me riportato) fanno la spola quotidianamente in circa 20 minuti. Al ritorno invece si può effettuare direttamente Virgin Gorda->St.Thomas in ferry veloce oppure in (mini)aereo o in idrovolante. Attenzione: le schedulazioni presenti in Internet non sempre sono aggiornate e talvolta nella stessa isola può cambiare il porto di imbarco o l’orario, a seconda della stagione, quindi bisogna informarsi bene di persona o per telefono. Rimanendo in tema di consigli, secondo i miei gusti che prediligono i luoghi meno affollati e più incontaminati a scapito dei servizi, locali notturni e compagnia bella, dedicherei un 15% del viaggio a St.Thomas, un 30% a St.John, un 10% a Tortòla ed infine un pieno 45% a Virgin Gorda abbinando eventualmente un’escursione di mezza giornata ad un’isola minore come Jost Van Dyke. Il Viaggio: Finalmente è arrivato il momento di riprendere a viaggiare fuori continente e questa volta la famiglia è aumentata: c’è con noi anche la secondogenita Marika di un anno e mezzo, la peste di casa, che proverà le sue prime emozioni di un lungo viaggio aereo. Il volo verso gli Atlanta (poco più di 11 ore) per fortuna scorre piacevolissimo e comodo, infatti, avendo chiesto la culletta per la piccola (che non ha il suo posto a sedere) senza poterla avere, ci propongono gratuitamente di fare (tutti e quattro) il viaggio in business; Marika per fortuna, dopo aver curiosato e scambiato le nuvole per la neve, si addormenta in terra dove con le coperte le abbiamo creato un giaciglio di fortuna e dove si sveglierà quasi a viaggio concluso, mentre Maeva di 6 anni, oramai autonoma viaggiatrice, si divertirà tutto il tempo con i videogiochi messi a disposizione dalla compagnia aerea. Sbarcati ad Atlanta, dopo una interminabile serie di controlli ridondanti che ci fanno perdere ore, usciamo fuori dall’aeroporto per dirigersi verso l’area “rosa” (pink area) dove si fermano le navette che fanno la spola verso gli hotel; dopo una mezz’oretta sotto un caldo atroce (in quei giorni Atlanta è la città più calda degli States) capisco che l’albergo prenotato non è di quelli più “gettonati” e quindi la sua navetta (che sapevo esistere) arriva solo su chiamata ed infatti grazie ad un grande cartellone sul quale ci sono i pulsanti ed una cornetta corrispondendi ad i vari hotel riesco a chiamare il Ramada Atlanta Airport South e a riuscire nel giro di un’ora ad essere nella stanza. L’hotel, per la cronaca, è uno dei tanti hotel-dormitorio utilizzati dai viaggiatori durante i transiti aerei, un grande palazzone, senza lode e senza infamia privo di servizi (è sera e alla richiesta di una bottiglia d’acqua mi rispondono di bere tranquillamente quella del lavandino in stanza, di mangiare poi non se ne parla !) ma economico. La mattina seguente, quando è ancora buio, ci alziamo, ci rechiamo nella sala colazione dove c’è gratuitamente a disposizione della clientela un pò di tè, caffè, succo e qualche merendina e prendiamo lo shuttle per l’aeroporto per il volo verso St.Thomas, l’isola principale delle Isole Vergini Americane. Le USVI sono politicamente indipendenti ma sono considerate ugualmente formalmente territorio USA quindi non c’è bisogno di far dogana, tant’è che i cittadini statunitensi non neccesitano di passaporto per recarvi. Il volo dura quasi 4 ore. ——————————————————————————– Isole Vergini Americane: Una volta sbarcati prendo possesso dell’automobile che avevo prenotato via internet all’Avis, una comoda Hyundai Sonata con seggiolino per Marika, e mi reco verso l’hotel, il Bolongo Bay Beach Resort. Il Bolongo Bay Beach Resort è una struttura accogliente con buon rapporto prezzo/qualità; infatti pur essendo una costruzione di una certa grandezza con più di sessanta camere tutte vista Oceano, vari parcheggi, un ristorante, una piscina con annesso pool-bar e molti addetti è a gestione famigliare (anche di fatto) con un buon servizio mai invasivo. Al pernottamento è possibile aggiungere la formula “all inclusive” o mezza pensione o nulla dal momento che tutte le stanze sono fornite di un lavello ed un cucinino con fornello o microonde. Quando si pensa ad un “all inclusive” si immagina subito ad un grande e chiassoso villaggio ma qui non è così, il relax ed il silenzio fa da padrone, non esiste per fortuna alcuna forma di animazione, ed il “tutto compreso” si riferisce soprattutto ai fiumi di cocktail a base di rhum oltre che alle aragoste servite la sera nell’elegante ristorante fronte mare. L’Hotel è costruito direttamente sulla spiaggia di Bolongo Bay, non il massimo per essere ai Caraibi, ma senz’altro tra le più belle dove si possa alloggiare a St.Thomas; infatti, lo scorcio panoramico che offre dalla finestra della nostra stanza, unito al leggero brusìo delle onde notturne, mi dona sensazioni piacevolissime; non posso dire altrettanto per lo snorkeling, nonostante la protezione della lontana barriera corallina. C’è chi con la maschera ha avvistato razze e tartarughe ma il fondale è misto roccia e prateria e a causa di alcune correnti stagionali la trasparenza non è ai massimi livelli, ma poco importa in quanto per noi è solo una comoda “base” di partenza per visitare l’isola. L’isola di St.Thomas è la più antropizzata delle Isole Vergini, volendo comprendere oltre che le Isole Vergini Americane anche le Britanniche e quelle che ufficiosamente sono chiamate Isole Vergini Spagnole, cioè delle isolette a largo dell’isola di Portorico alla quale fanno parte. St.Thomas è costruita ovunque e, alle lussuose ville sulle verdi colline con vista sulle migliori baie dell’isola, fanno contrasto le numerose case di legno, quasi baracche, abitate esclusivamente dalla gente meno abbiente della maggioranza nera. Permettetemi di aprire una parentesi sul sociale: alle isole Vergini Americane, si rispecchia un pò lo stereotipo della società americana dove i bianchi (in questo caso solo il 5% degli abitanti) occupano i livelli più alti della società mentre ai neri spetta il resto. Un problema di ancora non totale emancipazione dei neri derivato non solo dal colonialismo ma anche dal puritanesimo dei popoli anglofoni che ha impedito nel passato che la popolazione derivata dagli schiavi africani deportati si fondesse con i bianchi; infatti nelle Isole Vergini non c’è popolazione meticcia ma razza nera pura Africana; altri esempi di colonialismo anglofono sono gli Stati Uniti i cui inglesi non si fusero mai con gli indiani d’America, o gli inglesi d’Australia con gli aborigeni, gli Inglesi d’India e così via. Diverso è stato il colonialismo “latino” che invece non ebbe problemi, per lo meno in una seconda fase, ad amalgamarsi con i locali dando loro, ovviamente con il tempo, una maggiore emancipazione e parità sociale, vedi gli Spagnoli in Messico, i Portoghesi in Brasile ed i Francesi nelle loro colonie dove si può ammirare una razza mulatta-creola bellissima e poco subordinata ai bianchi puri. Ma torniamo a St.Thomas. L’assonanza con gli States si nota solo in tre cose: i grandi SUV, l’abbondanza di ghiaccio ovunque e gli junk-food, ma in altre faccende è diverso: per esempio le carte di credito non sono sempre gradite (non si possono usare nei taxi, nei traghetti, in molti locali o negozi) e la vita scorre con i tipici ritmi lenti Caraibici. Il giorno seguente decido subito di esplorare il litorale dell’isola alla ricerca di mare calmo e cristallino e mappa alla mano mi dirigo verso Coki Beach nella parte nord-orientale della costa, considerata secondo le informazioni in mio possesso, tra le due spiagge più belle dell’isola (l’altra è la Magens Bay). Riguardo muoversi con auto a noleggio nell’isola oltre alla guida a sinistra c’è da prendere in considerazione altri fattori ai fini della prudenza: le strade sono strette e con pendenze (e relativi dossi) da capogiro, i locali sfrecciano con una certa disinvoltura e le indicazioni, anche dei luoghi più frequentati, quasi inesistenti; l’unico modo per limitare gli errori di percorso è stamparsi (o rimediare) una buona mappa stradale e stare attenti negli incroci a seguire i rari cartelli indicanti le “stelline colorate”. Le “stelline colorate” sono un curioso ma efficacie modo di segnare le strade principali: attualmente sono cinque i colori che tingono le “stelle sorridenti con gli occhiali da sole”: il blu va da Red Hook (il minore dei dei due porti) sino a Charlotte Amalie (la capitale, dove c’è il porto principale meta dei crocieristi) passando per l’interno, l’arancione che va da Red Hook sino all’aeroporto passando per la costa oltre che per la capitale, la gialla e la rossa che si arrampicano sulle montagne e la verde, anch’essa