Venezuela, paese da sogno

Abbiamo prenotato e organizzato tutto con , internet e Lonely Planet. Dopo aver inviato centinaia di messaggi , ho stilato il programma e l’ho proposto a 10-11 agenzie turistiche Venezuelane, con possibilità di modificarlo secondo specifiche esigenze 28 Luglio 2006, atterriamo a CARACAS. Arrivati all’aeroporto Internazionale, troviamo ad...
Scritto da: francesco_otto
venezuela, paese da sogno
Partenza il: 28/07/2006
Ritorno il: 11/08/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Abbiamo prenotato e organizzato tutto con , internet e Lonely Planet.

Dopo aver inviato centinaia di messaggi , ho stilato il programma e l’ho proposto a 10-11 agenzie turistiche Venezuelane, con possibilità di modificarlo secondo specifiche esigenze 28 Luglio 2006, atterriamo a CARACAS. Arrivati all’aeroporto Internazionale, troviamo ad aspettarci un corrispondente dell’agenzia con un cartello con scritto il mio nome Che ci accompagna all’aeroporto alle partenze nazionali. Alle 19,15 partiamo col volo Caracas/Ciudad Bolivar Alle 20,30 arriviamo a Ciudad il responsabile dell’agenzia è venuto ad aspettarci per accompagnarci all’hotel Laya Real .

29 Luglio 2006, Ci alziamo, chiudiamo le valigie È ci accompagna all’aereoporto dove prendiamo il volo delle 07,30 per Canaima. Verso le 08,40 arriviamo all’aeroporto di Canaima. E’ una striscia di asfalto C’è un bar con qualche panchina e due “banchetti” che vendono Artigianato. E qui inizia la nostra VERA aventura il flusso di turisti non è eccessivo, conseguentemente non servono grandi strutture ricettive si è in mezzo alla natura.La nostra guida ci accompagna alla Posada Wey tepuy siamo alloggiati in camere con bagno privato. Verso le 10,30 Saliamo in barca, attraversiamo la Laguna di Canaima e ammiriamo le numerose cascate che la circondano che sono nell’ordine: Ucaima, Golondrina, Wadaima, Hacha,. Poi a piedi attraversiamo delle zone sabbiose che fiancheggiano il Rio Carrao. Saliamo su rocce, ancora qualche piccola cascata e arriviamo al “SALTO EL SAPO”: è una cascata da attraversare!! O meglio, per proseguire bisogna passare sotto dove è praticamente impossibile venirne fuori asciutti. Continuiamo la nostra camminata per rientrare alla posada In queste occasioni si fa presto amicizia e per due-tre giorni si vive tutti assieme c’è un bel misto di nacionalita verso le 20,00 ci servono la cena Ci sediamo tutti assieme in un’unica tavola e si torna a parlare e scambiarsi impressioni. Il cibo è buono è la fame che è tanta verso le 10,00 E’ ora di coricarsi, siamo stanchi morti. E’ da stamattina alle 6 che siamo in piedi. 30 Luglio 2006, Alle 8,30 dopo colazione si parte per il salto. All’accampamento abbiamo lasciato le cose che non servono Ci fermiamo in una spiaggetta dove ci aspettano due ragazzi venezuelani con una barca (curiara). Il nostro gruppo è formato da 12 persone: di 3 francesi, un ragazzo Svizzero, 4 tedeschi, 2 venezuelani. Partiamo tutti contenti l’acqua è molto scura, sembra quasicoca-cola; Il loro colore, come quello di altri fiumi e cascate della regione, è dovuto al Tanino, un composto solido che si trova in alcune specie di alberi e di piante locali. La natura circostante è incredibile; distese sconfinate di verde, da cui emergono maestosi i tepui, dall’inconfondibile forma con la cima piatta. Risaliamo il rio Carrao, sino ad incontrare il rio Churun, nelle cui acque proseguiamo il nostro viaggio. La canoa fila veloce è un’avventura Lo scenario che mi circonda è incredibile; bello, selvaggio, incontaminato e affascinate 3 ore di Curiara giungiamo al campo base sull’ isola ratoncito, Ci fermiamo per il pranzo che i ragazzi della curiara stanno preparando: