Il giro del mondo in 80 idee

Patrizio e Syusy si confrontano: i desideri per le prossime mete e i ricordi delle loro avventure negli angoli più belli del pianeta
Patrizio Roversi, 27 Nov 2015
il giro del mondo in 80 idee
Patrizio: E se per una volta non raccontassimo un viaggio specifico che abbiamo fatto, ma piuttosto un’idea di viaggio? Perché non ci divertiamo a ipotizzare un viaggio, a progettarlo, mettendo assieme quello che abbiamo già visto con quello che vorremmo vedere ancora?

Syusy: Già, ma cosa vorremmo vedere? I posti sarebbero tanti. E tanti anche quelli che vorremmo ri-vedere…

Patrizio: In effetti ci vorrebbe un altro giro del mondo…

Syusy: Perché no? Un altro giro del mondo, un super-giro del mondo, un giro ideale!

Patrizio: In effetti un giro del mondo l’abbiamo fatto, con una caratteristica che era implicitamente un limite: in barca a vela, all’altezza dell’Equatore. Ora che limiti ci diamo? Di tempo? Di soldi? Di mezzo di trasporto?

Syusy: No, se devo sognare, fammi sognare liberamente: niente limiti di tempo, né di mezzo di trasporto, né di soldi. E nemmeno di stagioni. Anche quando abbiamo fatto il giro del mondo in barca a vela, avevo come limite il fatto di visitare i Paesi toccati dalla barca, ma poi ho fatto molte deviazioni e tante strada via terra. Il giro del mondo è un’idea talmente forte, un sogno talmente assoluto, che vale la pena di esagerare…

Patrizio: Prima di tutto, che direzione prendiamo? Est o Ovest? Nord o Sud?

Syusy: Mi piacerebbe andare a Sud, cioè saltare il Medio Oriente e andare in Sudafrica…

Patrizio: Io ci sono stato… Ti piacerebbe andare a Cape Town?

Syusy: Sì, ma io vorrei fermarmi un po’ prima, per andare in un posto speciale, dove tu non sei stato, dove non va nessuno, nel Nord del Sudafrica… al confine con lo Zimbabwe. In quella zona un ricercatore, Michael Tellinger, ha trovato reperti archeologici stranissimi, che corrispon-derebbero a un periodo molto lontano nel tempo. Potrebbero essere l’anello mancante di tutte le ricerche storiche, migliaia di siti molto strani, che sembrano quasi dei nuraghi, un po’ come il Castello di Barumini. Ma sono più grandi, e sono migliaia. E la cosa straordinaria è che risalgono a ben 50 mila anni fa! Ma la domanda è: cosa ci faceva laggiù l’uomo preistorico, prima ancora di uscire dall’Africa per arrivare in Europa? Guarda caso da quelle parti è pieno di miniere d’oro…

Patrizio: Alludi alle teorie di Sitchin, secondo cui noi saremmo frutto delle sperimentazioni genetiche di un popolo extraterrestre, che ci ha creato per lavorare nelle miniere in cui loro si approvvigionavano?

Syusy: Bravo! Vedo che hai imparato. Ma detta così è un po’ brutale, servirebbero spiegazioni più serie: vi rimando al libro Misteri per caso. Ma certo questi incredibili reperti archeologici potrebbero fornire la prova definitiva di queste teorie… Comunque, già che sono da quelle parti, non mi farei mancare i Parchi naturali, sia del Sudafrica che della Namibia. Ma tu che ci sei stato, cosa mi consigli? E in che periodo ci devo andare?

Patrizio: Per il periodo, calcola che il clima è esattamente l’opposto del nostro: quando da noi è estate, laggiù è inverno. E le cosiddette mezze stagioni sono l’opposto: primavera a ottobre e autunno a maggio. Certamente da vedere le città, Cape Town e Johannesburg, con tutta la saga di Nelson Mandela contro l’apartheid, le lotte fra zulu e boeri. Per me sono state interessantissime le visite ai ghetti, capire gli sforzi per promuovere socialmente i neri e soprattutto i musei, che raccontano le sofferenze e le vittorie della società sudafricana, piena di conflitti sanguinosissimi. Poi ci sono anche le zone in cui si è ricostruita una sorta di Toscana, con i vini e quant’altro. Ma a quel punto resta migliore la nostra regione. I parchi naturali invece sono meravigliosi e, anche se sono molto turistici, restano un’esperienza indimenticabile, e non solo per i bambini.

Syusy: Ma tu, alla fine, in questo ipotetico nuovo giro del mondo, dove andresti?

