Tanzania in missione e safari – Zanzibar

VIAGGIO IN AFRICA – AGOSTO 2002 - TANZANIA E ZANZIBAR La nostra avventura comincia alle ore 5.45 del 17.08.2002 nell’istante in cui lasciamo Castelluccio, accompagnati alla stazione dei treni di Porretta Terme da Ombretta e Graziella, in vista dell’Africa e di un viaggio che sarebbe poi stato a dir poco titanico: un tour di 39 ore per...
Scritto da: gabriele80
tanzania in missione e safari - zanzibar
Partenza il: 17/08/2002
Ritorno il: 05/09/2002
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
VIAGGIO IN AFRICA – AGOSTO 2002 – TANZANIA E ZANZIBAR La nostra avventura comincia alle ore 5.45 del 17.08.2002 nell’istante in cui lasciamo Castelluccio, accompagnati alla stazione dei treni di Porretta Terme da Ombretta e Graziella, in vista dell’Africa e di un viaggio che sarebbe poi stato a dir poco titanico: un tour di 39 ore per raggiungere la nostra meta, distante oltre 7000 km da noi.

Ora una sommaria descrizione del gruppo e dello scopo del nostro viaggio… Io, Don Lino – parroco della nostra parrocchia -, Lucio, Rodolfo, Giuseppe, Giovanna e Marta – sorella di Lino – abbiamo deciso di intraprendere un’esperienza diversa volendo quest’anno prestare servizio in una Missione dell’Africa Orientale chiamata Itengule (Malangali) e “gemellata” con la Diocesi di Bologna che, tramite il suo Centro Missionario POMA, ci ha organizzato il viaggio (680 euro a testa di biglietto aereo e per pagare l’agenzia, più 30 euro di visto per l’ambasciata della Tanzania di Roma).

Scopo del nostro viaggio è prestare aiuto a persone indubbiamente più bisognose di noi consapevoli però di non poter risolvere i problemi più gravi che pesantemente affliggono queste popolazioni, ma comunque certi di dare un piccolo aiuto e convinti del fatto che questa sarebbe stata una esperienza indimenticabile e che sicuramente ci avrebbe aiutato a rivedere la nostra scala di valori e di priorità egoistica e tipica degli abitanti dei paesi industrializzati ed avanzati.

Il costo dei biglietti ferroviari per la tratta Porretta Terme – Bologna è stato pari a € 3.15 per passeggero per un totale di € 22.05. Non ancora giunti a Bologna si è verificato un imprevisto quando, pensando al mio bagaglio ed al fatto che fosse completo, mi sono reso conto di aver dimenticato la macchina fotografica in auto. Fortunatamente Ombretta e Graziella, accortesi dell’accaduto, si sono precipitate verso Bologna e ci hanno addirittura preceduti giungendo prima di noi in aeroporto con la sospirata valigetta contenente la mia strumentazione.

Noi, una volta raggiunta la città di Bologna, ci siamo portati in aeroporto tramite l’Aerobus dell’ATC (costo biglietto € 4.50 a testa = € 31.50 totali) ed arrivati abbiamo risolto il problema macchina fotografica; dopo gli ultimi saluti e dopo aver sbrigato le pratiche di imbarco, siamo saliti sul SAAB 2000 Turboelica Concordino della Swiss Air (50 posti passeggeri) che ci avrebbe poi portato a Zurigo, città di imbarco per Nairobi e Dar es Salaam.

Dopo esserci goduti il paesaggio, dopo aver salutato il Lago di Garda, le Alpi e in generale l’Italia, siamo atterrati alle ore 12.00 all’aeroporto di Zurigo, città nella quale abbiamo trascorso le successive otto ore che ci separavano dall’imbarco per la Tanzania.

Non sono così mancate le cosiddette visite di opportunità alla città Svizzera che abbiamo raggiunto in metrò: un giro per le affascinanti stradine medievali e sui numerosi ponti, la visita al Grossmünster, cattedrale di Zurigo del 1100 nonché luogo di origine della Riforma nella Svizzera tedesca sotto l’impulso di Huldrych Zwingli (1484-1531) e Heinrich Bullinger (1504-1575) e una passeggiata nella Zurigo alta ornata di puliti parchi in uno dei quali si stavano svolgendo i festeggiamenti di un matrimonio (idea generale del gruppo, poi abbandonata, quella di unirsi agli invitati che stavano banchettando!).