hanno già acceso il fuoco, infilzato 4-5 polli sui bastoni ed appoggiati vicino al fuoco. E il contorno? C’è anche quello: Patate al forno… Ehm… Patate messe vicino al fuoco e cotte sulla brace! Che dire: tutto era squisito. Ok, adesso si può ripartire inizia la camminata in mezzo alla foresta. Non è una semplice frase fatta: all’inizio il percorso è semplice, poi s’inerpica sempre più. E’ mezz’ora che si cammina Il cielo quasi non si vedeva quanto è fitta la vegetazione. Non ci sono sentieri “battuti”, stradine, indicazioni… niente. Si prosegue con passo svelto, qualcuno rallenta per la stanchezza. Proseguendo gli alberi e le piante ci “opprimono”: cespugli con foglie grandi radici che creano trabocchetti, foglie taglienti e formiche grosse come un… Pollice! Proseguiamo ancora e dopo circa 1,15 ore di cammino arriviamo verso le 14,15 al “Mirador Laime”, un affioramento posto proprio davanti al SALTO ANGEL. Alzo gli occhi ed eccola: la cascata più alta del mondo, 979 metri. E il salto ininterrotto più alto del mondo: L’acqua precipita da quello che viene chiamato il Cañoñ del Diablo (Gola del Diavolo), nella parte centrale della parete rocciosa, ed arriva giù . Mano alla macchina fotografica…, ma una foto non darà l’idea della maestosità con tutto il contesto ricco di natura. In sommità ci sono ancora un po’ di nuvole, la cima s’intravede solo per brevi intervalli. Riprendiamo il cammino per avvicinarci ancora. Arriviamo ai piedi di una piccola cascata a circa 200 metri dai piedi del Salto Angel. Forma una “vasca” dove ci si può bagnare tranquillamente senza problemi, o stare appollaiati sulle rocce rosa ad ammirare lo spettacolo Qualcuno si lascia “massaggiare” dall’acqua che cade sul laghetto, seduto sulla roccia. Dove finisce il Cañoñ del Diablo, (con le spalle al Salto Angel) la visuale si apre su un’altro rilievo di fronte a noi completamente coperto di verde, da dove sbucano altre due piccole cascate. Tutt’intorno qualche aquila che volteggia con impercettibile movimento d’ali. Dopo un po’ c’incamminiamo per il ritorno al campamento base dove ci aspetta una meritata cena le guide preparano le nostre amache La sera, a cena, è un po’ più animata: ci si conosce meglio, si ride e si scherza con più serenità. E’ ora di coricarsi, siamo stanchi morti. Prima però diamo un occhio alla guida che dorme in amaca per vedere come si è sistemato. Cerchiamo di fare lo stesso per non svegliarci il giorno dopo con le ossa anchilosate. In una certa maniera si riesce a stare quasi orizzontali. Si ride un po’ per come ci si sistema nessuno di noi è abituato a dormire in un’amaca Ogni tanto il rumore della pioggia che picchietta sulla tettoia mi sveglia, ma solo per pochi minuti. Durante la notte piove quasi sempre 31 Luglio 2006, Il giorno dopo Ci Svegliamo con una vista spettacolare del Salto Angel che è situato di fronte al nostro campamento ci prepariamo per il ritorno e dopo colazione si parte. Per un pezzo il tragitto è diverso che all’andata, lo si percorre un po’ in barca e un po’ a piedi. Attraversiamo un tratto sabbioso con poca vegetazione e in lontananza, verso nord-ovest, si scorge il KUSARI TEPUI, un’altro imponente massiccio con la cima piatta. Tutt’intorno il silenzio è interrotto dal Rio Carrao e dal richiamo di qualche aquila. Oltre a noi non si vede anima viva. Dopo un po’ si risale in curiara e dopo circa mezz’ora si approda e continuiamo a piedi. Passiamo vicino ad una centrale idroelettrica perfettamente mascherata nella vegetazione e qui facciamo qualche foto tutti assieme. Torniamo verso la laguna di Canaima e verso le 12,30 siamo all’aeroporto. Il nostro volo per Ciudad Bolìvar Verso le 14,30-15,00 siamo all’Hotel Laja