Patrizio: Se tu vai a Sud, io invece andrei a Nord. Mi piacerebbe vedere l’Islanda, e magari anche – già che ci sono – le Isole Far Oer. Ma soprattutto l’Islanda, con il suo grande territorio, abitato da una popolazione che è inferiore a quella di Bologna. Coi suoi vulcani, i suoi ghiacciai, i suoi geyser…

Syusy: Ma fa freddo… Islanda non vuol dire “Terra del ghiaccio”?

Patrizio: No, il clima è il suo mistero maggiore, temperato dalla Corrente del Golfo (finché dura, coi cambiamenti climatici in atto). Mi piace la sua storia: ha avuto uno dei primi Parlamenti d’Europa, prima del 1.000 d.C., hanno un ottimo standard di vita, quasi l’8% del PIL è dedicato alla scuola e alla cultura e più del 3% in ricerca, non spendono niente per l’esercito, per il semplice fatto che non ce l’hanno (anche se poi per la Difesa si affidano agli USA). Hanno superato la crisi e il crac del 2008, salvando i loro risparmiatori, ma infischiandosene degli investitori stranieri. La disoccupazione adesso è attorno al 4,5%, e prima della crisi era addirittura all’1%. Dopo l’Islanda attraverserei l’Oceano e andrei nella Grande Mela. Va bene se ci ritroviamo a New York?

Syusy: Ma anche no! Io a New York non ci vengo, perché è una città in cui tutto ormai è modernariato. Per me ormai ha poco da raccontare. Semmai mi piacerebbe andare in Canada, dove ci sono le riserve di Indiani d’America, che non ho mai visto. Non ho mai indagato quel tipo di cultura, mi manca e mi interessa. Vorrei poi vedere le foreste rosse d’autunno, i laghi. Lì potrei persino sopportare un po’ di freddo.

Patrizio: E le zanzare?

Syusy: Ci sono zanzare?

Patrizio: Molte

Syusy: Oh, cazzo. Nelle foto dei depliant non si vedono…

Patrizio: Dai, allora facciamo che io vado a New York, perché mi piace comunque la sua atmosfera, e resta un punto per osservare dove va il mondo. E poi ci vediamo nella Bassa California, quella del libro del nostro amico Pino Cacucci Le balene lo sanno? Un luogo speciale, pieno di natura ma anche di storie, di personaggi.

Syusy: Allora già che ci siamo andiamo in Messico

Patrizio: Magari facciamo tutta la strada, la carretera che dal Nord America va verso Sud, attraversando Honduras, Nicaragua, Panama, Colombia, Ecuador, Perù, Brasile, Bolivia, Cile e Argentina

Syusy: Ma cosa vuoi fare, come il Che Guevara giovane?

Patrizio: Dai, sarebbe un’idea…

Syusy: Sì, però non in moto! Io dietro di te in motorino per migliaia di chilometri non ci vengo!

Patrizio: Va bene, come non detto. Allora vada per il Messico, assieme, che resta un Paese letteralmente straordinario (stavolta la parola rende bene e non è usata a caso), pieno di storie, paesaggi diversissimi, di un’energia che sembra inesauribile, che ti tira fuori sempre nuove sensazioni, che però nascono nell’humus di una storia sociale e artistica incredibile. Io vorrei andare a Città del Messico, mi sveglierei ancora alle 4 per vedere l’alzabandiera in piazza e lì vicino andrei a rivedere i murales di Diego Rivera.

Syusy: A Mexico City ci torno anche io, ma vado a rivedere la casa di Frida Kahlo. Mi piacerebbe rivedere i colori della casa dove ha abitato, che lei aveva fatto colorare di viola, rosso, arancio. E pensa che a volte mi basta guardare la cartolina che mi sono portata, che riproduce una sua opera: una fetta d’anguria con la scritta “Viva la Vida!”.

Patrizio: Torneresti a fare un giro a Xochimilco, in barca, tra paludi, piramidi e mariachi? Ma poi verresti con me – Che Guevara e moto a parte – in Patagonia e Terra del Fuoco? Ci sono già stato due volte, ma ci tornerei. Le atmosfere della Patagonia, il suo vuoto, pieno di storie di lotte dei gauchos contro la natura e contro lo sfruttamento, i laghi e i ghiacciai, il Perito Moreno e poi Ushuaia con le sue case di legno su slitte di tronchi d’albero per essere spostate, le storie degli indios Ona, decimati dai bianchi, i musei, il carcere, le esplorazioni…

Syusy: Fermati. Se fai scalo in Cile, fin lì ci vengo anche io, ma da lì però prendo l’aereo per l’Isola di Pasqua, che mi manca, nel senso che non l’ho ancora vista. Mi attirano i mohai, le teste scolpite. E vorrei verificare una cosa: sull’isola ci dovrebbero essere delle mura megalitiche, che non vengono tanto pubblicizzate, dove i turisti non vanno. Ma sarebbe un ritrovamento straordinario: ci ricollegherebbe alla parte alta del Perù (Sacsayhuamán, Tiahuanaco) fino al Mediterraneo: sarebbero la testimonianza di una antichissima Civiltà Globale… In un viaggio bisogna sempre avere uno scopo esplorativo. E trovare cose che ti dimostrano come la Storia non è stata scritta nel modo giusto, ti fa capire che anche oggi le cose che ti raccontano non sono sempre corrette. Se ci nascondono la storia passata, sul presente che fandonie ci raccontano?!? Tanto per attualizzare…

Patrizio: Va bene, ma ti va se poi ci diamo appuntamento alle Gambier e alle Australi?

