Istanbul: cosi’ vicina, cosi’ lontana

Per andare ad Istanbul non c’è un volo diretto che parta da Bologna, bisogna partire da Roma oppure da Milano. Dopo aver guardato in internet per avere un’idea del costo dei biglietti aerei, andiamo all’agenzia di viaggi e prenotiamo un volo Alitalia per Milano e a seguire il volo per Istanbul. Partenza mercoledì 25 aprile, ritorno lunedì...
Scritto da: Kayenta
istanbul: cosi’ vicina, cosi’ lontana
Partenza il: 25/04/2007
Ritorno il: 30/04/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Per andare ad Istanbul non c’è un volo diretto che parta da Bologna, bisogna partire da Roma oppure da Milano. Dopo aver guardato in internet per avere un’idea del costo dei biglietti aerei, andiamo all’agenzia di viaggi e prenotiamo un volo Alitalia per Milano e a seguire il volo per Istanbul. Partenza mercoledì 25 aprile, ritorno lunedì 30 aprile 2007.

Per chi conosce un po’ l’inglese, un ottimo sito da consultare per un viaggio in Turchia è: www.Travelturkey.Com. Qui ho trovato molte informazioni utili e tangibili riscontri a quanto avevo già appreso dalla guida “ISTANBUL” della Lonely Planet (molto completa). Contemporaneamente mi sono documentata anche con la guida del Touring Club Italiano, ricca di immagini, rubriche originali e un glossario molto dettagliato.

L’ILKAY HOTEL dove soggiorniamo, l’ha trovato mio marito Rocco in internet dopo un’accurata ricerca. Questo hotel si trova a SIRKECI nel cuore della città vecchia SULTANAHMET. Al momento della prenotazione, in febbraio, il prezzo della camera, colazione compresa, è di € 44. Inoltre ci viene offerto il servizio gratuito di trasferimento da o per l’aeroporto. Noi scegliamo di farci venire a prendere quando arriviamo. Per il ritorno ci organizzeremo. Per quanto riguarda la moneta, a partire dal 2005 è entrata in vigore la nuova lira turca (Yeni Turk Lirasi). Un euro equivale circa a 2 nuove lire turche. Una nuova lira turca è formata da 100 centesimi (KURUS) in pezzi da 5, 10, 25 e 50. La moneta cartacea si trova in pezzi da 1, 5, 10, 20, 50, 100 nuove lire turche. Prima di partire ho chiesto in banca ma mi hanno detto che non è una moneta di cui dispongono. A questo punto ce la procuriamo quando arriviamo ad Istanbul, all’ufficio cambio nella hall dell’aeroporto prima dell’uscita. Volendo ce li saremmo potuti procurare anche facendo un prelievo bancomat.

Tutti gli stranieri che entrano in Turchia devono procurarsi un visto d’ingresso. Per noi italiani è molto semplice: appena scesi dall’aereo, prima di arrivare al controllo passaporti (“OTHERS NATIONALITIES”) ci sono degli sportelli sulla sinistra con scritto “VISA”(VISTO) presso i quali, pagando la somma di 10 € a persona, viene rilasciato il visto. Questo “cartellino” va conservato per il successivo controllo all’uscita dal paese.

E il turco chi lo parla? Nessun problema ad Istanbul tutti parlano la lingua inglese, tranne qualche caso raro. Io, a priori, ho comunque cercato di imparare qualche parola di uso quotidiano. Se proprio mi trovo in difficoltà, posso sempre mostrare la parola che mi interessa direttamente dal glossario sulla guida.

Qualche giorno prima di partire ci preoccupiamo di sapere quali saranno le condizioni climatiche consultando il sito www.Wunderground.Com. Come possiamo constatare il tempo sarà variabile. Le temperature al momento, variano di dieci gradi tra le minime e le massime (min.7/19 max – min.8/17 max). Qui in Italia fa già molto più caldo rispetto ad Istanbul. MERCOLEDI’ 25 APRILE 2007 Si parte! Volo Bologna – Milano : 07.30 – 08.30. Non ci si accorge neanche di essere saliti che bisogna già scendere. Da Milano, dopo circa tre ore di volo, arriviamo ad Istanbul alle 14.30 ora locale (qui c’è un’ora in più rispetto all’Italia). Acquistiamo il visto d’ingresso; passiamo il controllo documenti (per la Turchia è sufficiente la carta d’identità valida per l’espatrio), ritiriamo i bagagli, entriamo in possesso della valuta locale e finalmente raggiungiamo l’uscita. Come da accordi, ci aspettiamo che ci sia una persona ad attenderci con un cartello sul quale ci sia scritto il mio nome. Così è, ma ci vogliono circa cinque minuti per individuarlo in quanto, appena si apre la porta di uscita, ci troviamo davanti una cinquantina di persone con un cartello in mano! L’incaricato che ci è venuto a prendere deve accompagnare altre persone oltre a noi. Aspettiamo che arrivino poi andiamo. L’aeroporto internazionale di ATATÜRK (Atatürk Hava Limani) si trova circa 25 km a ovest di SULTANAHMET. Per raggiungere l’albergo percorriamo la strada costiera sul MAR di MARMARA (Marmara Delizi), in parte affiancata da quello che rimane delle mura marittime fatte costruire in origine da Costantino il Grande.

Una delle prime cose che notiamo, sono le bandiere della Turchia che sventolano dalle finestre di molti palazzi. Il traffico è sostenuto ma non troppo caotico. Captiamo subito che un’abitudine frequente a tutti gli automobilisti è quella di suonare il clacson ripetutamente, anche il conducente del tram non si astiene dal suonarlo. (Il tram di Istanbul è modernissimo. Vorremmo averlo così anche a Bologna!) Verso le quattro di pomeriggio prendiamo possesso della nostra stanza. Piccolo particolare : ci sono due letti singoli e la stanza è piccolina. Non rispecchia le richieste della nostra prenotazione. Rocco si spiega con il ragazzo alla reception e si accorda per una stanza più grande e con i requisiti specificati al momento della prenotazione. La camera sarà disponibile solo da domani mattina. Per stanotte dormiamo in quella già assegnataci. Da dove ci troviamo possiamo raggiungere facilmente e in poco tempo, i luoghi di maggior interesse quali: il Palazzo Topkapı (Topkapı Sarayı), la Moschea Blu (Sultan Ahmet Camii), Santa Sofia (Aya Sofya), la Cisterna Basilica (Yerebatan Sarnıçı), il Ponte di Galata (Galata Köprüsü), l’imbarco per i traghetti che attraversano il Bosforo (Iskelesı Boğaziçi) e arrivano sulla costa asiatica; la Nuova Moschea (Yeni Camii), il Bazar delle Spezie (Mısır Çarsısı) o Mercato Egiziano. Per prima cosa andiamo al Tourist Information che alle 17.00 chiude. La strada affianca le mura del GÜLHANE PARKI, un tempo il parco del Palazzo Topkapı. Passiamo davanti alla SUBLIME PORTA dalla quale si accede ai palazzi un tempo sede del gran visir, il primo ministro ottomano, oggi sede degli uffici dell’amministrazione provinciale di Istanbul.