Real di Ciudad Bolìvar. Una doccia e prendiamo un taxi per andare in centro. Le numerose notizie lette sulla malavita locale, mi inducono ad essere prudente così non porto nulla appresso: né macchina fotografica, né telecamera e pochi soldi nel portafoglio. Nulla di più sbagliato! Come ci è già capitato, anche in altri stati abbiamo esagerato con le precauzioni, solo per aver ascoltato qualcuno che non ha osservato delle semplici regole di comportamento quando si è “ospiti” in un altra nazione. Le stesse regole che bisogna rispettare in tutte le metropoli del mondo. O anche solo per aver ascoltato qualche dossier alla Tv, pilotato ad hoc per qualche campagna politica. Ritengo che ognuno di noi dovrebbe farsi un’opinione del posto solo dopo averlo visitato. A Ciudad Bolìvar non esiste malavita come a Caracas e la gente è gentile e disponibile. Il centro città si sviluppa di fianco al fiume Orinoco con numerosi negozi, stipati all’inverosimile di qualsiasi genere di oggetto vendibile: frigoriferi, mobili, oggetti da giardino, condizionatori, alimentari, fuochi d’artificio, quadri… All’ingresso dei negozi di scarpe e di abbigliamento, ci sono 4-5 ragazze che t’invitano ad entrare. Per gli acquisti di prima qualità, sviluppato in un’elegante galleria tra i fabbricati, c’è un centro commerciale con ottimi negozi, bar, ristorante e internet cafè. Di fronte, la strada principale è percorsa da numerosi autobus con le porte aperte e la musica altissima. Sui vetri qualche pubblicità abbozzata con pennello e vernice. Mi dispiace non avere la macchina fotografica, perché parte del centro storico della città si sviluppa a monte del fiume Orinoco con decine di calli strette, pulite e pavimentate con ciottoli. Alcuni vecchi fabbricati colorati ne fanno da cornice. Camminando sotto il portico, ad un certo punto incontriamo 3 ragazzi Francesi che facevano parte del nostro gruppo a Canaima. Andiamo a mangiare tutti assieme al ristorante “Parrilla Alfonso e gustiamo un ottimo Lomito alla brace. Anche questa notte alloggiamo all’hotel aja Real. 01 Agosto 2006, Ci viene a prendere un Fuoristrada Toyota 4×4 per il trasferimento da Ciudad Bolìvar al porticciolo di San Josè De Buja Ci accompagna un incaricato dell’agenzia. Il percorso è lungo, ma il tempo passa veloce, perché si instaura un bellissimo rapporto Josè Miguel ha circa 24 anni al massimo Conosce abbastanza bene la geografia del territorio ed è contento del posto in cui vive. Dopo essere arrivati a San Felix, carichiamo l’auto su un traghetto per attraversare il Rio Orinoco (mezz’ora circa) e infine altri 100 chilometri circa per arrivare a San Josè e Buja. Qui saliamo su un motoscafo assieme ad una coppia di Francesi. La barca è piena di viveri, Taniche di acqua potabile e grossi pezzi di ghiaccio. Dopo un’ora circa, la flora di fianco al fiume si infittisce.Iniziamo a vedere, qualche Tucano e i delfini! Sono di un grigio-azzurro più intenso rispetto a quelli di acqua salata. Si vedono solo quando escono per respirare, perché l’acqua è di color marrone chiaro, dovuto alla complessa reazione ai componenti chimici che formano le rocce e il suolo del letto e delle rive del fiume, nonché alla flora che cresce lungo le rive, al clima e a numerosi altri fattori. Il fiume diventa sempre più chiaro mano a mano che si va verso la foce. Dopo circa Un ora e mezza arriviamo al Lodge Boca De Tigre, sul Delta dell’Orinoco. Attracchiamo su un piccolo molo in legno e ci accolgono Victor, un Venezuelano factotum noto che tutto il complesso è stato costruito nel rispetto della natura, o almeno ce l’hanno messa tutta! La capanna più grande (circa 50 mq), accoglie la reception, il bar, ristorante e cucina. Tutto