One night in Bangkok di o forse più…

Due settimane in Thailandia schivando le località marittime, alla guida di un'auto da Bangkok verso Nord alla scoperta di siti archeologici, di tranquillità e di sorrisi; quindi rientro a Bangkok per gli ultimi tre giorni di umidità e di... cinesi
Scritto da: Corrado Benanzioli
one night in bangkok di o forse più...
Partenza il: 20/01/2018
Ritorno il: 03/02/2018
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €

“Linda, amore: se tutto va bene tra pochi mesi compirò 50 anni e, per contrastare l’inevitabile crisi del cinquantenne, credo che quest’anno dovremmo cercare di godercela e viaggiare il più possibile…”. “Ma cosa stai dicendo? Siamo insieme da quasi quattro anni e non abbiamo fatto altro che viaggiare: dalle gite “fuori porta”, come le chiami tu, ai viaggioni veri e propri!” “Vabbè, ma tu sottovaluti la crisi dei 49, 48, 47 e 46 anni…”.

Sabato 20 Gennaio 2018 – Primo giorno: la partenza

Alla probabile crisi del cinquantenne, che si gratifica con i viaggi perché la Porsche non se la può permettere e neppure gli interessa, ecco che si aggiunge l’agitazione per un incombente matrimonio, con tutto ciò che ne consegue. Ebbene sì, alla mia tenera età ho pensato di fare il cosiddetto “grande passo” e non sono neppure inciampato durante la proposta; tutta fortuna e la solita organizzazione dell’ultimo minuto che mi preserva da ansie eccessivamente prolungate: il giovedì ho chiesto il permesso alla titolare del cinema Kappadue di Verona, il venerdì ho preparato un filmato, l’ho convertito nel formato adatto, il sabato ho fatto le prove grazie al gentilissimo proiezionista, ho preso di nascosto le misure del dito di Linda mentre dormiva (ok, usando come riferimento un suo anello), ho acquistato il brillocco e, con un pezzetto di rene in meno che il gioielliere si sarà gustato con del buon Chianti, ho atteso la proiezione del cineforum del lunedì sera dribblando i “Ma è tardi, sono stanca… Andiamo a casa anziché andare al cinema?” di Linda con la complicità di cari amici (“Mi dispiace, ma avevo promesso a Osvaldo, Cristina e Natascia che ci saremmo visti in sala, perciò che ne diresti di un bel caffettino..?”). Una cosa intima e discreta, insomma.

Partono i trailer e, subito dopo, il filmato che fa da prologo alla mia richiesta di matrimonio; Linda subito non se ne rende conto, ma poi rimane impietrita all’apparire di alcune nostre foto sul grande schermo e, subito dopo, le sue lacrime di gioia mi sciolgono la tensione pazzesca che avevo fino a quel momento, facendomi godere appieno ciò che sta accadendo; finisce il filmato, si accendono le luci ed il paziente pubblico applaude, mentre io cerco di dire a Linda che devo “allacciarmi una scarpa”. E mi inginocchio, allungando l’anello che tenevo in mano già da qualche minuto e facendole la fatidica domanda: “Che se magna dopo il film?”. No, ovviamente scherzo, non ho sbagliato quesito; Linda pare che mi abbia risposto di sì e, pochi giorni da quell’emozionante attimo e dopo centinaia di affettuosi messaggi da amici e parenti (su Facebook è finito il filmato e una diretta della promessa) e, addirittura, un articolo sul quotidiano locale (in sala, fatalità, era presente una giornalista che ci ha scattato una foto e scritto cose molto belle), ecco che stiamo per partire per la Thailandia, ma non ancora per il viaggio di nozze, visto che questa vacanza l’avevamo programmata qualche mese fa. Tanto per cambiare non si farà mare e, almeno nelle intenzioni, saranno due settimane da trascorrere guidando da un posto all’altro, giusto per non farci mai mancare quei chilometri in auto che ci regalano la più totale indipendenza da tutto e da tutti (“Hey, guarda che bello! Fermiamoci a scattare una foto!” o “Chissà che si mangerà lì…”).

Più Emirates per tutti.

Non avevamo mai volato prima con la compagnia Emirates, ma chi lo ha fatto ne ha sempre parlato un gran bene sia per il servizio che per la comodità, perciò la curiosità dopo tanti mal di schiena dovuti a progettisti figli di Quasimodo era tanta; ebbene confermiamo tutto: al di là della cortesia del personale di bordo, il posto a sedere è effettivamente un po’ più confortevole rispetto a quello di altre compagnie, ma il pezzo forte è senza dubbio il “centro multimediale” che si staglia innanzi al passeggero: un display veramente enorme e definito, una scelta di film, anche in italiano, che farebbe vergognare Netflix e, addirittura, il Wi-Fi gratuito per due ore, giusto per non perdere nessun messaggio fondamentale dagli altrettanto fondamentali gruppi di WhatsApp o per postare su Facebook ciò che si mangia (no, dai, almeno questo ce lo siamo risparmiato…).

La fobia di questa bella compagnia aerea è rappresentata dalle batterie: non si possono imbarcare neppure i power bank per la ricarica degli smartphone, idem per le sigarette elettroniche o per le batterie delle macchine fotografiche, ma è però possibile portarle nel bagaglio a mano insieme ai kalashnikov. Su questo non transigono e lo scrivono a chiare lettere sul sito, ma viene ulteriormente ribadito durante il controllo bagagli. La cosa che nessuno dice, però, è che in mezzo alla programmazione di film e serie televisive si può trovare anche una raccolta di video di gattini catapultati in scenografie a tema: gatti perplessi che si aggirano tra scheletri di una casa alla Addams piuttosto che su pianeti abitati da extraterrestri; li chiamano “video relax”, ma spero che riuscirò ancora prima o poi a sbattere le palpebre e a riprendermi dalla visione. Una cosa mai vista, bella ed entusiasmante quanto un film di Zampaglione con la Gerini, insomma.

Mentre sorvoliamo di notte i pozzi petroliferi del Kuwait ben illuminati dalle alte fiamme arancioni, il film scelto per intrattenerci in queste ore che ci separano dallo scalo a Dubai arranca, con un coinvolgimento che solo una noiosa pellicola tratta da un libro di Agatha Christie può regalare (“Mistero a Crooked House”); malgrado ciò mancano pochi minuti alla soluzione finale che svelerà l’assassino, ma vedendo le hostess recuperare le cuffiette in previsione dell’imminente atterraggio, ho la brillante idea di staccare sia le mie che quelle di Linda e di consegnarle. La mia futura moglie mi guarda attonita con lo sguardo di una che dice “Perché a ‘sto tizio gli ho detto sì?”. E, in effetti, la domanda sarebbe più che pertinente. “Poco male -la rassicuro- al limite lo finiremo durante la tratta Dubai-Bangkok!”, celando il timore di non trovare esattamente la medesima programmazione.

L’aeroporto di Dubai è più grande del paese dove vivo e c’è pure più gente. I tabelloni, che dovrebbero comunicarci la coincidenza con l’altro volo, sembrano schizofrenici: non si fa in tempo a focalizzare una riga che immediatamente cambia; ci mettiamo qualche minuto, in tre e senza sbattere le palpebre per capire quale gate raggiungere. Roba da poco: venti minuti su un pulmino e non so quanti chilometri, ma all’arrivo tra le tante attività presenti ci accoglie “Shake Shack”, il più famoso posto dove mangiare degli ottimi hamburger a New York. Ma a Dubai. E in aeroporto.

Sì, ok, sarebbe già passata la mezzanotte, ma in Italia saremmo tre ore indietro, quindi uno spuntino ci sta tutto, no? Hamburger con doppia carne (ma piccoletto), patatine e Pepsi: realizziamo dopo che al cambio sono 20 euro, ma vuoi mettere? “Cosa vuoi mettere?”, chiede Linda. “No, così, era per dire, solo per distrarti…”.

Siccome prenderemo il secondo aereo che sarà praticamente già il secondo giorno di vacanza (ah, il primo giorno è sempre indimenticabile… o anche no), direi che poco sinteticamente potrei chiudere qui la prima parte del diario di bordo. Anche perché si è fatta una certa e devo pure digerire…

A domani!

Domenica 21 Gennaio 2018 – Secondo giorno: arrivo e partenza da Bangkok

Alzi la mano chi si diverte a compilare i fogliettini che ti danno in aereo, proprio quando non ci si può alzare per recuperare dallo zaino il passaporto e la penna, che si pensava di avere a portata di mano, si è misteriosamente volatilizzata (che in volo ci starebbe pure, ma vabbè). Ancora faccio casino quando devo scrivere il “Family name” e mi viene da mettere “Dado per mio fratello e “el me butìn” per mia mamma”, figuriamoci quando bisogna anche inserire la professione: manco la so in italiano e questi la pretendono in inglese?

Ah, nel frattempo siamo riusciti a terminare il film iniziato durante la prima tratta e credo che avremmo fatto meglio a non cominciarlo nemmeno: un “The end” che giunge tronco, scontato e alquanto idiota. “Meno male che per vederlo abbiamo solo speso i soldi per il volo e non il biglietto del cinema!”. Eh, giusto…

Un vecchio amico che abita in Thailandia da qualche anno mi manda due messaggi: nel primo ci sconsiglia caldamente di noleggiare un’auto “perché qui sono dei pazzi a guidare”, sottolineando che neppure lui ne ha mai presa una; nel secondo messaggio mi dice di non cambiare assolutamente i soldi in aeroporto perché il cambio è sconvenientissimo. Inutile dire che avevamo già fatto entrambe le cose… Ma sì, dopo 4.000 km in Namibia con una piccola utilitaria, dei quali ben 3.000 su sterrato, proveremo anche questa esperienza, tenendo sempre incrociate tutte le dita a disposizione. E, per quanto riguarda il cambio… oddio, non che avessimo tutto questo tempo per guardarci attorno, dal momento che dopo una giornata senza chiudere occhio ci saremmo messi alla guida (a sinistra!) per oltre 75 km.

Circa un’ora di una tranquilla autostrada con un paio di economici pedaggi e si arriva con la palpebra a mezz’asta al “Luang Chumni Village” ad Ayutthaya, una bella sistemazione molto “tradizionale” tutta in legno scuro, circondata da acqua e grosse carpe che se sono diventate così grosse è solo perché fanno quotidianamente indigestione di paffute zanzare.

Ci eravamo già accorti dell’umidità pazzesca uscendo dall’aeroporto per fare pochi metri a piedi, ma è quando abbandoniamo l’aria condizionata dell’automobile che arriva la vera botta di caldo. Stanchi morti e pure sudaticci, ma cosa vogliamo fare a metà pomeriggio? Dormire? Linda mi guarda in stato catatonico trattenendo a stento la sua risposta (con ‘sta promessa di matrimonio a occhio me la sono giocata bene e avrò ancora qualche credito da utilizzare per un po’ di occasioni…), quindi una bella rinfrescata, una sistemazione veloce delle valigie e via a piedi senza tanti grossi problemi se non quello di sopravvivere ancora per qualche ora prima di crollare definitivamente.

Anche per me è la prima volta in Thailandia, ma essendo già stato in Cina, Vietnam e Cambogia avevo avvertito Linda che probabilmente si sarebbe trovata in un mondo ben differente da quello visto in Giappone. E non mi sbagliavo: odori di tutti i tipi e non sempre gradevoli, cani randagi ovunque, gente sul ciglio della strada intenta a lavorare in condizioni precarie che ti fa venire voglia di farti l’antitetanica, condizioni igieniche che farebbero disidratare l’Amuchina dallo spavento, ma anche grandi sorrisi e persone che non si risparmiano un cenno, un saluto pur non conoscendoci e che, alla mia invadente richiesta di scattare una foto, non si tirano certo indietro. Sì, siamo in un altro mondo, diverso quanto volete da quello che abitiamo, ma che in una sola passeggiata ed in una manciata di minuti è già riuscito a conquistarci.

