Fuga ad Alcatraz

Southwest USA da San Francisco a San Francisco. Roar!
Scritto da: stramaury
fuga ad alcatraz
Partenza il: 08/08/2015
Ritorno il: 23/08/2015
Viaggiatori: 4
Spesa: 3000 €
Premesse

Chi: Sonia, Uccio, Mateo, io.

Quando: 8-22 agosto 2015.

Dove: Southwest USA da San Francisco a San Francisco. Abbiamo dormito a (oppure vicino a) San Francisco (2 notti), Yosemite, Death Valley, Las Vegas, Grand Canyon, Monument Valley, Antelope Canyon, Bryce Canyon, Las Vegas, Los Angeles, Santa Barbara, Monterey, San Francisco.

Come: Relax? No grazie!

8 agosto 2015 (viaggio Torino – Milano – Istanbul – San Francisco)

Vacanza! Casa degli Ucci, 2.30 di notte, un’ora di sonno alle spalle, nell’autoradio gli Afterhours anche se in testa gira da ieri ‘Holiday’ dei Green Day. Si parte. In un lungo batter d’occhio siamo a San Francisco (SF) nel secondo pomeriggio della west coast, adeguatamente frastornati e con l’orologio biologico partito per la tangente. Raggiungiamo in taxi il motel in Lombard Street all’altezza di Fort Mason e usciamo subito per una passeggiata sui saliscendi che sembrano toboga. Arriviamo con calma a Union Square godendoci il percorso e gli scorci al tramonto, quindi passiamo ai mezzi pubblici che in tempi biblici ci portano al Pier 39 affollato di turisti. Vaghiamo un paio d’ore tra i negozi sul molo, prendiamo una bella dose di freddo, mangiamo chowder (zuppa di granchio in una scodella di pane) e per mezzanotte torniamo al motel cotti a puntino.

9 agosto 2015 (San Francisco)

Grazie al fuso alle 8 siamo in strada. Sole. Unico giorno da dedicare interamente a SF, decidiamo di camminare e pedalare. Raggiungiamo a piedi la baia ritrovandoci in punta all’Acquatic Park Pier, passeggiamo fino a Ghirardelli Square e andiamo in taxi alla Coit Tower. All’ora di apertura c’è già coda ma in mezz’ora siamo in cima dove apprezziamo la vista a 360° su SF e sulla baia. Scendiamo verso la filiale bike&roll di Columbus Ave per affittare 4 biciclette, un buon modo per vedere tanto in poco tempo. Tra palme e tram colorati percorriamo la bella Embarcadero fino al Ferry Building con la torre dell’orologio e ci infiliamo in Mission Street preferendola alla parallela Market, decisamente caotica. Gli isolati che attraversiamo mischiano piacevolmente edifici vecchi e nuovi. Ci fermiamo all’Herba Buena Garden, di cui ho un bel ricordo e che è di strada: un piccolo giardino dove trascorrere qualche minuto al sole sull’erba. Puppa: in questi giorni ospita il festival filippino con gazebi, musica, palcoscenico e folla; niente riposino ma ci aggiriamo tra gli stand e pranziamo. Il SF MoMA è chiuso per lavori e allora ripartiamo spostandoci stavolta nel traffico di Market Street.

Con il vento che cresce e diventa molto fastidioso raggiungiamo Alamo Square, da cui c’è una vista molto bella verso il Downtown: prato davanti, casette colorate in mezzo (le Painted Ladies), grattacieli del Financial District sullo sfondo. Il vento resta forte e le nuvole aumentano comunque pedaliamo fino al Golden Gate Park dove facciamo tappa al Conservatory of Flowers (da fuori) e al De Young Museum (nell’atrio). E’ già metà pomeriggio quindi accorciamo il percorso consigliato da bike&roll e puntiamo direttamente al Golden Gate Bridge. Sosta a Baker Beach per vederlo dalla spiaggia, quindi saliamo lungo Lincoln Blv raggiungendo l’affollato punto panoramico (selfie!) da cui si imboccano i percorsi per ciclisti e pedoni che vogliono attraversare il ponte. Arriviamo al primo pilone ma poi retromarcia causa vento insopportabile. Il panorama sul centro di SF è ammazzato dalle nuvole basse che nascondono la città, WTF. Chiudiamo l’anello del nostro tour ciclistico e riconsegniamo le bici in zona Beach Street al bike&roll aperto dopo le 19. Optiamo anche stasera per il vicino Pier 39 cenando da Bubba Gump. Il tassista che ci porta al motel ama lo sport e si sofferma in particolare sul bocceball, disciplina per old, rich, fart people.