Quasi di fronte si affaccia il CHIOSCO DELLA PARATA (Alay Köşkü), incorporato nelle mura del parco, da dove il sultano seguiva le parate delle truppe e delle corporazioni delle arti e dei mestieri che sfilavano in occasione delle celebrazioni di importanti festività e di grandi vittorie militari.

L’ufficio informazioni si trova in piazza Santa Sofia. Si tratta di un semplice, scarno e piccolo ufficio dalle pareti bianche, dove ci sono solo uomini, seduti ad una scrivania con una cartina della città aperta davanti a loro. Punto e basta. Non ci sono scansie con depliant pubblicitari o altro materiale informativo. Alla faccia della sobrietà! Appena entriamo rimaniamo subito spiazzati. Non facciamo in tempo a conferire parola che ci viene data una cartina della città, una degli Hamam (bagno turco) e quella dei mezzi pubblici. Fine della conversazione. Va bene così. Avremo modo di recarci a quello della stazione ferroviaria di Sirkeci e qui saremo molto più soddisfatti.

Questa piazza è davvero incantevole. Si trova tra Santa Sofia e la Moschea Blu, ci sono dei bellissimi giardini con prati ben curati, tanti fiori colorati e una fontana al centro. C’è il venditore ambulante di caldarroste, esposte in modo ordinato e anche per metà private della buccia. C’è il venditore di pannocchie al vapore o alla griglia. C’è il venditore di simit, anelli di pane ricoperti di sesamo. La piazza è molto affollata e rimaniamo ad osservare il nuovo mondo che ci circonda. Ci sono coppie di uomini che vanno a braccetto e si scattano fotografie. La maggior parte delle donne indossa il velo e indumenti in jeans o panno che le coprono fino ai piedi. Alcuni gruppi di donne indossano l’abito nero e il velo dal quale si riescono ad intravedere solo gli occhi. Le bambine piccole portano abiti comuni, le ragazzine in più hanno il capo coperto da un foulard colorato. Da un lato Santa Sofia originariamente chiesa bizantina, poi moschea, oggi un museo; dall’altro la Moschea Blu, uno dei luoghi di culto più frequentato dai fedeli di Istanbul. E’davvero imponente e magnifica. Ad Istanbul è l’unica con sei minareti. La moschea, fatta costruire dal sultano Ahmet I tra il 1606 e il 1616, è cinta di mura dalle quali si accede ad un’ ampio giardino in fiore che precede l’entrata principale. Lateralmente si apre un cortile circondato da un colonnato, al centro del quale si trova una fontana per le abluzioni (i fedeli prima di pregare devono purificarsi) alla quale però vedo recarsi solo uomini. Per entrare nella moschea naturalmente bisogna togliersi le scarpe in quanto si calpesta il tappeto sul quale i musulmani si inchinano per pregare. Per rispetto della religione musulmana mi copro la testa con un foulard (nel caso non ne fossi stata in possesso, ce ne sono a disposizione all’entrata). Comunque la maggior parte delle donne straniere non lo indossa e contrariamente a quanto viene richiesto, le guide turistiche parlano ad alta voce.

Alle donne è riservata un’area per pregare separata da quella degli uomini. Aderenti alle pareti ci sono delle panche, ma non ci si può sedere perché servono come scarpiere. Nel momento in cui entriamo ci sono delle persone che pregano e l’area di preghiera è delimitata con delle transenne in modo che i turisti non possano disturbarle. All’interno della moschea c’è una nicchia, il mihrab, che indica la direzione della mecca; l’alto mahfil (scranno) dal quale l’Imam impartisce il sermone del venerdì;la loggia imperiale e il mimber (pulpito).

La luce filtra da 260 finestre con vetrate policrome (copie moderne di quelle originali prodotte a Venezia), e da enormi lampadari circolari che scendono dall’alto quasi fino a toccare terra.

Le pareti sono tutte rivestite di maioliche di Iznik (luogo dove producevano le ceramiche di alta qualità) il cui colore blu dà il nome alla moschea.

Le moschee fatte costruire dai potenti comprendevano anche una serie di istituzioni al servizio della comunità. Raggruppati intorno alla Moschea Blu c ‘erano di solito una medrese (scuola teologica), una imaret (mensa dei poveri) e un hamam presso cui i fedeli potevano lavarsi il venerdì, giorno sacro per l’islam. Inoltre nei pressi della moschea si concentravano diversi negozi (Arasta Bazaar), i cui proventi dell’affitto servivano a finanziare i lavori di manutenzione della moschea stessa.

Quando usciamo è quasi ora di cena e ci dirigiamo verso l’albergo. Lungo la strada ci fermiamo per comprare dei börek, una pasta sfoglia salata ripiena di carne, di patate oppure di formaggio. Scegliamo di assaggiarli tutti e tre. Sono molto gustosi ma anche molto unti. Una cosa che ci coglie di sorpresa è quando sentiamo l’annuncio della preghiera diffondersi in tutta la città. Noi ci troviamo poco distanti dalla Moschea Blu e dai megafoni dei minareti ci arriva forte e chiara la voce dell’Imam. Appena smette, un’altra voce ricomincia dal minareto della moschea attigua e così via, in un continuo botta e risposta.

Facciamo poi una passeggiata fino al ponte di Galata da dove osserviamo le ultime luci rosa del tramonto avvolgere il Corno d’Oro e la città accendersi per dare il benvenuto alla venuta della nuova sera.

Dopo cena torniamo in piazza Santa Sofia per ammirare lo splendore dei monumenti con una nuova luce. Veniamo avvicinati da un ragazzo con il quale scambiamo qualche parola in inglese. Ci informa che la zona della città con i locali e i ristoranti alla moda si trova al di là del Ponte di Galata, a Beyoğlu (come già sapevamo per averlo letto nella guida).

Visto che questa mattina ci siamo alzati alle cinque, mi sembra venuto il momento di andare a letto.

