Un’altra Toscana

Alla scoperta dell’Amiata, terra ricca di storia, misticismo e… castagne
Patrizio Roversi, 16 Feb 2018
un’altra toscana
Il marchio più noto, vendibile e internazionale del turismo italiano è certamente la Toscana, in tutte le sue accezioni: paesaggio, storia, monumenti, prodotti, gastronomia. Lo stile “tuscany” è famoso in tutto il mondo e influenza addirittura gli stili architettonici: ricordo che in Australia ho incontrato degli architetti italiani a cui veniva chiesto di progettare case e ville in stile “toscano”. Eppure non tutta la Toscana è “tuscany”. Già, perché esiste un’altra Toscana, diversa, con un altro sapore, un altro paesaggio. È la zona dell’Amiata. Una Toscana atipica e per certi versi quasi sconosciuta. Più aspra, essenziale ma comunque unica. Siamo tra le provincie di Grosseto e Siena, tra boschi di faggi, castagni e abeti. Il classico ulivo, che caratterizza la Toscana da cartolina, qui è ben poco presente, al massimo verso Grosseto, nella zona di Seggiano. Una croce monumentale in ferro di 22 metri è il simbolo che sta in cima al Monte Amiata. Dove ci sono anche impianti sciistici. L’Amiata è un vulcano spento e per gli etruschi era sacro, la sede di Tinia, il Dio più importante. L’Amiata è il posto per eccellenza “dell’acqua calda”: la geotermia, l’energia che sgorga (anzi, zampilla e vaporizza) dal sottosuolo. Stiamo parlando di paesi come Arcidosso, Roccalbegna, Piancastagnaio, Castel del Piano, Abbadia San Salvatore, Seggiano, Santa Fiora e Radicofani.

Miniere & serre

L’Amiata è stato anche zona di miniere. Tra il 1870 e il 1970, dalle parti di Abbadia San Salvatore e Santa Fiora, hanno estratto il cinabro: la roccia veniva rotta e poi sottoposta a calore e da lì si ricavava il mercurio. Poi hanno scoperto che il processo era altamente inquinante, e negli anni Settanta del secolo scorso le miniere hanno chiuso. E per tanta gente è stata la rovina. Dagli anni Ottanta si è cominciato a sfruttare la geotermia, cioè l’energia e il calore del vulcano, per produrre elettricità. E i vapori “di scarto”, quelli più tiepidi (circa 80°) sono ancora oggi usati per riscaldare a buon mercato un sistema di serre. Quasi 30 ettari di serre, che producono pianteornamentali tropicali, che nessun altro può produrre a prezzi così bassi, approfittando appunto della geotermia. E in questo modo pare che la concorrenza degli olandesi possa essere battuta. Resta il fatto che l’Amiata è una zona povera, che rischia di essere marginale. La sua ricchezza agricola si limita al legname e alle castagne, la famosa castagna dell’Amiata IGP. Nel resto della Toscana si produce notoriamente molto vino, da queste parti c’è solo la produzione del rosso Montecucco Sangiovese.

Aldobrandeschi & Medici

Anche sull’Amiata comunque non manca la storia. Il paese forse più famoso è Arcidosso. Le sue origini sono precedenti all’anno 1000 e fu possedimento degli Aldobrandeschi e poi dei Medici a metà del 1500. E il suo simbolo è appunto la Rocca Aldobrandesca. Poi c’è Abbadia San Salvatore, sul versante senese. C’è da vedere il Monastero e, soprattutto, il museo minerario, un segno storico che qui sull’Amiata è molto importante. Da Abbadia inizia la zona dei boschi di faggio e di castagno. Piancastagnaio è stato a sua volta dominio della famiglia degli Aldobrandeschi e dei Conti Orsini ed è famoso soprattutto per il suo Castello e per la grande centrale dell’Enel dove si produce energia geotermica. Ma come funziona la geotermia? In pratica i vapori che arrivano in superficie dalle sorgenti di acqua caldissima del sottosuolo vengono sfruttati per far girare delle turbine che, a loro volta, producono l’elettricità. E, appunto, quel che resta viene usato per riscaldamento, di serre e non solo. Per sfruttare meglio la situazione viene immessa anche acqua fredda in profondità. La geotermia è davvero una grande ricchezza. In questa zona – di qui a Larderello – ci sono 33 centrali che producono 5 miliardi di kWh, un quarto del fabbisogno di tutta la Toscana, il corrispettivo di più di un milione di tonnellate di petrolio, che in questo modo viene risparmiato. Naturalmente c’è anche il rovescio della medaglia: con la geotermia si rischia l’inquinamento delle falde acquifere, che vengono attraversate e coinvolte.