sotto un unico tetto e tutto in comune. La cucina è divisa dal resto da un semplice muretto alto un metro e la zona adibita a ristoro è costituita da 5 tavoli in legno, contornati da qualche pianta tropicale. Nient’altro. L’unico cemento (ma non lo sembra) è quello del pavimento con qualche mattonella fatta a mano. Ci accompagnano al bungalow e ci invitano a camminare sempre lungo i corridoi costruiti in legno tutti rialzati, che collegano gli alloggi tra di loro e con la reception. I bungalow sono costruiti interamente in legno e rialzati da terra. Non esistono finestre, solo zanzariere accuratamente sigillate. Le uniche mattonelle sono sul bagno, formato da un muretto che divide (!) i due letti dove è stato fissato un lavandino piccolo L’acqua della doccia zampilla da un tubo di plastica ed è quella… del Fiume!! Non esistono prese per la corrente, armadi, ecc…, solo qualche attaccapanni e un’unica lampadina al centro del tetto. Dopo aver mangiato qualcosa, ci accompagnano ad un’escursione in canoa lungo dei piccoli canali che s’immettono nella jungla. Dopo una bella spruzzata con Autan, e una spalmata di crema protettiva, partiamo con i nostri remi. Non ci sono tante zanzare, ma in compenso alcune mosche che sembra che il loro piatto preferito sia proprio l’Autan! Il sole picchia verticale su di noi, ci saranno 30-32 °C circa. Ad un certo punto piove, e siamo costretti a tornare . Ne approfitto per vedere un po’ la “situazione”: tutti i parenti della proprietaria danno una mano chi in cucina, chi nelle pulizie, chi nell’organizzazione. Le comunicazioni si hanno solo tramite una radio e un unico telefono che non ho ben capito se adopera una rete cellulare o via cavo. Ogni tanto arriva un indio (di solito donna con bambino) in una piccola e stretta barca ricavata da un tronco scavato, con qualche tubero (Jucca) o frutta da scambiare con un sacchetto di riso. Non smontano nemmeno dalla barca. Attendono in silenzio e come sono arrivati se ne vanno, scomparendo nei numerosi affluenti del fiume. Ci sediamo sul molo del Lodge. Di fronte a noi il fiume sembra un lago immenso, non si vede il verso della corrente. In questo punto sarà largo circa 150 metri, forse più. Sulle sponde, una fitta vegetazione che, anche con lo zoom, non si riesce minimamente a penetrare. Non si vede un metro più in la. Il contesto non è nemmeno monotono, poiché le specie di piante e di animali che ci circondano variano di metro in metro. Dappertutto si vedono scimmie che saltano di ramo in ramo così come svariate specie di uccelli coloratissimi. La sera dopo cena, la stanchezza e le zanzare, preferiamo andare a riposare 02 Agosto 2006, Il mattino dopo ci svegliano le… scimmie!! Una inizia con uno strano urlo, poi due, tre, quattro… dieci, tutte assieme! All’inizio non nego di aver passato qualche momento di angoscia, anche perché non sapendo cosa fossero e non riuscendo a vedere nulla… Eppoi, vetri non ce ne sono, inferriate men che meno!?! Ok, ci prepariamo e dopo un’abbondante colazione, partiamo con una barca a motore per l’escursione assieme alla nostra guida Rafael e ad una famiglia di indiani. Appena Rafael vede qualche animale, spegne il motore e ci informa sul comportamento e abitudini. Qualche delfino e uno strano uccello con parecchie piume colorate sulla testa. Si chiama “Uacaracia” e ad un certo punto ne incontriamo 5-6 appollaiati su un cespuglio basso. Sono bellissimi e sembrano non aver paura. Più avanti ci fa notare dei Tucani che riesco a vedere con più nitidezza con lo zoom della macchina fotografica. Di solito sono fermi sui rami più alti degli alberi. Ancora qualche delfino che viene a galla per respirare, ma si rituffa immediatamente. Quando