10 agosto 2015 (San Francisco – Yosemite)

Come ieri: alle 8 siamo in strada e c’è il sole. Andiamo alla filiale Hertz di Beach Street per ritirare la macchina. Sono triste perché abbiamo prenotato un suv piccolo che non gratifica le mie ambizioni cafone, invece ci ritroviamo sotto il sedere un Traverse cioè una sorta di Q7 marchiato Chevrolet: i timori per il bagagliaio piccolo scompaiono all’istante e le dimensioni adeguatamente ignoranti mi mettono il sorriso. Facciamo pratica sui saliscendi cittadini come bambini con un nuovo giocattolo, percorriamo due volte i tornanti fioriti di Lombard Street, attraversiamo il Financial District dominato dalla Transamerica Pyramid e infine salutiamo SF puntando il muso in direzione Yosemite, circa 200 miglia ad est. Pranziamo in un KFC di provincia e verso le 15 molliamo le valigie nell’albergo a Oakhurst, poco fuori dal parco. Entriamo a Yosemite da sud facendo la tessera annuale da 80$ del NPS, ringraziamo il ranger per il giornale gratuito che ha in centro l’utilissima cartina (lo danno all’ingresso di ciascun parco) e scopriamo con grande dilusione che Mariposa Grove, il principale gruppo di sequoie di Yosemite, è irraggiungibile per lavori che dovrebbero terminare nella primavera 2017. Guidiamo nel parco fino a Glacier Point per un tramonto panoramico ma non mozzafiato sulla cornice di montagne con Il Capitan a fare da primadonna. Tragitto a ritroso e cena low profile in albergo, nonostante Mateo oggi faccia un ineluttabile passo verso il bocceball.

11 agosto 2015 (Yosemite – Bodie – Death Valley)

Rientriamo a Yosemite e scendiamo nel fondo valle dove scorre il torrente Merced: verde in basso, roccia chiara in alto e su tutto un bel cielo azzurro. Idilliaco. Per mettere una pezza all’imprevisto imprevedibile del Mariposa facciamo la passeggiata al Merced Grove dove ci sono altre sequoie (poche ma buone). A metà giornata partiamo verso il Tioga Pass percorrendo la strada panoramica che conduce all’uscita est dello Yosemite. Mi piace molto, salendo di quota le foreste lasciano spazio a rocce grigie e lisce e così ci muoviamo in un paesaggio spoglio e litico che trovo molto affascinante. Riscendiamo fino al Tenaya Lake dove sgranchiamo le gambe e facciamo un gelido pediluvio, quindi ci riaccomodiamo sul Traverse e salutiamo Yosemite. Next stop Bodie, città fantasma poco distante; per fantasma si intende un centro minerario del secondo ‘800 abbandonato da decenni dove restano più o meno intatte alcune decine di edifici un po’ sparpagliati e non so quanto originali. In ogni caso ci piace: passeggiamo un’oretta tra case, chiesa, scuola, albergo e cespugli aspettando che salti fuori la signora del west, ma evidentemente è molto timida o molto indaffarata. A fine pomeriggio partiamo per la lunga tirata che ci conduce a Furnace Creek nella Death Valley (DV) dove arriviamo dopo le 23.

12 agosto 2015 (Death Valley – Las Vegas)

La sveglia presto per l’alba a Zabriskie Point ci lascia più assonnati che emozionati. Poco dopo le 8 raggiungiamo Bad Water Basin, punto più basso e meta principale della DV per la distesa di sali cristallizzati che si estendono verso la spianata circostante. Il pro di arrivare presto è che siamo pochi intimi e non fa ancora caldo quindi camminiamo senza problemi in lungo e in largo, il contro è che il sole è ancora basso quindi il sale non luccica. Ci spostiamo al Dante’s View che domina dall’alto la DV incorniciata dalle montagne e poi riscendiamo per raggiungere le Mesquite Flat Dunes. Ora il sole picchia forte, camminare sulla sabbia sfianca e quindi resistiamo poco. In lontananza una poveraccia vestita da sposa fa un servizio fotografico sulle dune bianche ad almeno 1 km dal parcheggio. Vabbè. Ripercorriamo le strade ormai torride su cui ci muoviamo da stamattina, mi concedono una replica a Zabriskie Point alla luce di mezzogiorno (meglio), scartiamo per mancanza di tempo altre cose da fare (Artists Drive, ecc.) e quindi puntiamo a LV.

