Cose turche di tutte in bus. 20 giorni in Turchia

‘Gigetto’ e ‘Francy’. Così, con cartelli scritti a penna su foglio A4 di fortuna, Bandi e Tonia ci accolgono al nostro arrivo a Istanbul. Baci, abbracci, ululati molto poco composti celebrano la reunion, almeno per un paio di giorni perché poi Tonia tornerà a Milano, Bandi resterà a Istanbul dove risolve i problemi...
Scritto da: trolleypacker76
cose turche di tutte in bus. 20 giorni in turchia
Partenza il: 25/07/2009
Ritorno il: 15/08/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
‘Gigetto’ e ‘Francy’. Così, con cartelli scritti a penna su foglio A4 di fortuna, Bandi e Tonia ci accolgono al nostro arrivo a Istanbul. Baci, abbracci, ululati molto poco composti celebrano la reunion, almeno per un paio di giorni perché poi Tonia tornerà a Milano, Bandi resterà a Istanbul dove risolve i problemi esistenzial-informatici di Vodafone Turchia (vedi a che serve una laurea in filosofia…) e io e Gigi partiremo alla volta della nostra vacanza in Turchia. In 20 giorni toccheremo la Cappadocia, la costa mediterranea, quella egea, Pamukkale, tra mare, paesaggi spettacolari e alcuni tra i tantissimi siti storici di questo paese fantastico e accogliente. 8 tappe: Istanbul, Goreme, Konya, Cirali, Kalkan, Pamukkale, Bodrum, Selçuk, Istanbul Spese totali, tutti gli extra inclusi: 1.400 euro a testa di cui volo Alitalia a/r 170 euro a testa e volo Atlas Jet Izmir-Istanbul 45 euro a testa trasporti in bus x 2 persone: 200 euro hotel x due persone: 816 euro Istanbul 25-27 luglio – ISTANBUL Torniamo volentieri a Istanbul, che avevamo visitato da cima a fondo in sei giorni due anni fa. Alloggiamo al b&b Modern Sultan (www.Modernsultan.Com, 50 euro la doppia), in pieno centro storico vicino alla fermata del tram Gulhane, che consigliamo per la comodità e la pulizia, anche se cade un po’ sulla colazione. E’ già tardi, ma la prima sera cominciamo alla grande cenando nel giardino illuminato da lucine della Medusa’s House, a due passi da Santa Sofia, e ci concediamo un primo, carissimo raki sulla bellissima terrazza al terzo piano del Sultan Pub con vista sui minareti di Sultanhamet, all’inizio di Divan Yolu, il ‘corso’ della parte storica della città. L’idea per il giorno dopo è di passare la domenica a Bebek, amena località sul Bosforo per istanbulini-bene, ma i battelli hanno orari troppo punitivi e coincidenze acrobatiche quindi ripieghiamo su un giro nello stretto di un paio d’ore. C’è un’afa che in confronto Milano ad agosto pare una mite primavera, e nel pomeriggio dopo una pida e un kebak nelle viuzze di Beyoglu, andiamo al parco di Gulhane, meta domenicale per famigliole ‘tradizionaliste’, patriarcali si diceva di quelle italiane di 50 anni fa: tanti bambini, nonni, mamme velate e molte coperte anche dall’impermeabile d’ordinanza. L’esatto opposto della gente che frequenta Istikal Caddesi, il ‘corso’ della parte moderna della città pieno di negozi e locali, dove ci dirigiamo dopo aver salutato Tonia che prenderà tra poche ore l’aereo per Milano. Una capata veloce al bazar delle spezie con l’acquisto compulsivo di un kilo di ottime ciliege, una visita alla moschea di Rustem Pascià, piccola ma bellissima e tranquilla, alla Yeni Camii, la moschea al ponte di Galata detta anche ‘moschea dei piccioni’ per chiari motivi, con parentesi vip-watching (Valentino, lo stilista, non rischia di confondersi tra turisti in braghette e turchi che nella maggior parte dei casi non