Due giorni a Trento: itinerari d’arte e scienza

Trento in 48 h, dal Castello del Buonconsiglio al Muse, con intermezzi da grand gourmet
Scritto da: AlixA
due giorni a trento: itinerari d’arte e scienza
Partenza il: 28/12/2015
Ritorno il: 29/12/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €

La scoperta di Trento, città d’arte

Io e e un’amica decidiamo di visitare Trento, con un fulmineo weekend invernale; pur essendo già state in Trentino, nessuna delle due ne ha mai visitato il capoluogo, perché attirate dai meravigliosi scenari naturali delle Dolomiti, più che dalle sue città. Decidiamo di colmare la lacuna, approfittando delle tariffe in super-economy trovate sul sito di Trenitalia e prenotiamo il comodo frecciargento, che collega Roma a Bolzano; la nostra tratta, Bologna-Trento, ci costerà solo 18,00 €. E’ fatta, si parte!

Arrivate alla stazione di Trento, da Piazza Dante raggiungiamo in cinque minuti via Torre verde. Il nostro alloggio, riservato su booking, è l’Hotel America, con ottime recensioni dei clienti. E’ un alto edificio colorato di rosso, con alle spalle una storia affascinante di emigrazione negli USA, come suggerisce il suo nome. Alloggeremo in due singole b&b per 78,00 € a testa, il che in alta stagione non è male, visto che la gentile receptionist dell’hotel ci propone, compresa nel prezzo, anche la Guest Card: ingresso gratuito e salta-fila ai musei, più i trasporti cittadini. Calcoleremo, a fine viaggio, un risparmio di circa 25,00 €.

Sistemati i bagagli ci avviamo verso il centro. Due passi da via Torre verde ed ecco che Trento ci accoglie con i suoi addobbi natalizi e le sue vie spaziose ed eleganti. Una raffinata città d’arte, in tutto e per tutto, se non fosse per le montagne che le fanno da sfondo e per qualche caratteristico balcone in legno, che le donano un’inconfondibile atmosfera alpina: favolosa, soprattutto per gente di pianura come noi.

Via Belenzani, si svela nel fasto dei suoi palazzi rinascimentali, decorati di affreschi; tra tutti emergono le residenze gentilizie del 400’ di Palazzo Thun, sede attuale del comune, e del Palazzo Quetta Alberti Colico.

Quando sbuchiamo in Piazza Duomo, rimaniamo entrambe a bocca aperta per il magnifico panorama. Il colpo d’occhio ci restituisce un corteo di edifici monumentali, affacciati sulla piazza nella luminosa cornice dei monti. Case e palazzi, come in un viaggio nel tempo, ci raccontano la lunga storia della città e dei suoi personaggi, con il variare di gusti ed esigenze che ne ha modellato l’edilizia.

L’impronta medievale si afferma maestosa con le moli del Duomo ed del Palazzo Pretorio, colossi di pietra che chiudono ad angolo retto due lati della piazza, in bilico tra gotico e romanico.

La facciata settentrionale della Cattedrale di San Vigilio si allunga candida fino alla cupola a cipolla del suo campanile. Mostra alcuni dettagli particolari, come lo splendido rosone con la Ruota della Fortuna. Il Duomo risale al Duecento, pieno medioevo, ma cela tra le sue mura una storia più antica; la prima chiesa paleocristiana sorse infatti sul luogo di sepoltura di San Vigilio, primo vescovo di Trento e martire nel 405 d.c..

Notiamo la Porta del Vescovo, l’ingresso trionfale da cui passarono le gerarchie ecclesiastiche ai tempi del Concilio di Trento. Evento cruciale nella storia della città e del mondo cristiano, il concilio fu un’alzata di scudi nei confronti della riforma protestante e lavorò dal 1545 al 1563 per ridefinire alcune linee fondamentali del cristianesimo. Sembra che, per l’occasione, gli alti prelati abbiano fatto sloggiare i poveri dalla città, collocandoli oltre l’Adige..

Le mura imponenti del duecentesco Palazzo Pretorio, adiacente al Duomo, evocano quasi l’immagine di un castello; il suo aspetto pittoresco è dovuto ai restauri che hanno ripristinato l’originario impianto medievale. Dominato dalla Torre Civica e ornato di suggestive merlature ghibelline, fu l’antica residenza dei Principi Vescovi, prima della costruzione del Buonconsiglio; inseguito divenne sede della Corte di Giustizia e del Pretore, da cui prende il nome, mentre oggi ospita il Museo Diocesano Tridentino.