Nel primo pomeriggio arriviamo al Paris Hotel sulla Strip. Parcheggiamo nel multipiano gratuito sul retro e entriamo. Follia. Stradine acciottolate, facciate parigine, gente, slot, negozi e locali, aria condizionata, buio e lampioni accesi, senza la minima percezione spaziotemporale del mondo esterno. Inaspettatamente mi piace. L’hotel è un labirinto ma tra cartelli e camminate facciamo il check-in, recuperiamo i bagagli e saliamo in camera. Dalla finestra vediamo la Torre Eiffel svettare sulla piscina dell’albergo e allora andiamo a rilassarci con un bagno e un po’ di svacco a bordo vasca. A fine pomeriggio ci gettiamo nella bolgia della Strip e un altro elenco è inevitabile: caos, negozi, papponi, musica, porcari, hotel assurdi, cartelloni, (finte) poliziotte in bikini, odori forti, lamborghini, kitsch, casino. Ripeto: follia, piacevole follia. Ceniamo in una steak house australiana che ha l’ascensore in una bottiglia di Coca Cola di quattro piani e ci infiliamo nel vicino negozio M&M’s alto altrettanto in un trionfo di trash e colori che varranno la mia perpetua ammirazione per chi inventa l’assortimento dei prodotti. Intanto fuori si è fatto buio quindi la Strip si mostra nella sua versione migliore: serale e luminosissima. Entriamo e usciamo da hotel e centri commerciali, ci accalchiamo per sbirciare lo spettacolo delle fontane del Bellagio (bha), camminiamo fino al Venice che è trash eppure bello come il Paris e concludiamo in un locale con musica rock dal vivo ma dannazione senza mojito. Cincin in ritardo a Mateo. Rientriamo in hotel sobri ma a pezzi, è stata una lunga giornata.

13 agosto 2015 (Las Vegas – Grand Canyon)

Sveglia con calma (finalmente) e ancora due passi per vedere la Strip by day. Facciamo un inutile avanti-indietro con la monorotaia tutt’altro che panoramica scendendone al MGM Grand dove nella perenne notte artificiale impieghiamo la consueta mezz’ora per trovare l’uscita. Attraversiamo la strada e ci concediamo un giro sulle montagne russe del New York New York (12$ a testa, per gradire) e un pranzo nelle plasticose vie stile Lower Manhattan della sterminata hall-casinò. Torniamo al Paris e nel primo pomeriggio lasciamo LV per il Grand Canyon (GC). Prevediamo di essere lì per il tramonto ma a metà tragitto è già chiaro che lo bucheremo. Visto che guidano tutti come chierichetti e gli sceriffi non sono esattamente come Rosco P Coltrane rosicchiamo qualche km/h ma nulla più. Nel dubbio mettiamo anche a vegliare sulle nostre patenti le biondissime Tracy e Lacy di LV benché il loro biglietto da visita appeso nel Traverse non dica “vai piano” ma “chiamaci”. Superiamo il gate sud del GC e arriviamo all’enorme parcheggio del visitor center mezz’ora di ritardo: il sole è già sotto l’orizzonte, sta facendo buio e la gente sfolla dai vari lookout sparsi qui attorno. Dannazione. Ufficialmente nella top 5 delle scornate della vacanza, ma le gioie saranno ben di più. Anyway, nel buio pesto troviamo il nostro albergo nel GC Village, ceniamo in camera e guardiamo i Goonies in tv.

14 agosto 2015 (Grand Canyon – Monument Valley)

Sveglia presto per vedere l’alba. Impostiamo il navigatore e guardiamo la mappa del parco ma non ci raccapezziamo né noi né il tomtom. Dopo mezz’ora che giriamo a vuoto capiamo che la strada che cerchiamo (Hermit Road) è quella chiusa dalla sbarra. Spiego: ieri ci è sfuggito che qui ci sono 3 linee di navette e che nella parte occidentale del parco sono l’unico mezzo a motore utilizzabile dai turisti. Vabbè. Ciaone all’alba però sono le 6.30 e c’è già un bel sole così tra navetta e brevi camminate passiamo in successione alcuni punti panoramici affacciati su questa parte del Canyon. Molto bello e maestoso, peccato per la leggera foschia che annebbia panorama e fotografie. A metà mattina ci spostiamo in macchina verso altri lookout nella zona orientale del parco, aperta ai mezzi privati. Nella tappa al Visitor Center capiamo che per apprezzare davvero il GC andrebbe fatta una delle camminate che scendono al suo interno, ma servirebbero un minimo di tempo, attrezzature e allenamento e noi scarseggiamo in tutto. Prossima volta. Il meteo intanto peggiora, il cielo si copre e cade qualche goccia. Non è la prima volta ma finora avevamo incrociato la pioggia solo durante i trasferimenti. In ogni caso il tempo stringe quindi partiamo per la Monument Valley (MV). Usciti dal parco in direzione est apprezziamo ancora per diverse miglia la fessura del Colorado River che qui solca un paesaggio blandamente verdeggiante.