Però le zanzare restano sempre delle fottutissime zanzare anche qui, perciò entriamo in un supermercatino per acquistare un bel bombolone-ammazza-tutti e… e niente: il fascino del supermercato ha sempre la meglio su di noi e ci saremmo anche fatti la tessera per bullarci con le cassiere dell’Esselunga, se non fosse che c’è ancora della strada da fare a piedi e non è il caso di caricarci ulteriormente di peso superfluo. “Ma neanche quel sacchetto di seppie fritte confezionate a mo’ di patatine?”. Macché, neppure quello.

Giriamo e giriamo, stando però lontani dalla parte che vorremmo visitare l’indomani, quindi ci dirigiamo verso il fiume: zattere, piccole e grandi imbarcazioni, l’acqua di un colore poco rassicurante ed alcuni ristoranti che, oltre alla bella vista dalla terrazza, propongono del pesce di fiume e dei crostacei parenti dell’alien in versione facehugger. No, grazie, per ora siamo a posto così, davvero.

Ma il buio arriva presto, prima delle sei e mezza, e i marciapiedi non sembrerebbero essere la principale preoccupazione degli amministratori locali, così acceleriamo il passo e finiamo in mezzo a dei banchetti gastronomici e ci accomodiamo seduti tra le persone del posto, ma ordinando cose abbastanza rassicuranti; niente di veramente entusiasmante, per ora, se non il conto che per tre abbondanti piatti ed una birra grande in bottiglia ammonta a circa 6 euro.

Rientriamo, ci docciamo e crolliamo. Troppe ore senza dormire, ora siamo veramente a pezzi. Non so come, ma all’improvviso mi sveglio e comincio ad aggiornare il diario. Spero di riuscire a tenere il ritmo e, soprattutto, a riprendere sonno (cosa sempre un po’ ardua per me).

Buona giornata, a domani!

Lunedì 22 Gennaio 2018 – Terzo giorno: Ayutthaya in bicicletta

“Sai, la gente è strana, prima suda e poi indossa la lana”, recitava la strofa di una famosa canzone di qualche anno fa. Dopo una notte punteggiata da rumori di animali notturni, da versi di animali in calore e da getti di aria condizionata sottolineati da Linda con “Corra’, fa freddo” e “Corra’, fa caldo”, arriviamo a mattina ignorando bellamente la sveglia, ma il nostro infallibile e sovrappeso orologio biologico ci desta in tempo per non farci perdere la colazione.

Attraversiamo una struttura in costruzione con bizzarri ponteggi, che prima o poi vedremo in qualche video su YouTube nella sezione “Perché gli uomini vivono meno delle donne”, e giungiamo alla sala della colazione; si entra rigorosamente scalzi ignorando l’eco ancora nelle orecchie delle vecchie raccomandazioni della mamma (“Mettiti le ciabattine, altrimenti prendi le verruche!”) e ci accomodiamo in veranda. Ah, che bene che si sta! Una piccola signora, che non conosce l’inglese proprio come noi, ci allunga un menù con le figure che magari saranno anche poco chic, però in questi paesi aiutano sempre, e ordiniamo robetta leggera: uova strapazzate, bacon, würstel, french toast, prosciutto, ma il tutto anticipato da un dolcissimo ananas fresco e da piccole fette di anguria, più l’immancabile succo d’arancia e caffè americano.

Finché ripuliamo i piatti ci sovviene la domanda: “Chissà cosa mangeranno veramente i thailandesi a colazione?”. Non lo sappiamo, ma per ora va bene così.

Riattraversiamo la struttura e notiamo un inserviente che sta dando da bere all’erba della riva del laghetto (vabbè…), vestito con una tuta nera in acetato e ci viene in mente un altro tizio visto ieri che girava sullo scooter con un piumino; ora, io posso anche capire la voglia di essere alla moda a tutti i costi, ma con questa umidità e questo caldo che ti fanno sudare anche restando fermo, non è che un bello scafandro da palombaro sarebbe stato più adatto..? ‘Sti thailandesi sono un pochetto strani, non c’è dubbio.

Noleggiamo presso la struttura un paio di biciclette, cosa che per me sarebbe già un evento (ne ho una nuova in garage usata due-volte-due quattro anni fa), ed affrontiamo l’afosa giornata di visite alle varie rovine di templi buddisti che si riveleranno essere effettivamente una più bella dell’altra.

Si comincia con Wat Mahathat, secondo tutte le guide uno dei più bei siti dell’intero Paese; poi si va a Wat Ratchaburana, secondo tutte le guide uno dei più bei siti dell’intero Paese; quindi dritti a Wat Phra Si Sanphet, secondo tutte le guide uno dei più bei siti dell’intero Paese; raggiungiamo poi Wat Phra Ram, secondo tutte le guide uno dei più bei siti dell’intero Paese; poi è la volta di Wat Lokayasutha con un Buddha gigante sdraiato, secondo tutte le guide uno dei più bei siti dell’intero Paese; infine vediamo Wat Chaiwattanaram, secondo tutte le guide uno dei più bei siti dell’intero Paese.

Insomma, 10, 100, 1000 wat per illuminare di cultura religiosa la nostra vacanza thailandese. Ecco. Dopo una giornata decisamente entusiasmante come questa, oltre alle meraviglie che abbiamo visto ed oltre al varano che cercava di attraversare la strada a tre metri da noi, ci resteranno impresse anche tre cose: le decine di cani randagi di taglia media che barcollano dal caldo alla ricerca di un po’ d’ombra, alcuni addirittura scavando la terra per avere un po’ più di fresco dove adagiarsi; l’incredibile giro d’aria paragonabile a quello che si potrebbe trovare in uno sgabuzzino chiuso illuminato da fari alogeni; il fatto che in tutta la giornata, pur bevendo come disperati, non ci sia mai scappata la pipì e mai venuta fame (giusto un ghiacciolo in due ed un gelatino, più una piccola banana). Per essere il primo giorno pieno di vacanza direi che ci si possa ritenere più che soddisfatti.

Arriviamo in stanza così freschi che anche quelli dell’impresa di pompe funebri Taffo ci schiverebbero, perciò ci buttiamo in doccia senza pensarci un attimo.

Consultiamo TripAdvisor e selezioniamo il Burinda Restaurant, a 900 metri da noi. E passeggia che ti passeggia incrociamo un mercatino che i fighetti chiamerebbero di “street food”, ma che nel mondo reale sono semplicemente dei banchetti con ogni sorta di cibo. Anche larve, grilli e scarafaggi, infatti Linda fa un salto all’indietro lanciando mezzo urlo che fa piegare in due dalle risate sia me che lo “chef”. Si vede e si annusa un po’ di tutto, ma tante cose neppure le sappiamo riconoscere, non aiutati dal fatto che qualsiasi lingua oltre al tailandese qui è bandita.

Arriviamo al “ristorante” che altro non è che uno stanzone affacciato sulla strada che farebbe passare per un locale stellato qualsiasi kebabbaro; ci sediamo fuori e ordiniamo tre piatti (due Pad Thai e degli Spring Rolls ben lontani dall’essere degli Involtini Primavera) e l’immancabile birra grande al cortese proprietario. Tutto squisito e, crepi l’avarizia, questa sera spendiamo ben 7 euro in tutto!

“Amore, ma lo mangeresti un gelato in due..?”

“No.”

“Sei veramente anaffettiva…”

Buonanotte, a domani!

Martedì 23 Gennaio 2018 – Quarto giorno: Shock the Monkey

Diario breve, questa volta, per motivi puramente “logistici”: oltre un’ora di auto per arrivare a Lopburi e poi altre quattro e mezza per giungere a Sukhothai dove ci fermeremo un paio di giorni.

Terminata la solita colesterolica colazione, si parte alla volta di Lopburi, un posto che di per sé sarebbe anche abbastanza insignificante se non fosse per il fatto che è caratterizzato dalla presenza di centinaia di macachi. Ogni guida di viaggio, solo per quest’occasione, si astiene nell’affermare che “è uno dei più bei siti del’intero Paese”, ma ci tiene a sottolineare di fare molta attenzione perché i nostri parenti pelosi hanno la poco simpatica abitudine di aprire le borse ai turisti e rubare qualsiasi oggetto a loro portata. Inutile dire che mi è salita un po’ di ansia al pensiero che questi provetti borseggiatori potrebbero fregarmi la macchina fotografica per poi rivenderla su siti come bagigio.it o, peggio ancora, scattare qualche foto e vincere dei concorsi di fotografia.

Arriviamo intimoriti ed al tempo stesso incuriositi a Lopburi ed i piccoli primati non fanno nulla per non farsi notare, anzi: attraversano le popolate strade e si aggirano per la cittadina come qualsiasi abitante, ma solamente un tantinello più agili ed arroganti.

Fermiamo l’auto un po’ a caso, sul ciglio di una stradina secondaria, con l’intenzione di immortalare le scimmiette per poi andarcene subito, ma ben due persone ci consigliano di parcheggiare poco distante in un posto custodito da un signore che baderà che nessun animale ci stacchi le guarnizioni di gomma dall’automobile a noleggio. Incoraggiante ‘sta cosa.

Ok, paghiamo (pochissimo) ben volentieri il servizio e ci avviciniamo a piedi al tempio, mentre veniamo accolti dalle grida di non so quante scimmie; credo di aver percepito anche un “Ecco che arrivano altri due cotechini di turisti”, ma potrei sbagliarmi.

Prendere confidenza con questi mansueti e graziosi animaletti è un attimo e la stessa cosa devono averla pensata anche loro; non mollo la macchina fotografica neppure per un istante e mi tengo ad una distanza che reputo di sicurezza (più o meno in Birmania), mentre la Nostra Signora degli Animali è più sicura e sfrontata, grazie anche alle numerose repliche imparate a memoria delle trasmissioni della Famiglia Angela, e si avvicina sempre più con il suo smarphone per evitare di dover utilizzare lo zoom digitale. L’ammiro per la sua sicurezza mista ad incoscienza, ma da lì a prenderla in giro a vita è veramente un attimo: passetto dopo passetto arriva sotto ad un enorme albero che le scimmie hanno scelto come trampolino per gettarsi in una piccola piscina piena d’acqua ed ecco la tragggedia: si toglie i suoi nuovissimi occhiali da sole (una strenna natalizia di suo papà perché le due paia precedenti, uno regalatole da me, li aveva persi chissà dove) e se li mette sulla testa dal momento che non riusciva a vedere lo schermo del telefono per scattare l’ultimissima foto, quando una piccola scimmietta le salta addosso e, veloce come un fulmine irsuto, le frega i Rayban scappando dritta sull’albero. Il delirio, ma di quelli punteggiati da un urlato “Nooooooo..!” al rallentatore, proprio come nei film. Arriva di corsa una signora del posto, armata di fionda e comincia a tirarle qualcosa (alla scimmia, non a Linda), con l’unico risultato che la ladra continua a salire sempre più di ramo in ramo. Io non so se ridere o… crepare dal ridere, mentre la mia futura moglie (con la quale a questo punto farò la separazione dei beni) non sa se: A) imprecare; B) disperarsi; C) sprofondare; D) ridere istericamente; E) tutti i precedenti punti insieme contemporaneamente. Sul più bello che opta per l’ultima soluzione, la bastardissima scimmietta scampata alla truculenta cena di “Indiana Jones ed il tempio maledetto” comincia a scendere fino ad arrivare ad un ramo che sporge all’esterno della recinzione; la minuta tipa tailandese prende la mira e -TAC!- la colpisce indispettendola così tanto, ma così tanto che questa lancia in mezzo alla strada trafficata il paio di occhiali e… ed ecco che arriva un fuoristrada a chiudere il sipario: CRACK!!! In quel preciso momento si è udito solo ed unicamente quel suono, nascondendo tutte le urla dei biondi macachi che si stavano godendo la scena neanche fossero ad una serata di cabaret.

I cocci sono tutti miei.

Immaginate di subire un furto e provate a pensare a come stareste dopo, soprattutto se dovesse accadere per una vostra distrazione; ecco, ora invece immaginate se quel furto lo doveste subire da un animale che, per quanto intelligente possa essere, ancora non si è abbastanza evoluto per diventare protagonista di una saga hollywoodiana o per conquistare il Mondo schiavizzando la razza umana. Appunto.

“Dai amore, non è niente, magari si possono sistemare…”

“Hanno le lenti fracassate e le stanghette rosicchiate; cosa vuoi sistemare, i naselli?!?”