Sempre a Zurigo abbiamo pranzato in uno dei tanti ristoranti (molti dei quali italiani) così abbiamo potuto anche constatare che questa città, oltre ad essere molto affascinante, è anche altrettanto cara: 135 Euro il conto per 7 persone che ci hanno presentato al Rheinfelder Bierhalle restaurant.

Alle 20.50 ci siamo imbarcati sull’ MD-11 della Swiss Air (241 posti passeggeri) che da Zurigo, via Nairobi, ci avrebbe portato a Dar es Salaam in Tanzania.

L’effettiva partenza da Zurigo è avvenuta alle ore 22.00 e dopo aver pernottato in aereo, mentre a 11.000 mt. Di quota e alla velocità di 950 Km/h sorvolavamo prima l’Europa poi l’Africa Settentrionale, siamo arrivati all’alba sui cieli di Nairobi e, dopo aver visto e fotografato il vulcano del Kilimanjaro dall’oblò dell’aereo, abbiamo fatto scalo nell’aeroporto del Kenia.

A causa del posticipo della partenza dalla città svizzera, l’arrivo a Dar es Salaam è slittato alle 8.00 del 18.08.

Una volta scesi dall’aereo (già cosparsi di repellente per le pericolose zanzare anofele portatrici della Malaria) ed aver superato il controllo dei passaporti, abbiamo ritirato i nostri bagagli e ci siamo portati all’uscita dell’aeroporto alla ricerca di uno sportello per il cambio del denaro. Abbiamo cambiato 50 Euro a testa in Scellini Tanzaniani (1 Euro = 928 Scellini). Ad attenderci abbiamo trovato Natanaele: un inviato del vescovo che con il suo Land Rover Defender passo lungo avrebbe dovuto accompagnarci al Terminal degli autobus con destinazione Iringa.

Viaggio corto – circa 15/20 minuti – ma straziante: da notare che eravamo all’interno di una jeep in otto (compreso ovviamente l’autista) più almeno un paio di bagagli a testa conteggiando le valigie ed i bagagli a mano.

Al capolinea degli autobus Natanaele ci ha salutato ed ha trattenuto i nostri biglietti aerei (ce li avrebbe poi restituiti alla partenza).

La compagnia leader nell’East Africa per il trasporto passeggeri su gomma è la Scandinavia Express Princess Class, contraddistinta da autobus notevolmente migliori rispetto a quelli in circolazione in Tanzania e muniti di impianto Hi-Fi e televisione con videoregistratore. Da notare di particolare che questi autobus riportano sul lunotto posteriore le seguenti parole: “IN GOD WE TRUST”, poiché la compagnia è cristiana. Ne abbiamo incontrati alcuni di compagnie musulmane con su scritto “IN ALLAH WE TRUST”.

Gli autobus di questa compagnia, notevolmente costosa per la realtà africana (8000 scellini a persona, in totale 56000 scellini per il nostro gruppo), sono utilizzati da una minoranza della popolazione locale che spesso è costretta dalla povertà a coprire notevoli distanze a piedi o in taluni casi tramite l’ausilio di una bicicletta made in Cina.

Il viaggio Dar es Salaam – Iringa è stato particolarmente pesante: siamo partiti alle ore 10.30 dal Terminal ed abbiamo percorso 550 Km. Verso Ovest in direzione del confine col Ruanda, in otto ore, effettuando numerose soste (circa una decina) in molte delle piazzole di servizio adibite a mercati ove i venditori, dei più disparati articoli, rincorrevano gli autobus avvicinandosi ai finestrini e sollevando la loro merce.

Banane, canna da zucchero, pesce secco, cipolle, ed altri beni di produzione locale gli articoli più comuni.

Il percorso è stato lungo e tortuoso ed interrotto dalla presenza di numerosi e pronunciati dossi artificiali – specialmente in prossimità dei centri abitati – che costringevano l’autista a fermarsi per superarli.

Durante questo tragitto, spettacolare dal punto di vista dei paesaggi, abbiamo avuto modo di scorgere tutto ciò che rende l’Africa un luogo unico al mondo: dai poverissimi sobborghi di Dar es Salaam fino alla sconfinata savana popolata, all’interno dei parchi nazionali, da numerosissime specie animali.

Abbiamo attraversato il Parco Nazionale di Morogoro ove abbiamo potuto ammirare giraffe, zebre, elefanti, babbuini, impala, gnu e facoceri; l’autista si è fermato diverse volte per evitare gli animali sulla carreggiata stradale.

La strada da noi percorsa per raggiungere Iringa è in buono stato di conservazione ed agevole poiché asfaltata: è impressionante pensare che collega Il Cairo col Sud Africa tagliando il continente nero da nord a sud in tutta la sua lunghezza. Parte di questa strada è stata costruita da un’ impresa italiana.

