Tour classico dell’Uzbekistan

Nel Paese delle Mille e una notte
Scritto da: Lyn
tour classico dell'uzbekistan
Partenza il: 03/10/2013
Ritorno il: 10/10/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €

1° giorno: Catania – Roma Fiumicino – Tashkent

Ci muoviamo di buon’ora per non rischiare di perdere la coincidenza con l’Uzbekistan, che parte alle 11. Il volo Roma – Tashkent dura circa 5 ore e mezza, viene effettuato dalla compagnia aerea nazionale uzbeka, ed è pessimo: aereo sporco, poco spazio, sedili sfondati, intrattenimento a bordo guasto, ma almeno il cibo è decente e il personale di bordo cortese (una delle hostess parla anche un buon italiano).

Atterriamo in orario verso le diciannove ora locale ( + 3 rispetto all’Italia) e subito facciamo i conti con la burocrazia: prima al controllo documenti dove, a causa del visto collettivo, siamo costretti a sfilare tutti davanti allo stesso poliziotto; poi alla dogana, dove un solo funzionario per decine di persone controlla con minuzia il modulo in duplice copia che avevamo compilato sull’aereo: alla fine perdiamo più di un’ora… Arrivati nella sala arrivi, si verifica un altro contrattempo: la guida non si vede da nessuna parte! Dopo venti minuti di attesa inutile, a qualcuno viene in mente di guardare fuori dalla porta, ed eccolo lì… Ci spiega che, da qualche anno, l’accesso all’interno dell’aeroporto è consentito solo a chi ha un biglietto aereo, mentre tutti gli altri devono aspettare all’esterno. Fortunatamente non ci sono stati contrattempi, ma sarebbe stato opportuno che il tour operator avesse inserito questa informazione nel programma di viaggio.

Raggiungiamo l’hotel in meno di mezz’ora: si tratta di una bella struttura, la migliore di tutto il viaggio, con camere enormi e wi-fi gratuito anche nelle camere; l’unica stramberia sono le maschere antigas in bella vista sulla scrivania… Dopo la cena non abbiamo sonno e andiamo a fare una passeggiata nei dintorni, ma la zona è un anonimo quartiere residenziale e fa piuttosto freddo, perciò rientriamo quasi subito.

2° giorno: Tashkent – Urgench – Khiva

Tashkent, la capitale, è una città molto moderna perché fu distrutta da un violento terremoto nel ’66 e poi ricostruita in stile sovietico: la maggior parte degli edifici è rappresentata da enormi palazzoni bianchi, talvolta “abbelliti” da improbabili motivi tradizionali; però è anche una città molto verde, con parchi e lunghi viali alberati.

La prima sosta, piazza dell’Indipendenza, è proprio così, un’ampia piazza-giardino con al centro un colonnato sormontato da due cicogne, uccelli molto diffusi da queste parti.

Ci spostiamo poi presso il complesso Khast Imam, l’unico ricostruito secondo lo stile tradizionale dopo il terremoto; visitiamo tre edifici: il museo che ospita il Corano più antico del mondo, una moschea e una madrassa (convertita in bazaar); l’insieme è gradevole, anche se nulla a confronto delle meraviglie che vedremo nelle altre città.

Infine visitiamo il bellissimo museo delle arti applicate, ospitato nella residenza di un nobile russo, che raccoglie preziosi oggetti di artigianato tradizionale: suzane (teli ricamati usati come arazzi), gioielli, strumenti musicali, oggetti in legno intagliato, ceramiche… tutto molto bello.

Dal museo andiamo subito all’aeroporto. Il volo Tashkent – Urgench dura poco più di un’ora e si rivela più confortevole di quello intercontinentale. Una bella consuetudine della compagnia è quella di offrire una bibita non appena si sale a bordo.

Scesi dall’aereo partiamo per Khiva (40 km. di distanza da Urgench), andiamo in hotel e, dopo un pranzo tardivo a metà pomeriggio, ci sistemiamo nelle camere e riposiamo un po’.