GIOVEDI’ 26 APRILE 2007 La colazione è come un pranzo. C’è veramente l’imbarazzo della scelta. Questa mattina ce la prendiamo con calma, anche troppo. Prendiamo possesso della nostra nuova stanza che è composta da un piccolo salottino antistante la camera da letto. Adesso non ci possiamo proprio lamentare.

E’una bellissima giornata di sole e una leggera brezza soffia dal mare. Ci dirigiamo a piedi verso il ponte di GALATA. Passiamo davanti alla stazione ferroviaria di SIRKECI. Questa è la stazione in cui arrivava l’ORIENT EXPRESS. L’Orient Express collegava Parigi a Istanbul. Il primo viaggio venne inaugurato il 4 ottobre del 1883. Il servizio si interruppe per le guerre mondiali, per cessare definitivamente il 19 maggio 1977 a causa della concorrenza dei trasporti aerei. Oggi l’Orient-Express è un servizio quotidiano che collega Parigi a Vienna. Proseguendo verso il ponte, si passa davanti agli imbarchi con destinazione Üsküdar, Karaköy e il Bosforo. I traghetti sono gremiti e c’è una grande confusione sulla banchina occupata in parte, anche dai venditori ambulanti di panini con pesce fresco. Ci fermiamo al call center della Telekom per chiamare casa e risulterà anche molto economico. Abbiamo una tessera prepagata, New Columbus, ma non si può utilizzare dai telefoni pubblici. Il ponte collega il quartiere di EMINÖNÜ a quello di GALATA e l’attiguo BEYOĞLU che insieme rappresentano la zona moderna della città. Quella parte della città ha origini italiane in quanto nel XIII secolo venne conquistata dai genovesi il cui potere si protrasse sino alla fine del XIX secolo. A partire da allora le nuove idee importate dall’Europa da commercianti e diplomatici cominciarono ad esercitare la loro influenza nella vita quotidiana degli ottomani partendo dalle vie di PERA (parola greca che significa “al di là” e nome originale di Beyoğlu) e GALATA. Gli europei che abitavano in questi quartieri importavano in città novità nel campo della moda, dei macchinari, dell’arte e del comportamento. Qui si trovavano telefoni, treni sotterranei, tram, luce elettrica, pasticcerie e gallerie commerciali di tipo europeo. La Vecchia Istanbul invece continuava a vivere immersa nelle sue antiche consuetudini con i suoi esotici bazar, le grandiose moschee, i palazzi fatiscenti, le vie anguste e i valori della cultura tradizionale.

Ad EMINÖNÜ vicino al ponte si trova il mercato delle spezie e la Yeni Camii (Nuova Moschea). Per il momento attraversiamo un sottopassaggio e siamo sul ponte dove ci sono tantissimi pescatori. Il livello inferiore del ponte è occupato da numerosi ristoranti aperti giorno e notte. Da un lato il ponte guarda verso il Corno d’Oro, dall’altro è rivolto verso il Bosforo. L’attuale ponte è stato realizzato nel 1992 sulla base di precedenti strutture, in seguito alla necessità di permettere il naturale flusso dell’acqua dal Corno d’Oro, ostacolato dalla presenza delle chiatte galleggianti sulle quali il ponte poggiava.

Attraversato il ponte, scendiamo a sinistra verso il mercato del pesce poi risaliamo una collina per strade strette e ripide verso la torre di Galata. Ci troviamo a passare davanti ad un locale dove la maggior parte delle persone, sedute all’esterno, in piccoli tavolini, uno di fianco all’altro, stanno gustando il te. Per i turchi questa bevanda è l’equivalente del caffè per gli italiani. Viene servita in un piccolo bicchiere dalla forma un po’ svasata, appoggiato su di un piattino coordinato. Una foto perfetta di vita quotidiana, anche se non è proprio il caso! Quando arriviamo alla torre è già ora di pranzo. Ci fermiamo nella piazzetta dove c’è un Kebapçi, venditore di kebab. E’ molto affollato ma riusciamo a guadagnarci un posto a sedere. Io mi faccio portare lo stesso piatto che ho appena visto nel tavolo a fianco: carne, pomodori, riso, patate fritte, peperoni e insalata. Rocco prende della carne arrotolata in una pita.

Si suppone che la Torre di Galata sia stata costruita durante il regno dell’imperatore Anastasio I (491-518), ma fu distrutta nel 1261. Nel 1348 i genovesi la ricostruirono quale grande bastione della cinta muraria a difesa del quartiere omonimo. Successivamente venne adibita a prigione, poi ad osservatorio, a posto di guardia contro gli incendi fino a diventare uno dei luoghi più turistici di Istanbul dopo aver subito varie ricostruzioni, essere sopravvissuta a diversi terremoti e alla demolizione delle mura genovesi decise dalle autorità alla metà del XIX secolo.

Dopo pranzo saliamo sulla torre (ingresso 10 YTL a persona). Prendiamo l’ascensore fino al penultimo piano e poi la scala a chiocciola che conduce alla sommità della torre dove si trovano il ristorante e la terrazza panoramica. Una lapide sull’ultimo pianerottolo dell’ascensore ricorda l’incredibile impresa compiuta verso la metà del XVII secolo da Hezarfen Ahmet Çelebi, che si lanciò dall’alto della torre munito di due grandi ali da lui fabbricate e riuscì ad attraversare il Bosforo, atterrando poi sull’altra riva a Üsküdar.

Da qui si vede tutta Istanbul. In lontananza, in mezzo agli edifici scorgiamo anche l’Acquedotto di Valente. Si vede tutto il Corno d’Oro, il Palazzo Topkapı, il quartiere di Eminönü e in cima a una delle sette colline sulle quali sorge Istanbul, la Moschea del Sultano Solimano il Magnifico. Lo stretto del Bosforo, la via d’acqua che collega il Mar di Marmara con il Mar Nero, è solcato da mercantili carichi di container, navi da crociera e traghetti.

A questo punto ci dirigiamo a piedi verso Piazza Taksim. Percorriamo la strada pedonale di Istiklal Caddesi (Viale dell’Indipendenza) un tempo denominata Grande Rue de Pera e si presenta davanti a noi un’altra Istanbul. Molto europea. Negozi alla moda, ristoranti, locali, edifici residenziali e ambasciate. Ci sono molti giovani e anche molte forze dell’ordine che vigilano. Netto è il contrasto con Sultanhamet. Piazza Taksim, cuore simbolico della Istanbul moderna, prende il suo nome dal serbatoio di pietra che un tempo faceva parte del sistema idrico della città. Nel 1732 il sultano Mahmut I fece arrivare fin qui la condotta principale proveniente dalla Foresta di Belgrado. Da Taksim partivano poi le linee che portavano l’acqua alla altre zone della città. Qui si erge il Monumento alla Repubblica, opera del 1928 dello scultore italiano Canonica, che rappresenta Atatürk (=”padre della Turchia”) insieme al suo vice e ad altri capi rivoluzionari realizzato nell’intento di commemorare gli eroi della rivoluzione ma anche di infrangere la regola islamica e ottomana che vieta la raffigurazione di “idoli”.