il motore è spento, sembra di essere in paradiso. Nessun rumore, una brezza che soffia leggera, il sole che scalda 360 giorni all’anno, pappagalli coloratissimi che svolazzano, il lento scorrere del fiume senza grosse correnti, l’acqua pulita, inquinamento ancora inesistente, insomma è un luogo che riunisce molte fra le più belle cose che la natura può exhibiré Verso le 12 ci fermiamo in una piccola insenatura. L’acqua è piatta, immobile e senza il tipico colore marrone, con tutti i riflessi colorati degli alberi. Rafael tira fuori quattro bacchette di legno con filo e amo, un pezzo di carne cruda e si mette a pescare i Piraña! Invita anche noi a provare e chi vuole fare il bagno può accomodarsi! Oddio, dico, non è che sia il massimo della tranquillità! Ci dice che non c’è alcun problema: il Piraña non attacca l’uomo! Comunque io il bagno non lo faccio… Dopo averne pescati 3-4, torniamo al Lodge per il pranzo. Si riparte verso le 14,30 per la camminata all’interno della Jungla. Ci fanno indossare degli stivali alti fino alle ginocchia e dopo 10-15 minuti di barca, inizia l’escursione. Ci intrufoliamo tra palme e cespugli, allungando le maniche della camicia e alzando il colletto. Anche con Autan o Off le zanzare pungono lo stesso. Rafael ci spiega tante cose, Avanziamo ancora: in qualche punto si sprofonda. Ad un certo punto Rafael inizia a tagliare un tronco già a terra, e ci fa assaggiare il Palmito: è il cuore di palma, molto usato nella regione, sia da solo che per preparare piatti squisiti. Poi ancora della frutta simile ai fichi d’india e per bere?? Nessun problema: raccoglie un piccolo tronco, ne taglia le estremità con il macete e inizia a bere l’acqua che sgorga limpida dal pezzo di legno! Ce lo porge e… ne abbiamo usufruito quasi in sei! Poi ancora ci spiega a cosa serve quell’altra pianta, per cosa la usano gli indios, come si cucina quell’altro frutto, e, cosa molto importante, ci ha elencato una serie di malattie, guaribili con quel tipo di foglia o con l’infuso di quell’altra pianta. Tra una cosa e l’altra siamo stati in giro tre ore circa. Risaliamo in barca e pian pianino ci porta a visitare diversi affluenti un po’ lontani dal Lodge. Siamo gli unici in giro, non si vede anima viva. Ad un certo punto ci fa vedere due tucani sull’albero, poi altri due… Dall’altra parte tre pappagalli colorati, sul ramo di fronte a noi sono in fila cinque cocorite verdi, alcune scimmie curiose ci osservano e poi entrano nella foresta, insomma di tutto un po’. Più avanti scorgiamo un albero con poche foglie e tantissimi nidi a forma di pera, con piccoli uccellini gialli e neri, chiamati “Arndaho” che fanno capolino. Più ti avvicini più si sente un animato e curioso cinguettio. Ad un certo punto uno stormo di uccelli bianchissimi attraversa il fiume, si gira, torna indietro, e con una piroetta passa di nuovo dall’altra parte. Saranno una dozzina, grandi più o meno come un tucano e sono tutti sincronizzati, si muovono tutti assieme! Si fermano su un albero e poi ripartono. Incredibile! Uno spettacolo unico. Rafael ci dice che a quest’ora, verso sera, è facile incontrare dei gruppi di uccelli che tornano ai nidi. Verso le 18 ci fermiamo all’incrocio di tre corsi d’acqua per fare il bagno e poi ammiriamo il tramonto: il sole stava calando e riflesso sulle nuvole formava dei colori bellissimi. Torniamo al villaggio con un po’ di malinconia: era bello stare lì rilassati, stesi sulla barca in mezzo all’acqua che con un leggero dondolìo ti invitava ad un pisolo. Eppoi è l’ultimo giorno che stiamo qui. Peccato. Se sapevo che si stava così bene avrei prolungato il soggiorno ben volentieri, anche a scapito di qualche altro posto da visitare.