Il Principato vescovile che governava sulle zone attuali del Trentino-Alto Adige, ha segnato la storia della città per otto secoli, con notevoli tracce nell’edilizia urbana. Il loro dominio durerà fino alla conquista di Napoleone, che, si sa, non amava troppo gli ecclesiastici…

Scavalcando centinaia d’anni, giungiamo al Cinquecento con le case rinascimentali Cazuffi-Rella, che fiancheggiano il Palazzo Pretorio, in palese contrasto con la sua austerità. Le loro mura sono popolate di mostri mitologici, emblemi e trionfi dalle elaborate simbologie profane; il tempo che è passato ha sbiadito i sontuosi affreschi dipinti da Fogolino, infondendo all’insieme un’eleganza un po’ decadente, che trovo particolarmente suggestiva. Il fulcro della piazza è la settecentesca Fontana del Nettuno, un rigoglio barocco di tritoni e cavalli marini; tutt’intorno si sparge tanta gente, sotto i portici degli edifici, tra bar e negozi.

Ci dirigiamo verso i Mercatini di Natale, ben segnalati da indicazioni stradali ed ospitati in Piazza Battisti, al centro dell’antico quartiere popolare di San Benedetto, ed in Piazza Fiera. Si tengono a Trento da più di un ventennio ed ormai fanno parte della tradizione locale. Tra addobbi, presepi e bigiotteria artigianale troveremo anche prodotti tipici del Trentino, tra cui diverse prelibatezze culinarie. In Piazza Fiera il caos colorato del mercato e le esalazioni dei suoi profumi si snodano sul fianco delle antiche mura, una fortificazione merlata che un tempo raggiungeva il castello ed il baluardo naturale del fiume Adige.

Sono già le 14.00 e c’è talmente tanta gente al mercato che i piatti clou della tradizione trentina stanno terminando, come la famosa polenta coi porcini. Quella con il cervo non la prendiamo neanche in considerazione, perché Bambi lo lasciamo correre nei boschi. Scegliamo allora un chiosco di cibo vegetariano, più intonato al nostro spirito di amanti degli animali; ci delizierà con ottimi panini alla verza e tortel di ceci, piatto trentino a base di patate, rivisitato qui con i legumi ed erbette. In uno stand più tradizionale e casereccio, assaggiamo la polenta Macafana, con Trentingrana, spinaci e cipolla: buonissima, ma forse un pochino pesante. Interagendo con le persone del luogo, a colpirci è la loro gentilezza e serenità; l’ospitalità è infatti una caratteristica saliente di questa regione, insieme ad una elevata qualità di vita.

Il Buonconsiglio: tre castelli in uno

Ci muoviamo alla volta del Buonconsiglio (https://www.buonconsiglio.it), seguendo i pannelli turistici attraverso le vie del centro. Giungiamo in 10 minuti davanti al grandioso castello che per cinque secoli, dal Duecento al Settecento, fu residenza dei Principi Vescovi di Trento. Oggi è il monumento più grande di tutto il Trentino- Alto Adige.

L’edificio, al primo impatto, appare lontano dalla tradizionale immagine del castello, così come ce la figuriamo nella nostra mente fin da piccoli: si tratta di una residenza signorile di rara eleganza, più che di un’austera fortezza. Appena varchiamo l’ingresso, dal cortile notiamo la sua complessa articolazione, strutturata in diversi corpi architettonici uniti insieme.

Abbiamo davanti un luogo multiforme ed affascinante che svela le diverse anime, man mano che lo si scopre: quella medievale ed imponente di Castelvecchio, quella aggraziata e trionfale del rinascimento e del barocco, incarnata dal Magno Palazzo e dalla Giunta Albertiana, fino ad arrivare allo spirito inquieto della modernità; quando, agli albori del Novecento, sotto la dominazione Austriaca si verificarono episodi cruenti al castello, che ne segnarono per sempre la storia, in quella che oggi è chiamata la Fossa dei martiri.

Si inizia il percorso con la parte più antica, Castelvecchio, in cui risalta il possente mastio, la cosiddetta Torre D’Augusto, innalzata sull’Adige nel XIII secolo.