Qualche ora e siamo dalle parti di Tex e John Wayne. In realtà sono terre Navajo, ma plagiato da cultura e cinema occidentali mi vengono in mente prima i cowboy; io comunque tifo per gli indiani. La Monument Valley non è gestita dal NPS ma (appunto) dai Navajo quindi l’ingresso non è compreso nella tessera NPS. Varcato l’unico gate raggiungiamo il complesso che ospita il visitor center, il negozio di souvenir, il ristorante e l’hotel The View, l’unico all’interno della MV. Il colpo d’occhio sulla vallata è notevole e vediamo anche l’imbocco della famosa strada panoramica che si snoda per alcune miglia tra i bellissimi monoliti rossi. Ci godiamo la vista, ci danno una stanza già occupata, perdiamo un’ora per averne una libera, mangiamo un gelato sul terrazzo del ristorante, ci informiamo per il giro a cavallo abbandonando subito l’idea causa costo per noi improponibile. Tramonto, cena, cazzeggio. Buonanotte.

15 agosto 2015 (Monument Valley – Antelope Canyon)

Again: sveglia presto per l’alba ma oggi basta uscire sul balcone della camera e soprattutto ne vale la pena. Tre monoliti in primo piano e poi la vallata, tutto in controluce perché il sole sorge di fronte a noi. Bello. Colazione e siamo pronti per il giro della Monument sul Traverse. Mi piacerà molto. Gli ingredienti sono noti: ambientazione da film western con terra rossa, cespuglietti, monoliti isolati e pareti rocciose sempre sui toni del rosso. Il giro dura circa tre ore fra pause, foto, bancarelle indiane e qualche spunto tamarro e polveroso sgommando sullo sterrato (ignoranza mode on). Completiamo il giro e lasciamo la MV. Su consiglio di amici percorriamo alcune miglia verso Mexican Hat e fatta inversione ci godiamo la vista: lungo rettilineo in discesa e sullo sfondo la Monument. Ci sediamo in mezzo alla strada e facciamo un servizio fotografico attenti a non farci investire. Ora capisco da dove arrivano le copertine FB di molti viaggiatori. Per la cronaca c’è foschia e a quest’ora siamo controsole ma sticazzi.

Partiamo davvero e verso le 16 raggiungiamo Page. Siamo qui per l’Antelope Canyon, che ha due possibili tour: Upper e Lower. L’Upper è più famoso e va generalmente prenotato in anticipo; ci andremo domani mattina. Il Lower è meno popolare quindi proviamo sul momento: c’è posto, ieppa. Siamo un gruppo di circa 20 persone guidato da una simpatica ragazza indiana, raggiungiamo a piedi l’imbocco del canyon preoccupati per le nuvole (niente sole = niente giochi di luce) e ci infiliamo al suo interno. Sintesi: molto bello. Le nuvole vanno e vengono, non appena la luce filtra dall’alto le pareti erose e sinuose si accendono e diventano bellissime. Fotografiamo come paparazzi davanti a uno scooppone e usciamo molto contenti. Molliamo le valigie in albergo e andiamo all’altra principale meta della zona, l’Horseshoe Bend, un’ansa a 180° nel canyon scavato dal Colorado River a forma, appunto, di ferro di cavallo. Due note: la camminata dal parcheggio al bordo del canyon ci sfianca; il tramonto è controluce. Nonostante ciò siamo tantissimi. Guardo in fondo al canyon scambiando tende e persone per bottiglie colorate; gaffe a parte, il succo è che è ben più profondo di quanto immaginassi. Restiamo qua un’ora mentre il sole tramonta e inizia a far buio. Le coppie ispirate da luce e ambientazione limonano in massa tipo flash mob romantico, beate loro. Affrontiamo a ritroso il km che ci separa dalla macchina (ma sembrano 10), guidiamo attraverso Page dove un benzinaio riconvertito in grill restaurant all’aperto ci ispira assai ma c’è troppa coda quindi optiamo per un onesto Denny’s, da cui non siamo ancora stati.

16 agosto 2015 (Antelope Canyon – Bryce Canyon)