“Ok, ma si possono ricomprare, dai… Su, te li ricomprerò io!”

“Erano di marca ed anche costosi e poi me li aveva appena regalati mio papà…”

“Va bene… Allora vorrà dire che te li ricomprerà tuo papà!”

“No, basta: in due anni è il terzo paio, non voglio più roba costosa!”

“Giusto, allora al prossimo autogrill te ne prenderò un paio da cinque euro, ok?”

“…”

“Mettila così: questa cosa fa curriculum, negli anni potrai raccontarla alle amiche, senza scordare che, se non fosse accaduta, oggi non avrei saputo cosa scrivere nel diario di viaggio!”

“…”

Flashforward.

Dopo ore di auto, un paio di occhiali nuovi effettivamente da cinque euro ed un gelato Magnum al volo, arriviamo verso sera a Sawaesdee Sukhothai Resort. Ammazza che bel posto! Sì, certo, magari un pochino occidentalizzato: tutte casette nuove nuove, la piscina, i massaggi in camera, bell’arredamento, la televisione a schermo grande che non accenderemo mai, il frigo bar e il bollitore… ma visto che costa come il precedente (meno di 40€ a notte), perché no? E poi questa volta il bagno in camera mi sta bene, anziché dover scendere le scale.

C’è buio e farci a piedi 1.200 metri nel nulla per mangiare qualcosa non ci va; risaliamo in auto e andiamo a sfamarci (anche se stranamente non abbiamo fame) al Baan Junshine, un locale che presenta un menù molto vario, forse anche troppo visto che noto un “onsen egg spaghetti carbonara” a dir poco sospetto. Mangiamo benino, paghiamo la cifra record di 17€ in due e torniamo in stanza per chiudere felicemente la giornata con un “Ma non vorrai mica scrivere della scimmia, vero?”.

Ma no, quale scimmia?

Buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Mercoledì 24 Gennaio 2018: Quinto giorno: ruderi e massaggi per ruderi

Quando viaggiamo ogni tanto ci ricordiamo di essere in vacanza e non ad una maratona culturale, specialmente se puntiamo la sveglia alle 8, facciamo colazione dopo le 9 e non lasciamo la stanza prima delle 10. Sì, ok, quando un “tiratardi” incontra una “tiratardi” gli orologi sarebbe bene lasciarli a casa, tanto si rivelerebbero inutili.

Perciò all’alba di metà mattinata inforchiamo la bicicletta e solamente due chilometri dopo siamo già all’ingresso del “Parco storico di Sukhothai”.

Fa caldo, ma l’umidità è notevolmente inferiore rispetto al precedente giro su due ruote e questo non può che farci piacere. Il parco, una volta l’antica città fortificata racchiusa da fossati del Regno di Sukhothai, è a dir poco stupendo: un quadrato grande circa 1,8 km per 2 km, racchiude diverse rovine di templi buddisti, praticamente una Gardaland per archeologi. Questa volta non ve li nominerò tutti i Wat che abbiamo visto, promesso, ma sappiate che una sosta in questo posto potrebbe valere la vacanza, anche se forse è ancora troppo presto per dirlo (ok, lo ammetto, va bene: a me già la scena di ieri con la scimmia sarebbe sufficiente..!).

La cura del luogo è quasi maniacale, con inservienti e giardinieri che lavorano incessantemente per offrire al turista un’esperienza completamente positiva, cosa che effettivamente accade. Non ci sono auto, ma solo qualche bicicletta con sopra degli stranieri; incrociamo anche alcuni veneti in diverse occasioni e sono tutte persone estremamente gradevoli ed interessate a questo Paese ed alla sua cultura: una coppia di mezza età che è la diciottesima volta che viene in Thailandia, il fotografo un po’ in là con gli anni che è da un mese che viaggia da solo alla ricerca di “energia” e dello scatto ad infrarosso perfetto e la coppia di amici distrutta dal caldo ben contenta di venire a sapere da noi che quando domani andrà ad Ayutthaya sarà ancora peggio.

Sì, gli unici pirla a spostarsi in bicicletta sono sempre e solo i turisti, perché la gente locale utilizza quasi esclusivamente gli scooter per evitare di schiattare dall’eccessiva sudorazione: in due, tre o anche quattro sullo stesso sellino (la cucina Thai evidentemente non fa ingrassare), senza casco oppure direttamente con il casco integrale che fa tanto cingalese per le strade di Verona. Annotazione per nuovo business: aprire in Thailandia catena di negozi di caschi jet.

A differenza del giretto per templi di due giorni fa, qui nessun cartello proibisce le effusioni amorose tra le persone, ma sul più bello che sto per accarezzare arditamente la mano di Linda, ecco che arriva una giovane studentessa che ci chiede di compilare un modulo; no, non è una liberatoria, bensì un sondaggio a risposta multipla sul livello di soddisfazione dei turisti in Thailandia. Mi capitò una cosa simile anche in Vietnam e trovo che sia una cosa utile e carina per cercare di migliorare il rapporto tra i popoli, specialmente con quelli che alimentano l’importante settore del turismo.

Alla domanda “Quale stagione preferisci per viaggiare?” ho apposto la crocetta su tutto, mezze stagioni comprese, che poi non venga fuori che faccio il difficile.

Si pranza con un gelato (un cornetto Algida al gusto Oreo) e si beve tanta acqua, pure questa volta senza che stimoli la diuresi. Il relax della giornata è dovuto anche al fatto che sul nostro cammino troviamo pochissima gente: oltre ad una manciata di turisti anche alcune scolaresche e qualche monaco buddista con l’immancabile tunica arancione che sta su tutto, soprattutto sui monaci buddisti.

I buddisti mi stanno simpatici perché non suonano il campanello la domenica mattina e non scassano gli zebedei al mondo dicendo come si dovrebbe vivere. Basterebbe questo per dar ragione a loro e chiuderla qui con ‘sta cazzata de “la mia religione è meglio della tua, gne gne gne..!”, ma se fosse così semplice avremmo già debellato anche certe tifoserie, gli estremisti della politica e chiusi tutti i social. A parte Instagram che mi piacciono le foto dei gattini.

Non ci sembra vero: alloggiamo in una struttura con piscina e riusciamo a rientrare in tempo per farci quaranta vasche (intese come idromassaggio) e, addirittura, per prenotare per le sette di sera un doppio massaggio Thai nella nostra stanza! Giornatona proprio!

“Senti amore, mi sono scritto su WhatsApp con una mia amica che tempo fa fuggì dal centro massaggi Thai dove lavorava come impiegata amministrativa perché scoprì che andavano alla grande certi extra e mi ha detto di fare molta attenzione. Ecco, nel caso dovessero proporre un “Happy ending” che facciamo? Rispondiamo che non capiamo l’inglese o che una bella commedia è sempre preferibile ad un film drammatico?”

Niente, tutti i miei timori si sono dissolti quando alle sette precise sono entrate in stanza due signore, la più tracagnotta delle quali ovviamente si è diretta subito verso di me; il vero “happy ending”, però, lo hanno avuto loro quando andandosene si sono viste elargire una bella mancia per il buon massaggio che ci hanno fatto (tra l’altro sappiate che quello classico si fa anche con i vestiti addosso, mentre quello con l’olio ovviamente no, a meno che non vogliate somigliare a Povia); non siamo dei nababbi e neppure così brillanti, ma un’ora qui ci sarebbe costata neppure 8 euro a testa, quando a Verona ne chiedono 60 e visto che sono delle semplici dipendenti… ecco.

Ma che non siamo discendenti dei Rockefeller lo avrebbe capito chiunque vedendoci cenare questa sera sulla veranda circondati dai geki con le poche cose acquistate ad un 7-Eleven: tramezzini strambi, patatine, del riso e dei tamarindi disidratati (non potevo lasciarli lì, non li avevo mai assaggiati e la nostalgia canaglia delle granatine allo sciroppo al tamarindo di quand’ero bambino ha avuto la meglio sulla vocina che mi ripeteva “Faranno schifo!”. Ah, per la cronaca: ascoltate sempre la vocina, specialmente se è quella di Linda…).

Una giornata iniziata senza grandi aspettative che si è rivelata fino ad ora la più bella, rilassante e dolce; ma siamo ottimisti e speriamo di stabilire un nuovo standard nei prossimi giorni!

Buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Giovedì 25 Gennaio 2018 – Sesto giorno: nessuna riserva

Con la solita proverbiale calma da bradipi in catalessi, lasciamo l’hotel versando una mezza lacrima (alle comodità ci si abitua facilmente e senza ritegno) ed affrontiamo una nuova giornata di spostamenti: prima tappa un altro sito archeologico ad un’ora di macchina suggeritoci dalla già menzionata coppia (quella delle 18 volte in questo Paese), quindi arrivo dopo quasi tre ore a Lampang per un’unica notte. Ecco, quando mi capita di sostare solamente per una notte in un hotel (cosa abbastanza frequente, visti i chilometri che percorriamo ad ogni vacanza) mi verrebbe da tirare fuori lo stretto necessario dalle fessure della valigia ancora chiusa con la combinazione, senza doverla per forza aprire tutta ed occupare così un quarto della stanza per poche, inutili ore: poi vedo Linda che serafica distribuisce le sue cose in ogni angolo, su ogni mensola, su ogni attaccapanni manco si dovesse trasferire definitivamente e allora ok, mi convinco ad aprirla.

Piano piano il verde brillante dei campi di riso comincia a svanire alla nostra vista, lasciando il posto a coltivazioni un po’ meno abbaglianti e scenografiche.

Per la strada i soliti innumerevoli pick-up vuoti, oppure carichi all’inverosimile, si alternano a camion pieni di fascine di rami e bambù, il cui scopo ancora ci è ignoto; qualche scooter, contadini al lavoro e apparentemente nessun turista. Sì, l’idea di non trovarci dietro ad enormi pullman turistici o in una costante bolgia di gruppi che seguono imbarazzanti ombrellini colorati ci piace, ma al tempo stesso ci rattrista un po’: possibile che la Thailandia sia più gettonata per le vacanze di mare che non per quelle più prettamente culturali? Insomma, noi due mica siamo dei secchioni (lo so, lo avevate capito da un pezzo), ma è un po’ come se -con le dovute proporzioni- il turismo in Italia fosse tutto concentrato sulla Riviera Romagnola! Sarà anche il periodo, per carità, ma penso che il rapporto tra chi visita e chi pensa solo ad abbronzarsi e a bere shottini sia a dir poco imbarazzante.

Parcheggiamo, unica automobile, al Si Satchanalai Historical Park; il biglietto d’ingresso è anche qui davvero ridicolo e, anche qui, tutto è conservato e curato come da manuale (che è un modo di dire che a me fa sempre abbastanza ridere, forse perché l’unico manuale che abbia mai letto in vita mia è quello delle Giovani Marmotte).

Poco più di un paio di chilometri in tutto di passeggiata sotto al sole cocente inframezzati dai saluti di numerose scolaresche (tutti bambini simpatici ed educati, per carità, ma nulla mi toglie dalla testa che quando nel gruppetto ne spunta fuori uno che alla fine ci dice qualcosa nella sua lingua seguito subito dopo dalle fragorose risate dei suoi compagni… beh, la convinzione di aver subito una supercazzola è piuttosto forte..!) e possiamo finalmente ammirare le rovine di alcuni magnifici templi buddisti. “Visto uno, visti tutti!” è la frase ignorantona che avrei pensato di dover pronunciare già prima di questa visita, ma così per fortuna non è: se mai vi capitasse di passare da queste parti segnatevi il nome perché merita la deviazione.

Ma non si vive di sole rovine, così dopo un paio d’ore o poco più ci ritroviamo a visitare il tempio buddista di Wat Phra That Lampang Luang, dove le persone si recano a pregare e a pagare per le solite candele, composizioni di fiori, incensi o per delle preghiere scritte su alcuni fogliettini. Nulla di nuovo, cose viste in altri Paesi e, in parte, anche nelle nostre chiese, però l’atmosfera rilassata che si respira è veramente piacevole e qualche foto un po’ curiosa ci scappa, anche se le migliori le ha fatte Linda con il suo smartphone graziato dalla Grande Scimmia.