OLIO & CASTAGNE

Poi c’è Radicofani, anch’esso famoso per la sua Rocca che guarda verso la Val d’Orcia e che risale a prima del 1000. La Rocca fu possedimento dei monaci e poi del Papa. È importante perché dominava, tra le altre cose, la Via Francigena. Radicofani è il paese del leggendario Ghino di Tacco, considerato il Robin Hood italiano. Dal 1297 al 1300 “castigatore di ingiustizie e di potenti”, per altri semplicemente un bandito. Viene citato anche da Dante e Boccaccio e io mi ricordo che era lo pseudonimo di Bettino Craxi (sic, anzi, sigh!). Seggiano è il paese che, guardando verso Ovest e cioè verso il mare, ci riporta in parte all’idea classica di Toscana, con i suoi uliveti. E qui infatti troviamo finalmente un olio, l’extra vergine Seggiano DOP, che rappresenta una delle maggiori fonti di guadagno del paese. Io, tra l’altro, sono stato al mulino ad acqua del signor Agliano. Si tratta di mulino a pietra, perfettamente restaurato, bello e interessante da vedere e che produce anche una squisita farina di castagne.

Un territorio marginale

Ma non si può dire che l’Amiata sia una zona ricca, anzi. Il problema, come in molte altre zone degli Appennini italiani, è lo spopolamento e l’abbandono delle terre. Per tutto quello che dicevo prima, l’Amiata rischia appunto di essere una zona depressa e marginale. Per questo, tre mesi fa i suoi 13 comuni si sono trovati tutti assieme in Regione Toscana per chiedere un piano di sviluppo. Ma di quale sviluppo si sta parlando? La ricetta è quella di cui abbiamo detto tante volte e che riguarda da vicino noi turisti: da queste parti (e a mio avviso in tutta Italia) non ci resta che il modello di uno sviluppo turistico, agricolo, rurale, ambientale. Basato anche sull’ospitalità diffusa (cioè case in affitto e agriturismi) e sulla riscoperta di prodotti, di allevamenti, di razze autoctone. Ad esempio, si sta riscoprendo e recuperando un maiale simile alla più famosa Cinta Senese, la Macchiaiola Maremmana. O un tipo di pecora come la Amiatina. E, di qui, formaggi speciali come il Marzolino.

Turismo del silenzio e del buio

Un’altra cosa interessante che si sta organizzando è il cosiddetto “turismo del silenzio e del buio”. Detta così è come se ti accompagnassero in una tomba, ma in realtà è un’idea straordinaria per la sua semplicità. L’Amiata infatti, è un luogo solitario, lontano dalla confusione, dove ancora sono agibili sentieri e stradine deserte. Il turismo del silenzio significa appunto passeggiate e gite, o anche trekking, il luoghi tranquilli. E il turismo del buio approfitta del fatto che qui l’inquinamento luminoso è molto basso e di notte si possono vedere le stelle in modo particolarmente nitido. Ma c’è anche un turismo di vago sapore mistico e religioso: l’Amiata, e soprattutto il Monte Labbro che gli sta accanto, hanno fama di essere posti di grande energia. E infatti ci sono nate tante comunità, anche buddiste e meditative. La più famosa risale a circa 150 anni fa… Non si può venire sull’Amiata e non seguire le tracce di David Lazzaretti, chiamato, il “profeta dell’Amiata”. Io mi sono arrampicato, appunto, fino ai 1.200 metri della cima del Monte Labbro, dove ancora si vedono i suggestivi resti del suo monastero, della sua chiesa e della sua comunità.

Ma chi era David Lazzaretti?

Ne avrete certamente sentito parlare… Era un “sessantottino”, nel senso che ha fatto il 68. Ma nel suo caso era il 1868. È nato da queste parti, ad Arcidosso, nel 1834. Faceva il birocciaio, che è come dire il camionista. Era analfabeta, veniva da una famiglia povera, ma era intelligente e girava su e giù, magari fino a Roma, imparando molte cose. A un certo punto della sua vita ebbe una visione, da piccolo, poi ne ebbe un’altra: un vecchio frate che gli assegnava una missione. Si è ritirato in una sorta di eremitaggio mistico, quindi ha fondato una comunità. Da una parte ha sviluppato un discorso religioso millenarista (cioè ipotizzando un nuovo patto fra Dio e l’Uomo per ripartire da zero, per un mondo migliore) e, dall’altra, ha sviluppato un’attività sociale interessantissima. È diventato una specie di San Francesco e di Che Guevara. Nella sua comunità di circa 500 persone ha inventato persino le quote rosa: le donne avevano diritto di voto. Ha fondato in pratica una cooperativa. Ha organizzato due scuole, per tutti: in questo modo ha persino anticipato Steiner e le scuole steineriane… Ha inventato la Bandiera Arcobaleno, visto che durante le sue processioni la gente si doveva vestire di tutti i colori. Gramsci della sua esperienza ha scritto: “… una iniziativa autonoma dei subalterni per scrivere la loro storia”. Fatto sta che Lazzaretti un miracolo lo fece davvero: riuscì a metter d’accordo Stato e Chiesa (che ai quei tempi non andavano d’accordo affatto) che si sono coalizzati contro di lui. E infatti, nell’agosto del 1878, durante una processione pacifica, un carabiniere gli ha sparato in fronte. Sono in tanti, ancora oggi, a salire sul Monte Labbro per vedere l’eremo di Lazzaretti. Vale la pena anche perché dalla cima, se la giornata è limpida (e io ho avuto questa fortuna) si vede fino al Tirreno, fino all’Argentario e al Giglio. ”

Patrizio