Oggi è fondamentale il sole. C’è. Evviva. L’Upper Antelope Canyon è prenotato per le 11: possiamo svegliarci con calma e cercare qualcosa da fare nel frattempo. Mica facile. Tornare all’Horseshoe Bend per vederlo senza sole negli occhi non è cosa e quindi scegliamo il Lake Powell, il lago artificiale su cui sorge Page. Andiamo prima al visitor center e poi al Wahweap Lookout, finché si fa l’ora di raggiungere il tour operator nel centro della cittadina; da qui ci portano al canyon su pickup provvisti di panche nel cassone. La nostra guida si chiama Wendy ed è un simpatico indiano decisamente oversize (come tutti gli indiani visti); per assonanza il nome Wendy mi ricorda la fatina Trilly di Peter Pan ma stavolta sono decisamente fuori strada. Un quarto d’ora di tragitto di cui 10’ su sterrati polverosi e raggiungiamo l’imbocco dell’Upper. Wendy tiene misteriosamente in mano secchiello e paletta da spiaggia e fa il pieno di sabbia. Premesse: l’Upper è diverso dal Lower, perché un po’ più largo e profondo; a quest’ora il sole è molto alto quindi penetra verticalmente nel canyon, situazione ideale per i giochi di luce (prenotazione ragionata). Entriamo. Come ieri smandibolamento, foto a raffica, ooooh tipo la Schiffer quando vede una Opel; dove i raggi solari formano coni luminosi Wendy ci fa schierare come il coro dello Zecchino d’Oro, si nasconde dietro una parete e tira palettate di sabbia in aria. L’effetto del pulviscolo che passa nel fascio di luce è bellissimo, e ancora di più rivisto in foto. Seguiamo Wendy per un’ora in un tetris di minicomitive incastrate in modo da non finire l’una nelle foto dell’altra. Usciamo goduti e torniamo a Page sul pickup. Col Traverse ci spostiamo nel giardino pubblico davanti alle scuole per un picnic domenicale sull’erba e all’ombra di un albero. Come noi tanti altri.

Nel primo pomeriggio partiamo per Bryce Canyon, arrivando anche stavolta più tardi del previsto ma comunque con un’ora di luce ancora a disposizione. Tappa al visitor center per la solita domanda ai ranger: “cosa possiamo fare in pochissime ore?” e ricevute le indicazioni puntiamo al Bryce Point fermandoci ai vari lookout intermedi e concludendo dulcis in fundo all’Inspiration Point. Nessuno di questi è particolarmente suggestivo al tramonto perché l’anfiteatro con i pinnacoli (clou di Bryce) a quest’ora è in ombra. Fa buio quindi raggiungiamo Tropic, alcune miglia fuori dal parco, dove l’albergo ha anche un simpatico ristorante in stile western con fuori un falò dove arrostire marshmellows. Figata. Ci mancano solo i marshmellows. Dettagli.

17 agosto 2015 (Bryce Canyon – Zyon – Las Vegas)

Non c’è tre senza quattro: anche oggi alba, dal Bryce Point. Il sole sorge ma i pinnacoli restano all’ombra: disappunto mode on. Quando finalmente raggiunge un’altezza sufficiente l’anfiteatro però si accende in pochi minuti grazie alla luce radente che è molto suggestiva. Lo scazzo assonnato salito nell’ora precedente cede rapidamente il passo a un goduto apprezzamento. Consiglio: il 17 agosto dormite un’ora in più e andate al Bryce Point alle 7-7.30. Bene. Ieri la ranger ci ha suggerito una breve camminata tra i pinnacoli, quindi parcheggiamo al Sunset Point e facciamo un giro rapido in questo paesaggio davvero affascinante con inevitabile effetto salto della quaglia. Chiudiamo qui la breve ma intensa esperienza a Bryce, recuperiamo le valigie in albergo e partiamo verso Zion. Gigi la Trottola ci fa una pippa. Lungo il tragitto casca a fagiolo il best of di Johnny Cash.

Poco prima del parco ci fermiamo 10’ all’omonimo Mountain Ranch dove ci sono bisonti e Cricchetto: dateci una mandria di enormi bovini e un vecchio pickup malridotto e noi siamo contenti. Ancora poche miglia ed entriamo a Zion, che ha un paesaggio tanto per cambiare bellissimo ma ancora una volta diverso da tutto ciò che abbiamo visto finora. Qui è rosso anche l’asfalto (rossiccio, non rosso pista ciclabile). Facendo un po’ di coda arriviamo al visitor center che ha un parcheggio immenso eppure strapieno. Alla domanda di rito la ranger ci spiega che per muoversi nel parco si usano le navette e ci indica 3-4 brevi camminate compatibili con i nostri tempi. Ottimo, scegliamo l’Emerald Pools Trail e prendiamo la navetta che ci porta al suo imbocco lungo la Zion Canyon Scenic Drive. Siamo a metà giornata e il sole picchia duro ma il percorso è alla portata anche di noi pigri e in buona parte all’ombra. Raggiungiamo in sequenza la cascata e i due laghetti, poi dietrofront, torniamo alla navetta e arriviamo al capolinea opposto al visitor center. Qui parte il percorso più celebre del parco: il primo tratto è un classico sentiero (classico per gli USA, è asfaltato), affollatissimo, che percorriamo praticamente di corsa per la fretta. Lo presidiano scoiattoli obesi e spavaldi al limite dell’aggressività che da in mezzo al sentiero ti fissano con aria tipo “amico mio, dammi un biscotto o di qua non passi”. Il bello verrebbe dopo perché a un certo punto il sentiero finisce e si prosegue camminando a mollo nel Virgin River, risalendone il percorso, ma a malincuore non stavolta. Torniamo alla macchina con l’efficiente ma leeenta navetta e partiamo in quarta verso LV. Per la serie “a volte ritornano”.