brillano per eleganza). Riattraversiamo il ponte di Galata, tra i pescatori della domenica, ed eccoci ancora in mezzo al casino di Istikal Caddesi. Ci riposiamo nel giardino ‘segreto’, nel vero senso della parola visto che per raggiungerlo si attraversano scale e corridoi, del Limonlu Bahçe (Yeniçarşı Caddesi 98, Galatasaray), locale pieno di alberi di limoni indicato da un altro turista per caso (grazie!). Comincio a spulciare i menù per cercare l’ashure, budino di cereali e frutta secca, fatale nel libro di Shafak Elif ‘La bastarda di Istanbul’. Lo devo assolutamente assaggiare. Lunedì mattina, preparati i bagagli, gironzoliamo fino a sera tra Sultanhamet, la zona della Suleyman Camii (purtroppo chiusa per restauri) e il Gran Bazar. Lunga sosta al giardino del the Enrenler vicino alla moschea di Beyazid, dove tra nuvole di fumo dei narghilè profumate si bevono litri e litri di quel cay che per venti giorni sostituirà egregiamente l’espresso a fine pasto, tanto è forte e capace di ‘sgorgare’ dal più bisunto dei kebab. Alle 19 ci ritroviamo davanti all’agenzia Turista (Divan Yolu n°16) dove abbiamo comperato il biglietto per il bus che ci porterà a Goreme. Il minibus fornito dalla compagnia incluso nel prezzo del biglietto (Istanbul-Goreme 25 euro, 11 ore, con la compagnia Kent-Goreme) ci ha scaricato proprio davanti al pullman, una fortuna, perché non ci saremmo mai orientati nella stazione dei bus, un girone infernale con un traffico disumano. Il pullman non è nuovissimo, ma sufficientemente comodo e con uno stewart a bordo che distribuisce da bere, da mangiare e un detergente per le mani che sa di Svelto. Partiamo alle 20,30 in perfetto orario, ma passerà un’ora prima di attraversare il ponte sul Bosforo al tramonto (mille ohhhhh!!) e due ore prima di uscire definitivamente da questa città sterminata. 28-30 luglio – CAPPADOCIA Arriviamo diretti a Goreme alle 8 del mattino. E’ coperto, fa anche un po’ freddo, ma in 10 minuti vengono a prenderci quelli dell’hotel Kelebek (www.Kelebekhotel.Com), il più bell’albergo dove ci siamo fermati in tutta la vacanza e dove abbiamo prenotato via email tre notti (camera 19 a 70 euro a notte, 10% di sconto se si paga in contanti). Il proprietario è gentilissimo è ci invita subito a fare colazione anche se non compresa nel prezzo mentre sistemano la camera: e che colazione… E’ fantastica! La camera tarda ad arrivare, quindi dopo un paio d’ore di relax sulla terrazza con vista sulla cittadina, che per quanto turistica è uno spettacolo già di suo, ci avviamo al Museo all’aperto di Goreme, con chiese rupestri scavate nella roccia e affrescate. Nella maggior parte gli affreschi sono piuttosto conciati, ma in una – pagando 4 euro in più – ci sono dipinti restaurati bellissimi. Vale la pena!. Verso le 3 Gigi sta morendo di sonno e torna in albergo, mentre io ne approfitto per fare una passeggiata nella parte più vicina della Rose Valley, entrandoci dell’altro lato della strada rispetto al parcheggio dei pullman e dei ristoranti. Non c’è un’anima, per due ore solo io, il vento, il canto del muezzin lontano, alberi di albicocche e queste conformazioni di tufo che sembrano colate di panna montata. Torno in albergo verso le 6, dopo essermi fatta adescare da una signora che vende i centrini. La mamma ringrazia. E, dopo una parca ed economica cena al Kapadokya Kebab Center a base di zuppa di lenticchie e spettacolari patatine fritte, collassiamo nella nostra regal camera.