Da qui prendiamo il vecchio tram che con il suo andamento lento attraversa Istiklal Caddesi . A piedi riscendiamo la collina lungo una strada di ciotoli ricca di negozi che vendono strumenti musicali. Ripassiamo dalla torre di Galata e infine raggiungiamo il ponte oltre il quale ci aspettano la Yeni Camii (Moschea Nuova) e il mercato delle Spezie costruito intorno al 1660 come parte del complesso della moschea. Nella piazza antistante il mercato ci sono dei caffè all’aperto dove si può fumare il tabacco di mele dai narghilè. Il profumo è molto invitante ma noi andiamo oltre. Il mercato si trova all’interno di un edificio in muratura. I negozi sono uno accanto all’altro e vendono soprattutto tappeti, “LOKUM” dolci tipici turchi (cubetti di gelatina molto zuccherati che si possono trovare semplici o con vari ripieni tra cui noci, pistacchi, arancia, mandorle), pashmine, bicchierini da te e naturalmente spezie. Le spezie sono esposte in appositi contenitori e i diversi colori ricordano la tavolozza di un pittore. I venditori naturalmente fanno il loro lavoro e cercano di attirare l’attenzione proponendosi in francese, spagnolo ed italiano. Per il momento osserviamo senza compare. Dopo cena torniamo a fare una passeggiata fino al ponte di Galata. Di sera qui c’è un mercato all’aperto. Direttamente sulla banchina i “commercianti”, solo uomini, espongono la merce, precedentemente contenuta in scatole dentro a grandi sacchi neri anonimi, trasportati direttamente sulle spalle o su carretti trainati a mano. Si tratta soprattutto di abbigliamento e scarpe. Ci sono indumenti e calzature di stilisti italiani (ARMANI, GUCCI, FERRE’) tutti rigorosamente falsi! Sempre sul lungomare si può mangiare un piatto di pesce, grigliato direttamente dai pescatori sulla barca e servito sulla banchina in appositi tavolini, che sembrano comparsi improvvisamente dal nulla (durante il giorno non ci sono).

A Istanbul, come possiamo constatare personalmente, non ci sono i contenitori per la raccolta dell’immondizia. I rifiuti vengono accumulati in alcuni punti della strada. Per caso ci è capitato di vedere un ragazzo mentre raccoglieva i sacchetti e li portava via su di un carretto trainato a mano. Nonostante questa mancanza, possiamo dire che la città non è particolarmente sporca. VENERDI’ 27 APRILE 2007 Questo è l’itinerario di oggi : Palazzo Topkapı – Harem del Palazzo Topkapı – pranzo – Santa Sofia – Haseki Hürrem Hamam – Cisterna Basilica – Ippodromo – Moschea Blu – Arasta Bazar .

Palazzo Topkapı – Harem del Palazzo Topkapı Attraverso la Porta Imperiale (si trova sul lato destro di Santa Sofia in fondo alla via) si entra nel Palazzo Topkapi fatto costruire nel 1453 da Mehmet Il Conquistatore, museo aperto al pubblico dal 1924. Alle nove di mattina ci troviamo nella Prima Corte, la Corte dei Giannizzeri o Corte delle Parate, un ampio giardino circondato da alte mura. Alla biglietteria paghiamo 10 YTL a persona per la visita, passiamo la Porta di Mezzo, che ricorda quella di un castello delle favole, e dopo i controlli ci troviamo nella Seconda Corte utilizzata per le questioni relative all’amministrazione dell’impero. Solo al sultano e alla valide sultan (regina madre) era concesso attraversare la Porta di Mezzo a cavallo: chiunque altro, compreso il gran visir, doveva scendere di sella. In quest’area del palazzo ai lati del cortile centrale si trovano le stanze che ospitavano le cucine, le scuderie, la Sala del Consiglio Imperiale e la Tesoreria Interna.

La voce della nostra audioguida ci accompagna alla scoperta di questo immenso palazzo.

Decidiamo di visitare subito l’Harem. (La parola “harem” significa letteralmente “privato”. Secondo la tradizione ogni casa musulmana era suddivisa in due parti ben distinte: il selamlık – stanza del sultano -, dove il padrone di casa riceveva gli amici, i soci in affari e i commercianti; e l’harem -appartamenti privati -, riservato a se stesso e alla propria famiglia). L’harem del sultano era un luogo in cui ogni dettaglio della vita quotidiana era regolato da tradizioni, obblighi e riti cerimoniali. Per entrare paghiamo altre 10 YTL a testa (la biglietteria si trova davanti all’entrata dell’Harem sul lato sinistro della corte e si può pagare solo in contanti). Ad ogni visita vengono accompagnate solo una trentina di persone. Noi siamo nel primo gruppo. Due guardie, una davanti e una in coda al gruppo, ci introducono attraverso la Porta delle Carrozze, alla scoperta delle stanze dell’Harem. Passiamo sotto la Cupola degli Armadi e accediamo alla Sala con il Şadırvan, una stanza di guardia decorata con belle maioliche verdi di Iznik. Andando oltre superiamo l’entrata alla Moschea degli Eunuchi Neri e raggiungiamo il Cortile e i Dormitori degli Eunuchi Neri (Nei primi tempi i sultani si facevano servire da eunuchi bianchi, ma in seguito presero il sopravvento gli eunuchi neri che venivano inviati in dono a Costantinopoli dal governatore ottomano dell’Egitto. Nell’Harem ne vivevano circa 200, ed erano incaricati della sorveglianza delle porte e della vigilanza delle donne. Il capo degli eunuchi neri, rappresentante personale del sultano nell’amministrazione dell’Harem e di altri importanti affari di stato, costituiva la terza carica dell’impero in ordine di importanza dopo il gran visir e il supremo giudice islamico).

Segue la Porta Principale di accesso all’Harem, il Corridoio delle Concubine che conduce alla Corte delle Concubine e delle Consorti (una concubina faceva il suo ingresso nell’Harem sotto forma di dono o di acquisto; le più brave e intelligenti facevano carriera fino ad avere un ruolo nella gestione dell’Harem stesso, mentre quelle meno dotate venivano adibite al servizio di queste ultime).