Verso le sette usciamo con la guida per un primo assaggio della città, a piedi perché la porta d’accesso alla città vecchia è proprio davanti all’hotel. La Khiva storica, in uzbeko Ichon-Qala, è molto piccola, un borgo fortificato di paglia e argilla miracolosamente arrivato fino a noi in condizioni quasi perfette; nonostante ci vivano 2000 persone, non ci sono edifici moderni, nè auto, le strade non sono asfaltate, c’è poca illuminazione… sembra di entrare in un’altra epoca. Data l’ora i negozi di souvenir sono chiusi, restano aperti solo i bar, le botteghe degli artigiani e piccoli empori per la gente del posto. Vicino all’entrata ci fermiamo a osservare il lavoro in una bottega di intagliatori del legno; l’artigiano e due giovani apprendisti stanno lavorando all’anta di una porta: ci fermiamo sulla soglia timorosi di disturbare il loro lavoro, loro invece ci invitano a entrare e posano orgogliosi per le nostre foto.

Proseguiamo attraverso i vicoli di quella che sembra una città fantasma, ammirando i monumenti in un’oscurità quasi totale: bellissimi il Kalta Minor, minareto tronco ricoperto di piastrelle colorate, e la vicina madrassa, che oggi è un albergo. A un certo punto, per raggiungere il ristorante, deviamo dalla strada principale lastricata e ci inoltriamo in mezzo alle case: il terreno è sconnesso e siamo praticamente al buio, così la guida tira fuori la torcia! Avevo letto che era consigliabile portarsene una, ma mi era sembrata un’esagerazione, invece serve davvero… Proseguiamo, tra le risate, sentendoci un po’ esploratori e un po’ fantasmi, fino al ristorante, anche questo ospitato in un antico edificio con tanto di minareto a fianco. La cena si rivela molto buona: come antipasto insalata russa, melanzane grigliate con pomodoro e fagioli in insalata, poi brodo di carne e verdure, delle polpette cipollose avvolte in una crepe, un dolce a base di frutta secca e arachidi ricoperte di zucchero; da bere il tè verde, la bevanda nazionale.

Dopo cena, usciamo nel cortile e ci avviciniamo a dei ragazzi (che scopriremo essere delle guide turistiche) che giocano a backgammon seduti sulla tradizionale panca uzbeka, una pedana rialzata con un tavolino al centro, intorno al quale si sta seduti a gambe incrociate. Ci mettiamo a parlare in inglese, facendo paragoni tra i nostri Paesi e i diversi stili di vita, e finiamo la serata brindando con la vodka (che loro chiamano “tè bianco”), offerta da loro nonostante le nostre proteste… Gli Uzbeki sono davvero simpatici e ospitali.

3° giorno: Khiva

Quella che ieri sera ci era sembrata una città fantasma, oggi è piena di vita e di persone. Entriamo da un altro accesso, vicino a un’enorme mappa della Via della Seta e alla statua di un importante matematico, scopritore dello zero. Siamo sulla via principale, circondati da edifici di una bellezza senza tempo, il clima è mite e soleggiato e ci godiamo una splendida passeggiata.

La prima tappa è l’Ark, o fortezza, l’antica residenza del Khan (equivalente al nostro sovrano). Al suo interno visitiamo anzitutto un piccolo museo dedicato alla storia della città, poi ammiriamo la bellissima moschea all’aperto, la sala del trono, e l’harem, con la fastosa camera da letto del sovrano. Infine, saliamo su di un punto panoramico da cui si ammira una veduta mozzafiato della città, le sue mura e i minareti, in particolare il Kalta Minor già visto ieri sera, e l’altrettanto bello minareto Khodja, decorato da fasce di maioliche colorate. Il posto è bellissimo, ci tratteniamo per un bel po’ e scattiamo mille foto, percorriamo anche un tratto delle mura ma dobbiamo rinunciare a completare il giro per mancanza di tempo.