Syusy: Dove?

Patrizio: Ma dai, nei due arcipelaghi marginali, a Sud-Ovest della Polinesia Francese, dove ancora non va il turismo di massa. La Polinesia com’era negli anni 50, ai tempi di Folco Quilici.

Syusy: Ah, certo, lo dici da sempre. E adesso, che viaggiamo per ipotesi, è il caso che tu finalmente ci vada. Va bene, lì ci vengo anche io. Anche perché poi da lì potremmo andare a trovare India, l’amica di Zoe, figlia di un italiano e di una polinesiana, che è tornata in Polinesia a 18 anni. Lì si è adattata perfettamente e manda foto in cui sembra proprio una vera polinesiana (e in effetti lo è), assieme a nerboruti marchesiani pieni di corone di fiori e di tatuaggi (veri). Fanno parte della ciurma delle piroghe storiche, che ogni anno fanno una regata oceanica attorno alle isole, navigando come i loro antichi progenitori, ovviamente senza motore ma anche senza bussola, né gps.

Patrizio: Sì, ma certamente avranno a bordo il maiale, il Maiale Sacro.

Syusy: Cioè?

Patrizio: Ma sì, il maiale che, se si perdono, lo buttano in acqua e lui, col suo fiuto formidabile, si dirige a nuoto verso la terra più vicina. Io dopo la Polinesia francese, dopo un salto immancabile a Rangiroa per vedere come cambia, dopo un giro per le Marchesi magari a bordo della goletta che porta i rifornimenti, stavolta però proseguirei verso Ovest, lungo l’Oceano Pacifico, saltando Tonga, Samoa, le Vavau e le Fiji, dove siamo già stati. E non perché non siano posti bellissimi, ma perché appunto il Pacifico è pieno di Isole che mi piacerebbe vedere: per esempio Tuvalu, Vanuatu, le Salomone o la Nuova Caledonia, fino a Palau, che in questo caso non sta in Sardegna ma in Micronesia.

Syusy: Io stavolta vorrei andare in Nuova Zelanda, agli antipodi dell’Italia, che in realtà è proprio un’Italia rovesciata. Voglio vedere il paesaggio del film Lezioni di piano.

Patrizio: Io ci sono stato. Nel nostro giro del mondo che abbiamo fatto con Adriatica, a me è toccata appunto la Nuova Zelanda e poi la costa australiana ad Est, lungo la barriera corallina. Con le città come Auckland e poi Brisbane o Sydney. Stavolta anche io tornerei in Nuova Zelanda, ma seguendo una curiosità e un tema particolare: l’agricoltura. Laggiù il clima è abbastanza simile al nostro, ma il concetto di terra è del tutto diverso: spazi ampi, sapore di frontiera, allevamento. E terra laggiù vuol dire anche storia e conflitti: si sta giocando una partita (legale e culturale) delicatissima fra maori e anglosassoni. In ballo c’è qualche cosa di più del semplice concetto di proprietà della terra, si parla proprio di idee e atteggiamenti produttivi diversi, e non è detto che quelli degli antichi popoli indigeni, più contemplativi che produttivi, più ispirati al concetto di rispetto che a quello di sfruttamento della terra, non siano i più “moderni”.