Arriviamo piuttosto piallati, molliamo armi e bagagli nella nostra stanza allo Stratosphere e saliamo sulla sua torre panoramica che domina la città dall’estremità nord della Strip. Vista serale meravigliosa sull’arrogantissimo trionfo di luci e sprawl urbano e occhi sbarrati per le tre vertiginose giostre piazzate quassù a 300 metri da terra e che nessuno di noi ha il fegato di fare (Michael Douglas in Last Vegas è più coraggioso, mannaggiallui). Ceniamo nello squallido Denny’s sotto all’albergo e poi ci manca la forza fisica e di volontà per andare a Fremont Street, la vecchia Strip. Anche oggi abbiamo trottato il giusto.

18 agosto 2015 (Las Vegas – Los Angeles)

Cazzeggio a bordo piscina e poi consumismo al North Premium Outlet di LV. Stiamo qui 3 ore, poche per girarlo bene ma per decenza non possiamo dedicargli più tempo che a uno qualsiasi dei parchi visti finora. Ognun per sé, facciamo gli affari migliori nei negozi per bambini (Ralph Lauren Kids, Tommy Hilfiger Kids) comprando vestiti XL in cui entriamo senza difficoltà e risparmiando rispetto ai capi analoghi per adulti. Tra dollaro forte, tasse e prezzi la convenienza non è clamorosa ma rispetto all’Italia si risparmia sicuramente. Usciamo carichi di borse e partiamo per il lungo trasferimento (circa 5 ore) verso Los Angeles (LA).

Puntiamo dritti al Griffith Park per vedere il tramonto. Stavolta azzecchiamo l’orario ma non serve scendere dalla macchina per notare che c’è molta foschia e che quindi non si vede praticamente nulla. Sgrunt. Lasciamo perdere e entrando in modalità architetti (per la gioia di Sonia non era ancora successo) ci dirigiamo al Walt Disney Concert Hall di Frank Gehry che qui ha giocato in casa. Chapeau. Alle 20 raggiungiamo l’albergo nel quartiere coreano e per cena scegliamo Hollywood optando per l’Hard Rock Cafè: ovunque è una tappa obbligata per le magliette ma in effetti non ci abbiamo mai mangiato (e credo che non lo rifaremo). Due passi lungo Hollywood Boulevard, che per dirla tutta ci sembra abbastanza decadente ma è il giudizio improvvisato delle ore 23.00. Traverse, Koreatown, letto.

19 agosto 2015 (Los Angeles – Santa Barbara)

Cathedral of Our Lady of the Angels, progetto di Raphael Moneo che volevamo vedere dai tempi dell’università. Breve replica by day al vicinissimo Walt Disney Concert Hall e quindi raggiungiamo il downtown per camminare un’oretta tra i grattacieli. A fine mattina attraversiamo benestanti quartieri con teorie di villette dai giardini verdissimi arrivando in Rodeo Drive dove passeggiamo un po’ tra i negozi molto griffati. Ci spostiamo al Getty Center, largamente consigliato da amici e siti alla pari del Griffith Park. Si lascia la macchina nel parcheggio sotto alla collina (15$ forfettari) e col trenino si raggiunge il complesso del museo (tutto gratis). Il museo sarebbe da vedere ma siamo qui più che altro per il panorama. Problema: bel sole, bellissimi giardini, ma la maledetta foschia persiste quindi la vista è smorzata e non si vede nemmeno l’oceano che è relativamente vicino. Vabbè. Torniamo alla macchina e raggiungiamo Venice Beach. Andiamo in spiaggia passando a fianco del grande skate park pieno di gente (tra cui un paio di bambini di 4 anni, credo che alla loro età io avessi ancora le rotelle alla bici) e svacchiamo mezz’ora sulla sabbia, ma pure qui la foschia rompe le scatole e l’acqua è very fredda. Baywatch ti ho sempre frainteso. Camminiamo un po’ lungo l’Ocean Front Walk apprezzando clima fricchettone e personaggi eccentrici. Il tempo stringe quindi ci spostiamo a Santa Monica dove ci limitiamo ad un avanti-indietro sul Santa Monica Pier, con la solita teoria di locali e il vecchio luna park demodé che però ci stanno bene. Vento freddo e nuvole rendono la famosa spiaggia inaspettatamente poco invitante. Da Las Vegas ci portiamo dietro la voglia di un semplicissimo mojito, quindi prima di partire lo ordiniamo in uno dei locali fighetti di Ocean Ave dove incredibilmente lo fanno, “il migliore di Santa Monica”. Boccaloni: 12$ a testa e mojito mediocre, dannazione. Consiglio ripetizioni alla Bodeguita del Medio. Finiamo anche questa toccata&fuga e partiamo per Malibù restando su Ocean Ave, ma c’è coda e la cosa sembra infinita. Ergo lasciamo il panoramico lungomare e ci spostiamo all’interno verso la 101, gli Hole ci perdoneranno. Attorno alle 20.30 brancoliamo per Santa Barbara. I casi sono due: o di sera non la illuminano o non abbiamo trovato il centro. Propendo per la prima. Ceniamo con una pizza da asporto gentilmente offerta dal pizzaiolo, camminiamo un po’ intuendo che è una cittadina molto ricca e apparentemente carina ma in questo momento è oscura e smortissima. Torniamo al Traverse e ripartiamo verso Lompoc dove arriviamo in tarda serata.