Prima di uscire, facciamo tappa nel cortile di una madrassa dove assistiamo a un breve spettacolo di funamboli; gli artisti sono due fratelli molto bravi: fanno salti, capriole e giochi di equilibrio su una fune sospesa a diversi metri di altezza, e nell’ultimo numero si aggiunge anche una bambina deliziosa (tutta l’esibizione si è svolta in condizioni di sicurezza). Al termine, gli acrobati scendono e si esibiscono in un brano di musica tradizionale suonato con tamburi e una tromba lunghissima, e poi posano con noi per le foto. Visitiamo anche la bottega di un intagliatore del legno, dove ci viene mostrato il processo di lavorazione dei bellissimi leggii tradizionali uzbeki, ricavati da un unico blocco di legno e finemente decorati: ce ne sono di due tipi, uno più “semplice” che si può aprire in quattro posizioni diverse, l’altro più grande ed elaborato che si può aprire in ben nove modi diversi.

Vicino al ristorante, ci fermiamo a osservare il lavoro di due donne che preparano il pane: appiattiscono l’impasto su un disco rotondo convesso, lo decorano pungendolo con un apposito timbro con motivi floreali, poi lo attaccano sulle pareti del forno (che a differenza dei nostri ha l’apertura sulla sommità e non di lato) e dopo un paio di minuti è pronto. Anche loro si dimostrano gentilissime, e ci offrono una pagnotta appena sfornata, ottima.

Dopo pranzo completiamo la visita della città. Prima la moschea Juma, o moschea del venerdì, uno dei luoghi che mi è piaciuto di più: un ampio cortile coperto, con due pozzi luce a rischiarare l’ambiente, e una selva (oltre duecento) di colonne di legno finemente intagliato. Poi il mausoleo di Pakhlavan Makhmud, tutt’oggi luogo sacro per gli Uzbeki; al suo interno, oltre a godere della bellezza delle maioliche che lo decorano, in tutte le sfumature del verde e del blu, assistiamo a una piccola cerimonia: una coppia entra nella moschea, portando un vassoio con del pane fresco; il pane viene poggiato su un basso tavolino davanti al quale i due si inginocchiano; subito arriva un giovane religioso, che si inginocchia a sua volta e intona un canto di benedizione; alla fine i due si alzano, fanno una visita alla tomba del Santo nella sala attigua ed escono, lasciando il pane dove si trova; la guida ci spiega che è un’ usanza del posto portare pane e dolci in offerta, che vengono benedetti e lasciati a disposizione di tutti i fedeli.

Usciti dal mausoleo abbiamo un po’ di tempo libero per lo shopping; a Khiva gli acquisti migliori sono gli oggetti in legno intagliato (taglieri, scatoline, piatti e i già menzionati leggii), borse e borsellini in velluto nero ricamato, sciarpe e babbucce in lana di cammello fatte a maglia dalle donne del posto, e i timbri per decorare il pane; se si amano le pellicce, diversi negozi vendono cappotti e colbacchi di astrakan, visone e altri animali.

Prima di rientrare decidiamo di fermarci in un bar e ci accomodiamo sulla tipica seduta uzbeka, naturalmente a gambe incrociate! Resistiamo cinque minuti, poi ci trasferiamo su delle sedie normali…

Stanchi della giornata, rinunciamo alla passeggiata serale e trascorriamo la serata nella hall, scambiandoci impressioni su Khiva e sull’Uzbekistan.

4° giorno: Khiva – Urgench – Bukhara

Di buon’ora lasciamo Khiva e prendiamo un volo per Bukhara, che dura appena quarantacinque minuti e ci dà l’opportunità di godere lo splendido panorama del deserto dall’alto, tagliato a metà dal fiume Amur-darià, il principale dell’Uzbekistan.