Il tempio è molto bello, ma se neppure questa volta mi verranno i funghi sotto ai piedi dovrò per forza ringraziare Buddha.

Chi mi conosce sa che comincio a preoccuparmi del carburante già a metà serbatoio, ovvero con circa 500 chilometri ancora di autonomia (almeno con la mia vecchia auto); per me il massimo era quando possedevo un’automobile a GPL, perché potevo contare su ben due serbatoi. C’è da dire che non sono mai rimasto a piedi in vita mia, perciò non so da cosa derivi esattamente questa pseudo fobia, ma ci convivo abbastanza bene, con buona pace del commercialista che deve registrare le mie lunghe schede carburante.

Ma perché non cercare di superare questa piccola mania proprio in un Paese a migliaia di chilometri da casa? Ecco, appunto. Dal “c’è ancora metà serbatoio, possiamo fermarci più avanti”, al “siamo quasi in riserva, ma quel distributore non mi piace molto perché non ha il supermercatino”, fino ad arrivare al “cazzo, stiamo per terminare la riserva, perché non ci sono più benzinai?!?” è un attimo. Spengo l’aria condizionata, allento la pressione del piede sull’acceleratore, confido nel fatto che ormai ci siano ancora pochi chilometri per raggiungere Lampang e, finalmente, all’orizzonte ecco apparire un enorme Esso. Come un assetato disperso nel deserto che incontra un’oasi, mi fiondo sulla prima pompa che vedo, ma per fortuna uno dei circa dieci benzinai presenti me ne indica un’altra e gentilmente si occupa di farci il pieno. Meno male, perché le scritte non tradotte mi avrebbero costretto ad annusare tutti i carburanti per non rischiare di fare qualche sciocchezza. Ci regalano anche una grossa bottiglia d’acqua e dopo circa una ventina di minuti eccoci al B&B Karpenter Lampang. O forse no, forse siamo arrivati in Svezia?

Il Karpenter Lampang (33€ a notte con prima colazione e parcheggio) è un B&B in stile nordico, ma non del nord della Thailandia, bensì dell’Europa: struttura ed arredamento minimal tra legno e cemento, bagno con vetrata a vista per condividere ogni momento con il compagno di stanza. Roba aspirante fighetta, ma abbastanza aliena dal momento che si trova fuori dal centro cittadino, praticamente in mezzo ad un campo nella periferia. Chissà come mai una scelta di questo tipo, ma per una notte va benissimo, anche perché la camera è grande ed il letto sembra essere piuttosto comodo (ve lo confermerò quando avrò terminato di scrivere il diario di oggi).

Apriamo l’app di TripAdvisor per cercare “il miglior ristorante della città” e, toh!, è una pizzeria in stile newyorkese.

“Ma no, dai, ti pare che possiamo fare gli italiani che vanno in Thailandia a mangiarsi proprio una pizza?!?”

“Vabbè, ma è una pizza americana, mica italiana…”

Così, dopo qualche giorno di cibo locale, decidiamo di sgarrare fregandocene della coscienza e della linea e ci avventuriamo tra le stradine del centro con la nostra auto, schivando passanti e scooteristi, ed arriviamo alla pizzeria gestita da un simpatico americano che ha deciso di costruirsi una vita in questo posto.

Mentre stiamo ordinandone una a testa, più una specie di focaccia con formaggio e aglio come leggero antipastino, notiamo una giovane coppia di indigeni che avanza più di metà della pizza che ha sulla tavola; va bene che qui sono tutti magri, però lasciare lì tutto quel bendiddio proprio no, non si fa! Ma il cameriere la porta via e ritorna subito dopo con un pacchetto: dalle generose dimensioni dev’essere stato un Varano-Bag.

E chi l’avrebbe detto? La pizza è proprio buona, malgrado la cottura a forno elettrico.

Peccato per la sete che ci perseguiterà ancora per qualche ora, però direi che lamentarsi per così poco non ha molto senso, anche perché è una cosa che purtroppo capita spesso anche in Italia; ci armiamo di bottigliette d’acqua, gentilmente offerte dal B&B, e affrontiamo tranquilli la nottata, mentre fuori un gallo evidentemente cieco o solamente rincoglionito comincia a cantare senza sosta già alle due del mattino.

Buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Venerdì 26 Gennaio 2018: Settimo giorno: Gordon Ramsay chi?!?

Il ricordo del canto del gallo fuori sincrono con il mondo è ancora indelebile sulle borse sotto ai nostri stanchi occhi, ma una colazione a base di roba fritta da intingere nel latte condensato, spiedini di maiale con riso impaccato, frittatona di due uova con würstel e tofu, ananas fresco e abbondante caffè ci rimette in sesto per affrontare due orette e mezza di auto.

Ma cosa avremo ancora da dirci durante il percorso? Cioè, due che stanno insieme da quasi quattro anni che argomenti tireranno mai fuori? Beh, anche per questo ho “buttato lì” la proposta di matrimonio, così avremo ancora qualche mese di conversazione su ciò che ci sarà da fare e prima bisognerà anche organizzare una vacanza per il compleanno di Linda, per non parlare del viaggio di nozze. Insomma, la profondità del nostro legame quasi mi commuove e… ok Linda, la pianto qui che poi magari qualcuno ci crede davvero. Senti, ma per quest’estate abbiamo già in mente qualcosa?

Dopo tanta pianura, per raggiungere “uno dei templi più sacri e venerati della Thailandia” a Chiang Mai (il Wat Phra That Doi Suthep) cominciamo a salire un tornante dietro l’altro; anche se sono alla guida inizia a crescere una certa nausea e dubito che sia dovuta allo stomaco vuoto. Per prendere una boccata d’aria ci fermiamo qualche minuto su un punto panoramico, uno di quelli che ti fanno vedere la città dall’alto e tu cominci a pensare che la città dall’alto fa veramente schifo come quasi tutte le città dall’alto, e stiamo quasi per convincerci a farci fare un doppio ritratto a carboncino da un disegnatore, solo per poi poterlo riprodurre ed utilizzare come bomboniera con la scritta “semplicemente noi” da dare a chi ci sta simpatico; il tempo di osservare il risultato artistico realizzato per una coppia prima di noi e scappiamo, ma solamente per evitare di somigliare anche noi a due opere venute male di Modigliani.

Non sarà tutto oro ciò che luccica, ma le statue dorate che ammiriamo nel tempio sono addirittura abbaglianti quando vengono accarezzate dal sole. Monaci buddisti ovunque, gente che prega ad ogni angolo dove sia consentito versare un’offerta e turisti (qui stranamente sì, ce ne sono). Tutto molto bello, ma dopo un’oretta cominciamo a scendere alla ricerca del nostro hotel.

Un po’ nascosto anche per Google Maps, ma tra una stradina e l’altra all’interno del quadrato della città vecchia, riusciamo finalmente a trovare il Lee Chiang Hotel; resteremo qui per tre notti e, anche se neppur paragonabile a quella di qualche sera fa, è una sistemazione più che dignitosa ad un costo di 39 euro a notte con prima colazione. Ci accoglie la gentile proprietaria che subito si scusa perché saremo al terzo piano senza ascensore; in realtà me lo aspettavo, perché quando si prenota con Booking il più delle volte la camera è quella un po’ più scomoda da raggiungere; mi torna in mente la recensione che avevo letto di una tizia, la quale si lamentava appunto di dover fare a piedi tre piani di scale, ma, come spesso accade con chi si sente in dovere di criticare sempre a tutti i costi anche l’incriticabile, il neurone era poco funzionante: è vero, la stanza è la 302 all’ultimo piano, ma da queste parti il primo piano è quello che per noi è il piano terra. Comunque sia la valigia più pesante, cioè quella di Linda, la portano su la proprietaria ed una sua aiutante, malgrado le mie insistenze a lasciarla giù che poi ci avrei pensato io. Forse.

Siccome il relax ci piace, ma fino ad un certo punto, prima di partire per la vacanza Linda ha scovato alcune simpatiche attività, alle quali ho risposto entusiasta di sì solo perché avevo appena rivisto proprio con lei quel film con Jim Carrey dal titolo “Yes Man” (in pratica il protagonista, dall’essere negativo e pessimista su tutto, vedeva la propria vita cambiare in meglio solamente perché cominciava a dire di sì a chiunque e a qualunque proposta, un po’ come ha fatto recentemente anche Linda con me…). No, dai, non è proprio andata così, ma… ma mi vedete ad un corso di cucina tailandese?!? Io che sopravvivevo con la Razione K del single che ha sempre vissuto da solo, io che come seconda identità neanche poi tanto segreta mi mettevo ai fornelli nei panni di Piadina-Man, io che infine sono stato salvato dalla mia principessa Linda che dopo la prima settimana di convivenza ho cominciato a chiamare Frozen per via di tutti i surgelati che riusciva ad infilare nel freezer?!? No, appunto, però l’esperienza di quattro ore alla “Asia Scenic Thai Cooking School” (20 euro circa a testa con trasporto incluso sia all’andata che al ritorno) è stata davvero bella bella, anche se subito c’era l’incognita su quello che avremmo poi mangiato, visto che ce lo saremmo dovuto cucinare noi.

Un corso con una dozzina di “allievi”, tra americani, australiani, olandesi ed israeliani, dove la lingua inglese era ovviamene l’unica parlata anche dall’insegnante: abbiamo capito quasi tutto e, quando non capivamo, copiavamo dal vicino come a scuola. Sì, forse la banana fritta avrei dovuto prima sbucciarla, ma che sarà mai?!?

C’è da dire che la “scuola per turisti che non sanno cosa fare” è una macchina da guerra, con numerose tavolate seguite dallo “Chef” di turno che prima fa conoscere le materie prima conducendo tutti al mercato vicino e nell’orto adiacente e poi comincia a spiegare come maneggiare il tutto prima dell’inevitabile cottura con oli anche un po’ strani (uno odorava di pesce andato a male, ma pare che sia un ingrediente fondamentale nella cucina locale).

Nel frattempo la lavastoviglie continua incessantemente a lavare piatti, posate e pentole: la lavastoviglie qui è una tizia seduta a terra con in mano una canna dell’acqua sempre aperta, ma direi di non formalizzarci troppo, anche perché dobbiamo solo sperare che l’acqua che abbiamo bevuto dalle caraffe fosse filtrata come credo di aver capito con il mio eccellente inglese di Oxford.

Elenco dei piatti che Linda ed io abbiamo fatto e che mai più faremo perché un ristorante tailandese lo si trova sempre anche in Italia: Pad Thai, Hot Basil Stir Fried, Spring Roll, Khav Soi e Deep Fried Banana. Mica male, no? Cioè, per due esperti cuochi come noi, intendo…

Ci accompagnano in hotel per le 21 circa e questa sera dovremo spegnere le luci abbastanza presto, perché domani ci aspetta una giornata un po’… “pesante”: staremo tutto il giorno con degli elefanti!

Avrei ancora un’ultima cosa da scrivere, ma essendo solo l’ennesima considerazione inutile a questo punto me la terrò per una prossima volta, perciò…

…buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Sabato 27 Gennaio 2018 – Ottavo giorno: The Elephant Men

Tra una visita ad un tempio e l’altro, in Thailandia si può occupare il proprio tempo anche in altri modi: tralasciando le battute sul turismo sessuale per il quale nei casi che sappiamo spedirei certa gentaglia a trascorrere il resto della propria vita su un’isola abitata solo dai propri simili, le attività che vengono proposte al turista sono davvero numerose, se non esattamente innumerevoli. Linda Travel ha subito scartato dei simpatici voli ad angelo su un cavo teso da una montagna all’altra (ho poi scoperto solo per mancanza di tempo), così come delle escursioni -anche in notturna- tra la flora e la fauna locale, ma non mi ha fortunatamente risparmiato una bella serie di massaggi (il secondo dei quali lo faremo questa sera) e, come già scritto ieri, un corso di cucina Thai. Ma una appartenente a “La Setta degli Angela” avrebbe mai potuto fermarsi a questo? Giammai! Così oggi si va all’Elephant Nature Park ad importunare delle povere, pachidermiche bestiole intente a farsi gli affari propri.