Siamo ora nel vero centro del potere di tutto l’Harem, gli Appartamenti Privati della Valide Sultan, la madre del sultano, che aveva la facoltà di impartire ordini direttamente al gran visir e spesso esercitava una grande influenza sul sultano sia per quanto concerneva la scelta di mogli e concubine, sia riguardo agli affari di stato. Annessi si trovano l’hamam e le toilette della valide sultan. Segue la più grande sala dell’Harem, la Sala Imperiale dove il sultano si riuniva con le sue donne per dedicarsi ai passatempi preferiti.

Dopo aver superato la Camera Privata di Murat III, la Biblioteca di Ahmet I e la Sala da Pranzo di Ahmet III si arriva al Doppio Padiglione composto da due stanze risalenti intorno al 1600. Da qui si vedono gli Appartamenti e il Cortile delle Favorite (i termine turco “favorita”, gözde, significa letteralmente “nell’occhio”).

Percorrendo la Strada dell’Oro, un corridoio il cui nome è legato al fatto che un servo del sultano usasse, in determinate occasioni, gettare monete d’oro alle donne dell’Harem, arriviamo all’uscita che ci introduce attraverso la Porta della Voliera, alla Terza Corte. Tutte le stanze dell’Harem stupiscono per le pareti ricoperte di ceramiche, arredamenti sfarzosi con particolari in oro, vetrate decorate, piccole ma numerose, tappeti e divani.

Provenendo dalla Seconda Corte si attraversa la Porta della Felicità o Porta degli Eunuchi Bianchi e si entra nella Terza Corte dove si trovano gli appartamenti privati del sultano. Questa porta era considerata la soglia della dimora del sultano: alla sua morte, qui ne venivano esposte le spoglie. Il sultano si mostrava in pubblico molto raramente e al suo passaggio ogni attività si fermava finchè egli non fosse uscito dalla corte. Ampi giardini di tulipani colorati ricoprono il centro della corte. Visitiamo la Sala delle Udienze, un piccolo padiglione dove il sultano riceveva gli alti funzionari e gli ambasciatori stranieri per discutere di importanti questioni di stato; la Biblioteca di Ahmet III e poi ci dirigiamo verso il Dormitorio del Corpo di Spedizione. In questi locali oggi è stata allestita una collezione di abiti imperiali. Rimaniamo impressionati dalle meraviglie custodite nella sala del Tesoro imperiale, dove sono esposti oggetti preziosi realizzati o decorati in oro, argento, rubini, smeraldi, giada, perle e diamanti. Qui si trova il Diamante del Kaşıkci, una pietra di 86 carati, classificato al quinto posto tra i diamanti più grandi del mondo, conosciuto con il nome “diamante del venditore di cucchiai” perché, originariamente trovato in una discarica, venne acquistato da un venditore ambulante in cambio di tre cucchiai.

Purtroppo le Sacre Stanze di Custodia dove sono conservate le reliquie del profeta Maometto, vale a dire il suo vessillo, la sua spada e il suo mantello, oggi sono chiuse. Un passaggio tra gli edifici ci porta alla Quarta Corte, o Giardino dei Tulipani, occupata da padiglioni ricreativi. Dal lato est si domina il Mar di Marmara e lo stretto del Bosforo. Spostandoci verso ovest raggiungiamo la Sala della Circoncisione ricca di ceramiche di Iznik anche esternamente, qui si svolgeva il rito che segna l’ingresso nell’età adulta dei ragazzi musulmani. Ci troviamo ora nel Revan Köşkü (Padiglione di Erevan) abbellito da una splendida vasca e da una terrazza marmorea che si affaccia sul Corno d’Oro. C’è anche un baldacchino in bronzo dorato usato dal sultano per consumare il pasto che i musulmani prendono dopo il tramonto durante il mese del ramadan.

Da qui si gode una splendida vista del Corno d’Oro e di parte della città. Terminiamo la nostra visita enormemente soddisfatti e ammaliati da tanto splendore e sfarzo. Ripercorriamo le diverse corti e vista l’ora ci dirigiamo verso un ristorante. Decidiamo di andare in uno che abbiamo visto vicino al nostro albergo e quindi anche non molto lontano da dove ci troviamo.

Pranzo Oggi mangiamo il kebab di pollo e una pita con condimento di carne. Ordiniamo più di quanto riusciamo a mangiare. La carne è buona ma un po’ piccante, la pasta della pita (cotta nel forno a legna) è squisita ma la carne è un po’ troppo speziata. Tutto sommato è un’esperienza che si può ripetere. Santa Sofia (Aya Sofya = Divina Saggezza) Soddisfatti del pranzo ci dirigiamo verso Santa Sofia. L’ingresso al museo costa 10 YTL a persona. Passati i controlli arriviamo all’ingresso principale dove nel cortile sono conservati gli scavi di una chiesa risalente all’epoca di Teodosio.

Santa Sofia, la terza basilica eretta su questo sito, fu fatta costruire dall’imperatore Giustiniano in cinque anni, dal 532 al 537, e mantenne il primato di più grande chiesa della cristianità fino al 1453, anno della conquista di Costantinopoli da parte di Mehmet il Conquistatore, il quale ne prese possesso a nome dell’islam trasformandola immediatamente in una moschea. Nel 1934 fu convertita in museo da Atatürk e solo nel 1964 le gallerie di Santa Sofia vennero aperte per la prima volta al pubblico.

Da ammirare all’interno del museo sono gli splendidi mosaici riportati alla luce e ristrutturati dopo che i musulmani li ricoprirono con uno strato d’intonaco in quanto, secondo il Corano, l’arte islamica deve astenersi dal ritrarre persone, animali o qualsiasi altra creatura dotata di un’anima immortale. Tra i mosaici più belli cito la Madonna con il Bambino nell’abside; sopra la porta imperiale il Cristo Pantocratore (re dell’universo) che tiene in mano un libro con l’iscrizione “La pace sia con voi. Io sono la luce del mondo”; Maria e il Bambino con a destra Costantino il Grande che le offre la città di Costantinopoli e a sinistra l’Imperatore Giustiniano che le offre Santa Sofia si riflette su di uno specchio posizionato verso l’uscita per permettere al visitatore di non perdere una tale bellezza. Purtroppo si stanno svolgendo dei lavori di ristrutturazione e un’immensa impalcatura si innalza fino alla cupola centrale di 30 metri di diametro a più di 55 metri di altezza da terra. I lampadari che pendono dal soffitto e scendono fino a pochi metri da terra furono installati in epoca ottomana, in sostituzione delle lampade di vetro a olio. Non possiamo fare a meno di notare i medaglioni con scritte dorate in arabo che riportano i nomi di Allah, Maometto e i primi califfi, che attirano l’occhio del visitatore per le loro dimensioni e per la loro posizione all’interno dell’edificio. Passando davanti alla Colonna Piangente assistiamo al rito secondo il quale inserendo un dito nel buco presente nella colonna si può esprimere un desiderio che si avvererà se una volta estratto, il dito sarà bagnato.