Per il giorno dopo, non avendo un’auto e non avendo familiarità con i motorini, abbiamo fissato un’escursione di tutta la giornata organizzata dall’agenzia interna dell’albergo. La guida è brava, ma non fa per noi: 10 minuti per arrampicarsi sui punti panoramici, foto e di nuovo al bus, poi la città sotterranea di Kaymakli (merita!), visita a un’enoteca (bah… il vino sa di succo di frutta ed è carissimo) e a un laboratorio di ceramiche (divertente la dimostrazione, con partecipazione del pubblico), pranzo epico in un enorme ristorante (buono, ma non siamo abituati a mangiare 4 portate a pranzo). La parte migliore è stata nel pomeriggio con una camminata di un’ora e mezza nelle valli delle rose e dei piccioni. Per la sera avevo puntato un ristorante che passa per essere uno dei migliori di Goreme, A La Turca: si mangiano infatti piatti un po’ diversi rispetto al solito (io: fettine sottili di manzo, adagiate su letto di patatine tagliare a fiammifero e condite con yogurt; Gigi: una pallotta fritta piena di carne e verdure – 15 euro a testa). Peccato per il freddo tagliente che ci ha fatto fuggire appena finito di mangiare. E niente ashure, troppo sazi, i piatti sono enormi.

Dopo l’esperienza del tour organizzato, prima di cena abbiamo prenotato un’auto per il giorno dopo in un’agenzia sulla piazza, una Fiat Marea che ha visto giorni più felici, ma che senza problemi ci ha portato alla Ilhara Valley, a un centinaio di km da Goreme. Si tratta di un canyon scavato nella roccia attraversato da un torrente dove si passeggia tranquillamente all’ombra, mentre arrampicandosi sulle pareti scoscese si visitano alcune chiese rupestri. Nel pomeriggio siamo stati nel vicino paesetto di Guzelyurt. E’ un posto non ancora aggredito dal turismo: ci sono solo poche pensioncine carine nelle case che una volta erano dei greci emigrati dopo e che ora sono una delle attrazioni del villaggio. Stanno cominciando giusto ora alcuni restauri presso la moschea, che una volta era una basilica bizantina (anche più antica di Santa Sofia, ci ha detto l’imam), ma per il resto il villaggio è ancora campagnolo, con polli, vitelli e asini in mezzo alla strada. Cena ancora Kapadokya Kebab Center, dove Gigi ordina una cosa buonissima ma dal nome ignoto: trattasi di carne trita stufata con peperoni, servita con riso al centro sopra un braciere che la tiene in caldo.

31 luglio – KONYA Si parte per Konya (3 ore di bus, 12 euro), città che, sarà per il mito dei dervisci e della mistica sufi, pensavo essere antica, forse perché anche meta di pellegrinaggi e molto tradizionalista. Invece è una città piena di palazzi modernissimi, qualche grattacielo e una stazione degli autobus che sembra un disco volante. Alloggiamo all’Hotel Ulusan prenotato la sera prima dalla Lonely Planet per telefono (25 euro la doppia, con bagno in comune, ma pulitissima, scintillante). Insieme a una famiglia belga arrivata in serata siamo gli unici ospiti dell’albergo: in città infatti arrivano molti gruppi organizzati che alloggiano in grandi alberghi fuori città, mentre di turisti indipendenti non ce ne sono moltissimi. Il centro, con il mausoleo di Mevlana, qualche moschea, la collinetta di Aladdhin si visita in una mezza giornata. Peccato che quel giorno non ci fosse in programma uno spettacolo di dervisci rotanti organizzato dalla loro associazione culturale (ne fanno tre a settimana), che non dovrebbe essere una patacca come quelli che rifilano i tour. Il mausoleo di Mavlana è il monumento più bello con il suo minareto di ceramica azzurra: piuttosto che un museo, come vuole la tradizione di laicità della Turchia, è un luogo di culto dove si viene in pellegrinaggio. All’interno quasi ci sentiamo fuori posto tra tutti i fedeli (tantissimi) raccolti in preghiera: benché Ataturk abbia cercato di mettere fuori legge le logge dei dervisci, il culto mi pare molto sentito. Gironzoliamo per la città: tutto costa pochissimo rispetto alla Cappadocia e a Istanbul: metro di paragone è il simit, la ciambella di pane con il sesamo che vendono per strada. Se nella metropoli costa 1 lira, a Konya viene 35 centesimi… Il bazar non ha nulla di turistico, ma non vi si trova nemmeno artigianato: tanto ‘made in China’, biancheria per la casa barocchissima, negozi che vendono gli impermeabili della donna turca osservante e abiti completi da uomo terrificanti. A parte la collinetta di Aladdhin, vicina alla zona universitaria, l’unico luogo animato la sera è la piazza davanti al mausoleo, piena di bancarelle, venditori di cibo, gente che se la chiacchiera e bambini che giocano. Il ristorante Köşk Konya Mutfagi ha l’ashure nel menù, ma stasera niente da fare. Il cuoco mi propone un dessert caldo a base di helva, mentre Gigi deve rinunciare alla solita Efes ghiacciata. Konya è una città tradizionalista, e qua non si servono alcolici.