Sveglia all’alba (quella vera, non la solita nostra), colazione veloce e alle 8,30 puntuali siamo già sul pulmino del centro di recupero (degli elefanti, non dei turisti); un’oretta scarsa di tragitto colmata da un video di presentazione alla Jurassic Park e si arriva a destinazione, non senza aver notato sul percorso che la zona è piena di posti di questo tipo. Versione romantica: è bello sapere che c’è tanta gente che si preoccupa di salvare questi poveri animali; versione cinica: mica male come business..!

Paghiamo i circa 65 euro a capoccia (pranzo incluso) e si cominciano le attività, sempre seguiti o preceduti dalla guida con impressa sulla maglietta la scritta “volunteer”, quindi ora sappiamo che lo fa pure volentieri. Prima di tutto il breafing: l’elenco delle cose da NON fare con gli elefanti è molto più lungo di quelle che si possono fare ed includono, tra le altre, lo starci davanti, lo starci dietro, lo starci sopra, lo starci sotto, scattargli delle foto col flash, scattargli delle foto brutte, dargli da mangiare dei sassi, prenderli in giro per le orecchie giganti e portarli in una cristalleria a scegliere le bomboniere. Le cose che si possono fare: poggiare una mano sul fianco, proprio sopra le zampe anteriori e far finta di accarezzarli che tanto non sentiranno nulla. E basta. Giuro. Ok, sì, sotto lo sguardo attento della guida si può anche dar loro delle banane (ce ne sono a montagne nel “magazzino” a vista) o dei pezzi di cocomero, così come gli si può tirare qualche secchiello d’acqua per lavarli al fiume facendo finta di ignorare che la doccia l’hanno inventata loro fin dai tempi del Flintstones.

Gli elefanti della Thailandia sono molto più piccoli di quelli visti in Africa e hanno pure un altro accento; la loro cordialità nei confronti dei visitatori la esprimono evitando di calpestarli e, ogni tanto, riescono a prendere fiato quando qualcuno fa notare a chi non fa altro che scattare foto o dirette sui social (cioè noi, insomma) che questo è anche un centro di raccolta di cani, gatti e bufali, che convivono serenamente tra loro senza bisogno di dover eleggere un amministratore condominiale.

La giornata procede tra racconti ed aneddoti in un inglese molto tailandese (ergo, non capiamo quasi nulla) sulla vita di questi grandi mammiferi e dopo il pranzo e dopo aver visto pure i cuccioli e quindi impedito a Linda di portarsene uno a casa come bagaglio a mano, a metà pomeriggio siamo già in hotel, felici e contenti per aver trascorso una giornata un po’ diversa.

Ma non è finita qua, perché c’è ancora l’agognato momento relax in programma.

La scelta del centro massaggi ricade su “Cheeva Spa”, non prima però di aver ricevuto il rifiuto di una prenotazione in un altro posto perché “tutto esaurito” e la completa indifferenza di altri due che non hanno risposto all’e-mail di Linda dove si chiedeva di fissare un appuntamento (fatalità proprio oggi le ho proposto di iscriverci ad un corso di inglese, ma credo che sarebbe andata ugualmente così…).

Alle 18,10 si presenta nella hall dell’hotel l’autista per accompagnarci alla Spa (servizio incluso sia per l’andata che per il ritorno, una cosa abbastanza frequente in questo settore qui a Chiang Mai); il centro è molto grazioso e, dopo averci fatto togliere le scarpe ed averci dato delle ciabatte, due gentili signorine ci fanno accomodare in una stanzetta; poco dopo arrivano con due tisane e con due bacinelle piene d’acqua con limone, petali, piante e tutto lo stretto necessario per una bella centrifuga, solo che ci fanno immergere dentro i piedi e ce li lavano neanche fossimo stati in mezzo agli elefanti; poi ci porgono un modulo a testa da compilare, sul quale bisogna indicare eventuali allergie, patologie e pure un erede; da lì a breve entra una signorina con in mano il listino ed una calcolatrice per chiedere conferma del tipo di servizio scelto (“Cheeva Relax Package”: Traditional Thai Body Massage, Aromatherapy Oil Massage, Thai Herbal Hot Compress, il tutto per due ore e mezza a circa 70 euro a testa, non pochi per la Thailandia, ma pochi per l’Italia) e subito mi chiede la carta di credito che non si sa mai. Vabbè, unica nota stonata, perché per il resto è stato tutto ineccepibile, anzi, super: stessa stanza con Linda, due massaggiatrici che praticamente lavoravano in sincrono e noi alla loro energica e piacevole mercé per taaanto tempo! Sì, ok, resta sempre il problemino delle mutandine unisex usa e getta, ma prima o poi qualcuno si inventerà qualcosa di meno imbarazzante, in fondo abbiamo atteso tanto anche per la scoperta delle rotelline sotto alle valigie, no?

Prima di uscire ci viene offerta una tisana allo zenzero e del Mango Sticky Rice, squisito dolce tipico fatto con mango e riso al cocco.

Chiediamo all’autista di fermarsi al Saturday Night Market, visto che è proprio sabato sera, giusto per fare due passi in mezzo al casino di gente che mangia e ai banchetti che vendono un po’ di tutto ed un po’ di niente.

Per tornare prendiamo un Tuk-Tuk pilotato da un energumeno tanto pazzo a guidare nel traffico quanto taciturno ed avaro sia di parole che di sorrisi, ma i 2 euro e 50 in ogni caso li ha valsi tutti per due poveri reduci da un lungo massaggio…

Avrei ancora quella considerazione da scrivere della quale vi accennavo ieri, ma siccome riguarda gli hotel si può anche procrastinare, quindi…

…buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Domenica 28 Gennaio 2018 – Nono giorno: troppo relax nuoce gravemente alla salute

Avete presente quelle sere quando si rientra a casa sul tardi e si è così stanchi che si vorrebbe andare subito a letto? Beati voi, perché a me non capita praticamente mai. A parte stasera. Solo per dire che sarò veramente molto breve, ma veramente veramente.

Purtroppo con il dormire ho un rapporto discontinuo dall’agosto del 2009 e va un po’ a periodi: in questo, ad esempio, mi devo aiutare con la chimica, anche se le goccine che dovrebbero scendere dalla boccetta per entrare direttamente nella mia bocca escono così lentamente che mi addormento solo a contarle. Forse lo scopo è proprio questo, tipo pecore in gocce.

Inutile elencare tutti i templi visti oggi all’interno del “quadrato” (il centro di Chiang Mai), ma malgrado alcuni inevitabilmente si somigliassero tra loro, c’è stata anche qualche eccezione, come il Wat Chedi Luang, una sorta di piramide chiamata “Il tempio del grande Chedi” in origine alto 85 metri e che un terremoto del 1545 in parte rovinò; Wikipedia questa volta c’entra poco, perché mentre eravamo seduti su una panchina ad ammirare questa bellezza ornata da grosse statue di elefanti, si è avvicinato un ragazzo tailandese a spiegarci ciò che ho appena scritto, per poi chiederci di dove siamo e, con un sorriso grande come il tempio, alla nostra risposta dirci che è stato in Italia a giugno dello scorso anno per la sua luna di miele; per dargli un po’ di corda gli ho risposto che, facilmente, noi ci sposeremo questo giugno e, senza trasformare il sorriso in ghigno, ci ha stretto la mano congratulandosi. Ecco ora l’ho detto pure ad un tailandese, mancava solo lui.

Mentre stiamo passeggiando udiamo una voce: “Veronesiii..!”. È il fotografo che incontrammo giorni fa ad Ayutthaya, tra l’altro piacentino e quindi non veneto come avevo erroneamente scritto. Due parole sulla fotografia in generale e sull’energia di questi luoghi (qui ha parlato solo lui perché io credo poco persino negli energy drink), scambio dei contatti di rito così possiamo vedere i suoi libri pubblicati non ricordo dove, saluti e finalmente si va a pranzare per le 15. TripAdvisor ci segnala nelle vicinanze il Lucky Too, ristorantino Thai molto alla buona, ma anche piuttosto buono come abbiamo avuto modo di constatare, nonché in linea con i prezzi dei banchetti di cibarie che si trovano per strada.

Se il sabato sera c’è il Saturday Night Market, perché non spostare tutti i banchi in un’altra zona la domenica per fare il Sunday Market? Per fortuna il monday noi partiremo da qua.

Sono le quattro passate e passeggiamo per il mercato in via di allestimento, mentre la gente ha già cominciato a comprare souvenir e cibo; solo a Linda capita di prendere in mano un paio di occhiali da sole da una bancarella e vedersi subito redarguire dalla proprietaria con un “Not open!”. La maledizione degli occhiali da sole continua.

Doccetta e poi alle 18 saliamo su un Tuk-Tuk per andare al Nimman Chiang Massage, dove abbiamo prenotato ben tre ore di coccole: Foot Massage da 30 minuti, Herbal Steam Room da 30 minuti, Body Scrub da 60 minuti e Hot Oil Massage da 60 minuti, il tutto a meno di metà prezzo della Spa di ieri (28 euro a testa).

Allora, considerazioni all’uscita: il centro, per come è fatto, vale effettivamente la metà di quello di ieri e certo una piccola eppur casinista comitiva di cinesi non ha aiutato l’atmosfera nella prima mezz’ora (è un popolo strano: generalizzando si può dire che non sa stare al mondo, anche se il mondo se lo sta comprando), ma i trattamenti sono degni di nota e difficilmente Linda si scorderà mai dello scrub (“Lo possiamo fare tutti i giorni?!?”). Ecco, solo io sono rimasto un po’… diciamo perplesso su una cosa: mentre Linda è stata seguita per tutto il tempo da una piacevole ragazza sul lettino di fianco al mio, a me hanno assegnato una tipa che sembrava Toshiro Mifune truccato da geisha, ma non è tanto questo il punto, ovviamente: il punto è che, secondo me, si è dilungata un po’ troppo in Area 51 durante l’ultima parte del massaggio con l’olio, rendendo di fatto la cosa un pochetto imbarazzante e ben poco rilassante. Ma, per carità, magari mi sbaglio ed è stata solo una mia impressione. E del mio pisello.

Prendiamo uno di quei taxi collettivi, dove però ci siamo solo noi due, e ci facciamo accompagnare nuovamente al mercato perché dei mercati non se ne ha mai abbastanza (è la vocina di Linda che parla, non sono io).

A differenza della mia amata compagna di viaggio io ho fame, ma non me la sento di rischiare con il cibo dei banchetti, anche se uno sembra che abbia dei gustosissimi gelati confezionati e, così, ne prendo uno al mango. E niente, non è un gelato al mango, ma un mango gelato. E pure poco maturo. I 60 baht finiscono dritti nella pattumiera. Resta il problema di riempire lo stomaco con qualcosa di batteriologicamente abbastanza in ordine, ma in zona non sembra esserci alcuna speranza per un ipocondriaco; cammina e cammina e… un Burger King?!? Mai e poi mai, ma scherziamo?!? Quattro minuti dopo ho già terminato un Double Bacon Cheese Burger.

Ecco, lo sapevo che quando scrivo “sarò breve” poi non ce la faccio e mi dilungo in solitari sproloqui! Ma ora davvero spengo tutto e quindi…

…buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Lunedì 29 Gennaio 2018 – Decimo giorno: risate nelle risaie

Il nostro soggiorno a Chiang Mai si conclude con una colazione senza uova, un alimento che da quando siamo arrivati in Thailandia ha dato il via ad ogni nostra giornata, in accoppiata all’immancabile burro salato. Eppure dubito che la popolazione locale abbia grandi problemi di colesterolo, anche se dubito pure che la maggior parte di essa si sia mai recata a fare gli esami del sangue. L’ho sempre detto: ignorare le cose dona la pace. Ok, a volte anche la pace eterna.