03 Agosto 2006, Il giorno dopo andiamo ad incontrare gli indios Warao nel loro villaggio. Sinceramente dopo tutto quello che ho ammirato il giorno prima, non è che m’interessasse così tanto fare questo tipo di escursioni, costruite ad hoc per i turisti. Magari anche disturbiamo… Per fortuna partiamo solo in 5 persone e già questa è una cosa che mi è gradita. Durante il percorso in barca, incontriamo altre capanne e tutti salutano. Sono costruite ai bordi del fiume, che offre loro, assieme alla flora e alla fauna, tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere. Acqua potabile compresa: si, perché ho visto con i miei occhi che loro la bevono! Chiedo a Rafael e me lo conferma. Anche lui la beve. Arriviamo al villaggio, ma… Ma è una capanna! Che bello! Non c’è nessun altro e tre bambini ci vengono incontro! Uno di loro tiene al guinzaglio un piccolo alligatore. Rafael dice che quando cresce lo lasciano libero. Beh… Ne sono convinto! Ci offrono qualcosa da acquistare, parlano sottovoce tra di loro e Rafael fa da interprete. Non insistono, restano accovacciati vicino alle loro poche cose e ci guardano. I bambini giocano animatamente, Acquistiamo due oggetti in balsa (circa 4mila lire!!), e ci sediamo con loro sul pavimento fatto di tronchi d’albero accostati. Vorrei chiedergli tante cose, ma non si può. La loro lingua è incomprensibile. Forse è meglio così. Chiedo a Rafael di tornare al lodge e poco dopo ripartiamo. Prima di pranzo chiedo a Victor qualcosa sugli indios Warao: mi dice che il governo Venezuelano ha istituito un programma di istruzione, per evitare che il futuro contatto con la civiltà sia disastroso. Se hanno una cultura di base e conoscono la lingua, possono riuscire a difendere i loro diritti. E mi indica un cartello, di fianco al banco del bar-reception, con la richiesta di offerte per attuare quest’idea, anche con penne e quaderni. Mah.. Speriamo bene… Nel frattempo arriva Rafael con un grosso ragno in mano. E’ un parente stretto della vedova nera, ma meno pericolosa. Questa se ti becca non è mortale, ma provoca un febbrone alto per 4 giorni! Chiedo se non ha paura di essere morso, e mi risponde che il ragno è in grado di “sentire” se la persona che ha vicino è impaurita o se la situazione è pericolosa. Con l’occasione domando del tanto decantato Anaconda: mi risponde che il serpente più pericoloso è il “draga benado” e cioè il Boa! L’anaconda, dice, è più difficile che attacchi l’uomo che si può più facilmente liberare dalla sua forte presa. Ci sediamo un po’ sul molo e Victor, con un grosso pesce in mano, inizia a fischiare. Ad un certo punto arrivano due LONTRE (Perro de agua) che, come due cagnolini, attendono il loro pranzo. Taglia il pesce in più parti e lo distribuisce un po’ a loro e qualche fetta al micio che nel frattempo è arrivato di corsa. Dopo un po’, con la panza piena, si crogiolano al sole. Si possono accarezzare e non destano la minima preoccupazione. Dopo pochi minuti, arriva maestoso un Airone . Si appoggia sul parapetto del molo e attende anche lui la sua razione. Victor gli lancia due pesci che in un attimo ingoia interi! Dopo un po’ mi avvicino con cautela per una foto, ma non sembra farci caso. E’ la prima volta, in tutti i nostri viaggi, che riesco ad avvicinarmi così ad animali non domestici. In cucina ho visto arrivare mezzo maiale già pulito e pronto da cucinare alla brace, due tacchini e chissà cos’altro! Stanno preparando per la festa di fine anno e… Ci piange il cuore! Saremmo stati molto volentieri qui a festeggiare con tutta questa gente cordiale e disponibile, ma il programma non ce lo permetteva. Prima di partire restiamo a chiacchierare con la proprietaria, con Victor, e con l’avvocato della società che gestisce il Lodge: è un italiano stabilitosi ormai da tantissimo tempo in Venezuela. In quei giorni è venuto a trovarlo anche il figlio che abita in Florida. Insomma il clima è conviviale, nessuno si arrabbia, tutti i dipendenti fanno il loro lavoro senza fretta e sempre col sorriso sulle labbra. E questo ci crea ancor più malinconia. Partiamo con la barchetta e dopo un’ora e mezza circa arriviamo al porticciolo di San Josè De buja, dove ci aspetta il fratello di Beatriz per il trasferimento in auto fino a Puerto Ordaz. Anche questo trasferimento passa veloce e, tra una chiacchiera e un’altra, arriviamo al trasbordo sul traghetto per attraversare di nuovo il Rio Orinoco, verso San Felix e alle 18,00 circa siamo alla posada Residencia Tore.