1-3 agosto – CIRALI Alle 9 si parte e dopo 5 ore di bus si arriva ad Antalya, dove proseguiamo immediatamente per Cirali con un’altra ora e mezza di dolmus. Circondata da un panorama spettacolare, con montagne e foreste, Cirali non è un paese: è un’unica strada, in parte sterrata lontana 7 km dalla statale, dove tra boschetti e orti si affacciano un centinaio di pensioni, non tutte con prezzi popolari, frequentate soprattutto da turchi, francesi e tedeschi. Verso il ‘centro’ ci sono un paio di minimarket, un’agenzia turistica e sulla parte finale della spiaggia un po’ di ristoranti che fanno pesce fresco (all’Oleander, il primo sulla strada, si pasteggia a branzino con 15 euro a testa). Abbiamo prenotato tre notti alla pensione Tunays (www.Tunays-pension-cirali.De/en/), dal nome del giovane proprietario, trovata attraverso il sito www.Cirali.Org. Camera linda e pinta in un verdissimo giardino a 35 euro a notte. Una sola pecca: tutta la famiglia parla molto bene solo il tedesco, ed è stato un peccato non poter chiacchierare in un modo più articolato con il padre, origini russe e ataturkiano di ferro, e con la simpaticissima madre, originaria dell’Ossezia e dalla cucina discutibile (ma spettacolare la minestra di yogurt e menta). Solo Tunays parla un po’ di inglese.

La spiaggia di Cirali è enorme e terribilmente calda, ma l’acqua è uno spettacolo. Peccato che di sera, come un po’ dappertutto, la marea si alza e porta a riva un po’ di rifiuti. Fa talmente caldo che la voglia di andare a vedere il sito di Olympus evapora al sole… La sera, sempre con 36° fissi, siamo stati alla Chimera, un fianco della montagna sopra Cirali da dove fuoriescono naturalmente delle fiamme causate da gas che si incendia a contatto con l’aria. Bisogna andare al tramonto per vederle bene (3 lire l’ingresso), ma appena scende il buio completo verso le nove e mezza arrivano i gruppi da tutte le città sulla costa ed è veramente un casino. Comunque è un posto magico, bisogna immaginarsi quando qualche migliaio di anni fa queste fiamme venivano considerate dei veri e propri mostri, chimere appunto. Oggi invece è più facile incappare in altri soggetti, come a noi è toccato un russo ubriaco tifoso dello Zenit San Pietroburgo e grande estimatore del Milan. Una pila per scendere giù dalla montagna è mooolto consigliabile.

4-6 agosto – KALKAN Dopo due giorni allo stato brado, torniamo alla cività. La prossima tappa è Kalkan, cittadina scelta grazie ai consigli di un altro turista per caso, molto carina e piena di viuzze e ristoranti, con tante barche nel porticciolo. Più o meno una Porto Rotondo turca, ma senza i ‘papi’ e i Billionaire. Dopo tre ore di dolmus per 140 km, seduti sugli scalini davanti vicino all’autista, andiamo diretti all’hotel Sevgi (www.Sevgihotel.Com/, 39 euro a notte), carino, con camere pulite e in posizione strategica perché si trova a 10 minuti a piedi sia dalla stazione dei bus che dal lungomare. Torniamo subito alla stazione dei bus per andare prima di sera alla spiaggia di Patara, una enorme distesa di sabbia fine lunga 20 km con alle spalle le dune e un sito archeologico. Per entrare si paga infatti un biglietto. L’utilizzo della spiaggia è diviso in parti eque tra umani (8am-20pm) e tartarughe (20pm-8am), che in questa stagione vengono a deporre le uova nella sabbia: infatti alle otto la spiaggia chiude, giusto in tempo per vedere il tramonto. Peccato anche che l’ultimo dolmus sia alle sei e mezzo: poi si resta nelle mani dei tassisti che decidono le tariffe in base alla simpatia: per fortuna ci hanno fatto pagare un forfait di 30 lire (15 euro per circa 15 km, un prezzo in linea con le altre volte che abbiamo fatto tragitti simili), anche se il tassametro, evidentemente truccato e fatto funzionare per farci toccare con mano la convenienza dell’offerta, segnava più del doppio… A Kalkan c’è una spiaggia microscopica, insignificante rispetto ai posti vicini, ma il bello della città viene di sera quando si sceglie dove cenare: ci sono tantissimi ristoranti di ogni specie e livello, e anche in quelli più belli non si spende più di 30 euro in due, anche mangiando pesce. Tra questi bellissimo il Cafè Zula, con la terrazza illuminata dalla luna, e il Korsan Meze, tutto bianco e azzurro vicino al lungomare. Di ashure nemmeno l’ombra, neanche in pasticceria… mah… Il giorno dopo in dolmus alla spiaggia di Kaputas, distante 7 km. Da una gola nella roccia si apre una spiaggia di sabbia fine e chiara che dà all’acqua sfumature di un azzurro intensissimo. Qui si possono affittare ombrelloni a due euro e mezzo e prendere da mangiare in un baracchino improvvisato, ma attrezzatissimo, sulle ripide scale che portano alla spiaggia, dove una vecchietta instancabile per tutto il giorno cucina gozleme (piadine) col formaggio e una sorta di nutella.