montana, che taglia l’isola da Sud a Nord nella parte più stretta unendo la capitale alla famosa spiaggia di Magens Bay. Per le vie minori non resta che andare a naso, sperare che ci sia un piccolo cartello che indichi il numero della strada o chiedere informazioni. Imboccata quindi la stella gialla e poi quella blu giro in una traversa che tutto mi fa pensare fuorchè di essere la strada che porta a due grandi attrazioni dell’isola, la spiaggia appunto di Coki e il Coral World di cui parlerò più avanti. La strada di campagna corre stretta lungo case malridotte e gruppi di giovani seduti ai lati della strada che ci fissano insistentemente, devo ammettere che in un primo momento non mi danno la percezione di essere in un luogo sicuro ma probabilmente mi sbaglio. Arrivati alla fine della strada un simpatico giovane ci accoglie e ci indirizza a parcheggiare: meno male che è presto perchè non vedo molti parcheggi, anzi non ne vedo affatto ! Pensando ad un parcheggiatore, abituato come sono a Roma, le lascio una mancia, ma lui ci fa subito capire che è una specie di rappresentate improvvisato della Coki Beach e che il suo compito è illustrare i servizi per procurare i clienti ai vari esercizi balneari: intanto prendiamo un ombrellone enorme: 10 dollari per un’intera giornata, non male. Sono quasi le 9.00 e la spiaggia bianchissima pare deserta e il mare assolutamente invitante con la sua quiete, calda temperatura e trasparenza. Ai bordi dell’arenile oltre a qualche palma da cocco scorgo una serie di locali, alcuni con patii di legno dove mangiare, altri ricavati da vecchi furgoni dove si ordina da bere o qualche piccolo spuntino, altri ancora vendono a affittano qualcosa…Ancora c’è silenzio. Nel giro però di un’oretta la faccenda lentamente cambia: tutti i locali aprono, enormi taxi collettivi sbarcano comitive di turisti, nell’aria di diffonde un odore intenso di fritti, il reggae, vero ritmo dell’isola insieme al calipso, risuona forte ed interrotto e una decina di rasta, sia uomini che donne, dalla caratteristche treccine incappucciare dal tipico cappello, pattugliano la spiaggia con il vassoio in mano alla ricerca di una prenotazione di una birra o di un piatto di “fish and chips”; altri locali chiedono ai turisti sdraiati se vogliono qualcosa: dalla bandana alle moto d’acqua, dalle treccine al corso di sub, dalla collanina alla camicia “caraibica”: decidiamo per 10 dollari di accontentare Maeva sulle treccine per i suoi lunghi capelli. I turisti sono tutti americani (tra l’altro nei sei giorni di permanenza nelle Isole Vergini Americane non ho mai sentito parlare Italiano …Un vero record !) e sono abbondanti (sia di numero che di stazza)…Ma non è bassa stagione in Agosto ? eppure i prezzi degli alloggi sono più bassi che in altri periodi ! Tutto questo dovrebbe darmi fastidio per i miei “canonici” gusti balneari ma poi guardandomi intorno e lasciando andare libera la mente di scorrazzare dove vanno i sensi fisici, anestetizzato da un “Jamming” lento e lunghissimo di Bob Marley memoria, alla vista di tante Piña Colada ghiacciate e all’olezzo di patatine fritte misto ad una “Ganja” di passaggio tra le dita di un ragazzo mi ritrovo a ciondolare involontariamente la testa al ritmo reggae come non mi accadeva da molti anni col sorriso sulle labbra: ho colto il senso Caraibico della località ? non una spiaggia incontaminata ma comunque una piacevole e tipica spiaggia Caraibica in stile Giamaicano con localini, attività in fermento e tanta, tanta musica ed allegria ! Destato dall’intontimento da Maria e Maeva che tornavano dalle “treccine” decido di mettere maschera e pinne in quanto Coki Bay è considerata la località migliore per lo snorkeling tanto è che ad un centinaio di metri è stato costruito un osservatorio subacqueo abbinato al Coral World nel quale si può scendere con una scala a chiocciola in una sala a vetri con vista sul reef. In realtà anche se i pesci tropicali sono tutti presenti insieme a qualche sporadico corallo non sbiancato (soprattutto in direzione dell’osservatorio) lo snorkeling è comunque mediocre, con fondali poco appassionanti e la maggior parte dei grandi branchi di pesci ha disertato il modesto reef per un più “conveniente” signore che per attirare i turisti entra in acqua con una retina allacciata in vita colma di mangime in stick: ne approfitto per fare il “battesimo” a Maeva al suo primo snorkeling tropicale: il mare è comunque cristallino ! A pranzo leviamo le tende e torniamo in hotel per cambiarci e recarci nel vicino locale raggiungibile via spiaggia, l’Iggies Beach Bar & Grill, un tipico bar caraibico (chiuso in Settembre) costruito sulla spiaggia con un grande patìo coperto di legno ed alcuni tavolini e panche poste direttamente sulla spiaggia dove poter mangiare in un ambiente molto casual (persino in costume) a prezzi moderati qualche piatto locale o semplicemente un birrone ghiacciato, magari una Domenicana “Presidente” accompagnata da un piatto di patatine fritte o ancora uno dei tanti cocktail a base di rhum. Sarà questo il locale con il quale faremo la maggior parte dei nostri pasti sia per la vista sulla baia di Bolongo, sia per le mitiche “zampe di granchio” (buonissime e polpose), sia per gli spettacoli di intrattenimento notturni sempre coinvolgenti ai quale partecipavano sia clienti del bar che locali desiderosi di passare una serata in allegria. La sera infatti torniamo perchè nei loro programmi c’è una versione limitata dei tipici Carnevali estivi che in questi mesi è possibile ammirare in alcune isole Caraibiche (a questo proposito in quei giorni si svolge una grande manifestazione Carnevalesca a Tortòla alle Isole Vergini Britanniche alla quale purtroppo per un pelo non potremo partecipare): musica reggae a go, go, danze ed esibizioni con fuochi in spiaggia, giocolieri, saltimbanchi in un clima veramente famigliare e brioso con scherzi, coinvolgimenti del pubblico fino alle maschere carnevalesche con le quali possono ballare anche le mie figlie…Ed ancora musica, birra, brezza di mare e risate ! Il mattino seguente, un pò intorpiditi dal sonno, prendiamo l’auto e, stando attenti a non investire le iguana, onnipresenti nelle strade, nella spiagge, in piscina, al bar, ecc.Ecc. Più abbondanti che i gatti al Colosseo, torniamo a Coky Bay per visitare il Coral World. Dovrei avere i biglietti omaggio in quanto, in occasione del 90° anniversario dell’acquisto delle Isole vergini Americane da parte degli USA, mi spetta una serie di facilitazioni, sconti, e omaggi concesse a tutti i turisti che hanno deciso di soggiornare nella bassa stagione, ma qualcosa non è andato nel verso giusto e quindi prendo la mia carta di credito e pago. Il Coral World è un parco piacevole per passare una mezza giornata piena. La grande attrattiva è l’osservatorio marino nel quale scendendo una scala a chiocciola è possibile: al primo livello sotterraneo ammirare una enorme vasca circolare con grandi razze, squali, carangidi ed altri pesci attraverso delle enormi vetrate, mentre al secondo livello spiare direttamente la vita del reef tramite dei finestroni che si affacciano direttamente sotto la superficie del mare a circa cinque metri di profondità. Alcune attività marine (non comprese nel prezzo) sono abbinate e prenotabili al Coral World come vedere il reef camminando in mare con dei caschi appoggiati sulle spalle nei quali viene pompata dalla superficie aria compressa oppure stando comodamente seduti all’interno di un sottomarino. Per quanto riguarda la parte “terrestre” della struttura si possono vedere una serie di acquari marini tropicali di varie dimensioni con spiegazioni e filmati ed una serie di vasconi esterni con squali, razze, barracuda, tartarughe ed una gabbia di pappagalli con attività didattiche per ragazzi come brevi lezioni di biologia marina nelle quali è incluso l’assistere al pasto dei vari animali e poter accarezzare (come farà Maeva) la superficie di uno squalo nutrice o di una stella marina. Il pomeriggio lo passiamo in spiaggia alla Bolongo Bay e la sera prenoto al ristorante all’interno del resort, il Lobster Grille, un’ intima e romantica terrazza affacciata sul mare, in un ambiente più formale, dove poter assaporare una cucina raffinata a base soprattutto di aragoste ma anche di morbida carne e specialità locali ed internazionali. Il giorno dopo ci alziamo, come sempre, all’alba e saltando la colazione decidiamo di andare a visitare l’isola di St.John dove ci sono le spiagge più belle delle Isole Vergini Americane. Con me ho una serie di orari stampati su internet che pare siano concordi con