20 agosto 2015 (Santa Barbara – Monterey)

Iniziamo da La Purisima, una delle missioni cristiane settecentesche presenti in questa parte della California: per certi versi niente più di un grande cascinale circondato dai ampi possedimenti ma piacevole anche perché diversa da ciò che abbiamo visto finora. Quindi partiamo davvero per affrontare la costa che da qui va a SF. In generale la California State Route 1 è panoramica ma lenta e lunghissima, la US Highway 101 veloce ma monotona, quindi da ieri ci alterniamo un po’ tra l’una e l’altra. Pranzo a Cambria e ripartiamo verso il Big Sur che dovrebbe essere il tratto di costa più bello. Sintetizzo: avevo aspettative molto alte parzialmente smentite. Panorami imho belli ma non spettacolari, fastidiosa foschia che impedisce di vedere in lontananza, rottura di scatole di essere sulla corsia sbagliata (meglio se possibile farla da SF a LA, così si è sul lato dell’oceano). Lungi da me sconsigliarla, comunque. Facciamo varie tappe, tra cui due faunistiche: una programmata per vedere i leoni marini sulla spiaggia, che affronto tipo nano da giardino del wc net fosse biologiche, l’altra improvvisata notando la gente ammassata sulla scogliera per ammirare balene e leoni marini che nuotano nell’oceano poco distanti dalla costa e con tanto di sbuffi. Nel secondo pomeriggio il tempo si guasta quindi puntiamo in maniera più decisa verso Carmel, paesino costiero sfacciatamente ricco e fighetto ma che nonostante questo (o forse proprio per questo) piace a tutti noi. Ceniamo qui e ci spostiamo nella vicina Monterey per la notte.

21 agosto 2015 (Monterey – San Francisco)

Pioviggina, uffa. Andiamo al visitor center di Monterey, passeggiamo 1-2 ore e poi piuttosto scazzati da Monterey (senza offesa) e dal meteo uggioso e bagnato torniamo al Traverse e raggiungiamo l’imbocco della 17 Miles Drive in zona Pebble Beach, comunità controllata (wikipedia dixit) piena di villette e villone e campi da golf: 10$ a macchina e i turisti si possono impicciare di questo idillio per pensionati milionari che evidentemente snobbano il bocceball. Cielo grigio e pioggia sono abbastanza castranti soprattutto per apprezzare l’oceano ma già che siamo qui guidiamo tra costa rocciosa e green per alcune decine di minuti, ogni tanto accostiamo, passiamo a fianco del golf club dove si tiene il famoso concorso di eleganza per auto d’epoca e poi usciamo dal recinto dorato (ma oggi plumbeo). Bye bye costa, bye bye villone, torniamo sulla 101 e puntiamo dritti e veloci verso SF. Arriviamo in città nel primo pomeriggio andando direttamente in zona Mission dove camminiamo un’oretta per il quartiere, vedendo tra l’altro alcuni dei bei murales che lo punteggiano. Il clima è vagamente hippy. Bene. Breve spostamento in auto e siamo a Castro, il quartiere omosessuale, pure lui piacevole e caratterizzato (ad es.: gli attraversamenti pedonali arcobaleno anziché zebrati). A fine pomeriggio chiudiamo il cerchio e torniamo al motel dove avevamo dormito le prime due notti. Ceniamo nel bel pub al piano inferiore del Ghirardelli e rientriamo per fare le valigie.