Il giorno dopo ancora, fidandoci della Lonely Planet che consiglia la visita alla città sommersa di Kekova in kayak (“adatta a chiunque a prescindere dalla condizione fisica”), facciamo il battesimo della canoa con risultati penosi (gli unici a scuffiare, ma questo è il meno) e una fatica immane. C’è da dire a nostra discolpa che nel primo pomeriggio si è alzato il vento, e le onde di conseguenza, che non ha reso l’ ‘impresa’ delle più semplici. Per chi volesse provare, le guide comunque sono bravissime. L’agenzia indicata sulla Lonely è di Kas ma ha degli agganci anche a Kalkan.

7-8 agosto – PAMUKKALE Oggi destinazione Pamukkale, con un altro viaggio-odissea: tre dolmus, due ore fino a Fetiye, cinque poi per Denizli e alla fine un’ultima mezz’ora in un affollatissimo terzo dolmus fino a Pamukkale. Arriviamo verso le sei e mezza alla pensione che avevamo prenotato la sera prima, Melrose Allgau Hotel (www.Allgauhotel.Com/). Per 19 euro a notte ci hanno dato una stanza con bagno nella pensione sul retro, un po’ malandata (il pavimento in pendenza… serramenti che non serrano, zanzare affamate) ma accettabile per un paio di giorni. La colazione, inclusa nei 19 euro, e la cena erano però ottime e abbondante. Un indirizzo da tenere in considerazione, anche per la gentilezza dei gestori. E poi le camere dell’albergo vero e proprio sono molto belle.

Pamukkale è un luogo unico al mondo: il paese è un piccolo e placido centrino agricolo, dove la vita normale tra trattori e caprette quasi contrasta con l’invasione quotidiana di migliaia di turisti e megabus richiamati dalla famosa parete di travertino candido che si è formata grazie al fluire delle acque termali ricche di carbonato di calcio. In cima c’è la città romana di Hierapolis, un sito molto interessante, terribilmente caldo ed esteso. Vale la pena vedere anche il museo interno che contiene i pezzi migliori ritrovati, statue e sarcofagi. Un tocco di ‘casa’ c’è nei cartelli scritti in italiano, molto completi, merito della Missione Archeologica Italiana che sta lavorando al sito.