l’affermare che verso le otto ci sia un traghetto (car-ferry) che può trasportare degli autoveicoli in meno di una mezz’oretta. Apro un’altra parentesi: questa volta sui traghetti delle Isole Vergini sia Americane che Britanniche. I traghetti sono la cosa più fumosa ed aleatoria che ci sia. Prima di decidere di affrontare questo viaggio avevo mandato delle email ad alcuni tour operator italiani per sapere come avrei potuto organizzare un itinerario utilizzando i mezzi marittimi; le poche risposte erano state tutte negative, anche chi ammetteva l’esistenza di traghetti mi consigliava, come da pacchetti preconfezionati, di prendere uno dei piccoli aerei ad elica delle compagnie locali, ma questi, oltre ad essere radi, oltre ad ammettere un bagaglio di peso limitato (io con due bimbe piccole non viaggio proprio “scarico”, leggi: passeggino, pappe e pannolini) portavano via molto più tempo in “attese aeroportuali” che l’intero tragitto via mare. Un’agenzia poi mi aveva risposto che non c’erano problemi ad andare “al buio”, tanto i traghetti sarebbero stati “giornalieri” (cosa non vera per tutti i percorsi). Allora avevo cercato le varie schedulazioni (con e senza auto) su internet ma alcune volte gli orari si discostavano, altre volte erano vecchi di più di dieci anni, talvolta le compagnie avevano cambiato nome ed inoltre porti ed orari variavano in base ai giorni e alle stagioni. Tranne Speedy’s (che ad esempio effettua la tratta St.Thomas-Virgin Gorda) tutte le compagnie marittime non hanno (a tutt’oggi anno 2007) un sito internet, nè un’ email per poterle contattare e al telefono (ma anche di persona) non si prodigano nel farsi capire nel loro “dialetto” inglese. Ma c’è di più: nemmeno chi ci abita ne sa molto; ricordo che prenotando via internet un’auto a noleggio mi hanno chiesto l’orario ed il mezzo di trasporto di arrivo nell’isola e quando ho fornito gli estremi del traghetto mi sono visto rispondere che a loro non risultava in quel giorno alcun collegamento marittimo; nonostante la risposta ho mandato avanti la prenotazione e per fortuna avevano torto. Lo stesso rischio l’ho dovuto correre (e per fortuna è andata bene) quando ho prenotato i pernottamenti: alcuni collegamenti ci sono solo due volte alla settimana ed un errore di “giorno” avrebbe mandato a monte il progetto. Anche altre informazioni sono fumose: su internet c’è scritto che le carte di credito sono accettate da tutte le compagnie (tranne sulle tratte verso l’isola di Jost Van Dyke), addirittura a St. John il baracchino della dogana, dove si facevano anche i biglietti per Virgin Gorda, aveva il simbolo della VISA, addirittura sul traghetto mi è stato detto da un inserviente che non c’erano problemi, niente di più falso: nelle cinque traversate da me effettuate ho potuto pagare solo cash !!! Il massimo poi è stato quando ho chiesto ad alcuni addetti, all’interno di un paio di traghetti in partenza, se la traversata fosse diretta o con cambio di natante o con porto di sbarco intermedio e mi sono sentito rispondere in maniera opposta alla realtà 😉 L’unica cosa su cui tutti concordano: non è possibile prenotare, uno si presenta e finchè c’è posto si sale a bordo ! Chiusa parentesi: siamo ai Caraibi! Con l’auto a noleggio parcheggiamo di fronte al molo di Red Hook dove “voci di corridoio” (assolutamente nessuna indicazione, nè sportello informazioni/biglietteria) dicono che partirà un traghetto per St.John ed infatti dopo pochi minuti si affiancano anche altri mezzi: un enorme camion arrugginito della nettezza urbana (che non spegnerà mai il suo fumoso motore, nemmeno durante la traversata), un furgone della posta, dei porta container ed altri autocarri commerciali. Una vecchia carretta si avvicina al molo e fa segno di imbarcarci entrando in retromarcia; un ragazzo dirige le operazioni riuscendo a stiparci come sardine: tra un mezzo ed un altro ci passa al massimo un mano e noi “piccolini” in mezzo a tanti “bestioni”, impossibilitati ad aprire uno sportello (ma anche il finestrino visto la puzza emanata dal motore del vecchio autocarro) per un attimo abbiamo come un senso di claustrofobia. La situazione non migliora quando si parte, il mare è mosso, ed i camion (ma anche noi) oscillano paurosamente con le onde del mare che, scavalcando il portellone, ricadono sui parabrezza e serve quindi l’intervento dei tergicristalli…Dal basso della nostra autovettura non riusciamo a vedere nemmeno il cielo e mia moglie incomincia ad avere un pò di nausea placata parzialmente da una pastiglia di Travelgum. Non so come abbia fatto a passare ma improvvisamente una corpulenta signora bussa sul finestrino: è la bigliettaia che mi chiede se viaggio “one-way” o “around trip”: sfilo dal portafoglio 50 dollari per un’andata e ritorno. Arrivati a St. John il paesaggio cambia: davanti a me un’isola verdissima poco abitata; a parte il piccolo e caotico centro abitato di Cruz Bay, il resto è formato da una foresta secca tropicale tappezzata da un sottobosco di Sanseveria che arriva sino al mare, dove spiagge bianchissime racchiuse da rocce e cactus lambiscono un mare azzurro protetto dalle barriere coralline. L’isola è un piccolo santuario della natura, un vero paradiso quasi interamente Parco Nazionale (e sito Unesco) dalla fine degli anni cinquanta grazie all’interessamento del magnate Rockfeller che all’epoca possedeva la maggior parte del territorio. Purtroppo non ho avuto il piacere di soggiornarvi ma ho visto varie guest-house e piccole strutture nei pressi della capitale, per fortuna nulla di turisticamente esagerato che facesse ricordare St.Thomas ! Con in mano la mia cartina stampata su internet decido di puntare verso un “must” delle spiagge: Trunk Bay. Arriviamo prima delle 9.00 e sono il primo a parcheggiare nello spazio asfaltato a poche decine di metri dalla spiaggia. Scopro che nella boscaglia c’è anche un punto di ristoro, dei bagni e una cassa dove si dovrebbe pagare un biglietto ma è tutto chiuso. Accomodiamo i teli mare gli zaini all’ombra di una delle tante piante tropicali (soprattutto la Coccoloba uvifera) che meglio di un ombrellone riparano egregiamente dal sole (ma potrebbero riparare anche da un acquazzone) e preparo l’attrezzatura da snorkeling. La spiaggia di sabbia corallina, orlata di piante, anche cocchi, affollata di gabbiani e pellicani, è uno spettacolo; di fronte a noi a poche decine di metri da riva si erge un’isoletta: il Trunk Cay. Non c’è nessuno e le mie figlie possono correre all’impazzata allontanandosi di molto senza perderle di vista; sul lato est la baia finisce in una scogliera piena di “cactus a canne d’organo”. Poi all’improvviso, dopo una mezz’oretta, dalla boscaglia incomincia a provenire un olezzo di fritto, di fish & chips… Il bar apre, la cassa pure (ma noi che siamo entrati presto non abbiamo pagato), un bagnino con il suo binocolo prende posto nella sua altana ed arriva anche il primo taxi collettivo che sbarca una manciata di turisti americani: per fortuna sono pochi e sparpagliati nella lunga spiaggia si diluiscono di molto. Lo snorkeling in questa baia immobile come un lago e trasparente come un cristallo di acquamarina è abbastanza buono soprattutto in direzione dell’isola dove addirittura hanno messo dei cartelli subacquei con le informazioni sulla fauna marina. Poichè il Cay è il punto di aggregazione per tutti i snorkellisti, decido di allontanarmi dall’isoletta per seguire il profilo della scogliera orientale: anche qui è un tripudio di pesci con banchi fittissimi di novellame seguito dai vari predatori e coloratissime gorgonie. Nel pomeriggio decidiamo di cambiare spiaggia e recarci nella vicina Hawksnest Bay. Anche questa spiaggia (non a pagamento) possiede un comodo parcheggio e qualche piccolo servizio, ma per il resto è abbastanza deserta (anche perchè chi va a St.John punta sulla più nota precedente Trunk Bay) ed i fondali a largo persino più belli. Dopo un lungo snorkeling mi godo un pò di ombra sotto il solito arbusto-ombrellone e nel secondo pomeriggio decidiamo di muoverci: “pare” che l’ultimo car-ferry per tornare a St. Thomas ci sia verso le 18-18,30 ! Per chi viaggia senza “passeggini” a seguito, consiglio un non impegnativo trekking nella parte Sud di St.John (magari accompagnati da un ranger locale) con il quale è possibile raggiungere le deserte spiagge di Reef Bay e i petroglifici (all’interno dell’isola), unica testimonianza rimasta dei nativi delle Isole Vergini. Trovare il punto di imbarco non è facile: la caotica cittadina di Cruz Bay è un dedalo di stradine strette e trafficate dove si concentrano tutte le attività come i