Prima visita a Bukhara è la moschea Chor-Minor, o moschea dei quattro minareti; questa si trova fuori dal centro, e per raggiungerla attraversiamo a piedi una zona residenziale: siamo gli unici turisti, e subito molte persone si affacciano alla porta di casa per osservarci; il quartiere è modesto ma decoroso, le case sono costruzioni basse dal tetto in lamiera, le strade sterrate e sconnesse, in giro ci sono soprattutto donne anziane e bambini molto piccoli, e tutti sorridono e ci salutano.

La moschea è un piccolo edificio sormontato da quattro minareti, che in realtà sono torri, ognuna decorata in maniera differente perchè, secondo la leggenda, erano dedicate alle quattro figlie del sovrano che fece costruire l’edificio, che avevano dei caratteri molto diversi. L’interno, tanto per cambiare, ospita un negozietto, ma si può salire sul tetto: le torri viste da vicino sono bellissime, e scattiamo le nostre foto con un’angolazione insolita, dal basso verso l’alto. Davanti alla moschea acquistiamo delle caratteristiche zucche dipinte, e abbiamo fortuna perché si tratta delle prime, ma anche delle più belle, che vedremo in tutto il viaggio.

Tappa successiva è la moschea Bolo-Hauz, un’altra moschea esterna con soffitto e colonne in legno finemente decorato e dipinto a colori vivaci, che si affaccia su un’enorme vasca piena d’acqua. Visitiamo poi il mausoleo del capostipite della dinastia dei Samanidi, un edifico a pianta quadrata decorato da un raffinato intreccio di mattoni traforati, e ricco di simboli che richiamano la religione zoroastriana.

Vicino al mausoleo si trova la fonte di Giobbe, un luogo sacro per gli abitanti di Bukhara perché al suo interno ospita una sorgente d’acqua considerata benedetta; dietro la fontana (che avrebbe bisogno di un ammodernamento…) si trova la tomba del profeta: la gente entra, si raccoglie in preghiera, poi beve e riempie la sua bottiglia. Un rito semplice e suggestivo.

Di pomeriggio ci spostiamo nel centro cittadino. Rispetto a Khiva, Bukhara è più moderna e urbanizzata, ma mantiene il suo fascino, nonostante il traffico e gli ambulanti, che qui sono davvero assillanti. La parte più bella è senza dubbio il complesso Kalon, una piazza su cui si affacciano la più grande moschea della città e, di fronte, l’unica madrassa che ancora funziona come scuola coranica; in mezzo il bellissimo minareto, la cui splendida decorazione è ottenuta semplicemente con la disposizione dei mattoni: un’autentica torre di merletto, talmente bella da impressionare Gengis Khan che la risparmiò dalla sua furia distruttrice, unico edificio in tutta la città. Il luogo è bellissimo e ricco di atmosfera, ancor più alla luce del tramonto; il cortile interno della moschea, dove incredibilmente siamo soli e senza venditori intorno, è incantevole, maestoso nella sua semplicità, così ci attardiamo tra le arcate e ci godiamo i riflessi del sole sul blu delle piastrelle. La madrassa, invece, non è visitabile, possiamo solo entrare nell’atrio e sbirciare nel cortile interno.

Infine visitiamo altre due madrasse-bazaar; qui la guida ci mostra alcuni curiosi gioielli e utensili tradizionali, come un ciuccio in argento che si può riempire di zucchero, un pendente con attaccati pinzetta, lima per unghie, stuzzicadenti e bastoncino per le orecchie, e dei piccoli strumenti in legno usati per i neonati al posto dei pannolini. Entriamo anche nel laboratorio di un artigiano che lavora il bronzo: mi colpiscono soprattutto i vasi alti e stretti, e i bellissimi piatti arricchiti da smalti colorati.

La sera è prevista una cena tipica all’interno di una madrassa con spettacolo di danze tradizionali, ma l’esperienza si rivela deludente: il cibo non è niente di che (il “piatto forte” sono una specie di tagliatelle scotte, condite con dadini di frittata…), mentre lo spettacolo è una sequenza di balletti simili tra loro, intervallati da una sfilata di moda uzbeca… Prima di andarcene facciamo un giro tra i negozi, e né trovo uno che vende orecchini in filigrana d’argento e pietre dure, lavorati con bellissimi motivi tradizionali, e a prezzi decisamente convenienti: la cosa migliore di tutta la serata!