Non importa quanto tutti dicano che 10,20,30 anni fa Pamukkale fosse più bello, non lo metto in dubbio. Questa ‘montagna di cotone’ resta sempre impressionante, specie se si comincia la visita dall’ingresso inferiore, quello più vicino alla città e meno frequentato per il percorso in salita (e quindi più pulito): sembra di essere su una pista da sci, con vasche d’acqua dove si può ancora fare il bagno, a patto di non fare troppa confusione e così richiamare la vigilanza. C’è anche la piscina termale, affollatissima, che costa altri 12 euro, per ‘lessare’ un paio d’ore: la temperatura dell’acqua è sui 40°, almeno tanti quanti fuori in agosto. In serata comperiamo il biglietto del bus della compagnia Pamukkale: a vendercelo è quello che abbiamo ribattezzato il ‘futuro presidente della Repubblica turca’, sotto le mentite spoglie di un ragazzino. Il 13enne più sveglio che abbia mai visto affianca genitori e sorella in agenzia, fa i biglietti, organizza tour e navette e alle sette e mezza del mattino dopo, in bicicletta, ferma il bus già in partenza e ci carica a bordo. Un mito… 9-11 agosto – BODRUM Si torna al mare. Cirali era ruspante, Kalkan raffinata. Bodrum è invece un casino. Detto ciò è anche molto bella, fatta tutta di casette bianche e dominata dal castello di San Pietro, ma un po’ per la folla, un po’ per i prezzi (che tuttavia equivalgono sempre alla metà di quanto si spenderebbe in Italia) ci pare di essere stati catapultati in un altro mondo. A Bodrum abbiamo dormito all’hotel Artunc, a 50 euro a notte. E’ pulito e ha un bella veranda con la piscina, ma la cosa migliore è la vicinanza alla stazione dei bus e dei dolmus che servono per raggiungere le spiagge della penisola. E’ anche in una zona tranquilla (provateci voi a dormire sul lungomare), comunque a 10 minuti dal centro. Promosso a pieni voti. La sera comunque c’è l’imbarazzo della scelta, tra locali, ristoranti e negozi di prodotti ‘genuine fake’ tutti aperti fino a tardissimo. L’ashure non si trova, dicono che non è stagione… In compenso per strada si mangiano delle frittelline calde e croccanti avvolte nel miele che sono uno spettacolo.

In questi due giorni e mezzo abbiamo visto la città, con il castello-museo di archeologia sottomarina, e le spiagge di Akyarlar e Gumusluk. Entrambe sono molto strette e affollate, con ombrelloni pigiati l’uno vicino all’altro quasi come nel levante ligure… Ad Akyarlar ci siamo salvati dal pigia-pigia andando nel ‘lido’ dove gli ombrelloni erano più distanziati, riconoscibile anche perché l’unico ad avere un bel prato privato dove andare quando stanchi della sabbia scura e rovente. Qui non si paga l’ombrellone, ma solo la consumazione al bar. L’acqua è molto bella, anche se il colore della sabbia non le rende da subito giustizia. A Gumusluk invece il mare e la spiaggia erano pieni di alghe… Qui ci siamo rifugiati sulla pedana di legno del ristorante Gusta, con enormi ombrelloni di paglia e comodi lettoni imbottiti. Più per il mare però, Gumusluk pare più adatto per il dopo spiaggia: la vista sul porticciolo è bellissima, è pieno di ristoranti di pesce e di negozietti di prodotti artigianali, ricavati in una sorta di ‘galleria’ commerciale aperta penso solo d’estate. Un’alternativa sono i giri in barcone, che, come ci hanno detto, portano in posti molto belli dove fare il bagno. 12-14 agosto – Selçuk Un ultimo sforzo e via, con un nuovo minibus verso Selçuk. E’ la cittadina più vicina a Efeso e buona base per i giri sulla costa Egea. Andiamo all’hotel Jimmi’s Place, dove troviamo una camera comoda e grande a 30 euro. Anche il cibo non è male, anche se il servizio è un po’ lento. A Selçuk da vedere c’è il museo di Efeso, bellissimo, con i reperti trovati nel sito archeologico, la basilica di San Giovanni Evangelista e la moschea di Isa Bey. Per il resto è una cittadina tranquilla e sonnacchiosa, con il centro dominato da un acquedotto romano dove le cicogne fanno il nido, i soliti negozi per turisti e un paio di pasticcerie mica male. C’è anche un posto che vende decide di qualità diverse di semini da sgranocchiare e scatole regalo di lokum ai gusti più vari, mezzo chilo a 4 euro.