localini dell’isola ed i vari moli dedicati ai ferry passeggeri. Le case, coloratissime, rispecchiano i villaggi rurali danesi e sono sono abbarbicate nelle colline antistanti il porto; le vie, prive di qualsiasi indicazione, mi rendono difficile trovare dove devo imbarcarmi con l’auto. Anche le informazioni chieste, complicate dai tanti incroci e dai sensi unici, mi sono di scarso aiuto e mi fanno girare più volte intorno alle vie principali senza uscirne fuori finchè dopo una quarantina di minuti scopro che un anonimo cancello nella periferia dell’agglomerato urbano, un cancello desolato senza alcuna insegna è l’entrata al molo dei car-ferry. Di fronte a me c’è un vecchio traghetto battente “bandiera nera dei pirati con tanto di teschio” che sta imbarcando un autotreno, esibisco ad una signora il biglietto ma mi fa cenno che non è la mia compagnìa di navigazione e capisco che devo aspettare la successiva imbarcazione ed infatti dopo qualche minuto ne arriva un’altra sulla quale saliamo finalmente a bordo. L’ultimo giorno pieno a St.Thomas è dedicato alla spiaggia più famosa dell’isola: Magens Bay, nella costa Nord, seguita da un giro della caotica capitale: Charlotte Amalie. Magens Bay deve la sua fama in quanto considerata dal National Geographic tra le dieci più belle spiagge del mondo. La spiaggia è indubbiamente bellina ma non so se sia vero quello che si legge sulle guide e sul sito dell’ufficio turistico riguardo la valutazione data dall’insigne istituto: per esperienza personale, anche rimanendo nell’ambito di quanto visto in questo viaggio, mi sembra decisamente un’esagerazione e anche molto, molto grande ! …Ma questa rimane solo la mia opinione. Per raggiungere la Magens Bay bisogna da Charlotte Amalie prendere la stradina “stellina verde” che si arrampica sulla montagna; lungo il percorso ci sono dei punti panoramici, il più spettacolare dei quali è Drake’s Seat dal quale si ha visione totale dall’alto della famosa spiaggia. Drake’s Seat è anche il punto (praticamente una panchina sulla cima dell’isola) dove la leggenda narra che il navigatore e corsaro Sir Francis Drake si sedeva a contare le navi della sua flotta e a dirigere gli scontri navali. Arriviamo non prestissimo a Magens Bay e quindi paghiamo il biglietto: pochi spiccioli ma in compenso ci sono servizi come bagni, pulizia spiaggia e baywatch: all’entrata c’è anche un rasta che apre col macete una catasta di cocchi pronti da “bere”, parcheggiamo e ci troviamo un posticino all’ombra della solita pianta in spiaggia. La gente non è poca (niente a confronto di una spiaggia Italiana in Agosto, s’intende !) ma immagino cosa possa essere d’inverno durante l’alta stagione; alcuni locali piazzano in spiaggia una decina di lettini mentre dal retro piaggia incomincia a sentirsi il noto odore di fish & chips. La spiaggia è tipicamente tropicale, con sabbia bianca corallina e palme da cocco come contorno, con un mare azzurro e sempre calmo che degrada velocemente; alcune boe delimitano la zona balneabile oltre la quale non si può andare per motivi di sicurezza nemmeno con il materassino a meno di non aver noleggiato una canoa, vietati i mezzi a motore. Il fondale è totalmente sabbioso ed i banchi di piccoli avannotti che transitano sulla baia, sono decimati da flotte di grandi cormorani che come missili si tuffano in acqua anche a pochi centimetri dai bagnanti: uno spettacolo veramente curioso da osservare …Confidando ovviamente nella loro buona “mira” ! 🙂 Nel pomeriggio facciamo un giro della città, non ci sono particolari attrazioni storiche, le classiche mete sono il castello di Barbanera raggiungibile dopo una scalinata di 103 gradini (ma al momento non visitabile) e la funivia che raggiunge uno dei punti più alti della città. Parcheggiando l’auto appena fuori dal porto si possono vedere le colossali navi da crociera da dove sbarcano orde di turisti a caccia dell’affare: i crocieristi vengono infatti avvicinati dai locali che li portano lungo Main Street, una via zeppa di lussuose oreficerie duty-free, una accanto l’altra; in realtà non c’è nessun buon affare da realizzare: effettivamente non c’è tassazione, ma i prezzi possono risultare gonfiati e l’affare, caso mai, lo fa l’orefice ! L’unica meta degna da curiosare è un mercatino sul lungomare sulle cui bancarelle vengono venduti oggettini di artigianato locale e abbigliamento: in primis le famose bandane molto utilizzate alle Isole Vergini al posto dei cappelli e le classiche camicie a motivi floreali …Contrattando un minimo si compra a prezzi buoni. Prima che faccia sera ci rechiamo a Red Hook per verificare che l’indomani “esista” il traghetto che ci porterà alle Isole Vergini Britanniche e ritiro con la carta di credito in un ATM (bancomat), attiguo ad un grande supermercato, 200 dollari perchè ho finito il contanti, le banche sono chiuse e tra taxi e mance è meglio non rimanere a secco; il traghetto, abbastanza costoso visto la lunga tratta, pare sia pagabile con la carta di credito anche se mi fido poco dell’informazione. Il giorno dopo, racimulate le nostre cose, prendiamo di buon mattino il taxi che avevamo prenotato il giorno prima. Lungo il percorso ho un pò di paura che non possa bastare il contante in caso non fosse vero che il traghetto sia pagabile con la carta e quindi prego l’autista di fermarsi presso un ATM. Qui scopro una fatto che ignoravo: il limite giornaliero di prelievo contanti con la mia CartaSì è di 200 dollari (circa 170 euro) e poichè non sono passate 24 ore dall’ultimo prelievo l’operazione mi viene rifiutata: sono un pò preoccupato. Arrivati al molo d’imbarco, pago i 40 dollari di taxi + 5 di mancia e chiedo dove sia l’imbarcazione per Virgin Gorda: nessuno lo sa, non lo sa l’addetta alla biglietteria, non lo sanno i portuali, non lo sa nessuno !… Normale amministrazione, oramai ci sono abituato… Dopo un quarto d’ora di girovagare chiedo ad un rasta con la maglietta nera e la scritta “security” e lui mi indica una barchetta scalcinata che si sta avvicinando: non ci crederò finchè non ci salirò a bordo ! Ma come è possibile che una barca tanto piccola sia stata adibita ad un percorso di un’ora e mezza quando altre tratte molto più brevi hanno carrette di maggiori dimensioni ? Imbarchiamo i nostri bagagli accatastandoli in una pila in precario equilibrio all’esterno e ci sediamo sulle panche. Un inserviente ci consegna i cinque moduli dell’immigrazione da compilare (uno per famiglia + 4 per ogni famigliare) e approfitto per chiedergli informazioni sulla traversata: mi risponde che sarà diretta senza scali intermedi sino a Virgin Gorda e che potrò pagare con la carta di credito… Ovviamente sarà tutto l’inverso: avrà uno scalo intermedio con addirittura cambio di imbarcazione e potrò pagare solo in contanti: circa 150 dollari che per fortuna avrò. Appena usciamo dal porto il piccolo e vecchio ferry scatena un’insospettabile potenza, fila a tutta birra che è una bellezza con un rombo assordante; non è possibile però stare all’esterno, tira un vento fortissimo (per la velocità) e non riesco a tenere aperti i passaporti per prendere i dati per compilare i moduli, inoltre gli spruzzi del mare mi impediscono di scrivere… Decidiamo quindi di occupare i pochi posti disponibili sottocoperta appena dietro il comandante, nella parte anteriore dell’imbarcazione. L’equipaggio è formato dal comandante, un corpulento signore di colore che si definisce il miglior “comandante” delle Isole Vergini 🙂 con una mano fissa sul timone ed un’altra sul microfono con il quale elargisce informazioni sulla traversata ed il suo secondo, un molleggiatissimo Rasta dalle lunghe treccine contenute nel tipico cappello colorato, occhiali scuri, denti d’oro (molto di moda tra la popolazione), gilè, scarponi, barbetta e collanina con teca di vetro con all’interno una foglia di marijuana. Appena superata una piccola isoletta-faro di sabbia e cocchi s’incomincia a ballare: il mare è pò mosso, la velocità è notevole e noi ci troviamo anteriormente, quindi ogni onda presa è un sobbalzo di almeno mezzo metro dalla panca ! Accanto a me una donna-cannone americana presa dal nervosismo apre pacchi di biscotti come fossero caramelle offrendole anche alle mie piccole, Maria è molto spaventata, direi atterrita, io sono tranquillo perchè non c’è nulla di pericoloso e anzi per tranquillizzare le mie cucciole interdette dall’espressione della mamma, rido, canto e intraprendo con loro un giochino basato proprio su tutti quei sobbalzi…Alla fine per loro sarà uno spasso anche quando un’onda anomala ci farà saltare veramente molto (ancora sento doloranti