04 Agosto 2006, Verso le 5,00 ci vengono a prendere peri il volo delle 06,00 per arrivare all’aeroporto Maquetìa di Caracas per voli nazionali. Al check in per il volo di Los Roques ci sono due ragazze senza computer o terminale. Fanno una gran confusione. Chiedono ad un assistente via radio se c’è ancora posto in aereo per sapere se fare ancora biglietti! Per fortuna avevamo già prenotato da parecchi giorni, altrimenti ci toccava stare a terra. Pesano i bagagli in una bilancia per persone e fanno pagare cifre non indifferenti per pochi chili in più. Prima d’imbarcarci la polizia esamina accuratamente i bagagli, a qualcuno li fanno aprire. Finalmente, , ci fanno salire. L’aereo è DC3 ad elica Pochi minuti prima dell’atterraggio ammiriamo i piccoli atolli dell’arcipelago di Los Roques, in mezzo all’acqua cristallina.Arriviamo verso le 1O,00 all’Isola di GRAN ROQUE. L’aeroporto non esiste. C’è una fettina d’asfalto per il decollo e l’atterraggio. Non ci sono transenne, recinzioni, corridoi, strade… solo una sala d’aspetto senza pareti e nient’altro. Appena smontiamo bisogna arrangiarsi a ritirare il proprio bagaglio e mettersi in fila per pagare la tassa d’accesso, Di fianco leggiamo un cartello: tutto l’arcipelago e le acque circostanti sono stati dichiarati parco nazionale nel 1972 e dal punto di vista amministrativo dipendono dal Distrito Federal. Dal lato del mare, vicino alla pista, la banchina del villaggio è piena di pescherecci, imbarcazioni, yacht in visita e tanti pellicani. Questa è l’unica isola di origine vulcanica. A differenza delle altre che sono sabbiose e completamente pianeggianti, Gran Roque presenta due gobbe rocciose sul capo occidentale e scogliere che si gettano quasi a picco sul mare. Ci aspetta Ismael Della posada Acquamarina,C’incamminiamo a piedi sulla strada d’accesso al centro abitato, ma… È tutta sabbia! Non c’è asfalto, non ci sono auto, motorini, biciclette… Wow!! Arriviamo alla piazza chiamata “Plaza Bolìvar”: qualche albero, una piccola pavimentazione in cemento circolare e tutt’intorno sabbia! Tutte le strade (sabbiose) sono fiancheggiate da case dai vivaci colori e non risentono di alcun problema di traffico. L’unico veicolo che circola da queste parti è il camion della spazzatura. Vicino alla piazza c’è l’ufficio dell’Inparques, la stazione della Guardia Nacional, qualche negozio (gestito anche da italiani) e tre telefoni pubblici. Ariiviamo alla posada Acquamarina, dove per 85 Euro abbiamo goduto di trattamento di pensione completa con trasferimento alle isole il personale si è dimostrato cordiale e disponibile. Dopo pochi minuti (sono le 11,30 circa) vengono ad avvisarci che tra poco partiamo per l’escursione all’isola di “Madrizquì”. Saliamo in un piccolo motoscafo In poco tempo approdiamo all’isola in una spiaggia di soffice sabbia bianca. Non ci sono palme: solo qualche alberello. Nell’arco di circa 3-400 metri monta la tenda (di quelle rettangolari) che ci riparerà dal sole cocente, ci consegna il “frigo” da campeggio preparato apposta da loro con panini, frutta fresca, formaggio, qualche affettato, acqua e bibite in abbondanza. Ci accordiamo l’orario per venirci a prendere e se ne vanno. Ecco,… qui possiamo dire che ci siamo rilassati. Ci voleva dopo le innumerevoli ed indimenticabili peripezie.Ci stendiamo un po’ al sole con crema protezione 30 (trenta)!! Impossibile resistere! Sembra di essere allo spiedo! Facciamo 4 passi, anche verso l’interno: la vegetazione consiste principalmente in erba, cactus, cespugli bassi e mangrovie. Ci sono quattro specie di tartarughe e alcune piccole lucertole, salamandre e iguane. Tornati alla nostra tenda mi stendo sullo sdraio e faccio un bel pisolo. Sfido chiunque a restare svegli: c’è una leggera brezzolina calda, nessun rumore, magari dopo aver fatto uno spuntino… Verso le 17,30 vengono a prenderci e torniamo alla posada. Dopo cena, terminata assieme agli altri ospiti della posada, usciamo verso la piazzetta e, questo è il bello, in t-shirts e ciabatte. Verso mezzanotte c’incamminiamo per un meritato riposo. Loro andranno avanti fino alle due circa.