Efeso penso sia il posto più affollato dell’intera Turchia… migliaia di persone si accalcano sin dall’apertura e rubano un bel po’ di fascino a quello che resta comunque uno dei migliori e meglio conservati siti archeologici. In più, contrariamente a Hierapolis dove c’erano dei cartelli con spiegazioni complete, qui non c’è quasi nulla per orientarsi, quindi abbiamo preso l’audioguida (10 lire). Abbiamo visitato anche la parte al coperto delle case a terrazza (altre 15 lire…) con affreschi e mosaici che valgono certamente il biglietto. In più qui i gruppi non entrano e si possono osservare gli archeologi al lavoro nel ricomporre ‘il più grande puzzle dell’antichità’. All’uscita, evitato l’orrido self service e puntato verso fichi maturi, torniamo col dolmus in città. All’andata conviene invece per 10 lire farsi accompagnare da un taxi all’ingresso superiore, così da evitare la pur lieve salita.

Il giorno dopo, il penultimo, prendiamo l’auto per scendere a sud e visitare il colossale tempio di Apollo a Didima e le città di Priene e Mileto. Didima è un posto pazzesco, con enormi basi di colonne che pare impossibile siano state in piedi fino al 1600, quando un terremoto ha distrutto il tempio. Le due colonne rimaste in piedi danno un’idea della maestosità del luogo.

Mileto è molto grande, con un teatro imponente, e fa riflettere su come l’insabbiamento del porto possa avere causato la decadenza di una città che all’epoca era importantissima e ospitava personaggi come un certo Talete (‘quello dell’acqua’), con un tale Anassimandro e il suo compare Anassimene.

Priene, oltre al tempio di Atena con le sue cinque colonne in piedi, ha dalla sua un panorama stupendo. E al ritorno, come non fare una puntata allo spaccio aziendale della Diesel che, ebbenesì, produce anche alla periferia di Selçuk. Senza troppe illusioni, perché anche qui un paio di jeans Diesel costa sempre intorno ai 100 euro, ma non ho comunque resistito ai Levi’s Engineering a 20 euro. Prima di riportare la macchina, abbiamo deviato verso Sirince, un paese ex-agricolo ed ex-tradizionale dove ormai tutti gli abitanti pare abbiano abbandonato ogni attività ‘funzionale’ per aprire bancarelle di souvenir e prodotti tipici. Solo salendo su per la collina si riscopre una parvenza di vita normale. Ormai stramazzati ci concediamo un cay con visita dalla terrazza dell’ex chiesa ortodossa, in fase di timido restauro, e ce ne fuggiamo via al tramonto senza troppi rimpianti. 15 agosto – ISTANBUL Sveglia presto alla mattina per prendere il dolmus per l’aeroporto di Smirne, direzione Istanbul, da cui in serata l’aereo per casa. Dopo infiniti viaggi in bus, minibus spaccaossa, dolmus affollati, l’aereo pare un sogno: Smirne–Istanbul, 55 minuti contro 10 ore di bus, a 45 euro a testa con la compagnia Atlas Jet. Arriviamo all’Ataturk verso le 11 e mezzo e, lasciati i bagagli al deposito, abbiamo un pomeriggio per rivedere quella che ormai abbiamo eletto la nostra città preferita. Gigi vuole rivedere anche Santa Sofia che, forse, in questa seconda visita a distanza di due anni mi pare ancora più bella e maestosa. Usciamo, e chittivedo nella vetrina del turisticissimo ristorante Lale Pudding Shop? L’ashure che, anche se non ha un aspetto bellissimo, mi affretto a ordinare. Mi resta la curiosità di come possa essere un esemplare da pasticceria. Un’ultima scappata nel bazar a prendere il piatto turchese che mi ero ripromessa di portare a casa, un cay al giardino del the Enrenler e via verso l’aeroporto. E qui un consiglio da amici: se un tassista, visto che per far prima avete stavolta deciso di non usare i mezzi pubblici, dicevo, se un tassista comincia ad accampare scuse che ci metterete un po’ di più perché c’è la partita del Galatasaray, è sabato, c’è traffico, sono tutti a fare shopping, scappate di corsa. Tre settimane di vacanza senza nessun tipo di fregatura ci hanno disinnescato l’allarme e la leggerezza, complice il tassametro truccato, ci è costata una corsa a prezzo più che doppio e tanto rosicare… Quindi attenti… Detto questo, se avete avuto la pazienza di arrivare fin qui in fondo, son qui per ogni domanda. Ciao a tutti, al prossimo viaggio



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