le parti basse) facendo cadere al capitano il microfono di mano e provocando l’ilarità del Rasta che per rassicurare Maria le dona uno splendido sorriso sfoggiando il piccolo teschio piratesco smaltato dipinto sul dente d’oro ! Dopo una ventina di minuti entriamo a Cruz Bay nel porto di St.John, ci invitano a scendere e a recarsi presso una struttura in legno: è la dogana alla quale esibisco i miei quattro passaporti e pago il biglietto… Ovviamente in contanti, nonostante l’adesivo della Visa/Mastercard affisso (mi rispondono che non c’è linea telefonica !); poi ci invitano a salire in una più grande imbarcazione con la quale in un’oretta raggiungiamo The Valley, il “dock” di Spanish Town a Virgin Gorda. ——————————————————————————– Isole Vergini Britanniche: Giunti alle Isole Vergini Britanniche passo la nuova dogana (se così si può chiamare una signora che gentilmente controlla i passaporti e ritira i moduli dell’immigrazione) e salgo su un furgoncino che ha l’insegna del noleggiatore d’automobili (Speedy’s, la stessa società che possiede anche alcuni traghetti) che ho contattato via internet. Il furgoncino mi scorta nel vicino “rent a car” dove prendo possesso di una Suzuki Grand Vitara prenotata via internet con il seggiolino per Marika; il fuoristrada è indispensabile per muoversi sull’isola in quanto non tutte le strade sono asfaltate e tra buche naturali e dossi artificiali (i “bump”) una berlina avrebbe senz’altro una vita breve :-). Con la cartina stradale alla mano (ricevuta via posta ordinaria in Italia insieme ad altro materiale direttamente dall’ufficio turistico) mi dirigo verso la nostro nuovo alloggio, un appartamento presso il Mango Bay Resort nella Mahoe Bay. Mi ci vuole poco a capire che mi trovo in un mondo completamente diverso rispetto St.Thomas. Subito noto un atteggiamento diverso dei locali, ho l’impressione che siano più gentili, più disponibili ma forse sono solo più allegri; anche l’aspetto è diverso: la maggior parte ha un fisico asciutto che si contrappone all’alta numero di obesi che avevo notato alle Isole Vergini Americane. Anche il tenore di vita sembra migliore, non ci sono giovani buttati in terra nelle strade o automobili sgangherate e anche quando si entrerò nei giorni seguenti nell’unico negozio di souvenir nessuno tenterà di incollarsi per cercare di vendermi qualcosa e neppure vedrò mai ambulanti nelle strade o nelle spiagge… Ma forse è solo un’impressione, forse c’è semplicemente meno gente in giro ! Prima di finire il mio viaggio manifesterò queste impressioni ad un paio di abitanti occidentali da molti anni nell’isola e questi mi confermeranno la sensazione: alle isole Vergini Britanniche, a differenza di altre nazioni dell’area, i neri posseggono tutti un’attività propria e non sono subordinati alle attività dei bianchi, per altro rari, quindi sono tutti molto soddisfatti della propria vita sociale senza diffidenze o pregiudizi; inoltre gli abitanti delle Isole Vergini Britanniche hanno il più alto reddito pro-capite di tutti i Caraibi e questo ne fa un paradiso anche dal lato della criminalità praticamente inesistente, paradiso per niente rovinato dai Casinò e dei grandi resort, un paradiso ben conservato a misura d’uomo dove l’unico vero padrone è la natura. Il tenore di vita, pur senza gli eccessi e gli status simbol occidentali, è talmente buono che la nazione può permettersi di accogliere dalle nazioni più povere Caraibiche immigrati per svolgere i lavori di minor lega come cameriere, collaboratrice domestica, muratore, ecc. Gli immigrati provengono soprattutto dalla Repubblica Domenicana (e questo spiega in parte il perchè sull’isola è abbastanza diffuso lo spagnolo) ma anche da altri paesi e sono ben pagati; tanto per dirne una, la signora che si occupava delle pulizie del nostro appartamento emigrata da Santa Lucia, aveva la baby-sitter che le teneva il figlio durante le ore di lavoro ! Nessuno poi si da da fare a spillare soldi ai turisti o vendere a tutti i costi qualche servizio: “i soldi in queste isole vengono da soli, con facilità e senza bisogno di affannarsi” almeno secondo l’opinione del mio interlocutore ! Ma torniamo a noi che ci dirigiamo verso il resort. La strada principale asfaltata e abbastanza ampia offre scorci di incomparabile bellezza: spiagge deserte bianchissime che subito rapiscono l’anima e… Non sono neppure le più belle dell’isola !; lungo la strada gli unici esseri che incrocio sono gruppi di capre a spasso; noto che la vegetazione è meno rigogliosa e verde che a alle Isole vergini Americane e sono più numerosi i cactus a canne d’organo: segno il clima a Virgin Gorda è poco piovoso. Poi ,dopo una decina di minuti, incrocio una strada sterrata piuttosto malconcia: è il bivio per il Mango Bay Resort, da questa strada ammiro la mezzaluna bianca della spiaggia di Pond Bay seguita dalla Savannah Bay e capisco già che di aver fatto molto bene a fermarmi due settimane per poter vivere la vera esperienza Caraibica, non quella delle mondanità dorate, non quella della confusione ma quella della natura incontaminata, quella del relax, quella dell’amaca e della palma, quella dei suoni del creato, quella dell’alzarsi all’aurora e del ritirarsi poco dopo il tramonto, quella del sole e del sale ! Dopo qualche centinaio di metri mi fermo davanti l’ufficio della direzione del resort dove finalmente conosco Gino, il responsabile della struttura, con il quale da settimane colloquiavo via email in inglese… E con mia grande meraviglia: parla correttamente l’Italiano ! Gino, simpaticissimo e disponibilissimo come il suo ruolo impone, è peruviano ma conosce perfettamente la nostra lingua in quanto ha lavorato insieme alla moglie per molto tempo con Italiani. Parlando del più e del meno vengo a sapere che anche il Mango Bay Resort è stato progettato da Italiani e anche i proprietari lo sono, anche se in questo momento sono in Italia in quanto è bassa stagione. Scoprirò pian piano che Virgin Gorda è quasi un “feudo” italiano (anche se i padroni sono tutti in patria in ferie): infatti accanto al Mango Bay Resort c’è un raffinato ristorante Italiano (Giorgio’s Table), ma è chiuso e Giorgio è a Firenze, al Rock Cafè si serve cucina locale e piatti Italiani perchè il proprietario (assente) è italiano e anche alcuni arredamenti della nostra casa provengono dall’Italia e ancora nel supermarket principale il latte è esclusivamente Parmalat, ma anche la passata di pomodori (Pomì), i salumi (Parmacotto), la pasta (Barilla); persino alcune esclusive ville private sono di proprietari Italiani che l’affittano ai vip durante l’alta stagione; e di vip quest’isola ne vede tanti, tutti coloro che alle mondanità in stile “Costa Smeralda” preferiscono la discrezione, la pace e la privacy che offre il posto, la possibilità di fare una vita quasi da “comune mortale” lontani dai paparazzi, dai fans, dagli autografi e con qualche guardia del corpo in meno; mi raccontano che Virgin Gorda sono meta di personaggi come Donatella Versace, Tom Cruise e Steven Spielberg, ma leggo, facendo una ricerca per curiosità su Internet appena tornato, anche Robert De Niro, Harrison Ford e Michael Jackson. Nonostante tutto questo la vita scorre con ritmi lenti a misura d’ Homus Caraibicus e la semplicità e la moderatezza governa l’isola. Il Mango Bay Resort è un complesso di una manciata di ville ed appartamenti in villette bifamigliari e/o a due piani con tagli diversi a seconda delle esigenze; alcune sono direttamente sul mare, altre, più economiche (la mia è costata circa 120 euro al giorno, anno 2007), si trovano nel retro, immerse in un favoloso giardino tropicale ricco di piante ad alto e basso fusto come Ficus e Palme da Cocco, Cactus e moltissimi fiori: dalle enormi chiome dei Flamboyant rosso sangue agli Hibiscus visitati di tanto in tanto da qualche piccolo Colibrì . Quando dico “nel retro” intendo comunque ad una cinquantina di metri dal mare !!! E’ prevista la sola formula di pernottamento in quanto non è nè un hotel, nè un resort vero e proprio: quindi è privo di servizi, tranne quelli di pulizia, non c’è un bar e non c’è uno staff: solo pura pace ! Pace ancora più accentuata dalla bassa stagione tanto che in alcuni giorni saremo gli unici “abitanti” del piccolo comprensorio ! (che chiuderà in Settembre per manutenzione straordinaria). Ovviamente è obbligatorio avere un’automobile per poter scendere in paese a fare rifornimento di cibarie da cucinare nell’ampia cucina. La casa è dotata di ogni confort e sicurezze, dal condizionatore in stanza da letto ai ventilatori a pale, da un enorme frigo tipo americano alla