Completiamo la visita raggiungendo la galleria superiore percorrendo un sentiero di ciotoli. Haseki Hürrem Hamam Il prossimo edificio che visitiamo ospita un negozio di tappeti artigianali ma la sua funzione originaria era quella di hamam. L’Haseki Hürrem Hamam faceva parte del complesso della moschea di Santa Sofia e fu fatto costruire fra il 1556 a il 1557 da Solimano per la moglie Hürrem Sultan, Rossellana. Noi attraversiamo le diverse stanze adibite un tempo a luogo di purificazione del corpo, un rito al quale i musulmani hanno sempre attribuito un’enorme importanza.

Cisterna Basilica – Yerebatan Sarnıçı (Cisterna Sommersa) Ci addentriamo ora nel sottosuolo della città. La cisterna conosciuta con il nome di Cisterna Basilica perché situata sotto la Stoa Basilica, una delle grandi piazze ubicate sul primo colle della città, venne fatta costruire dall’imperatore Giustiniano nel 523 d.C.. Raccoglieva fino a 80.000 metri cubi d’acqua prelevata da una bacino vicino al Mar Nero tramite un acquedotto lungo 20 km. Durante l’occupazione ottomana la cisterna venne dimentica e trasformata in discarica. Solo nel 1985 venne riportata al suo antico splendore e aperta al pubblico nel 1987.

La particolarità che suscita in noi un immediato stupore è rappresentata dalle 336 colonne, disposte su 12 file, che sostengono il tetto del serbatoio dove una luce soffusa rende tutto molto suggestivo. Ci muoviamo tra le colonne attraverso le passerelle in legno sopra il livello dell’acqua. Fare attenzione perché si scivola in quanto ancora oggi sgocciola acqua dal soffitto. Le teste di Medusa, una orizzontale e una capovolta, sulle quali poggiano due colonne, testimoniano il fatto che per la costruzione della cisterna vennero utilizzati materiali ricavati dalle rovine di antichi edifici.

Ippodromo (Atmeydanı) L’Obelisco di Teodosio, la Colonna Serpentina e l’Obelisco di pietra grezza sono i simboli dell’Ippodromo romano che sorgeva in quello che oggi e l’ampio piazzale alberato attiguo alla moschea Blu. L’Ippodromo fu teatro dei massimi eventi della storia bizantina e fulcro di quella ottomana per altri 400 anni. In epoca bizantina il popolo si riuniva all’Ippodromo per tifare le rispettive squadre di corse delle bighe dei “Verdi” e dei “Blu” che facevano capo a fazioni politiche rivali. La vittoria di una delle due formazioni si ripercuoteva sulla vita politica della città stessa. Un imperatore bizantino poteva perfino arrivare a perdere il trono in conseguenza degli scontri che si scatenavano regolarmente a seguito delle corse. Nel tardo pomeriggio visitiamo l’IPPODROMO e torniamo alla Moschea Blu. Per finire la giornata passeggiamo nell’Arasta Bazar dove acquistiamo una pipa di schiuma del Mar Nero.

Nel tornare verso l’albergo ci fermiamo in un negozio per comprare una ceramica. Veniamo accolti da un ragazzo giovane, elegante e con una gran parlantina. Come tradizione ci offre del te e dalle ceramiche passiamo ai tappeti. Noi non siamo interessati all’acquisto ma ugualmente siamo curiosi e rimaniamo anche molto colpiti da quelli che ci mostra. In particolare ce ne sono due che ci piacciono. Uno costa 900 € e l’altro 1.400 €. Per giustificare il prezzo ci spiega che i tappeti vengono fatti a mano e ci vogliono anche due anni per essere ultimati in quanto le donne che li fatturano, dedicano solo alcune ore al giorno alla lavorazione. Il venditore ci racconta la storia di un’americana che ha comprato un tappeto per una cifra che a lei sembrava molto alta e quando è tornata a casa, un suo amico le ha offerto il doppio di quello che aveva speso. Ci suggerisce inoltre che il tappeto potremmo appenderlo al muro con una luce sopra, trattandolo come un’opera d’arte. Alla fine di tutta la conversazione svoltasi nella più assoluta tranquillità, compriamo alcune ceramiche e salutiamo. SABATO 28 APRILE 2007 Questa mattina andiamo al Gran Bazar (Kapalı Çarşı, Mercato Coperto). Con 1,30 YTL a persona acquistiamo il biglietto del tram (un gettone) Prendiamo il tram e in pochi minuti arriviamo alla fermata di Beyazit. La piazza omonima è piena di gente. Una delle entrate del mercato coperto è lì vicino. Ci troviamo nella strada degli orefici. E’un viale ampio con i negozi ai lati ed a quest’ora è pieno di gente. Da questa strada principale partono diverse vie laterali ricche di negozietti. Sembrano tutte uguali, per orientarsi basta trovare il nome della via o seguire le indicazioni riportate sui cartelli. Noi abbiamo la cartina che c’è sulla guida della Lonely Planet.

I negozianti cercano in tutti i modi di attirare la nostra attenzione. Appena ci vedono interessati a qualcosa, l’hanno già impachettata e messa in un sacchetto. Cerchiamo allora di fargli capire che stiamo solo guardando. Non ascoltano. Continuano ad insistere. Naturalmente da un prezzo iniziale si arriva a meno della metà. Cercano anche di metterti un po’ a disagio. Per esempio ti dicono che hanno una famiglia e dei figli da mantenere, oppure ti accusano di fare una tattica. A questo punto noi rinunciamo all’acquisto. Ma non è finita. Quando capiscono che rinunci, entra in scena un collega che ti vende l’oggetto per quanto lo avresti già voluto pagare. Questo è quanto ci è successo per acquistare dei semplici bicchieri da te. NOTA BENE: I bicchieri, originariamente di colore rosa, sono diventati trasparenti dopo averli lavati in acqua calda. Praticamente c’era un finto colore sul vetro che si è sciolto con il calore. Fortunatamente la decorazione in rilievo, di colore oro, è rimasta inalterata.