5° giorno: Bukhara – Shakhrisabz – Samarcanda

Partiamo di buon’ora perché abbiamo molti chilometri da percorrere. La prima fermata è presso la residenza dell’ultimo emiro di Bukhara, appena fuori dalla città; il palazzo è piccolo e non paragonabile alle dimore nobiliari europee, ma è comunque piacevole da visitare; all’interno, l’arredamento è un miscuglio di elementi uzbechi, russi e orientali, le parti più belle sono la sala principale decorata a mosaico con specchi e vetri colorati, e la collezione di porcellane cinesi e giapponesi. Usciti dall’edificio attraversiamo il giardino, piuttosto trascurato, dove vive una colonia di pavoni con tanto di cuccioli, e raggiungiamo l’harem (non visitabile); davanti all’edificio c’è una piscina, dove le concubine attendevano la visita del loro signore: lui si affacciava alla finestra e lanciava una mela alla prescelta. Accanto alla piscina c’è una piccola costruzione con annessa torretta che era la postazione dell’eunuco, oggi l’ennesimo negozio di souvenir, e davanti a questa una gigantografia del pantagruelico emiro, affiancata da due troni: si, la solita trappola per turisti, ma la tentazione per qualcuno è troppo forte… Immortaliamo coi nostri obiettivi un paio di emiri davvero improbabili nei loro mantelli dorati, e ripartiamo.

Il viaggio verso Shakrisabz è molto lungo. La strada (una delle arterie principali del paese) è in pessime condizioni, e l’autista è costretto a fare lo slalom tra buche, macchine, ciclisti, carretti e persino pedoni; buona parte del viaggio si svolge attraverso il deserto, una landa cespugliosa che si stende a perdita d’occhio; lungo tutto il tragitto c’è un solo autogrill molto spartano, ma la guida ci dice chiaramente che l’unica alternativa sono i cespugli.

Arriviamo a Shakrisabz dopo oltre quattro ore di viaggio, per visitare i pochi resti che si trovano in questa città. Iniziamo dalle rovine del palazzo estivo di Tamerlano: ormai rimangono solo i ruderi dell’enorme porta di accesso, due blocchi massicci alti come palazzi di tre piani, davanti ai quali si erge la statua del condottiero; il colpo d’occhio è spettacolare, però l’edificio è davvero molto danneggiato; ancora più malmessi sono gli altri siti che visitiamo, una moschea dalle belle cupole blu e un complesso funerario; scendiamo anche in quella che è chiamata cripta di Tamerlano, e che ospita invece i resti di uno dei suoi figli morto prima di lui, ma siamo costretti a risalire quasi subito per il forte odore di urina.

Mentre torniamo al pullman incrociamo una coppia di sposi con i loro amici, che fa le foto davanti ai monumenti; ci fermiamo a guardare e chiediamo di poter fotografare anche noi, loro gentilmente si prestano e poi ci chiedono di posare con loro: alla fine faremo foto praticamente con tutti gli invitati… Salutiamo e ripartiamo di corsa verso Samarcanda.

Siamo in ritardo sulla tabella di marcia, e comincia a fare buio; la strada è peggiore di quella del mattino, e in alcuni punti procediamo praticamente a passo d’uomo; la guida ci dice subito che l’unico bagno disponibile prima dell’hotel è ancora piuttosto distante, e di nuovo ci propone i cespugli; decidiamo di aspettare ma sbagliamo, perché quando arriviamo sul posto è tardi e le toilette sono chiuse: siamo perciò costretti ad arrangiarci a bordo strada, nell’oscurità più totale… Pazienza…

Giungiamo a Samarcanda verso le nove. Dopo cena facciamo quattro passi nei dintorni dell’hotel e ci imbattiamo nella seconda statua di Tamerlano della giornata, che stavolta ritrae il condottiero seduto. Foto di rito e poi a nanna.