Si risale in auto dopo tre giorni di sosta, puntando ancora a nord del Paese e percorrendo anche qui strade bellissime che nulla hanno da invidiare a quelle italiane, anzi, bisogna ammettere che quelle principali sono tenute mediamente anche meglio, e ci vorranno circa due ore alla prima tappa che abbiamo individuato essere Mae Khachan Hot Spring, ovvero delle pozze di acqua termale che valgono una sosta (si trovano proprio sul tragitto) per osservare dei turisti che ci cuociono dentro delle uova, per pranzare con un gelato, per fare due passetti, e per scattare qualche foto ad un tempio abbandonato ricoperto da erbacce e rifiuti. Ma Linda vede una cosa tra i vari negozietti e, è proprio il caso di dirlo, ci si butta a pesce: Fish Spa, in pratica delle vasche dove immergere i piedi per sfamare decine e decine di piccoli pesci con le proprie cellule morte. Una cosa disgustosa, ma per una volta sono loro a mangiare gli esseri umani e non viceversa. Mentre osservo queste povere creature darsi da fare con la mia compagna che sta dimagrendo a vista d’occhio, penso a quanto sono felice di non essermi lasciato convincere dal tipo che gestisce questa attività, anche perché da come mi ha guardato gli zamponi credo che mi avrebbe fatto usare una vasca con i piranha.

Riprendiamo il viaggio, ma ci fermiamo dopo pochi chilometri perché ci sono delle donne dentro ad una risaia che stanno lavorando e chi siamo noi per non andare ad importunarle armati di macchina fotografica e smartphone? Appunto.

Ci avviciniamo quatti quatti, quasi in punta di piedi, ma com’era prevedibile veniamo subito individuati; come due novelli Marcel Marceau mimiamo la richiesta di poter scattare qualche foto e, in tutta risposta, scoppiano tutte a ridere mettendosi in posa pronte ad essere immortalate dai due turisti rompiscatole. Che popolo fantastico, libero da preconcetti e quasi sempre disponibile per uno scatto, alla faccia delle mille storie che ci facciamo in occidente sulla privacy e sul diritto d’immagine, neanche fossimo tutti delle superstar di chissà che cosa.

Ringraziamo, salutiamo e ripartiamo prima che qualcuna di loro ci faccia notare che anche nella nostra provincia si trovano le risaie.

Prima di arrivare al B&B ci sono ancora due tappe: la prima è per il cosiddetto Tempio Bianco (Wat Rong Khun) e la seconda per il Tempio Blu (Wat Rong Sear Tean); lascio a voi dedurre il perché di questi soprannomi.

Il Tempio Bianco è pazzesco, sembra un incubo partorito da Tim Burton per dare un tetto a Liberace, una cosa mai vista, tra centinaia di mani che spuntano ovunque e volti demoniaci in piena agonia; invece, a costruire con gesso bianco e specchietti questo tempio sia buddista che induista, è stato vent’anni fa il pittore visionario Chalermchai Kositpipat (sia benedetta Wikipedia), anche se non è ancora del tutto terminato: oggi, infatti, gli interni erano chiusi per manutenzione già dalle ore 15 e ci è dispiaciuto moltissimo non potervi accedere, perché da ciò che abbiamo letto in giro questo pazzo di un artista è riuscito nell’impresa di unire il sacro con il profano, Buddha con Neo di Matrix, SpiderMan, Michael Jackson e via via delirando. Peccato, ma tanto pare che i lavori continueranno fino al 2070, quindi c’è tempo (sì, anche per scoprire il segreto dell’immortalità…).

A pochi chilometri troviamo il Tempio Blu, decisamente molto più tradizionale, ma… blu. Bello, vale sicuramente una mezz’ora del nostro tempo, almeno fino a quando non decidiamo che è arrivata l’ora di trovare il nostro B&B Baan Jaru (22 euro con prima colazione e parcheggio).

Un dipendente della struttura ci accompagna in stanza aiutandoci con la valigia, ma una volta aperta la porta mostra un certo imbarazzo perché la televisione è accesa e ci spiega che aveva provato anche prima a spegnerla senza riuscirci; mentre esce dicendoci che chiederà al titolare come fare, stacco la spina della corrente e, per un secondo, mi sento Colombo con il suo ovetto (mi tornerà il colesterolo alto solo a rileggere questa pagina del diario infarcita ovunque di uova, me lo sento).

Una rinfrescata, una controllatina agli orari del volo della sera seguente e siamo pronti ad uscire per l’appuntamento delle 19 con un’altra ora di massaggio. Sì, siamo degli schifosi viziosi, è vero: però quando mai ci ricapiterà di farci fare tutte queste coccole a dei costi così accessibili? Questa sera, ad esempio, abbiamo scelto una delle Spa più care della zona, pensando -a ragione- che il servizio sarebbe stato adeguato al costo: 56 euro in due, con un’accoglienza ed un’attenzione per il cliente davvero ottime, anche se il centro di due giorni fa resta ancora il migliore. Massaggio fantastico e senza alcuna scivolata inappropriata; Siamese Spa promossa a pieni voti.

Linda: “Ma tu cosa pensi mentre ti fanno i massaggi..?”

Io: “F24, F24, F24…”

(poi le ho spiegato che è il modulo che il commercialista mi prepara per i pagamenti di INPS, Iva, tasse, ecc.)

Chiang Rai non è nulla di che e non si può certo dire che sia così viva di sera come la sua quasi omonima Chiang Mai; TripAdvisor, infatti, ci segnala che già alle 20,30 i locali di cucina tailandese che avevamo scelto sono in chiusura. Passiamo davanti ad alcuni bar con delle ragazze fuori ed altre dentro a tenere compagnia a uomini che potrebbero essere i loro nonni ed incappiamo in un posto pieno di gente, anche se per riempire il solito stanzone anonimo di quaranta metri quadri affacciato sulla strada non è poi così difficile: il locale si chiama Heaven Burger, chissà cosa faranno mai da mangiare… Strano a dirsi, ma l’unico hamburger “in salsa Thai” presente a listino preparato da questi tailandesi che guardano più alla qualità che ad accontentare i nostalgici della cucina statunitense, è proprio squisito, roba da far impallidire le hamburgerie modaiole nate come funghi nelle nostre città in questi ultimi anni. Costo del panino, con patatine super, meno di 3 euro, contro quello anonimo, piccolo e scialbo del Burger King che veniva esattamente il doppio. Così, per dire.

“Ah che bello, ora mi faccio una doccia e poi si va a letto..!”. Macché, ci viene in mente che le massaggiatrici ci hanno raccomandato di non lavarci per le prossime ore per non togliere dalla pelle l’olio nutriente che ci hanno cosparso su tutto il corpo. Va bene, faremo come ci hanno detto loro, anche se temo che domani mattina, nel rifare la stanza, le signore delle pulizie troveranno un paio di sacre sindone…

Per oggi è tutto! Buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Martedì 30 Gennaio 2018 – Undicesimo giorno: un, due, tè

Aprire gli occhi e rendersi conto che questo sarà l’ultimo giorno in giro per il nord della Thailandia e che ci rimarranno “solo” i tre giorni a Bangkok, beh, non è un risveglio propriamente entusiasmante. Ma l’ingratitudine nei confronti della vita e la stupidità del momento passano in fretta grazie anche ad una buona colazione (ok, il pollo arrosto nel mio piatto era un po’ in più, ma è arrivato così…).

Questa sera dovremo restituire l’auto all’aeroporto internazionale di Chiang Rai, ma abbiamo ancora tutta la giornata per rilassarci girando da un posto all’altro. Ah, giusto per sottolineare quanto detto ieri: in questo Paese, secondo la nostra personalissima esperienza (condita sicuramente anche di fortuna) nei 1.200 km percorsi solo di giorno, si può guidare in tutta tranquillità, davvero nessun problema né di strade, né di troppo traffico, ad esclusione ovviamente di Bangkok che dicono sia caotica come una Napoli moltiplicata cento volte. Ogni tanto si incappa in qualche posto di blocco, fisso o mobile, ma la cosa dona anche una certa sensazione di sicurezza che non guasta mai; ovviamente abbiamo sempre rallentato, ma non siamo mai stati fermati, forse per via delle nostre facce da bravi ragazzi. A proposito, a qualcuno interessano un paio di barre di plutonio impoverito?

Arriviamo al Mae Fah Luang Garden, un’attrazione turistica per turisti che non hanno mai visto grandi giardini pieni di piante e di fiori. Insomma, per essere carino è anche carino, ma diciamo che di cose simili ne abbiamo ammirate anche dalle nostre parti.

Dobbiamo riempire queste ore e, dopo aver scartato le mete più lontane (per lo più templi con o senza scimmie), sono rimasti da vedere nelle vicinanze solamente un paio di cose. Ci va decisamente molto meglio con la seconda tappa, ovvero l’enorme piantagione di tè di Choui Fong Tea Plantation. Uno spettacolo di piante verdissime a perdita d’occhio, ma non solo: con un piglio decisamente molto astuto ed occidentale, la proprietà ha inserito nel bel mezzo delle cangianti piantagioni due grandi punti di ristoro e relativi shop con vendita di prodotti a tema. Noi ci prendiamo una cheesecake al tè verde, buonissima, ed una mattonella di quello che è subito diventato il mio dolce preferito di sempre composto da: crumble, banana, cioccolata, crema al tè jasmine (gelsomino) e panna. Da tornare in Thailandia solo per questo, credo che me lo sognerò ancora per tanto tempo…

Ad accompagnare il tutto del tè caldo al gelsomino e degli Spring Roll che Linda “va bene il dolce, ma non prendiamo proprio nulla di salato?”. Scattiamo qualche foto ad alcune donne che, con una velocità ed una sicurezza impressionante, stanno effettuando manualmente il raccolto. Prima o poi qualcuno ci segnalerà come stalker, me lo sento.

“Ma non ti sembra troppo presto arrivare in aeroporto alle 17 quando il volo è alle 20..?”. Mi stupisco di come Linda possa, dopo quattro anni insieme, farmi ancora certe domande…

Consegnamo l’auto all’Avis dopo aver chiesto qualche indicazione (il loro parcheggio non è ben segnato, ma per fortuna qui è difficile perdersi) ed entriamo nel piccolo aeroporto. Appena si aprono le porte automatiche c’è già il controllo di sicurezza dei bagagli e quello personale, cosa che da noi viene effettuato solamente per entrare nei gate. La cosa ci stupisce un po’, ma non ci vuole molto a capire che hanno ragione loro: perché permettere a chiunque di aggirarsi indisturbato per l’aeroporto, quando è da sempre considerato un obiettivo sensibile, dolce e tenero?

Manca ancora una mezz’ora buona per il check-in, passata la quale ci alziamo dalle due poltroncine che abbiamo trovato libere e… Come mai si sono tutti bloccati? È un “flash mob” e poi si metteranno a ballare oppure si è diffuso un virus e tra poco cominceranno a correre cercando cervelli freschi da mangiare? Macché, quando gli altoparlanti suonano gracchianti l’inno nazionale tutti si fermano e si alzano in piedi, immobili fino al termine del brano. Per confonderci con gli indigeni decidiamo di fare la stessa cosa; per fortuna l’inno è breve, perché la perfetta mimetizzazione temo che non sarebbe durata tanto a lungo.

Effettuato il check-in alle 18, decidiamo di non andare subito ai gate con la convinzione di non trovare i bar ed i negozi che ci sono da questa parte; ordiniamo due caffè nei bicchieroni cartonati al Black Canyon Coffee (deduciamo che sia una catena, in quanto hanno branderizzato pure i biscotti) ed entrambi ci scottiamo la lingua e ci scortichiamo il palato e, finalmente, dopo un’ora e mezza riusciamo anche a berli.

Toh, un altro controllo! Poco male, tanto per come siamo svestiti è un attimo passare senza far suonare gli allarmi.

Puntuali come un orologio tailandese, partiamo per la nostra oretta e mezza scarsa di volo, durante il quale ci viene pure offerta la cena; considerando che ci è costato 34 euro a testa e che l’aereo ha pure le ali, direi niente male.

Atterraggio perfetto, ritiro dei bagagli e cominciamo a seguire le indicazioni gentilmente comunicateci da Gianluca, mio amico da una vita col quale più di quattro anni fa andai in Vietnam e Cambogia e che, da poco più di un anno, si è trasferito per lavoro e per amore a Bangkok, ed arriviamo al nostro hotel senza rimanere bloccati nel traffico prendendo il trenino Airport Rail Link e poi lo Skytrain, cioè un altro trenino, ma con un nome più bello.