Entrando, un cortile a loggiati sovrapposti, pieno di affreschi ed iscrizioni, ci trasporta già nel tardo 400’. Salendo le scale, al primo piano ci imbattiamo in una deliziosa Loggia veneziana, voluta dal principe vescovo Giovanni Hinderbach, uno dei luoghi più affascinanti del Buonconsiglio. Tra le sue raffinate colonne di pietra rosa, si può ammirare l’incantevole panorama della città, srotolata sotto di noi come un tappeto di tetti nella magnifica cornice delle Alpi. Riconosciamo gli edifici di Piazza Duomo, ormai già familiari, poi avvistiamo alcuni campanili: quello barocco di Santa Maria Maggiore e quello gotico della Chiesa di San Pietro e Paolo. Su di un colle, il Doss Trento, risalta un edificio rotondo simile ad un piccolo tempietto greco: scopriremo che è il mausoleo dedicato a Cesare Battisti.

Il gusto colto del rinascimento ci appare evidente nella Loggia del Romanino, situata al centro del Magno Palazzo. Affacciata sulla raffinata simmetria del Cortile dei Leoni, la Loggia deve il suo nome all’autore dei meravigliosi affreschi dipinti nel 1532, che raffigurano i miti tratti dalle Metamorfosi di Ovidio.

Il Principe Vescovo Bernardo Cles è il personaggio che segna la sezione cinquecentesca, in cui ci troviamo, con l’indelebile ed onnipresente impronta dei suoi stemmi. Il suo nome si lega non solo agli ampliamenti del Buonconsiglio che, grazie a lui, indossa le vesti rinascimentali più sontuose e principesche, ma anche ad interventi di riassetto urbanistico della città intera.

La sala più sfarzosa del Magno Palazzo è la cosiddetta Sala Grande, con un soffitto a cassettoni ed il prezioso fregio delle pareti, dove giocano con le iniziali del vescovo i putti affrescati da Dosso Dossi, raffinato pittore della corte ferrarese, e da suo fratello Battista. Al suo fianco la fiabesca sala circolare, ricoperta di grandi specchi dalle delicate cornici rococò, sembra quasi l’interno di un carillon: manca solo la ballerina in tutù al centro dell’ambiente. Gli arazzi che qui si trovavano oggi sono collocati al Museo Diocesano Tridentino.

La Giunta Albertiana è l’ultimo corpo architettonico costruito, voluto dal Principe Francesco Alberto Poja; unirà la parte medievale a quella rinascimentale nel magniloquente stile seicentesco.

Giungiamo poi al lato più oscuro della visita. Irredentismo è una parola a lungo dimenticata, che riemerge dalle nebbie scolastiche, quando visitiamo le prigioni in cui furono rinchiusi Cesare Battisti ed altri compatrioti; siamo all’epoca in cui il castello era adibito a caserma austriaca. Arruolati negli alpini contro l’Austria durante la prima guerra mondiale, nel 1916 i prigionieri furono giustiziati, in quanto sostenitori dell’annessione del Trentino al Regno d’Italia. Oggi la Fossa dei Martiri, zona del castello dove avvennero le esecuzioni, ospita i loro cippi commemorativi, insieme a quelli di altri italiani fucilati nelle insurrezioni del 1848. L’annessione all’Italia avverrà poco dopo, al termine della guerra.

Finalmente poi approdiamo alla famosa Torre dell’Aquila, preziosa gemma del castello, situata alla sua estremità meridionale. Qui si trova l’affresco del Ciclo dei mesi che, di colpo, ci proietta nel Trentino del Quattrocento; come in una sequenza cinematografica, ci appaiono paesaggi da fiaba, dove picchi rocciosi e vasti campi si alternano, punteggiati da castelli fortificati e paesi.

Popolato da una ricca schiera di personaggi, questo piccolo universo ci mostra lo scorrere delle stagioni, scandito dal variare della natura e dei lavori agricoli. Raffinate dame dagli abiti scollati ed aitanti cavalieri, impegnati nei tornei o nella caccia, si contrappongono ai contadini che arano la terra o che vendemmiano. Su tutto regnano l’ordine e l’armonia, in una visione limpida ed edenica, in cui ognuno ha il suo ruolo e ogni cosa funziona bene, senza sbavature.

Attribuito al maestro Venceslao, di origine boema, il Ciclo dei Mesi s’ispira agli esempi più insigni del gotico internazionale, uno stile colto e ricercato, diffuso tra le corti d’Europa a cavallo tra Trecento e Quattrocento.

Al castello abbiamo la possibilità di esplorare, tra una stanza e l’altra, anche le collezioni d’arte e archeologia, retaggio del vecchio Museo Civico della Città, suddivise oggi tra il Buonconsiglio e le sedi periferiche di Castel Beseno e Castel Stenico. Davanti a noi sfila dunque la storia di Trento, dal Paleolitico all’Ottocento.

