Diario tunisino

Una settimana in Tunisia, tra cieli incendiati, monumenti di luce e sguardi affascinanti di donne
Scritto da: Amourfou
diario tunisino
Partenza il: 24/06/2013
Ritorno il: 01/07/2013
Viaggiatori: 1
Spesa: 500 €
Richard Kapuscinski, nel suo celebre libro “Ebano”, afferma che la luce del continente africano è unica nel mondo : forte, invadente,implacabile,ingestibile,quasi spudorata. Ora, la Tunisia non si trova nel cuore dell’Africa, ma di essa propone alcuni aspetti inconfondibili : agli occhi del visitatore ignaro irrompe una sconosciuta sorgente di luce che sembra incendiare inesauribile persone, animali e cose. Come per effetto di un incantesimo cromatico, il paesaggio diventa una distesa di terra ocra punteggiata da migliaia di olivi e, qua e là sulla costa, da qualche sparuta palma maestosa. Subito, si intuisce che la Tunisia è una terra di contrasti. Tutto è più intenso, e per questo anche più violento. Lungo le strade sfilano centinaia di case in costruzione, ridotte in realtà a scheletri incompleti. Tracce sulle quali si vede l’assenza dei soldi, o più semplicemente la mancanza della determinazione, il senso del lavoro compiuto, la fierezza che ne deriva. E in mezzo alle strade un intenso brulicare di uomini,animali e motori. Colpisce l’inconsciente spensieratezza con cui i tunisini conducono i propri mezzi sull’asfalto: senza disciplina, con un curioso senso dell’avventura. Sciami di motorini e motorette su cui viaggiano fino a tre persone corrono rumorosi, asini e cammelli portati stancamente e stoicamente come cartoline da altre latitudini e altri tempi, pedoni incuranti del traffico intenso. E ai lati, là dove la disordinata politica edilizia lascia spazio ad uno spiazzo, un ciuffo d’erba e della ghiaia pericolosa per le ginocchia, una palla diventa il sorriso di un gruppo di ragazzi dalle stinte maglie di calcio, rigorosamente italiane e spagnole. E mentre uno stupendo tramonto africano avvince gli occhi, i solerti cani arabi compaiono come conigli dal cilindro per sorvegliare gli ingressi delle case rurali, aggredirne i possibili profanatori.

Sono a Mahdia, un centro turistico, ancora un poco informe a dire il vero, situato a duecento km a sud di Tunisi. Si dice che qua vi siano le spiagge più belle della Tunisia, in questa cittadina dal nome melodioso, con una medina piccola e meno pittoresca di altre, un porto per la pesca del pesce azzurro e la riparazione di barche libiche e algerine, un cimitero marino unico al mondo. Da qui comincia la visita alla città, nel luogo in cui si rispetta la memoria dei morti, un luogo che nella nostra cultura è ben circoscritto, lontano dai centri abitati, e che nella tradizione araba è invece parte integrante della comunità. In questo, come in tanti centri arabi, si vive in mezzo ai defunti in una contiguità che non provoca imbarazzi: la morte non spaventa, è un evento da accogliere con serenità. In questi termini si giustifica il fascino paradossale di un grandioso cimitero che digrada dolcemente sul mare, senza protezioni o muri di cinta, fondendosi naturalmente nello spirito del luogo. Di tanto in tanto, il canto del muezzin allerta i nostri sensi. All’orecchio inesperto suscita in primo luogo una sensazione di profonda inquietudine, ma è in realtà un arabesco di parole che racconta tanti sentimenti frammisti: nostalgia, malinconia, raccoglimento, espressione di fede e quindi di appartenenza. E’ una musica che rimane nei timpani, e a distanza di tempo riemerge prepotente il suo eco misterioso. Giunge all’udito di una popolazione che sembra dedicare molto del suo tempo alle relazioni umane. I crocicchi di uomini seduti nei bar, le donne raccolte davanti alle porte delle loro case, l’operosità allegra dei giovani e dei bambini rappresentano una umanità che suscita simpatia e calore umano. In sottofondo, i clacson reiterati dei veicoli segnalano un matrimonio islamico profumato da tanti fiori di gelsomino, nel calore estivo. Le donne tunisine sono affascinanti,la loro pelle ambrata, gli occhi grandi, neri e vellutati inventano scenari di seduzione. Pronunciati da loro, anche i suoni più duri dell’arabo diventano piacevoli come balsamo sulle ferite. La Tunisia è un paese moderato dal punto di vista politico e religioso, e così le donne sono libere di indossare il velo o meno, e possono tranquillamente portare gonne e calzare tacchi, i lineamenti truccati. Molte lavorano occupando posti di rilievo e di responsabilità, talvolta di comando.