L’iter dell’acquisto è un po’ snervante anche perché non si può fare una sceneggiata tutte le volte che si vorrebbe comprare qualcosa! Eravamo a conoscenza che sarebbe stato così ma la realtà è sempre peggio. Qui compriamo altri souvenir che comunque si possono trovare anche in altre parti della città ad un prezzo inferiore. Morale: il Gran Bazar è solo una trappola per turisti. Questo non vuol dire che è meglio non andarci, il mio è solo un suggerimento per gli acquisti.

Quando usciamo è ora di pranzo che consumiamo nella piazza Beyazit davanti alla Moschea Beyazit e all’Università di Istanbul. Da qui proseguiamo verso la Moschea del Sultano Solimano il Magnifico, Süleymaniye Camii che si innalza sulla terza delle sette colline sulle quali sorge questa immensa città dove abitano in teoria 12 milioni di abitanti, in realtà se ne stimano 20 milioni. La moschea commissionata dal più grande, dal più ricco e dal più potente dei sultani ottomani, Solimano I (1520-66), conosciuto come “il Magnifico”, fu la quarta moschea ad essere eretta a Istanbul in ordine di tempo. La più spettacolare delle moschee ottomane fu progettata da Mimar Sinan, il famoso e geniale architetto imperiale (la tomba del grande architetto si trova appena al di fuori delle mura del giardino della moschea). La moschea fu costruita tra il 1550 e il 1557 e i registri dell’epoca indicano che alla sua realizzazione contribuirono 3523 artigiani. Da qui scendiamo verso Eminönü attraversando strette strade affollate. Passiamo davanti ad un bagno turco ma non siamo interessati ad entrare. Ad Istanbul ci sono molti Hamam. I più turistici sono l’hamam di Çemberlitaş e quello di Cağaloğlu . Io sarei anche curiosa ma il tarlo della pulizia mi trattiene dall’intraprendere questa pratica. Il caso ha voluto che alcune ragazze italiane, conosciute in albergo, ci siano andate e mi sia così tolta la curiosità facendomi raccontare la loro esperienza.

Rientriamo in albergo dove lasciamo gli acquisti della giornata e dove decidiamo di andare ad Ortakoy il “villaggio di mezzo”. La piazza con la moschea che fa da sfondo, sono la location della scena finale del film di Carlo Verdone “Il mio miglior nemico”.

Arriviamo a piedi fino al ponte di Galata. Qui prendiamo il tram in direzione Beyoğlu fino al capolinea. Proseguiamo prendendo l’autobus 25E (il biglietto lo acquistiamo una volta saliti). Non sapendo dove dobbiamo scendere, mostro la foto della moschea a due ragazze che sono vicino a me che non parlano inglese. E’ impossibile chiederlo a qualsiasi altra persona visto che siamo pressati come sardine in scatola. L’autobus procede a rilento in mezzo al traffico. Adesso capiamo perché quando abbiamo chiesto ad un taxista di portarci ad Ortaköy ci ha detto che non ci avrebbe accompagnato. A quest’ora il traffico è molto intenso e ci avrebbe messo troppo tempo. Quando scorgiamo il Ponte sul Bosforo ad una distanza ragionevole, decidiamo di scendere e proseguire a piedi. Camminiamo per cinque minuti e finalmente raggiungiamo la meta.

Un’affascinante moschea, Mecidiye Camii, sorge su un piccolo promontorio mentre il ponte sul Bosforo si stende sullo sfondo. Il passato e il presente si fondono in un’immagine di pacifica convivenza. Nelle strade attigue c’è un piccolo mercato e nella piazzetta antistante ci sono diversi ristoranti e bar rivolti verso il mare. La piazza è gremita di gente. Ci sono anche dei chioschi gastronomici dove vendono una specialità che noi non assaggiamo ma che ci limitiamo a guardare mentre la preparano. Si tratta di una patata lessa, spaccata a metà e schiacciata, ricoperta di carote, piselli, sottaceti, crema di yogurt, ketchup. Semplicemente un grande intruglio! Rimaniamo fino al tramonto e per tornare a Eminönü prendiamo un taxi (prezzo concordato 15 YTL). Da qui facciamo due passi fino all’albergo e per cena andiamo a prendere una pizza (PIDE) nello stesso posto dove abbiamo pranzato ieri. Dopo cena andiamo alla scoperta della nostra via, Hüdavendigar Caddesi. Ci sono negozi di souvenir, altri di tappeti, ristoranti, minimercati, un call center e in caso di necessità, anche alcune farmacie (ECZANE). DOMENICA 29 APRILE 2007 Per oggi abbiamo deciso di fare la crociera lungo lo Stretto del Bosforo che, partendo dal ponte di Galata, collega il Mar di Marmara con il Mar Nero, 32 km più a nord. Il nome dello stretto ha un’origine mitologica. “Bous poros” in greco antico significa “luogo attraversato dalle vacche”. L’animale in questione era Io, splendida donna con cui Zeus, re degli dei, aveva tradito la moglie Era.Quando quest’ultima scoprì la sua infedeltà, Zeus cercò di farsi perdonare trasformando l’amante in una mucca. Era, quindi, la fece pungere da un tafano sulla groppa e le fece attraversare lo stretto, e Zeus rimase impunito.

Il tempo è bello. Da Eminönü c’è un traghetto che parte due volte al giorno (alle 10.35 e alle 13.35) e attraversa lo stretto del Bosforo fermandosi in diverse località fino ad arrivare sul Mar Nero. Noi arriviamo al molo verso le 10.00 e c’è già una fila alquanto lunga. Non sappiamo se faremo in tempo a prendere il traghetto delle 10.35. Il tempo passa e noi procediamo a rilento. Intanto continua ad arrivare molta altra gente. Finalmente è il nostro turno e all’ultimo momento riusciamo a salire sul traghetto. Se non fossimo riusciti a prendere il traghetto, avremmo potuto optare per una crociera privata oppure avremmo aspettato il traghetto seguente delle 13.35. Lasciamo Istanbul e procediamo lungo la costa. Qui si trovano molti dimore dei sultani tra cui l’immenso Palazzo di Dolmabahçe che significa “giardino colmato” in quanto Maometto II fece interrare un piccolo porto per creare un giardino regale. I 248 metri di marmo bianco della facciata riflettono alla luce del sole. Il 10 novembre 1938 alle 09.05 qui morì Mustafa Kemal Atatürk e da allora, in sua memoria, tutti gli orologi del palazzo sono stati fermati a quella stessa ora. La prima sosta è Beşiktaş. Ci dirigiamo poi verso il ponte sul Bosforo e riconosciamo Ortaköy e la moschea. Il ponte è stato inaugurato nel 1973 ed è il quarto ponte sospeso al mondo in ordine di grandezza: 1074 metri separano i due immensi piloni che sostengono l’arco, culminante a 64 metri dal pelo dell’acqua. Per la prima volta nella storia fu creato un legame tangibile tra l’Europa e l’Asia.