Impressionanti i reperti in lamina bronzea ritrovati per caso a Masetti di Pergine in Valsugana, che facevano parte di uno sfarzoso corredo militare risalente all’ultima età del bronzo. E’ emozionante pensarlo addosso ad un soldato o piuttosto, data la loro preziosità, ad un eroe, vissuto nel X secolo a.c.

La conquista romana, a cui si deve lo sviluppo urbanistico di Trento, avvenne verso il I sec. a.c.. Fu allora che nacque il nome Tridentium, a richiamare l’immagine di tre denti: riferibile forse ai colli che sorgono nei pressi della città, il Doss Trento, Sant’Agata e San Rocco. Al castello sono conservati diversi reperti, che rispecchiano questa fase, tra cui una splendida bambola in osso, appartenuta ad una ragazza morta prima del matrimonio.

Nella pinacoteca alcuni ritratti di nobildonne fissano lo spettatore con sguardo severo e truce, come l’algida Dorothea Thun, forse perché imbottigliate in pesantissime vesti rinascimentali con contorno di ori e pietre preziose.

Dopo un tè al bar del castello, ospitato nelle antiche cantine, usciamo dal Buonconsiglio al tramonto. Torniamo verso il centro e ci fermiamo per l’aperitivo in uno dei Bar di Piazza Duomo, notando che un bicchiere di vino qui costa la metà, rispetto alla nostra costosa Romagna. Con il buio la città si accende delle decorazioni più suggestive: sugli edifici danzano, grazie ad un proiettore, cristalli di ghiaccio e strenne natalizie.

In questo clima ricco di poesia varchiamo l’antico cancello di ferro battuto dello Scrigno del Duomo, rinomato bistrot-ristorante, affacciato sulla piazza. Tra le antiche mura di Casa Balduini gustiamo una crema di patate e mais veramente deliziosa, seguita da spaghetti cacio e pepe aromatizzati al lampone, che ci travolgono con il loro sapore raffinato. Accompagniamo il tutto con un rosso che ci dicono essere il principe dei vini trentini, il Teroldego rotaliano doc; poi due fette del tradizionale strudel alle mele concludono la serata perfetta, vissuta senza spendere troppo, circa 30,00 € a testa.

Scienza, futuro ed ecosostenibilità al Muse

Ci svegliamo di buonora per il Museo delle scienze (www.muse.it): è meglio arrivare presto, perché c’è sempre molta fila. Mentre il sole si afferma sulla mattinata ventosa, ci rechiamo in stazione per prendere l’autobus 14, scendendo alla fermata Rosmini/Cimitero/Muse. Percorrendo la strada che taglia in due il vasto cimitero monumentale di Trento, giungiamo in Corso del Lavoro e della Scienza.

Ci troviamo nel quartiere delle Albere, dove un tempo sorgevano gli edifici della fabbrica Michelin, attivi per una settantina d’anni, ora scomparsi. Il vasto progetto di riqualificazione urbana, che ha di recente interessato la zona, è riuscito alla perfezione e a nord si trova il suo fiore all’occhiello: il Muse, orgoglio della Provincia Autonoma di Trento, inaugurato nel 2013 e premiato con una menzione d’onore all’European Museum of the Year Awards 2015.

Le collezioni del Museo Tridentino di Scienze naturali, arricchite da nuovi reperti e da una veste espositiva dirompente, hanno trovato sede nell’avveniristico edificio di Renzo Piano.

Lo spazio dinamico ed eco-sostenibile del museo scintilla fiero sotto il sole del mattino, coi suoi pannelli solari ed i profili di acciaio e vetro, che evocano le sagome taglienti dei ghiacciai. In un gioco di pieni e di vuoti, le linee si protendono verso il cielo, fondendosi con l’ambiente naturale. L’edificio rinascimentale del vicino Palazzo delle Albere, un tempo residenza dei vescovi Madruzzo, crea un’affascinante contrasto con l’iper-modernità del Muse.

Una volta entrate, troviamo già file lunghissime di visitatori, ma grazie alla guest card, passiamo dalla veloce cassa dei prenotati. Ci sono molte famiglie tra i visitatori, data la forte vocazione didattica del museo, e la quantità di under-15 è elevata.

Saliamo all’ultimo piano e ci affacciamo, non senza qualche vertigine, sull’immenso spazio vuoto centrale. Il principio ispiratore di Zero Gravity è evidente nel Big Void, spettacolare fulcro che fa da perno connettivo ai cinque piani di esposizione.