05 Agosto 2006, Il mattino dopo ci sveglia il sole che filtra dai balconi della nostra stanza. Non ho mai provato così tanto piacere alzarmi la mattina presto!! Apro la porta d’ingresso e siamo direttamente sulla spiaggia. Il mare di fronte a noi, calmo e piatto, è animato solo da qualche pellicano che si tuffa per prendere i pesci. Ci sediamo sugli scalini e restiamo lì ad ammirare questo posto meraviglioso. Ho cercato di imprimerlo nella mente per incoraggiarmi quando tornerò a casa. Dopo colazione, chiedo di fare un’escursione diversa dalla solita già prenotata, per poter visitare qualche altra isola. Paghiamo una piccola differenza e verso le 10,00 partiamo verso l’isola di “CAYO DE AGUA”. E’ chiamata così perché verso l’interno c’è una pozza d’acqua dolce, tutt’ora potabile, che utilizzavano i pescatori durante le loro uscite. Poi andiamo a “DOS MOSQUISES”, dove c’è una stazione biologica marina gestita dalla Fundaciòn Cientìfica Los Roques e aperta ai visitatori. Non c’è nulla di speciale. L’unica cosa che ci ha entusiasmato è la presenza di vasche in cui si allevano tartarughe e altre specie in pericolo d’estinzione che poi vengono liberate nei mari dell’arcipelago. Finora sono stati allevati e restituiti al loro ambiente naturale più di 5000 esemplari di tartaruga. L’unico problema è che il custode degli acquari, se qualcuno chiede di fare qualche foto, le tira fuori dall’acqua riuscendo così a rovinare la loro tranquillità. Terminiamo l’escursione all’isola di “MADRIZQUI’”. In tutti i posti delle isole dove siamo approdati erano disabitati e questo, assieme alle spiagge meravigliose e ad un’acqua stupenda, li rendeva ancora più incantevoli.

06 Agosto 2006, Il giorno dopo ci hanno portato all’isola di “NORONQUISES” dove abbiamo trascorso dalle 12,00 circa alle 17,00. Dopo numerose passeggiate e qualche bagno, un’esposizione al sole e uno spuntino, non vedevo l’ora di tornare: non siamo più abituati ad oziare tutte queste ore. La frenesia dei primi giorni ci aveva contagiato.Dopo una cena gustosa a base di pesce, usciamo per una passeggiata lungo le “calle” di sabbia del paesino. Chiamiamo casa con i telefoni pubblici che sono nient’altro che dei cellulari . Ci fermiamo ogni tanto per parlare con nostri amici incontrati durante le visite alle isole: Insomma si fa amicizia facilmente. Ho letto e sentito di qualche persona che si lamentava di Los Roques perché non ci sono discoteche, divertimenti, locali e a mezzanotte tutti vanno a letto. Nulla di più sbagliato: secondo me non c’e’ posto migliore di Los Roques per fare amicizia. Ci sono tre-quattro ristoranti con al massimo 10-15 posti a sedere e questa è già una bella cosa perché se ti siedi con qualcun altro (o altra…) fai amicizia per forza. Ci sono dei bar per poter passare qualche ora in compagnia dove si consumano alcolici senza problema; in uno di questi addirittura, il gestore ci ha offerto il caffè per ben tre volte senza volere una lira!! All’interno di qualche posada ci sono dei piccoli locali aperti a tutti dove si può suonare e bere qualcosa. Il paese è piccolo e per questo prima o poi ci si incontra, ci si ritrova per forza, si fa 4 chiacchiere, si beve qualcosa e poi magari un giretto in spiaggia… Durante gli altri giorni visitato le isole di Francisqui, Cayo Muerto, Espenky , Sarky, Siamo rientrati in Italia 11/08/06 In conclusione: il Venezuela è una nazione splendida e da mettere nei vostri programmi. Certamente non sarete delusi, posside una tale varietà di paesaggi da soddisfare anche il turista più esigente. Potete passare dalle vette andine, coperte di neve, al vasto Delta dell’Orinoco, alla parte meridionale interamente occupata dalla selvaggia e leggendaria foresta amazzonica, mentre quella settentrionale è un susseguirsi di spiagge e isole disposte lungo tremila chilometri.



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