Il traghetto ferma poi al “villaggio degli Albanesi”, Arnavutköy, uno dei porti più pittoreschi del Bosforo e dove ancora sono visibili splendide ville in legno, antiche residenze estive dei sultani. Il prossimo passaggio è sotto il ponte di Mehmet Faith che supera lo stretto tra le colline sovrastanti da un lato la fortezza d’Europa, Rumeni Hisari e dall’altro quella d’Asia, Anadolu Hisari.

Il traghetto ferma quindi a Kanlica (costa asiatica) villaggio da lungo tempo celebre per i suoi squisiti yogurt (da tenere a mente nel caso in cui in un supermercato vedessi degli yogurt turchi provenienti da qui!).

A mezzogiorno e mezzo arriviamo al villaggio di Anandolu Cavaği sulla costa asiatica. Appena scesi veniamo inebriati dall’odore di pesce. Nella piazza principale ci sono alcuni ristoranti e diversi rivenditori al dettaglio. Dopo un assaggio, gentilmente offertoci, decidiamo di acquistare dei calamari fritti, degli spiedini di cozze fritte e un panino con del pesce alla griglia. A questo punto prendiamo la strada verso la fortezza. Dopo una ripida salita e un’arrampicata graduale sotto un sole cocente, arriviamo in cima alla collina. Il castello, di cui rimangono delle mura diroccate, sorge in cima ad una rupe a picco sul mare. Da qui lo sguardo spazia dallo stretto al Mar Nero. Ci guadagniamo una fetta di prato e consumiamo il nostro succulento pranzo. Alle tre di pomeriggio riprendiamo il traghetto verso la città. Il viaggio dura quasi due ore. Come già avevo fatto all’andata non rifiuto la gentile offerta di un te caldo servito nei caratteristici bicchieri. Un vero rito. Volendo avrei potuto optare anche per un caffè.

La visione della città dal mare è davvero affascinante e mi rendo conto che tutto quello che mi appare davanti appartiene ad una storia lontana nel tempo ma ancora tangibile. Questa sera vorremmo andare a vedere i dervisci rotanti nella “cerimonia della sema” (= cerimonia turbinante) di cui quest’anno ricorre l’ottocentesimo anniversario, che si tiene alla stazione ferroviaria di Sirkeci. I dervisci ruotanti devono il proprio nome al grande poeta e mistico sufi Celaleddin Rumi (1207-73), conosciuto dai suoi discepoli con il nome di Mevlana (nostra guida). I sufi cercano l’unione mistica con Dio utilizzando diversi mezzi. Secondo Mevlana l’incontro mistico andava ricercato tramite la sema, una cerimonia caratterizzata da canti, preghiera, musica e da un tipo particolare di danza in cui il fedele prende a ruotare sempre più vorticosamente su se stesso. La rotazione induce uno stato simile alla trance che facilita nel mistico l’unione spirituale con Dio.

I dervisci sono stati messi al bando da Atatürk nel corso del secondo decennio del 1900 ma la tradizione non è andata perduta ed oggi è diventata una delle principali attrazioni di un viaggio in questo luogo d’altri tempi.

Nel depliant in nostro possesso specifica i giorni e l’ora degli spettacoli: mercoledì , venerdì e domenica alle ore 19.30. Appena rientrati dalla crociera ci dirigiamo alla stazione e qui chiediamo al Tourist Information (appena si entra sulla sinistra). Questa sera ci sono due spettacoli: alle 18.00 e alle 19.30. Per comprare i biglietti è necessaria la prenotazione che viene fatta per noi dall’impiegato dell’ufficio turistico. Con la prenotazione andiamo al chiosco per acquistare i biglietti (30 YTL a persona) per lo spettacolo delle 18.00. IL SEMA – UN VIAGGIO SPIRITUALE Il flautista, il batterista, i cantanti e il coro entrano in sale e scende il silenzio. Comincia la musica e il cantante loda il profeta Mohammed, segue un colpo di tamburo che tuona il comando divino “Sii”. Un’improvvisazione di flauto rappresenta l’anima data all’universo. Quando finisce i dervisci si inchinano l’un l’altro davanti al posto fatto di pelle di pecora riconoscendo il centro della Verità Divina che esiste nel cuore di ognuno. I semazeni (dervisci turbinanti) si tolgono i mantelli e cominciano a girare. Questo rappresenta la nascita dell’umanità. Lo speciale costume che indossano indica la morte dell’ego. Il cappello alto color terra, il sikke, simboleggia la pietra della tomba dell’ego. Il mantello nero e lungo, il hırka, è la tomba e la gonna lunga, il tennure, il lenzuolo funebre. Quando i dervisci entrano nel circolo le braccia sono incrociate sul petto assumendo la forma del numero “uno” significando l’Unità di Dio. Durante il sema le loro braccia sono estese con la mano destra aperta verso l’alto e la mano sinistra girata in giù. Il significato è: “Da Dio riceviamo, all’uomo offriamo; non teniamo niente per noi stessi”.

I dervisci compiono quattro cicli di rotazioni per raggiungere il contatto con Dio. La cerimonia finisce con la voce solitaria del flauto e una lettura del Corano. E così finisce una fase del viaggio spirituale che continua ogni minuto delle vite dei seguaci del Mevlana, di tutti quelli che seguono la via dell’amore, di tutti quelli che cercano il Divino entro se stessi. Rientriamo in albergo per cena e poi usciamo per acquistare gli ultimi souvenir. Dobbiamo anche scrivere le cartoline (il francobollo per l’Italia costa 70 centesimi; alcune ragazze di Padova, conosciute in albergo, hanno pagato i francobolli 1 lira turca anche se sul francobollo c’era scritto 80 centesimi!).

LUNEDI’ 30 APRILE 2007 Oggi rientriamo in Italia. Trascorriamo la mattinata a passeggio per le vie di Istanbul. Consumiamo un pranzo veloce e poi ci facciamo accompagnare all’aeroporto. Al controllo documenti ci ritirano il visto rilasciatoci all’arrivo.

E’ stata, ancora una volta, un’esperienza nuova e sorprendente.

Istanbul, così vicino . . . . . . Così lontana.

Buon Viaggio.

Paola e Rocco (se avete domande o commenti il mio indirizzio e-mail è il seguente: paola_franchi@fastwebnet.It)



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