Alle 18.00 siamo giunti al capolinea ad Iringa dove, ormai stremati dal lunghissimo ed ininterrotto viaggio, abbiamo trovato ad attenderci una “delegazione” della diocesi che ha provveduto al nostro trasferimento fino alla missione di Itengule. Altri 170 Km. Di strada – di cui 30 di strada bianca – divisi questa volta su due automezzi: un Land Rover dell’Arcivescovato di Iringa ed un Suzuki della missione, condotto da colui che sarebbe stata la nostra guida nei giorni a venire e cioè il parroco di Itengule Baba (che in Kiswahili significa Padre) Battista; un soggetto piuttosto tarchiato che conosceva il Kiswahili, l’ Inglese ed un po’ di Italiano e con uno sfrenato interesse per film d’azione particolarmente violenti.

Alle 21.30 del 18.08 siamo arrivati alla sospirata missione e siamo stati accolti festosamente da un gruppo di ragazze diciotto – ventenni che dopo aver ballato e cantato per darci il benvenuto si sono accollate il peso, non indifferente, dei bagagli e li hanno portati nelle nostre rispettive camere. La missione è risalente agli anni trenta ed è stata costruita dai Padri della Consolata di Torino nel 1933 che dopo averla eretta ed avviata l’hanno lasciata per fondarne altre.

Essa è posta su di un altopiano a 1365 metri di quota delimitato ad ovest da un fiume chiamato Little Ruaha e battuto continuamente dal vento; è inoltre da precisare che in Agosto in Africa è inverno e per mesi non piove: le prime piogge investono questi territori in Novembre e continuano fino a Maggio; periodo estivo che risulta essere il più pericoloso anche per quanto riguarda la presenza di zanzare malariche. Per tutto il periodo in cui noi abbiamo soggiornato ad Itengule non abbiamo riscontrato la presenza di zanzare. L’organizzazione della missione è la seguente: la chiesa svetta imponente su tutte le altre costruzioni ed è il fulcro di vita dell’abitato; subito dopo, in termini di importanza, vi sono i due edifici riservati uno al parroco e posto all’ingresso della missione – edificio nel quale abbiamo mangiato per tutto il periodo del nostro soggiorno – ed uno alle suore, posto poco oltre la chiesa.

Questi sono gli edifici posizionati al centro del complesso insieme all’infermeria, ad un mulino che serve per macinare il granoturco, e ad una nuova costruzione che, una volta terminata, sarebbe poi diventata la sede del dispensario nonché il centro di soccorso ed assistenza ai malati, a sostituzione di un esistente e fatiscente ospedale. A delimitazione della missione sono invece posti un lungo fabbricato ad L nel quale si trovano la cucina, una sartoria, una stanza con un grosso barbecue, un’ aula per le lezioni di cucito – munita di macchine da cucire a pedale SINGER – e le camere delle ragazze che, in attesa del matrimonio, imparano un mestiere.

Attigui alla camera da letto vi sono i fabbricati (precisamente tre), sui quali noi saremmo poi dovuti intervenire, ed oltre a questi la scuola e lo stabile che contiene le nostre camere doppie e con bagno munito di doccia, particolarmente lussuose, tenuto conto del livello di povertà generale.

Nelle camere, collegate da un lungo porticato posto a copertura degli ingressi, siamo così disposti: nella prima camera da sinistra verso destra io e Rodolfo, nella seconda Giuseppe e Giovanna, nella terza Don Lino e Lucio e nella quarta ed ultima Marta (e nell’ultima settimana Anna, una ragazza appartenente ad un altro gruppo missionario sempre di Bologna che ha prestato servizio ad Iringa dai primi di Agosto. Anna, terminato il suo periodo di attività in Arcivescovato, è rimasta un’altra settimana in Africa volendo aiutare anche la missione di Itengule per poi tornare in Italia col nostro volo). Tutte le costruzioni della missione sono in mattoni fabbricati a mano e coperte da un’ orditura portante e di ripartizione in legno; il manto di copertura è in tegole stondate di cotto caratterizzate da un gancio sempre di cotto che ne permette l’ancoraggio ai travetti di legno o alle canne di bambù, spesso usate al posto dei travetti.

Interessante è il mulino al quale si recano le genti che abitano nei villaggi al di fuori della missione per far macinare il granoturco da loro coltivato e raccolto. Il mulino in sé è tipo un grosso macinino mosso da un motore a nafta. Il lavoro che ci è stato affidato consiste nel demolire il tetto di tre edifici coperti in tegole e da ricoprire in un futuro con lamieroni sostenuti da nuove capriate. In lamiera è già stata coperta la chiesa e parte dell’edificio ad L prima citato.