6° giorno: Samarcanda

Ed eccoci finalmente nella meta più attesa di tutto il viaggio. La guida ci porta subito in piazza Registan, il luogo più fotografato di tutto il Paese. Si tratta di una piazza enorme, circondata da tre madrasse (Ulugbek, Tilla Kari e Sher-Dor); i tre edifici, come molti altri monumenti della città, sono stati oggetto di pesanti restauri: la ricchezza dei colori e lo sfarzo delle decorazioni sono di una bellezza accecante, a volte sono un pò pacchiani, ma l’effetto complessivo è davvero impressionante. Con la guida entriamo nella madrassa Tilla Kari (quella centrale) e visitiamo l’ex moschea, decorata con colori brillanti e largo uso di polvere d’oro. Dopo ci viene lasciato del tempo libero per fare il giro dei tre edifici (e dei loro negozi…), e acquistiamo della ceramica e gli ultimi regalini per parenti e amici; infine, facciamo la classica foto con le madrasse sullo sfondo, dal terrazzino davanti alla piazza.

Proseguiamo per il mausoleo di Tamerlano; la struttura è simile a quella di una moschea: un portale d’accesso, che dà su un ampio cortile interno, infine la sala dove si trova la tomba del sovrano e quella di alcuni parenti; anche qui i lavori di restauro sono stati imponenti, in particolare all’interno della cripta, dove dominano l’oro e il lilla, con un risultato fiabesco…

Prima di pranzo, ci rechiamo nella fabbrica della carta di seta (così chiamata perché ricavata dalla corteccia del gelso, l’albero usato per nutrire i bachi da seta): la visita è breve ma interessante, sia per il procedimento, interamente artigianale ed ecologico, che per il luogo in sé, un vecchio mulino ad acqua immerso nel verde; nello shop acquistiamo dei quadretti e alcuni segnalibri: i prezzi sono un po’ alti, ma la scelta di articoli che c’è qui non si trova da nessun’altra parte.

Dopo il pranzo proseguiamo la visita con la moschea di Bibi Khanum, moglie prediletta di Tamerlano, il monumento meno restaurato di Samarcanda; alla figura di questa donna è legata una romantica e triste leggenda legata alla nascita dello chador. Il cortile interno sembra un giardino, e nel centro di questo si trova un enorme leggio in pietra sul quale in passato stava l’enorme Corano che abbiamo visto a Tashkent: secondo la tradizione, le donne che riescono a passarci sotto avranno presto dei figli. La moschea, che già al momento della costruzione aveva problemi strutturali, con il tempo andò in rovina e fu abbandonata: ciò che visitiamo è il frutto di una ricostruzione solo parziale.

Vicino alla moschea si trova il mercato alimentare, enorme e affollatissimo, con una varietà infinita di merci in vendita; la parte più interessante, per noi turisti, è quella della frutta secca: i banchi sono tutti sotto una tettoia vicino all’ingresso, e dispongono la loro merce con molta cura; mentre giriamo ci offrono molti assaggi: uva, albicocche (vuote o farcite di noci o mandorle), meloni, ceci e arachidi; facciamo qualche acquisto, e prendiamo anche del tè verde.

La cena è prevista in una tipica casa tagika; l’abitazione è davvero la casa di una famiglia locale, perchè le trattorie casalinghe sono piuttosto diffuse a Samarcanda; l’ambiente non è nulla di che, mi sarei aspettato qualcosa di più caratteristico e curato, però la cucina è ottima: gli antipasti sono fatti con verdure del loro orto, al posto della zuppa ci portano un piatto di panzerotti con vari ripieni (carne, verdure e formaggio) chiamati “samsa”, e il piatto forte è il famoso “plov”, una sorta di risotto servito con verdure, uvetta e pezzi di carne. E per finire, un brindisi con il tè bianco…