Syusy: Sì, per questo a me piacerebbe tornare in Australia. Mi fermerei qualche giorno a Sydney, ma poi rifarei esattamente il giro che ho fatto: da Perth a Darwin passando per il centro dell’Australia. Questo itinerario a suo tempo mi ha fatto intuire qualche cosa, ma ci sarebbe ben altro da approfondire, sulla storia e le usanze degli aborigeni australiani. Forse l’autrice di E venne chiamata due cuori che ha raccontato il loro modo di approcciare la natura era un po’ idealista, ma anche io – andando in due comunità aborigene, in due riserve – con due antropologi che vivevano con loro (e per stare lì bisogna che una famiglia aborigena ti adotti) ho capito qualche cosa del loro approccio, del loro modo di essere. E ho anche ipotizzato, in una specie di Ritorno al futuro, che gli aborigeni abbiano rinunciato allo sviluppo non per il fatto di essere indietro, ma anzi per il fatto di essere avanti, e aver già capito che lo sviluppo umano è prevaricazione della natura e fonte di grandi sofferenze, in cambio di un po’ di benessere. Pensa che gli aborigeni rimanevano nudi, e se usavano una corda alla cintura per appendere i pochissimi strumenti, se la facevano coi loro stessi capelli… Ho conosciuto, in una comunità che potremmo definire un eco-villaggio aborigeno, un signore che mi ha mostrato le foto della sua famiglia d’origine, fatte dai missionari: erano esattamente le foto in bianco e nero che vediamo sugli atlanti. Uomini, donne, bambini nudi, senza nulla, che vivevano di caccia e di raccolta, su un territorio di cui non hanno mai preteso la proprietà. Quando arrivarono i colonizzatori anglosassoni dissero che quella era terra nullius, di nessuno, e la fecero propria. Adesso una sentenza avrebbe decretato che quella è la terra degli aborigeni, che non avrebbero mai venduto la terra su cui cammina un uomo. Questa civiltà ci insegna decisamente qualche cosa…

Patrizio: Giunti a questo punto, io poi ti confesso che, sia pur affascinato dall’Indocina e dalla Cina, sia pure con tutta la nostalgia per il Vietnam o per le Maldive (che ho visto) o la curiosità per Thailandia, Laos o Cambogia (che vorrei un giorno o l’altro vedere), salterei questa zona…

Syusy: Sì, saltiamo l’Indocina, è troppo umida…

Patrizio: …e mi sentirei a questo punto di arrivare direttamente fino all’India. L’India del Sud esercita un richiamo irresistibile: è il viaggio per eccellenza.

Syusy: Che faccia tosta! È stato il nostro primo viaggio, ti ci ho portato a forza: non volevi venirci!

Patrizio: Va beh, poi mi sono convertito… I templi indù, o le esperienze mistiche ed esistenziali come Auroville, mi hanno coinvolto, sia pure con tutte le mie riserve intatte, da contadino padano. Ma dopo qualche tappa al Sud, poi volerei verso Nord, verso il Nepal. Dopo il disastro, vorrei fermarmi a Katmandu. Mi sembra una tappa obbligata. Per capire “cosa è rimasto del mondo”. Le cose, le persone, le tradizioni che ci sono qui non sono un patrimonio specifico di questo posto, sono un punto sensibile di tutta l’umanità.

Syusy: Sì, io ci sono tornata meno di un anno fa. A pensarci mi viene male. Spero soprattutto che questa gente stupenda abbia trovato il modo di usare per il meglio gli aiuti e stia reagendo. Ma da qui poi non dirmi che vuoi rifare il viaggio a piedi lungo la valle del Mustang, il Tibet segreto?

Patrizio: No. Perché è stato a suo tempo un viaggio troppo bello: non reggerebbe ad alcun ritorno. A quel punto forse sarei stanco, soprattutto sarei incazzato, per l’impossibilità di fare tappe che adesso sono proibite dalle guerre: vorrei tantissimo tornare in Yemen, vorrei vedere la Somalia, ma anche l’Iran e magari la Siria. Ma non si può, e questo è inaccettabile.

Syusy: Già, la Siria. Ci sono stata prima della guerra, solo cinque anni fa, in un periodo di relativa apertura. Sembrava si potesse aprire al turismo e usufruire di una risorsa in più. E adesso è appunto un viaggio-impossibile. In questo senso anche il turista/ viaggiatore è un profugo: scappa da luoghi divenuti invivibili…

Patrizio: Tutte le zone in cui non si può viaggiare sono come una ferita, una cancrena che ammala il mondo, e questo è intollerabile.

Syusy: Perché, se è per questo forse non ti piacerebbe anche vedere l’Ucraina? Io ci andrei volentieri, per verificare la teoria secondo cui i famosi Popoli del Mare arrivati nel Mediterraneo nell’età del bronzo, arrivarono appunto dal Baltico passando per i fiumi che sfociano nel Mar Nero.

Patrizio: A proposito di Mediterraneo, a questo punto tornerei a casa, dove mi piacerebbe reincontrare Adriatica, che anche lei potrebbe essere di ritorno a casa. E mi metterei a girare in barca il Tirreno: Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna e ancora Liguria. Dall’Arcipelago Toscano all’Argentario, dal Circeo alle Pontine, poi Capri, Ischia e Procida, le Eolie, le Egadi… Siamo partiti dal Giro del Mondo e siamo finiti a fare il Giro del Tirreno

Syusy: Però, che bello pensarci! Stando seduti sul divano, al fresco delle colline pre-appeniniche di Rocca Malatina, provincia di Modena, mangiando una fetta d’anguria!

Syusy & Patrizio