22 – 23 agosto 2015 (San Francisco – Istanbul – Milano – Torino)

La curiosità per Alcatraz dura dal primo (e unico) viaggio a SF. Stavolta abbiamo prenotato per tempo quindi chiudiamo la vacanza, momento di evasione per eccellenza, in un carcere. (Ok, questa ca…ta è scritta solo per giustificare il titolo del racconto). Meccanismo: di fatto non si prenota la visita ma il traghetto di andata; una volta sull’isola (The Rock) si può girare liberamente tra i vari edifici vedendo mostre e filmati oltre al panorama su SF e la baia; il clou è naturalmente il carcere vero e proprio, sulla cima. Arriviamo con ampio anticipo al Pier dell’imbarco; inganniamo (si fa per dire) attesa, nuvole e freddo familiarizzando con The Rock studiando (si fa per dire) il grande plastico posizionato davanti al molo. Tocca a noi. 15-30’ di viaggio durante i quali esce il sole. Sbarchiamo, è fatta. Dritti al carcere dove ci danno le audio guide per la visita, secondo me molto ben fatte perché coinvolgenti e divulgative; ligi come scolaretti da 10 in condotta seguiamo il piacevole percorso audioguidato di circa un’ora. Parentesi: mi aspettavo che il carcere fosse più grande e soprattutto articolato, invece no; chiusa parentesi. Passeggiamo un po’ per The Rock con toccate e fuga in altri edifici e verso mezzogiorno decidiamo di tornare sulla terraferma (al ritorno ci si imbarca all’ora che si vuole). Visita ad Alcatraz promossa. Restano un paio d’ore che usiamo per camminare fino a Union Square attraversando il Downtown e percorrendo a piedi (finalmente) un tratto di Market Street. E’ sabato, è agosto, c’è il sole, quindi le strade sono affollatissime. Da Union Square torniamo al motel in taxi e di lì in aeroporto per restituire il Traverse. Qualche problema a trovare gli svincoli giusti per riconsegnare l’auto (seguite i cartelli più che il navigatore) e per la benzina (fatela a SF o comunque qualche miglio prima dell’aeroporto). Ciao Traverse, ciao Tracy, ciao Lacy. Monorotaia sopraelevata che ci porta al nostro terminal, un po’ di attesa e si decolla.

Info pratiche

Costi: circa 2.000€ a testa per 14 giorni di vacanza in alta stagione, come sempre senza lussi né privazioni. Organizzazione tutta in mano a Sonia & Uccio che si sono mossi con largo anticipo, strategia efficace per costi e disponibilità di alberghi e tour. Volo prenotato già a settembre 2014 con offertona Turkish a circa 650€ a/r a testa sul loro sito. Taaac. Macchina prenotata pure a settembre sul sito Hertz a circa 500€; sul posto nessuna assicurazione aggiuntiva. Gli alberghi dentro ai parchi sono più costosi e vanno prenotati mesi prima ma fanno risparmiare tempo e miglia; quelli fuori hanno pro e contro invertiti. Abbiamo mischiato le due soluzioni, per ottimizzare i tempi di un viaggio a ritmi serrati in alta stagione meglio stare nei parchi. A LV suggerisco gli albergoni ignoranti per il folklore.

Meteo: speravo meglio. Pioggia inaspettata (la temevo al max a SF) che però ci ha dato davvero fastidio solo nella zona di Monterey e Carmel. Scornato invece per la foschia: avevo letto che è frequente in estate ma non la pensavo così fastidiosa; ci ha rotto le scatole soprattutto al GC, a LA (spiagge incluse) e lungo il Big Sur; viaggiando a giugno o settembre pare sia più facile evitarla. Previsto e confermato il gran caldo nei parchi; per questo ci siamo solitamente spostati in auto nelle ore centrali del giorno riservando alle camminate la mattina e il secondo pomeriggio. Ha funzionato. Da rivedere il rapporto con albe e tramonti.

Ritmi: intensi. Due possibilità: vedere tanto ma di corsa o poco ma meglio. Propendiamo da sempre per la prima ma stavolta ho patito l’organizzazione rigida e serrata inevitabile qui in questo periodo dell’anno. D’altro canto per fare con più calma con lo stesso tempo avremmo dovuto saltare qualcosa, ma anche a posteriori non saprei dire cosa.

Considerazioni

Modalità flipper a parte, siamo rimasti quasi sempre molto soddisfatti: ciò che abbiamo visto era molto variegato, inclusi i parchi perché ciascuno ha peculiarità che lo rendono unico e diverso dagli altri. Come detto, non sapendo cosa togliere ci sarebbe servito un po’ più di tempo per fare le stesse cose con meno frenesia. Lo stesso giro in 3 settimane sarebbe ottimo: ritmi leggermente più blandi concedendosi qualche camminata nella natura: un trekking a Yosemite, la discesa nel canyon al GC, una passeggiata più lunga a Bryce, il percorso nel fiume a Zion; magari un giorno a LA in spiaggia (nuvole e foschia permettendo), un altro a SF e se avanza anche un salto a Sequoia NP. Se poi le settimane in più fossero 2 ecco Phoenix, Taliesin (da architetti), San Diego, Tijuana e, a nord, la Napa Valley. Magari a giugno o settembre, quando meteo, prezzi e affollamento dovrebbero essere migliori. Ma così diventa il libro dei sogni.

Per info pratiche, tornei di bocceball o altre domande scrivete pure.

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Fuga ad Alcatraz



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