dotazione di stoviglie, dall’estintore alle luci di emergenza. Il nostro appartamento (One Bedroom Garden view Suite, grande all’incirca come casa mia 😉 ) è uno dei più “piccoli” ad eccezione di quelli al secondo piano con cucina esterna sul balcone, ed è formato da una camera da letto (comprensiva di culletta da campeggio) con un suggestivo soffitto mansardato di legno, un ampio bagno con doccia e vasca ed un salone con cucina annessa di proporzioni generose corredato di due divani letto e tv satellitare. All’esterno, oltre una seconda doccia mai fredda e la vaschetta per sciacquarsi i piedi dalla sabbia, c’è un ampio patìo coperto dove poter mangiare su un ampio tavolo di legno, rilassarsi su dei lettini in cuoio e vimini oppure semplicemente cuocere una branzino nel barbecue. Unico piccolo neo, per altro giustificabile dalla stagione estiva, sono le zanzare; a dirla tutta nell’isola non ce ne sono o per lo meno non ne vedo, ma all’interno del nostro appartamento (e appena fuori nel patìo) si, tante !; nonostante le zanzariere, ne entrano parecchie a causa delle pareti scorrevoli di vetro lasciate aperte dalla signora delle pulizie ed i miei fidi diffusori di insetticida a batteria nonchè le piastrine del fornelletto elettrico (110V) pare non facciano effetto, nemmeno se abbinate all’aria condizionata. Poi finalmente la soluzione definitiva, “lapalissiana”: una robusta spruzzata di insetticida spray nei punti “giusti” e fine delle zanzare per sempre ! Un’ultima particolarità: non esistono chiavi di casa, nè è possibile chiudersi dall’interno: semplicemente non servono ! :-): non esiste criminalità e tutti si fidano di tutti, tant’è che anche quando dovrò partire, potrò tranquillamente lasciare la jeep noleggiata abbandonata sul molo con le chiavi nel cruscotto anzichè riportarla indietro al noleggiatore. Nella deserta spiaggia di Mahoe Bay (deserta nel senso che anche quando sono occupate le altre abitazioni difficilmente si intravede qualcuno) abbiamo a disposizione gratuitamente lettini, canoe, cayak, materassini, galleggianti, un’amaca, tavolini, asciugamani e quant’altro può servire per allietare un soggiorno balneare. Noi ci organizziamo le giornate in questa maniera: la mattina andiamo nelle spiagge più lontane con la jeep, il pomeriggio dopo un pisolino digestivo oppure dopo aver sbrigato faccende del tipo fare la spesa, fare benzina, fare qualche foto panoramica o esplorare un nuovo itinerario, andiamo al mare di fronte casa sino al tramonto ed oltre. Lo snorkeling da riva, che faccio rigorosamente tutte i pomeriggi, è tra i migliori dell’isola: i fondali, pieni di tane, sono ricchi di coralli non sbiancati, spugne e gorgonie colorate, spirografi, grossi granchi, pesci palla anche di notevoli dimensioni, pesci pappagallo, pesci scatola, pesci trombetta, pesci farfalla, grandi banchi di pesci chirurgo blu ed il resto della “banda” tra cui tartarughe di varie grandezze per niente intimidite dalla presenza umana. Un giorno una delle tartarughe della zona, di taglia medio-piccola (circa 50 cm di carapace) mi segue come fanno di solito le tartarughe di Virgin Gorda, ma molto più insistemente che altre; allora io dopo aver scattato le foto di rito, mi avvicino lentamente con la mano e da sotto il guscio dolcemente riesco a guidarla verso riva. In pratica si fa letteralmente prendere in mano senza dar segni di nervosismo, senza doverla trattenere a forza, tanto da riuscire a portarla dalle mie figlie che la possono osservarla ed accarezzarla. Poi dopo cinque minuti uno sbattere di pinne mi fa capire che la sua dose di tolleranza è terminata e ringraziandola per la pazienza accordataci la lascio andare alle sue faccende. Insieme a me vari pellicani pattugliano la zona a caccia di piccoli pesci, talvolta sfiorandomi durante i loro lanci-immersioni ! Il rito pomeridiano: dopo aver snorkellato un’oretta da solo, continuo a farlo insieme a mia figlia Maeva, poi quando il sole incomincia a calare nascondendosi dietro le isolette di fronte alla spaggia: “The Dogs”, mia moglie Maria torna a casa insieme a Marika a preparare la cena e fare la doccia ,mentre io e Maeva rimaniamo nelle caldissime e calme acque sino a quando diventa buio pesto ! “The Dogs” sono un gruppo di isole a qualche miglio di distanza dalla costa, nel canale di Sir Francis Drake, di chiara formazione vulcanica (quella in posizione centrale, George, ha proprio la classica forma del cono vulcanico perfetto) e sono famose ai sub per le grotte ed i canali sottomarini dove si riposano gli squali nutrice. Le spiagge raggiungibili da terra… Buona parte di Virgin Gorda è circondata dal reef ma solo il litorale a Nord-Ovest/Ovest è realmente balneabile in quanto riparato da barriere coralline “multiple” e dai venti; la parte a Sud-Est/Est, nonostante abbia anch’essa dei lembi di barriera, è sferzata dai rigori dell’Oceano Atlantico con coste spesso prive di spiagge. Le spiagge a Nord-Ovest sono formate da lunghe mezzelune di sabbia corallina bianca mentre quelle completamente ad Ovest, più corte, oltre alla sabbia accecante sono caratterizzate da grandi massi di granito con un effetto paesaggistico notevole; posso affermare senza esagerare che queste piccole spiagge valgono da sole l’intero viaggio ! In Agosto gli arenili sono praticamente deserti ad eccezione di quelli con i graniti che, più famosi, si riempivano di qualche turista in escursione poco prima dell’ora di pranzo; mi ha colpito anche molto l’orizzonte: totalmente sgombro di imbarcazioni (anche solo di passaggio) ad esclusione di Devils Bay. Tutte le coste sono considerate un bene pubblico quindi l’accesso è sempre consentito anche quando per farlo bisogna transitare all’interno di un resort o utilizzare una strada privata. La maggior parte dei nomi delle spiagge sono curiosamente ridondanti tra le Isole Vergini (sia USA che UK). Se sentite dei rumori nella boscaglia antistante le spiagge, comprese le più sperdute, nessuna paura: si tratta probabilmente di una famigliola di: gallo+gallina+pulcini (oramai inselvatichite in tutta l’isola) oppure di qualche grossa lucertola blu (onnivore, visto che rubano persino i panini vuoti!); non sono presenti invece le iguana come in altre isole dell’arcipelago. Ogni spiaggia ad esclusione di Little Dix Bay e di quasi tutta Savannah Bay è adatta allo snorkeling vicino riva, in particolar modo consiglio Mahoe Bay e ancor più Long Bay; a questo proposito volevo raccontare un episodio accaduto in quest’ultima baia. Mentre porto con me Maeva in acque con visibilità prossima allo zero a causa dei fitti banchi di pesce novello (uno spettacolo degno di un documentario televisivo), a pochissima distanza dal bagnasciuga, spunta all’improvviso ad un metro da noi un enorme Tarpon (Megalops atlanticus) di almeno un paio di metri (misurandolo ad occhio: prendendo come riferimento la mia testa e le mie pinne). Mia figlia si spaventa a morte e vorrebbe scappare…Ma una occasione cosi’ rara non va sprecata, quindi la trattengo tenendola stretta con la mano, impedendole la fuga. A dire il vero fa impressione anche a me: il Tarpon è un pesce che da adulto raggiunge tranquillamente i due metri e mezzo, dalla pelle metallizzata lucente, molto massiccio, più massiccio di uno squalo e dalla tipica espressione, solo in apparenza, poco rassicurante a causa del taglio obliquo della sua grande bocca. Ci guarda, non è per nulla intimidito e noi guardiamo lui, poi improvvisamente un pellicano si getta in acqua tra noi ed il pesce, anzi sopra il pesce, per catturare qualche avannotto; il tarpon si desta e con la bocca spalancata si mette in verticale,a testa all’insù, come per voler “risucchaire” l’intero uccello, che però scappa goffamente decollando dalla superficie. Uno schemetto delle spiagge da Nord-Ovest verso Ovest: Long Bay La meno facile da raggiungere. Dalla strada principale che parte da Spanish Town bisogna andare verso Nord; superato il cartello che indica Savannah Bay, continuare sulla strada principale sino ad incontrare sulla sinistra una strada bianca che si arrampica sulla collina con le indicazioni per il Mango Bay Resort; prendere questa strada ma anzichè entrare nel resort bisogna proseguire sulla destra lungo collina nella strada sterrata. La strada panoramica, che alterna salite a discese, che in corrispondenza di alcune ville private ed un piccolo resort, diventa cementata, poi di nuovo sterrata e così via. Si deve superare Nail Bay. Ad un certo punto la strada punta inesorabilmente verso la montagna (si ricongiungerà alla statale che porta al Nord Sound), bisogna allora lasciarla e scendere sulla