L’Aetas Bangkok è il classico mega hotel di una metropoli, con tutte le comodità possibili, dalla piscina alla Spa, ma ciò che più ci interessa è la stanza grande e confortevole con un bagno enorme per ripulirci dalle appiccicose giornate in giro a fare i turisti; tutto ciò ha, naturalmente, un prezzo, ma si compensa con quello che abbiamo speso fino ad ora (comunque parliamo di 90 euro a notte con prima colazione).

Per oggi è tutto, domani sarà il primo di due giorni di visite… guidate! Lo so, è una cosa strana anche per noi, ma domani vi spiegherò il perché!

Buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Mercoledì 31 Gennaio 2018 – Dodicesimo giorno: non può piovere per sempre

Incredibile: suona la sveglia, tiriamo e tende e… diluvia, qui a Bangkok?!? Cioè, non due goccine, proprio pioggia a dirotto, giusto per rafforzare la sensazione di essere dentro ad una versione sudaticcia di Blade Runner.

La colazione a buffet offre cibo di ogni sorta, dal sushi alle onnipresenti uova cotte sul momento da un cuoco secondo le indicazioni degli ospiti dell’hotel, ma non mancano neppure vari tipi di dolci, così per una volta ci riempiamo il piatto di piccoli croissant e di pain au chocolat, solo per affrontare la giornata più leggeri del solito…

Dal momento che Gianluca lavora per un tour operator, per due giorni abbiamo fatto la scelta di metterci nelle mani di una guida che parla italiano; il pulmino passa a prelevarci con tre quarti d’ora di ritardo a causa dell’inaspettato brutto tempo e scopriamo con piacere di essere solo quattro coppie, ma neanche il tempo di rallegrarsene che ci uniamo ad un’altra ventina di italiani desiderosi di scoprire i punti salienti della città nel minor tempo possibile. Ok, mettiamoci calmi: non siamo abituati a condividere spazio e tempo con un gruppo, ma in un Paese dove la meditazione è così fondamentale dobbiamo assolutamente meditare di non sclerare.

La guida ci accompagna dentro ad un tempio, sinceramente il più bruttino di quelli visti fino ad ora. Terminata la visita ci accomodiamo in un pullman ben più capiente e partiamo alla volta del Palazzo Reale, unico luogo dove i pantaloni lunghi sono obbligatori (ma mi ero già attrezzato per tempo acquistandone, prima della partenza, un paio di tecnici con la parte sotto staccabile).

“Vi accompagnerà una brava guida, si chiama Vanessa”. Aspettandoci quantomeno una ragazza italiana fuggita da una città tipo Vicenza per rifarsi una vita qui in oriente, scopriamo con sorpresa che invece è tailandese e che, quasi sicuramente, si è ribattezzata ad uso e comodità dei gruppi che accompagna. Facile che con tour di inglesi il suo nome cambierà, come per magia, in Elisabeth. Ma non è un problema, per noi potrebbe anche chiamarsi Giuseppe, l’importante è che sia brava e pare proprio che lo sia, da quello che abbiamo potuto sentire fino ad ora. Non è facile stare dietro a decine di persone cercando di farsi ascoltare durante le spiegazioni e senza perdere nessuno per strada, malgrado il solito ombrellino proteso verso il cielo.

Immancabilmente, in ogni gruppone che si rispetti, si trova sempre un signore di mezza età che continua imperterrito a fare battute a voce alta alle quali nessuno ride. No, non sono io, tranquilli. Per nostra fortuna le condizioni meteorologiche di oggi sfiancano anche lui.

Il Palazzo Reale è molto bello ed è quello che per visitarlo richiede il biglietto d’ingresso più caro visto fino ad ora (13 euro, però compreso nel costo del tour).

La pioggia è terminata per lasciare spazio ad un caldo umido che farebbe sudare anche un frigorifero ed il fiume di gente che entra a Palazzo non è certo di quelli rinfrescanti.

Quanti sono i cinesi al mondo? Non lo so, ma credo che siano tutti qui, oggi. Caciaroni ed incuranti degli altri, occupano ogni più piccolo angolo occupabile alimentando la sensazione di soffoco ed il desiderio di imbracciare un lanciarazzi. Ma perché si riproducono così velocemente, non esiste il controllo delle nascite da loro o, almeno, un più severo controllo all’Ufficio Passaporti?!?

“Linda, guarda: quella ragazza del nostro gruppo ha tatuato sul braccio il simbolo dell’infinito! Che dici, ce lo facciamo anche noi?”

“Ma sei serio..?”

“Ma sì, dai, solo per ricordarci che con i gruppi ci scassiamo infinitamente le palle!”

In parte questa cosa è vera, ma bisogna ammettere che abbiamo anche conosciuto delle persone molto simpatiche: una coppia di dentisti brianzoli con la quale leghiamo subito, un’altra coppia che gestisce uno stabilimento balneare romagnolo ed un’altra coppia ancora di signori di una certa età alla prima esperienza con un gruppo, perché da sempre abituati a girare in camper o in auto da soli.

Pranziamo quindi in buona compagnia in un posto dove il cibo è a buffet e poi saliamo su un’imbarcazione percorrendo un tratto del fiume per raggiungere un nuovo tempio, il Wat Arun, bello e molto particolare, fatto di porcellana cinese multicolore.

Si riprende una barca e si va a Wat Pho a vedere un gigantesco Buddha d’oro nato stanco, cioè sdraiato. Pure qui una fila degna del giorno del ritiro della pensione in Posta, ma con il plus di un pungente e nauseabondo odore di piedi (col caldo e l’umido si cuociono meglio e la fragranza ci guadagna). Sì, ‘sta storia di togliersi ogni volta le scarpe, mah..! Roba da aprire un chioschetto fuori da ogni tempio che venda solo disinfettante e crema funghicida. Ricordatevi sempre un paio di fantasmini, nel caso passaste da queste parti…

Veniamo a conoscenza che la giornata di domani comincerà con l’appuntamento nella hall dell’albergo alle ore 6. Linda ed io ci guardiamo mentre una goccia di sudore ci scende in sincrono dalle rispettive fronti; ok, chiamiamo Gianluca e annulliamo, perché va bene scegliere Bangkok negli ultimi giorni di vacanza proprio per poter poi tornare felici in Italia, ma forse rientrare a pezzi non è esattamente quello che ci prefiguravamo.

Cerchiamo una valida alternativa e, se tutto andrà come dovrebbe andare, nella prossima parte del diario di bordo leggerete cosa faremo.

Alle 18 passate salutiamo tutti e corriamo a farci la più desiderata delle docce, ma veloci veloci perché alle 19,30 abbiamo appuntamento proprio con Gianluca e sua moglie nella hall per uscire a cena insieme.

Usciamo puntuali dall’ascensore ed eccolo lì, ad aspettarci: baci e abbracci dopo un anno e mezzo che non ci si vedeva, se non tramite i soliti mezzi tecnologici di noi supergiovani, e finalmente possiamo conoscere anche la radiosa e dolcissima moglie; mentre usciamo per recarci al ristorante Blaam Gom Gig, notiamo dei grandi cartelli che non avevamo ancora visto, vuoi per la fretta, vuoi per la pioggia, posti proprio fuori dall’hotel: sono scritti solo nella lingua locale, ma il significato è che, a causa di un probabile abuso edilizio, l’enorme e scintillante struttura che ci ospita dovrà essere demolita. Distrutta. Come nei film. Incredibile. La Thailandia certe cose le prende molto seriamente.

Ci allontaniamo confidando di ritrovare un tetto al nostro ritorno dalla cena, che tra l’altro si rivelerà essere piuttosto buona e ben più varia di quello che avevamo mangiato fino ad ora (pesce, prevalentemente).

Si è fatta una certa ora (le nove e mezza, per chi è stato in giro tutto il giorno a Bangkok e ha dormito anche poco, sembrano delle ore notturne post Capodanno e post sbornia), ci salutiamo e saliamo nella nostra stanza a ricaricare le batterie.

Il tempo di finire di scrivere il diario e… buonanotte, o buongiorno, e a domani!

Giovedì 1 Febbraio 2018 – Tredicesimo giorno: taxi a due piazze

Facciamo le corse perché pensiamo di essere in ritardo con la persona con la quale abbiamo appuntamento nella hall: è un tassista a nostra disposizione per tutta la giornata, con il quale ieri abbiamo contrattato. Ovviamente non siamo in ritardo, ma solo un tantinello ansiosi…

Nel frattempo siamo riusciti a far colazione e ad effettuare il check-in on line con gli Emirates, così possiamo già conoscere i posti assegnati nei due voli di ritorno.

Saliamo sul taxi e ci incolonniamo nel traffico per cercare di raggiungere il mercato galleggiante, ma temo che farà in tempo ad affondare, vista la nostra velocità.

Due posti di blocco, in uno dei quali un poliziotto con casco, occhiali da sole e foulard sulla bocca ci redarguisce perché non abbiamo le cinture di sicurezza anche se passeggeri sul sedile posteriore (gente seria, da noi manco se ne accorgono…); l’autista scende dall’auto con il portafoglio in mano per rientrare poco dopo dicendoci che è tutto a posto. Bene, superfluo fargli delle domande.

Ci sono delle zone che da tipicamente locali diventano tipicamente turistiche non appena si avverte l’odore delle banconote; il mercato galleggiante di Domnoen Saduak è uno di quelli.

Il nostro tassista ci accompagna dove sarebbe possibile salire su una delle tipiche (e dagli…) canoe alla modica cifra di 100 euro a coppia, ma il gestore del posto, con un listino prezzi che potrebbe dare l’idea che i gondolieri veneziani siano economici, non ha fatto i conti con Linda Travel che si era già informata su come non farsi spennare, almeno non completamente; così salutiamo e ci facciamo portare dove il mercato lo si può osservare dalla riva, avendo anche la possibilità di scattare quelle centinaia di foto che mi faranno imprecare quando dovrò selezionarle una volta rientrati in Italia.

Neanche fossimo alla Festa del Redentore, innumerevoli canoe occupano ogni centimetro del piccolo canale: alcune trasportano turisti ed altre sono dedicate ad attività culinarie, con un livello di igiene che a solo fotografare una donna che si sciacquava la bocca con l’acqua verde-marrone la mia povera Fuji si è presa l’epatite. Chi sopra le piccole imbarcazioni taglia la carne e poi la cuoce, chi lava i piatti, chi vende gelati conservati nel ghiaccio, chi rema, chi espone serpenti, chi dopo un po’ se ne va felice e soddisfatto di ciò che ha visto.

Un altro luogo tipicamente turistico è il Maeklong Railway Market; avete presente quel filmato, che girava ovunque sul Web, nel quale al passaggio di un treno le bancarelle vicinissime ai binari si ritirano per non venire travolte? Ecco, quello. Solo che noi siamo troppo in anticipo sull’arrivo del treno, ma scopriamo di esserlo anche sulle orde di turisti, così riusciamo tranquillamente a passeggiare sui binari scattando delle soddisfacenti foto alle bancarelle che, cosa importante, NON sono fatte per i turisti perché trattano esclusivamente generi alimentari freschi, prodotti ittici in particolar modo, anche “macellati” sul posto (una grossa signora seduta su uno sgabellino che con una mannaia sferrava colpi su colpi ad un grosso pesce, con gli schizzi di sangue che le ricoprivano il volto, direi che è una di quelle scene che difficilmente potrò scordare…).

Usciti da quell’orgia di odori e colori, ci guardiamo e concordiamo di non voler soccombere ai ritmi del turista che vuole vedere tutto in meno di tre giorni, anche perché avremo anche domani per girare a Bangkok; quindi, ricordandoci di essere anche una coppia, prendiamo la decisione di rientrare e di prenderci un po’ di tempo per noi, per rilassarci e, perché no, magari per farci anche un bagno nella piscina dell’hotel.

Le immagini di una decadente periferia di una decadente città asiatica si imprimono nella nostra memoria mentre il taxi ci riaccompagna ad una velocità piuttosto sostenuta, che farà media con quella nel congestionato traffico metropolitano.