7° giorno: Samarcanda – Tashkent

Al mattino terminiamo la visita della città. Facciamo la prima sosta presso il museo archeologico che ospita i resti dell’antica Afrosiab, la città pre-islamica; la collezione è piccola, e se non si è archeologi esperti poco interessante; l’unico reperto di rilievo sono i resti di un affresco sopravvissuto all’iconoclastia musulmana: l’insieme è molto danneggiato, ma alcune parti sono ben conservate, e i disegni che ricostruiscono le varie scene danno un’idea del soggetto originale. Fuori dal museo, fotografiamo una buffa scultura celebrativa della Via della Seta, che raffigura un gruppo di cammelli.

Tappa successiva l’impressionante cimitero Sha-i-Zinda, la parte monumentale del cimitero di Samarcanda, che ospita, fra le altre, le tombe di due sorelle di Tamerlano e quella di un cugino di Maometto, che è meta di pellegrinaggio (per questo motivo, il cimitero è visitato anche da molti Uzbechi); entrando, si ha l’impressione di essere in un canyon, un corridoio lungo e stretto dalle altissime pareti colorate di verde e blu; percorriamo il viale, visitando le varie tombe (che anche internamente sono splendide): purtroppo una parte degli edifici è crollata e oggi rimane uno spazio libero, ma l’insieme resta comunque di grande fascino; la visita è divertente anche perché noi stessi siamo un’attrazione per la gente del posto: diverse persone ci salutano, ci chiedono da dove veniamo, e vogliono farsi le foto con noi, che ci prestiamo volentieri; un altro motivo di attrazione sono i bambini, adorabili, e anche per loro le foto si sprecano…

Da ultimo, visitiamo la fabbrica dei tappeti; la visita è molto interessante, perché abbiamo modo di vedere la materia prima (i bozzoli), i pigmenti naturali usati per i colori, e soprattutto le operaie, tutte ragazze maggiorenni, al lavoro davanti ai loro telai, che annodano i fili con una rapidità incredibile. Nel negozio di questa fabbrica acquistiamo la nostra suzane, che raffigura un pavone.

E’ giunto il momento di salutare Samarcanda… La strada che ci riporta verso la capitale è, al confronto di quelle fatte in precedenza, una pista da biliardo, e anche il paesaggio è più vario; dapprima la zona agricola, con campi di cotone a perdita d’occhio e frutteti: ogni tanto attraversiamo un villaggio, e lungo la strada i contadini organizzano piccoli mercati improvvisati per la vendita dei loro prodotti, soprattutto meloni, zucche e melograni. Poi, avvicinandoci alla capitale, le montagne.

Arrivati a Tashkent, completiamo la visita della città con un giro sulla sua metropolitana; come in quella di Mosca, alcune delle stazioni sono riccamente decorate (anche se il paragone con la metro russa non regge…), e ognuna ha un suo tema; quella che ho preferito è dedicata al cotone, e le piastrelle che la abbelliscono riportano l’effige stilizzata del suo fiore; particolari sono anche i “biglietti”: invece del solito cartoncino da timbrare ci viene dato un gettone da inserire nel tornello al momento di accedere ai binari, pratico ed ecologico perché a fine giornata tutto viene recuperato; a scoraggiare i furbetti ci pensano i molti poliziotti che girano nei corridoi. L’ultima sosta è davanti alla terza statua di Tamerlano, che ritrae il condottiero a cavallo.

8° giorno: Tashkent – Roma – Catania

E’ giunto il momento di ripartire… Sveglia alle due e trenta (!), un ultimo tè verde e poi di corsa in aeroporto. Riconsegniamo il modulo compilato otto giorni prima, insieme a un altro compilato sul momento, praticamente uguale. Il volo è sullo stesso squallido aereo dell’andata, peggiorato dalla qualità del cibo (spezzatino e cetrioli alle sette del mattino…), e dalla durata maggiore (6 ore e mezza), ma superiamo anche questa e torniamo a casa sani e salvi, stanchi morti e con la sensazione di aver vissuto un sogno…



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