sinistra in una strada sconnessa che porta al mare nei pressi di una casa abbandonata. Bisogna entrare con la jeep in qualche metro di vegetazione (ancora sulla sinistra) per arrivare direttamente in spiaggia: vale la pena soprattutto se si fa snorkeling da riva: ottimo fondale che degrada velocemente, molti pesci, tartarughe comprese, soprattutto seguendo gli scogli verso Ovest. Banchi infiniti di avannotti seguiti da predatori. Super-deserta !!! Mahoe Bay E’ la spiaggia del Mango Bay Resort. Da Spanish Town verso Nord; superato il cartello che indica Savannah Bay, continuare sulla strada principale sino ad incontrare sulla sinistra una strada bianca che si arrampica sulla collina con le indicazioni per il Mango Bay Resort ed il ristornate Giorgio’s Table. Si entra liberamente nel resort e si parcheggia alla fine della strada in discesa in un piazzale di cemento. Un chilometro di spiaggia bianca con alcune ville esclusive nascoste dalla vegetazione. Ottimo snorkeling, tartarughe comprese, a pochi metri dalla riva oppure seguendo la scogliera verso est. Pond Bay La strada bianca che porta a Pond Bay partendo da quella principale che da Spanish Town va verso il Nord è sbarrata. L’unico modo per arrivarci quindi è a piedi lasciando l’auto in uno dei quattro punti: 1) nella strada principale, nel punto in cui l’isola si restringe nel suo minimo, cioè dove c’è lo sbarramento con dei massi. 2) nella strada bianca prima di entrare nel Mango Bay Resort, quindi seguire sulla sinistra a piedi una stradina che si immerge nella vegetazione fitta. In tutte e due i casi prima di arrivare in spiaggia si passa per piccolo stagno. 3) presso il parcheggio del Giorgio’s Table, poi arrampicarsi sulle rocce e raggiungerla via mare tornando indietro verso ovest. 4) a Savannah Bay, proseguendo via spiaggia, scavalcando poi una serie di rocce verso est. La spiaggia assomiglia molto all’attigua Savannah Bay quindi tanto vale andare in quest’ultima più agevolmente raggiungibile. Nella vegetazione che orla la spiaggia ci sono degli ombrelloni di fibra di palma liberi a disposizione. Savannah Bay Percorrendo la strada principale che da Spanish Town va verso Nord, dopo pochi chilometri si arriva in uno dei due punti in cui l’isola si assottiglia. Qui c’è un cartello che indica Savannah Bay, girare a sinistra nella strada bianca. Si parcheggia a pochi metri dall’arenile dove si può occupare uno dei tre ombrelloni fatti di fibra di palma a disposizione di chiunque. In Agosto l’ho trovata deserta: max 2 persone all’ora di punta, quelle della foto a fianco, su circa mezzo chilometro di lunghezza. Little Dix Bay Da Spanish Town ci sono delle traverse che portano verso la Little Dix Bay. Attenzione a non prendere quella super dissestata che dal porto va verso la collina perchè alla fine, dopo molto, è sbarrata ! Consiglio di seguire dal porto (The Valley) la strada verso “Crab Hill” e poi girare a sinistra dove c’è il cartello (quando ci sono andato io era caduto a terra) “Little Dix Street”. Per accedere alla spiaggia bisogna entrare nell’unico luogo di “relativa” mondanità: il Little Dix Bay Resort, un lussuoso resort costruito negli anni sessanta da Rockefeller, meta ideale per gli statici italiani in viaggio di nozze. All’entrata c’è un cancello con una guardia armata che gentilissima, una volta appurato che non siamo clienti del resort, ci farà entrare e parcheggiare nel vicino parcheggio taxi e visitatori. A due passi c’è una lunga spiaggia bianca, poco frequentata, orlata di cocchi, ma troppo “civilizzata” per i miei gusti, leggi: ombrelloni e sdraio affittabili (ma noi ci siamo messi comodamente sulla sabbia con i nostri asciugamani senza che nessuno dello staff ci proponesse l’affitto). La struttura è anche un polo di attrazione per gli abitanti dell’isola in quanto possiede un ristorante alla carta e a buffet (il buffet è un solo giorno solo alla settimana) a disposizione anche degli esterni e vari campi da tennis prenotabili. Il mare cristallino non ha coralli, nè rocce (solo sabbia) ed è quindi inadatto allo snorkeling; le uniche forme di vita avvistate nei pressi di una piattaforma galleggiante sono state un grande barracuda ed un timido pesce vacca. Trunk Bay Partendo da Spanish Town, andando verso Ovest, meno di un chilometro dopo la rotatoria di fronte al Rock Cafè, è la prima spiaggia raggiungibile via terra di tipo granitico. Trunk Bay (da non scambiare con Trunk Bay a St.John) ha alle spalle alcune ville private ed è raggiungibile a piedi solo da Spring Bay passando via mare oppure arrampicandosi sulle rocce in direzione Nord; Per la non facilissima accessibilità è deserta. La sabbia è bianca corallina, nonostante le rocce granitiche siano scure, di chiara origine vulcanica. Spring Bay Secondo me è la spiaggia più bella dell’isola. Non che Devils Bay sia meno affascinante ma quest’ultima, avendo l’accesso ai suggestivi “The Baths”, è ovviamente più frequentata. Spring Bay si raggiunge da Spanish Town seguendo la strada che va verso Ovest (superando a sinistra la rotatoria di fronte al Rock Cafè); una volta trovato il cartello che la indica girare a destra sulla strada bianca e parcheggiare dopo poco nel piazzale sterrato, accanto ai grandi cactus a canne d’organo. Dal parcheggio, attiguo ad una villa privata, parte un viottolo percorribile a piedi (5 minuti) che, dopo aver superato un paio di altalene di catene e pneumatici, arriva in spiaggia. Sabbia bianca e massi spettacolari di granito con incastonate delle palme da cocco. Per chi è stato alle Seychelles e, più precisamente all’isola di La Digue nella spiaggia ripresa da molti spot pubblicitari di Anse Source D’Argent, troverà molte similitudini…Solo che a Virgin Gorda in questa stagione il mare è più calmo e cristallino. Un discreto snorkeling con grandi banchi di pesci chirurgo blu e tartarughe; il mare dopo una decina di metri sprofonda abbastanza in fretta tra le grandi rocce. La spiaggia è generalmente deserta il mattino presto: le uniche persone incontrate sono state una coppia di giovani fidanzati locali che dopo una bella fumata di “Ganja”, si sono buttati in acqua, “appartandosi” in una delle calette e poi sorridenti (e ci credo !!!) sono andati via salutandoci. Verso la tarda mattinata (after 11.00) la spiaggia invece si anima con qualche turista portato via mare in escursione (con relativi ombrelloni) e con un posticcio luogo di ristoro arrangiato tra panche e tavoli messi a disposizione all’entrata. Basta però superare una curva dell’arenile per trovare l’altro pezzo di spiaggia completamente vuoto. Una “dritta” per essere soli nelle due spiagge più frequentate (Spring e Devils Bay) è andare di domenica: il giorno è sacro e persino le attività locali legate al turismo come le escursioni sono interrotte. Devils Bay La strada che da Spanish Town va verso Ovest finisce direttamente in uno spiazzale con parcheggio e minirotatoria, un ristorantino informale (Top of the Baths) ed una casupola di legno che funge da cassa per entrare a Devils Bay e relativi “The Baths” (“i bagni”); ovviamente la cassa ha orari “caraibici” tant’è che andando comodamente in spiaggia alle 8,30 non l’ho mai trovata aperta ! Per raggiungere la spiaggia bisogna percorrere un viottolo a piedi che in alcuni tratti è piuttosto tortuoso e sdrucciolevole ! Una volta arrivati sulla sinistra c’è l’entrata ai “The Baths” mentre sulla destra c’è la spiaggia dei “diavoli”. Poco prima di entrare in spiaggia, nella boscaglia, ci sono una serie di servizi gratuiti come bagni “puliti” e cassette di sicurezza, mentre un modesto beach-bar di legno gestito da un rasta permette di poter acquistare una bibita o gustare seduti un rhuml e mangiare del fish & chips. Il posto è incantevole, superiore ad ogni aspettativa, simile (come Spring Bay), se non migliore, alla spiaggia Seychellese ma per questo è il posto preferito dai proprietari dei piccoli yacht che attraccano a largo che poi, con i gommoni ,si avvicinano alla spiaggia legandoli alla corda fissata a qualche decina di metri dalla battigia oltre la quale non dovrebbero andare. Vicino al bar una signora vende qualche maglietta su un banchetto…Sempre tutto questo (dalle barche all’olezzo di fritto) after 11.00 e mai di domenica… Chi come me va presto non trova nessuno e soprattutto prende i posti migliori all’ombra di una pianta ! Snorkeling piacevole, anche se non eccelso, tra i massi. Divertente perdersi nei stretti corridoi formati dalle rocce affioranti facendo attenzione quando si va in apnea a non finire incastrati in qualche anfratto o sbattere la testa in una cavità sottomarina.