Una quarantina di km a sud di Mahdia si trova El Djem, che ospita il più celebre anfiteatro romano dopo il Colosseo, il più grande esempio della dominazione romana in Africa. Diverse scene de “Il gladiatore” sono state girate in questa cornice. Il materiale utilizzato è il tufo africano, e l’effetto della forte luce solare che lo colpisce è abbagliante: per questa ragione, oltre ad essere una bellissima testimonianza storica, l’anfiteatro è anche uno straordinario e naturale monumento di luce. A poche centinaia di metri da qui, la visita di una casa di nobili romani vissuti in Africa e dei suoi marmi rende giustizia a una terra che, al di fuori delle innegabili bellezze paesaggistiche, offre una vasta galleria di resti archeologici vari ed affascinanti. Basta citare il raffinatissimo museo del Bardo, a Tunisi, la più grande raccolta di mosaici romani di tutto il mondo, dove si possono ammirare gli esiti vibranti di una delle arti più pazienti e ostinate che siano mai esistite. Poco distante, Cartagine, con la collina di Birsa e le terme di Antonino a due passi dal mare, evoca lezioni di storia e la dolente figura di Didone.

Ma esiste anche una Tunisia più ricca, più svagata, più viziosa: quella che si incontra, per esempio, a Port El Kantaoui, piccolo centro marittimo che ricorda da lontano località alla moda in Sardegna o in Costa Azzurra. Eleganti bar con tavoli all’aperto, yacht di un certo stile, una pulizia che francamente non si vede in altre zone del paese, testimoniano un’atmosfera da dolce vita, di certo non angustiata da problemi di ordine economico presenti altrove. La stessa leggerezza si respira, seppure in maniera minore, a Sidi Bou Said, suggestivo villaggio arabo-andaluso attaccato a Tunisi. Definita la “Santorini” del paese nordafricano per le caratteristiche abitazioni bianche con gli infissi blu, è un ritrovo di artisti, amanti del piacere e della bella vita, personalità influenti. Divenuta forse meno autentica a causa di un continuo traffico turistico, Sidi Bou Said riesce però a conservare all’interno dei suoi vicoli una magia tutta particolare, quasi sospesa nel tempo. Abitata da tunisini appartenenti alle tre grandi confessioni religiose monoteiste, la cittadina è anche un perfetto esempio di integrazione e convivenza pacifiche. Tornando da Tunisi verso Mahdia, si incontra il grande centro di Sousse. Piacevole e più animata rispetto ad altre zone del paese, essa offre una medina che è nella lista delle meraviglie del patrimonio Unesco. Lungo i vicoli del suo centro storico si affollano bazar, negozi di souvenir, banchi improvvisati. Si ha la sensazione di essere finiti in un’altra realtà, con una densità quasi vischiosa, regolata da norme non scritte : si tratta di luoghi non privi di fascino, misteriosi, non indicati a chi non ama il contatto con la folla, il suo vociare confuso. Qui l’arte della contrattazione trova la sua esperienza più chiara e meravigliosa. Quello che inizia con il venditore è un rito di cui nessuno può prevedere né la durata né tantomeno l’esito. Nessuno conosce il prezzo reale della merce, nel contesto di un’arte serrata in cui bisogna sempre rilanciare, per non rischiare di essere schiacciati. I commercianti tunisini sono maestri e profeti di quest’arte particolare, maturata e affinata probabilmente attraverso secoli in cui era l’unica attività di sopravvivenza nel deserto. E proprio nel deserto si conclude questo breve viaggio in Tunisia, alle porte del Sahara, non lontano dal confine meridionale con l’Algeria, là dove l’esistenza è regolata da altre variabili e misurata attraverso diverse esigenze. Ma questa è un’altra storia, che merita di essere narrata autonomamente, per l’importanza e la suggestione che riveste.

Lorenzo Giacinto



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