Un’ora e mezza dopo siamo già in stanza. In un diario di viaggio dove ho descritto praticamente la nostra vita minuto per minuto (mancano giusto i dettagli dei gabinetti tailandesi, ma domani vedrò di raccontarvi pure quelli), direi che un’inquadratura sul caminetto acceso, mentre una dolce musica in crescendo accompagna una dissolvenza in chiusura sia, quantomeno, dovuta. Perciò per questa volta…

…buonanotte, o buongiorno, e a domani!

(P.S. Che rimanga tra noi, ma domani vi racconterò della serata…)

Venerdì 2 Febbraio 2018 – Quattordicesimo giorno: la musica è finita, gli amici se ne vanno

Sono convinto che quando si condivide la maggior parte della propria infanzia con le stesse persone, rimanga tra queste un legame indissolubile, sebbene la vita possa dividerle per mille motivi. Anni fa qualcuno organizzò al Chievo, il quartiere nel quale sono cresciuto pur abitando un po’ più fuori, una rimpatriata in occasione dei 40 anni della “Classe ’68”; rividi dei volti che non vedevo da 27 anni, cioè dalla fine della scuola dell’obbligo; con altri, invece, il rapporto proseguì anche alle superiori o, almeno, per una parte di queste; non dico che sembrava di esserci lasciati il giorno prima, ma quasi. Quando si frequenta con le stesse persone l’asilo, le elementari, le medie e persino le superiori come si fa a non cementare un rapporto per tutta la vita? Sono gli anni più formativi, quelli durante i quali si sviluppa il carattere di ciascuno di noi. Ieri sera Linda ed io, insieme a Gianluca e a sua moglie, abbiamo fatto un salto al Red Sky Bar, uno di quei locali un po’ fighettini che si trovano sulle terrazze agli ultimi piani dei grattacieli della città, giusto per osservare Bangkok in versione formicaio illuminato tenendo tra le mani un cocktail (avrei anche preso un chinotto, ma non era a listino) e cercando di farlo durare il più possibile; quando ormai si stava già succhiando con malcelata disinvoltura il poco ghiaccio rimasto nel bicchiere, ecco che arriva Andrea; per uno dei casi fortuiti della vita, Gianluca si è trasferito in questa metropoli per lavorare da Andrea, conoscendolo solamente al tempo dell’assunzione; bene, con Andrea ho frequentato la medesima classe all’asilo, alle elementari, alle medie e, in parte, anche alle superiori. Magari non siamo mai stati i migliori amici del cuore, per interessi e caratteri differenti, ma per me lui è sempre stato uno di famiglia, come uno di quei cari cugini che magari non si frequentano, però che quando si incontrano ti fanno sentire sempre a tuo agio, a casa tua, senza avvertire alcun bisogno di mascherare o nascondere qualcosa (non che sia uno che maschera o nasconde molto, anzi..!). L’ho rivisto dopo tanti anni, ci siamo raccontati le nostre vite in inevitabili versioni concentrate, abbiamo parlato del più e del meno come, appunto, due vecchi amici che ora si stanno avvicinando alla cinquantina e che qualche bilancio lo devono pur fare e… e niente, Andrea è proprio un figo e ha tutta la mia ammirazione per le scelte che ha fatto nella vita e gli ho augurato tutto il bene di questo mondo perché se lo merita davvero tutto.

Se mi reputo un “ragazzo fortunato” (ok, sul “ragazzo” pure le virgolette hanno avuto un sussulto…) è anche e soprattutto perché nella mia vita ho conosciuto tante belle persone, alla faccia dei facili sentimentalismi.

Arriva l’alba dell’ultimo giorno di vacanza, ma noi ce ne freghiamo perché usciamo dopo le 10. Una bella passeggiata al Lumphini Park tra corvi gracchianti, varani timidi, persone sovrappeso che corrono gocciolando sudore ed anziani che praticano quello che pensiamo sia Taijiquan, impugnando spade e lunghi bastoni che mi convincono a starci lontano anche per fare solo qualche foto.

Ciò che non potevo immaginare, è che l’itinerario scelto da Linda fosse nel bel mezzo di vicoli e vicoletti dove dei turisti non vi è neppure un’accaldata ombra; tra botteghe di fabbri, robivecchi, meccanici, elettricisti e via via accumulando, scatto quelle che reputo le migliori foto della vacanza, spesso chiedendo il permesso ai sempre cortesi soggetti ritratti, altre volte rubando semplicemente i momenti che mi si presentano davanti. Se in qualche occasione, durante le ultime due settimane, ho maledetto la scelta di aver lasciato a casa il teleobiettivo, qui non ce n’è stato proprio bisogno, tanto erano strette le strade e vicine le attività.

Le lancette corrono e siccome abbiamo chiesto di poter tenere (a pagamento) la stanza il più a lungo possibile, visto che l’aereo partirà solo alle una di notte, prima delle ore 18 concordate con l’hotel abbiamo ancora tempo per incontrare un altro amico che da circa tre anni si è trasferito a Bangkok (sì, tutti qua!): rivedo Valerio molto volentieri dopo tanti anni (ci conoscemmo ad Arezzo ad un festival di cortometraggi nel 1997), un “uomo dimensione avventura” che ha scoperto anche lui la sua passione per questo Paese decisamente non facile, però molto accogliente e aperto nei confronti di chi lo ama. Ci racconta qualche aneddoto della sua vita qua e si rammarica per non averci potuto aiutare di più dandoci qualche dritta utile per la vacanza.

Baci e abbracci, la promessa di mantenere i contatti (siano benedetti i social network, specialmente in questi casi) e ci salutiamo mentre noi ci dirigiamo all’Aetas Hotel per fare i bagagli.

“Linda, amore, potresti gentilmente aiutarmi con la valigia..?”

“Io lo so come sei: ti do un dito e poi tu mi chiedi tutta la mano…”

Le interminabili ore del viaggio di rientro mi consentono ancora qualche considerazione prima della chiusura di questo diario di bordo.

Gli alberghi.

Allora, possibile che in tutti quelli nei quali abbiamo soggiornato ci fosse sempre l’aria condizionata a palla e, al posto di un semplice lenzuolo, il piumone? Cioè, siamo in un Paese tropicale, dove la temperatura è sempre alta e questi dormono con le coperte? Ma regolare un po’ meglio il climatizzatore e coprirsi di meno non sarebbe più furbo e pure più salutare?

I gabinetti degli hotel.

Questo è l’argomento del quale avrei voluto parlare prima e che invece ho posticipato ad ora.

Sulle sei strutture prenotate, ben tre proibivano di gettare nel WC qualsiasi pezzo di carta, igienica compresa; per quella, infatti, c’era sempre un cestino di fianco, con nostro sconfinato ribrezzo. Mi capitò una cosa simile solo in Turchia, ma almeno là alloggiavo in una stanza ricavata da una grotta!

Insomma, spiegatemi: non vorrei essere raccapricciante, ma questi se magnano di tutto, grilli, scorpioni e scarrafoni con tanto di coriacea corazza, accompagnandoli con del riso più colloso del Bostik, producendo nel loro stomaco chissà quale sorta di indistruttibile laterizio e non è possibile gettare qualche leggerissimo pezzo di carta biodegradabile nella tazza?!? Ma che sistema fognario hanno?!? Che senso ha questa orripilante “raccolta differenziata”?!? Mistero.

I treni di Bangkok.

Se volete avere un’idea di come possa essere un caldo infernale, venite a Bangkok. Se volete avere un’idea di come possa essere un gelo siderale, prendete un qualsiasi treno o metropolitana a Bangkok. Dei pazzi, roba che lì dentro si potrebbero fare chilometri con i surgelati comprati all’Esselunga senza timore alcuno di vederli scongelare. La sola catena del freddo rispettata in questa nazione è quella che conserva i passeggeri dei treni.

Turisti alternativi.

I fricchettoni sono vivi e lottano con noi. E chi l’avrebbe mai detto, esistono ancora gli alternativi dell’infradito in cuoio e girano ovunque per la Thailandia. Ecco dove si erano nascosti fino ad ora. Fanno una certa tenerezza, ma c’è posto per tutti ed il loro se lo sono conquistato negli anni a forza di pochi shampoo e tanti tatuaggi.

Cibo Thai.

Non prendiamoci in giro, lo abbiamo capito che è come quello messicano: si mescolano tra loro sempre gli stessi quattro ingredienti, si chiamano i piatti in modi diversi fotografandoli da differenti angolazioni ad uso e consumo dei plastificati ed appiccicosi menù in formato A3 e la gente è convinta di ordinare ogni volta qualcosa di nuovo. Per loro basta regolare la presenza del peperoncino, tanto la roba non piccante sarà comunque piccante, che lo vogliate o meno.

E poi quel maledetto “succo di pesce fermentato” che odora peggio del set di una gang bang. Stomachevole. E hanno pure il coraggio di usarlo a crudo senza vomitare.

Al netto di questo è una cucina magari non ricchissima e fantasiosa, ma ha un suo perché, tipo “perché non mi sono mangiato una pizza?”.

Over the rainbow.

Spiegatemi perché i “pullman gran turismo” qui debbano essere colorati e dipinti come i bagni di una discoteca anni ’90 e customizzati come il computer tamarro di un geek all’ultimo stadio che non beccherà una donna prima dei trent’anni, cioè quando se la dovrà pagare. Hanno forse paura che i turisti non trovino il proprio pullman parcheggiato tra gli altri?

Quando il kitsch si fa mobile.

Marsupi.

Comodi, eh, ma neanche i canguri ormai li usano più, perciò non vedo perché un turista in Thailandia debba sentirsi autorizzato ad esporlo orgogliosamente neanche fosse la sua brioche. Un po’ di contegno. E anche di buon gusto, suvvia.

Gelati scoreggioni.

La passione degli asiatici per i gelati con fagioli o legumi in generale mi lascia da sempre molto perplesso. Ma sono davvero così buoni? No, ve lo garantisco, sebbene da occidentale io abbia gusti occidentali. Ma l’Italia è il Paese del gelato e non fatevi fregare da chi vi dice il contrario, che poi sono i soliti che vorrebbero farci credere che DOBBIAMO provare a mangiare gli insetti perché rappresentano il “cibo del futuro”, un futuro che dubito riuscirò mai a vedere, dal momento che ho il freezer pieno di piadine e di “4 salti in padella”.

Pericolo acqua.

È consigliabile lavarsi solo i denti con l’acqua che sgorga dai rubinetti tailandesi, quindi non è da bere. “Ma il ghiaccio è ok”. No, aspetta: in che senso è ok? Non era composto da acqua, almeno fino all’ultima lezione di chimica che frequentai alle superiori..?

Fatto sta che la suggestione provoca brutti scherzi e lo stomaco (considerato a ragione il “secondo cervello”, quindi ne deduco anch’esso con un mezzo neurone malfunzionante), dopo il cocktail di ieri sera ne rimane coinvolto, ma senza conseguenze reali. In pratica: panza gonfia, sensazione di malessere, ma null’altro.

Comunque quando inventerò un lassativo lo chiamerò Montezuma. Boom di vendite assicurato.

Ostaggi.

Quando leggiamo sui quotidiani che sono stati presi in ostaggio dei passeggeri su un aereo, sappiate che è sempre colpa della vecchina perennemente dormiente che ha avuto la botta di culo di prenotare per tempo il posto lato corridoio, obbligando chi le sta accanto a non potersi alzare per ore ed ore. Esattamente ciò che sta accadendo in questo momento. Se qualcuno avesse uno specchietto da prestarmi vorrei verificare se respira ancora, grazie..!

È giunto il momento dei saluti, degli arrivederci a chissà quando e dei ringraziamenti per aver sopportato gli sproloqui del sottoscritto e a Linda per aver sopportato direttamente il sottoscritto.

Grazie, grazie mille a tutti e vi auguro di poter visitare quanto prima la Thailandia, sempre che non lo abbiate già fatto, perché vedere con i vostri occhi e sudare con le vostre ghiandole è sempre mille volte meglio di un qualsiasi racconto. A meno che a raccontarvelo non sia Alberto Angela, naturalmente.

A presto, spero!

Corrado Benanzioli

20 Gennaio – 2 Febbraio 2018.

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