The Bath: Nella parte più a Ovest di Devils Bay un cartello indica l’entrata della grotte (cave) di “The Bath”. In realtà non si tratta di grotte vere e proprie, ma di una serie di enormi massi di granito che, scagliati milioni di anni fa dalla furia di uno dei tanti vulcani della zona, hanno creato un suggestivo labirinto di corridoi, stanze buie e zone semi all’aperto nel quale il mare entra a formare piscine e fiumiciattoli. L’entrata è angusta, un buco nel quale bisogna abbassarsi per passare, ma poi tutto è molto grande e non presenta nessun problema nemmeno ai più claustrofobici. La prima sala è qualcosa di emozionante: una spiaggetta all’asciutto che degrada lentamente in un androne di acqua trasparente che mano mano raggiunge una profondità di circa un metro; il tutto tra due pareti di roccia che formano un tetto spiovente nel quale filtra da una apertura nel soffitto un raggio di sole: non c’è nessuno e l’unico suono è quello un pò mistico del mare che s’infrange tentando di penetrare da qualche feritoia tra i graniti; l’effetto dei riflessi dell’acqua che si specchiano nelle buie volte completano la magia del luogo. C’è un percorso ufficiale, con scalette di legno ed una robusta corda di aiuto nei passaggi più difficili (consiglio vivamente di andare scalzi per non scivolare sulle rocce, tanto non c’è nulla di appuntito o tagliente) che si fa in un quarto d’ora o poco più ma avendo tempo (io e Maeva ci siamo divertiti in sacco di volte) è bello perdersi nel labirinto scovando tutti gli anfratti, i corridoi più stretti, i percorsi ciechi e più bui, i tratti che con l’alta marea si fanno a nuoto, magari con una macchinetta fotografica impermeabile per fare (come ho fatto) un reportage completo. Una dritta: nei The Baths la temperatura è sempre fresca, quindi in caso di caldo eccessivo oppure di acquazzone improvviso (che per fortuna non mi è capitato) può essere un’idea entrarvi e stendere magari un telo-mare o due (di più non entrano) nella prima “stanza” dotata di una mini-spiaggetta. Spanish Town: Abituato alle caotiche cittadine delle isole Vergini Americane come Charlotte Amalie e Cruz Bay mi aspetto qualcosa di simile anche a Virgin Gorda, tant’è che volutamente non ho comprato i regalini di rito da riportare in patria per rimandare gli acquisti ad un ipotetico mercatino locale del capoluogo Spanish Town. Il primo giorno sbarco a The Valley, il porto, o meglio dovrei dire il molo, di Virgin Gorda dove attraccano i piccoli traghetti di linea e dove c’è una pseudo-dogana e, come raccontato sopra, mi reco dal noleggiatore passando per la strada principale dove scorgo solo poche casette di legno. Il giorno seguente, verso la tarda mattinata, percorro in lungo ed in largo la via che passa dove, secondo la cartina, ci dovrebbe essere Spanish Town, ma a parte qualche sporadico locale, un porticciolo turistico, una farmacia e una piccola struttura chiusa della Croce Rossa non trovo nulla, non vedo quartieri, condomini, ville, attività commerciali di rilievo come meccanici, negozi di abbigliamento…Neanche un semplice gommista…Non vedo nulla e quel poco che scorgo sembra chiuso, disabitato: evidentemente, epnso, ho sbagliato strada. La sorpresa arriva quando chiedo a Gino: <> e lui: <> In effetti tutta l’isola, che poi non è così piccola, fa meno di 2000 abitanti e una buona metà vive al Nord (Nord Sound) dove attraccano un buon numero di barche turistiche e dove le spiagge non sono per nulla belle oltre che raggiungibili in buona parte solo via mare (quindi distanti anni luce dalla mia vacanza). Dunque Spanish Town, il capoluogo, si riassume in poche centinaia di metri di strada con qualche ristorante , alcuni chiusi per la bassa stagione, con un unico centro: Yacht Harbour dove si concentrano le maggiori attività della zona: porto turistico, dove attraccano piccoli panfili privati battenti bandiera nera con teschio piratesco, supermarket con prezzi calmierati dal fatto che oltre ai ricchi diportisti vengono a spendere anche i locali (essendo il più relativamente fornito dell’isola), rimessaggio, bar, banca con ATM, negozietto di souvenir, rivendita di alcolici fornita di ogni rhum Caraibico compreso il rhum locale, il Pusser’s (il rhum ufficiale della Marina Britannica), cabine telefoniche, taxi…Tutto in una manciata di decine di metri divise tra banchine, parcheggio e un piccolo portico.

La “periferia” di Spanish Town è formata da poche altre case e ville private, un paio di modesti hotel, un paio di supermercati (uno meno fornito, il Rosy’s ed un’altro con rivendita solo all’ingrosso), alcune chiese relative alle diverse confessioni religiose, un negozio di casalinghi, una scuola elementare, una Nursery-Clinic, il piccolo aeroporto (che vede ben pochi voli a settimana) ed il desalinizzatore principale. Nessun mercatino, nessuna bancarella, nessun ambulante. La vita scorre con altri ritmi e con altre priorità e per le esigenze non primarie bisogna rivolgersi altrove. Ad esempio la Nursery-Clinic non è, come pensavo, la clinica dove si partorisce, ma solo la clinica dove si fanno i controlli pre-parto, poi si partorisce prendendo un traghetto o un water-taxi a Tortòla. Le scuole sono solo elementari, per le medie o le superiori si prende la mattina il traghetto per Tortòla, per l’università ci si trasferisce a Barbados o in Jamaica. Se si vuole acquistare un capo d’abbigliamento o fare un’analisi medica o andare in ospedale si va a Tortòla, se si vuole un bel televisore si va a Tortòla, quando non addirittura, per qualcosa di più specialistico, non si va a St.Thomas nelle Vergini Americane. Anche i rifornimenti alimentari sono provenienti da ogni parte del mondo (salumi e latti uht Italiani, acqua oligominerale Fijana, latte fresco da St.Thomas, carne dagli Stati Uniti e così via…) mentre l’acqua che esce dai rubinetti, potabile, è tutta desanilizzata sull’isola, cioè proveniente dal mare e filtrata con apposite resine, sia prodotta con desalinizzatori privati (come al Mango Bay Resort) che proveniente via conduttura o via camion-cisterna dal desalinizzatore principale. Il resto dell’isola: Tolte le spiagge meravigliose descritte, resta solo da fare un giro di mezza giornata per esplorare il resto dell’isola. La strada cementata, che va verso l’aeroporto, finisce a Sud, dopo una grande villa coloniale, a Copper Mine Point, dove ci sono le uniche rovine importanti dell’isola: in un promontorio battuto dai venti si scorge la ciminiera ed i locali semidiroccati dell’antica miniera di rame dell’isola utilizzata prima ancora dell’arrivo dei bianchi e rimasta attiva sino al 20° secolo quando il crollo mondiale dei prezzi del rame la rese poco conveniente da sfruttare. Andando verso Nord, superando quindi il bivio per il Mango Bay Resort, restando sulla strada principale asfaltata si sale verso Gorda Peak (414 metri), il punto più alto dell’isola dove poter scattare da alcuni punti panoramici attrezzati (in pratica un paio di balconi di legno) delle foto suggestive. In questa zona gli amanti del trekking potranno inoltrarsi nei percorsi segnalati del Parco Nazionale. Continuando sulla strada che, tra curve e salite/discese mozzafiato, regala emozioni soprattutto incrociando qualche grosso autocarro, si arriva in un altro mondo, molto diverso da quello della parte più a Ovest, pieno di piccoli localini di legno dove bere birra o mangiare un boccone, piccoli attracchi ed isolette (come Saba Rock, vedi la webcam) attrezzate per il diporto: è il Nord Sound. Per chi non possiede un’ imbarcazione questa zona ha scarsa importanza in quanto non ci sono spiagge degne di quelle precedentemente visitate ed inoltre la strada finisce a Leverick Bay (dove c’è un resort), il resto del Nord-Est dell’isola, più di un terzo della sua lunghezza, è raggiungibile solo via mare.

E Tortòla ? Prima di partire avevo intenzione di visitare anche Tortòla, dove si trova la capitale delle Isole Vergini Britanniche, ma dopo aver appreso sia da letture, che dagli abitanti di Virgin Gorda, che non è un granchè come spiagge e natura (troppo antropizzata) e poichè il car-ferry non esiste (la compagnia è fallita da anni) e per visitarla rimane solo il ferry-passeggeri abbinato ad un taxi, rinuncio. Inoltre il coloratissimo e fantastico carnevale che si svolge a Tortòla (con tanto di elezione di Miss BVI), della durata di vari giorni, è terminato purtroppo il giorno in cui sono arrivato alle Vergini Britanniche 🙁 I locali dove mangiare: Non sono il più indicato a descriverli poichè in genere quando viaggio (per motivi economici e non di gusto) cerco di arrangiarmi il più possibile con il cibo cucinato da noi e questo è valso soprattutto a Virgin Gorda in quanto avevo a disposizione una cucina ben attrezzata e della buona carne, pesce e frutta tropicale da acquistare al supermarket. Tuttavia ho fatto delle eccezioni. Considerando che molti locali erano chiusi per la bassa stagione (di Domenica a pranzo poi ne ho trovato aperto solo uno, il Fisher Cove) consiglio di andare la sera al Rock Cafè, dove gustare le famose aragoste di Anegata (l’unica isola non vulcanica, un atollo corallino, delle Isole Vergini Britanniche, a Nord di Virgin Gorda) mangiando o internamente in un ambiente elegante frequentato in Agosto soprattutto dai locali, tra divani, piano bar e bancone dove i cocktail a base di rhum si susseguono in una interminabile sequenza oppure nel patìo esterno tra la vegetazione, le tonde rocce granitiche ed una cascatella. Il più formale e (relativamente) lussuoso è invece il Chez Bambo all’inizio di Spanish Town ma non l’ho testato personalmente. Un’altro locale (a pranzo tutto per noi: siamo stati gli unici clienti !) molto suggestivo soprattutto di giorno è il Fisher Cove, un ristorante, hotel, nonchè parco giochi per i bimbi, dai prezzi abbastanza buoni in un ambiente informale. Suggestivo perchè si mangia in un’ampia terrazza che si affaccia in un mare blu intenso, dove poter gustare vari piatti Creoli veramente speciali come i gamberoni fritti nella pastella di cocco ! slurp ! …Il tutto accompagnato come sempre da una glaciale Piña Colada ! Le foto di questo viaggio si trovano nel mio sito no-profit: http://www.Tropiland.It/virgin_islands/ivfoto.Htm



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