In questa grandiosa voragine d’aria e luce, esaltata dal grande lucernario, fluttuano gli animali tassidermizzati, sostenuti da sottili cavi: cervi sospesi in uno scontro di corna, cavalli imbizzarriti, grandi cormorani dalle ali aperte.. l’impatto visivo, decisamente surreale, non può lasciare indifferenti. Tutto è aperto in una dimensione fluida che lega contenuto e contenitore: le varie sezioni del museo si affacciano insieme sul Big Void, senza separazioni evidenti. Sulla carta quest’idea sembra ottima, ma nella realtà non favorisce la concentrazione necessaria per affrontare il percorso espositivo, soprattutto considerando le orde di bambini presenti. Gli animali tassidermizzati sono un’abitudine purtroppo ancora diffusa nei musei di storia naturale; al Muse si aumenta la dose e se ne fa un utilizzo estetico pieno di enfasi, vero fulcro dell’allestimento, scelta discutibile a parer mio. Le guide mi hanno spiegato che si tratta di animali trovati morti in natura, donati dai cacciatori o dagli zoo, oppure frutto di scambi con altri enti, come specifica anche il sito del Muse. Molti di loro hanno perso la vita a causa di ambienti naturali eccessivamente antropizzati o per lo stress da cattività, come il piccolo cucciolo di leone, esposto al piano interrato, che morì schiacciato da sua madre.

L’orsa, che si trova nella sezione dedicata alla biodiversità alpina, in vita si spingeva spesso verso i centri urbani, perché privata di spazi per cacciare. E’ stata operata per inserirle il microchip e monitorarla, solo che è morta soffocata durante l’anestesia: triste emblema della nostra incuria e disattenzione.

In un museo all’avanguardia ed eco-sostenibile mi sarei aspettata soluzioni più innovative e rispettose per mostrare com’è fatto un’animale selvatico, come ricostruzioni, ologrammi o filmati in 3d.

Detto ciò, al Muse ci si sono molti percorsi accattivanti, con grande attenzione per i piccoli, come lo spazio Max Ooh!, a loro dedicato, che occasionalmente si trasforma in luogo di happening artistici. Nelle varie sezioni si affrontano argomenti di grande interesse, passando dalla geologia alla biodiversità della natura alpina, fino ai più importanti fenomeni naturali, messi a fuoco dalla scienza.

La forma dell’edificio richiama metaforicamente quella della montagna, scandendo uno scenografico percorso di visita dall’alto verso il basso, in un ideale discesa dalle vette. Dalla terrazza panoramica, dove possiamo godere di una vista superba sui monti e la città, esploriamo all’interno il livello più alto, in cui si parla delle vette e dei ghiacci perenni. Qui possiamo vivere l’esperienza delle nevi ad alta quota, comodamente distese per terra, grazie alle immagini dell’Avventura tra i ghiacci.

Nella sezione Hands-On, invece, complesse leggi della chimica e della fisica vengono spiegate con giochi ed esperimenti semplici, in una dimensione interattiva molto coinvolgente. Vedo la mia amica stendersi su di un letto di chiodi, neanche fosse un fachiro, e cimentarsi con altre mille invenzioni. Alla fine mi faccio tentare anch’io ed attivo un miniciclone in un cilindro d’acqua, girando una manopola: evidentemente sono meno spericolata…

La parte che mi ha più appassionata però è quella della preistoria (piano 1), perché si affrontano le origini dell’uomo sulle Alpi, argomento dall’inesauribile fascino. Oltre a diversi preziosi reperti, alcune ricostruzioni ci mostrano uomini e donne di migliaia d’anni fa: Neanderthal e Sapiens sono a contendersi le attenzioni del pubblico. Un bellissimo ragazzino, dai tratti così fini e particolari che mi fanno pensare ad una persona reale, è appena rientrato da una “spesa” nei boschi, che gli ha fruttato gli ingredienti per una succulenta cena preistorica, tra cui una grossa specie di nutria.

Nella “time machine”, invece, un video propone le cacce ed i riti sciamanici dei primi uomini.

Al piano interrato si esplora la nascita della vita sulla terra grazie ad una vasta galleria di fossili ed a ricostruzioni degli scheletri di dinosauri. Sempre in questa zona si trova la serra, maestoso scrigno verde, illuminato dal sole alpino che filtra attraverso le grandi vetrate; qui si cammina immersi nel calore e nell’umidità di un lembo di foresta pluviale della Tanzania.

Dopo un caffè al bar del museo, situato al piano terra, facciamo una breve incursione al Palazzo delle Albere, che ospita la mostra “Coltiviamo il gusto” sulle eccellenze dei prodotti trentini, organizzata dal Muse sull’onda di Expo 2015.

Ci incamminiamo poi in via Sanseverino e via Verdi, approdando in Piazza Duomo nel giro di 10 minuti, dove pranziamo nuovamente allo Scrigno, tanto ci è piaciuta la nostra cena di ieri. Stavolta gustiamo l’orzo mantecato con crema di formaggio ed erbe, bevendoci un calice di ottimo Muller Thurgau.

Chiese per tutti i gusti e Gallerie

Nel pomeriggio esploriamo le vie della città; da Piazza Duomo ci spingiamo fino al Vicolo delle Orsoline, dove si trova, la bella Chiesa di Santa Maria Maggiore del 1520. Il suo stile è definito clesiano, dal nome del famoso vescovo di Trento, che ne ha voluto fare una sorta di manifesto politico; l’edificio s’ispira infatti al rinascimento italiano, in opposizione alle tendenze gotiche delle corti europee. Il tempio, che ospitò la terza sessione del Concilio, fu costruito da Antonio Medaglia, prendendo a modello la mantovana chiesa di S.Andrea di Leon Battista Alberti.

Ci perdiamo poi nel dedalo di vie del centro e tra i negozi. Sbuchiamo quasi per caso in Piazza Anfiteatro imbattendoci nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, un’aggraziata visione, in cui le evanescenti tonalità della basilica contrastano con le tegole verde smeraldo del suo appuntito campanile. Risale al 1180 ed ha subito diverse modifiche, fino alla ristrutturazione in stile neogotico a metà del XIX secolo.

Torniamo nella piazza principale per visitare il Duomo: un luogo che all’interno rivela tutta la sua anima gotica, grazie all’accentuato verticalismo delle volte. Ai lati della navata centrale, delle ripide scale di pietra si arrampicano vertiginose lungo i muri, per raggiungere le torri campanarie; salgono all’indietro rispetto a tutto il movimento dell’edificio e, nell’oscurità mistica della cattedrale, mi rammentano subito certe misteriose atmosfere dei quadri di Escher…

Rimanendo sui toni dark, osserviamo la Madonna degli annegati, una statua romanica che originariamente si trovava all’esterno della chiesa, sotto la quale venivano portati i cadaveri trovati nelle acque dell’Adige, per ottenerne la benedizione.

Dal transetto settentrionale del Duomo si accede invece alla sotterranea basilica paleocristiana, riportata alla luce dopo una lunga campagna di scavi.

Più tardi, in extremis, decidiamo di dirigerci verso l’Adige per visitare brevemente le gallerie di PiediCastello ). Avevamo escluso questi luoghi interessanti pensando di non avere il tempo, ma la curiosità ha infine prevalso sulla stanchezza. Nel 2007 con un’iniziativa audace Trento ha utilizzato due gallerie stradali dismesse, che forano il monte Bondone, per creare percorsi espositivi sulla storia di Trento e dei suoi abitanti.

Si entra, gratuitamente, dalla galleria nera e terminato l’itinerario di trecento metri si torna al punto di partenza attraversando quella bianca. I percorsi paralleli, che ospitano sempre mostre diverse, si snodano lungo l’Adige nelle viscere della montagna; in questi ambienti suggestivi, dall’atmosfera buia e sospesa, viviamo l’esperienza delle due guerre mondiali, allestita con installazioni, filmati ed immagini molto forti.

Il nostro viaggio sta volgendo al termine e dopo un tè al volo in piazza al Caffè Italia, ci dirigiamo in stazione per fare ritorno a casa.

Trento è una città dalle mille risorse, esempio evidente di una comunità che ha saputo conservare e valorizzare la sua ricca storia, proiettandosi allo stesso tempo verso il futuro. Ci auguriamo che quest’approccio coerente e fruttuoso si ripeta presto in tutt’Italia: rappresenterebbe una bella inversione di marcia rispetto ai tristi primati negativi in ambito culturale del nostro paese.

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Big Void, Muse, Trento.

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Palazzo delle Albere, Trento

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Museo della scienza, Trento.

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Cortile dei leoni, Castello del Buonconsiglio, Trento

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Ragazzino preistorico, Muse, Trento.

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Piazza Duomo by night, Trento.

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Castello del Buonconsiglio, Trento.

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Piazza Duomo, Trento



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