L’opera di smontaggio delle tegole è stata particolarmente faticosa in quanto, per mezzo di un ponteggio allestito, abbiamo tolto, a due a due facendo attenzione a non romperli, tutti gli elementi di copertura e li abbiamo accatastati in modo ordinato di taglio in attesa di essere riutilizzati per riparazioni o ceduti a terzi. Il 23/08 abbiamo iniziato invece la demolizione della struttura portante del tetto e quindi la rimozione dei travetti e delle pesanti capriate che abbiamo provveduto a far crollare all’interno. Durante questa operazione due di noi (Rodolfo e Giuseppe) si sono leggermente feriti a causa di un crollo improvviso di una trave. Il 23/08 ci è toccata anche la terza dose di Lariam, Il farmaco per la profilassi antimalarica! La sveglia della missione è un grosso cerchione da camion appeso per mezzo di un filo ad una struttura di legno; questo, suonato con un batocchio, funge da campana per l’annuncio della Messa che tutti i giorni viene celebrata alle ore 7.00 del mattino.

Le Messe sono particolarissime, soprattutto la domenica, e lunghissime (due ore); in gran parte cantate e con l’offertorio ballato. Don Lino per tutto il periodo in cui siamo stati in Africa ha letto il vangelo in Kiswahili, ottenendo i complimenti di tutti noi data la difficoltà non indifferente di pronuncia di moltissime delle parole di questa lingua.

A tavola il menù a pranzo e a cena è praticamente fisso ed identico tutti i giorni a parte per le occasioni particolari; in generale abbiamo da mangiare due primi che constano in riso condito con sugo di pomodoro e spaghetti sempre con pezzi di pomodoro con peperoncino; un secondo con contorno che comprende patate lesse o fritte, carne di gallo e verdure cotte; banane piccolissime, arance, mandarini e papaja come frutta ed infine pane dolce o fatto con la margarina. Da bere acqua in bottiglia (molto costosa), due tipi di birra (meno costosa): la Safari e la Kilimanjaro, e Coca Cola.

Forte risulta essere per noi bianchi l’ odore della pelle nera, opprimente soprattutto nei luoghi chiusi e anche quindi durante i pasti: odore al quale non ci siamo immediatamente abituati.

La colazione consiste in un uovo fritto o della frittata, sempre il solito pane dolce con marmellate di frutti misti, latte caldo, the caldo, caffè solubile (proveniente dall’Italia) con zucchero di canna.

Per il pranzo siamo partiti dalla nostra Nazione muniti – da buoni italiani – di tigelle, salame, prosciutto e forma per condire la minestra: tutti alimenti che anche Padre Battista (unica persona della missione che mangiava con noi) ha apprezzato, specialmente dopo che in Scellini gli abbiamo riferito il prezzo al Kg.!!! Due sono le ragazze che ci servono al tavolo e che ci versano l’acqua per lavarci le mani all’ingresso della sala da pranzo; una delle due di nome Domenica proprio prima che partissimo per l’Italia è stata morsa da un cane con la rabbia che si aggirava affamato per la missione e che vedendola con gli avanzi della cena l’ha aggredita mordendola ad una caviglia. Dopo essere stata medicata in malo modo dall’infermeria e dopo essere stata sottoposta all’iniezione contro la malattia, Marta, infermiera all’ Ospedale Maggiore di Bologna, le ha nuovamente disinfettato la ferita e rifatto una fasciatura degna di questo nome. Speriamo tutt’oggi in un suo ottimo stato di salute.

L’acqua è pochissima, gli abitanti della missione usano quella del fiume anche da bere, noi solo per farci la doccia dato il colore giallognolo della stessa! L’acqua delle docce è fredda, la calda viene fatta bollire dalle ragazze in un mezzo bidone di latta posto in centro alla missione sotto il quale viene acceso il fuoco e ci viene poi portata in camera dalle ragazze dentro a bidoni di plastica.

L’acqua da bere viene acquistata al mercato di Makambako, una città distante una settantina di Km. Circa da Itengule.

I fine settimana, poiché solo il sabato mattina si lavora mentre di riposo sono il sabato pomeriggio e la domenica, approfittiamo per visitare i villaggi posti al di fuori delle mura di cinta della missione; qui il livello di povertà è assai più marcato ed evidente e le case risultano costruite in terra rossa e coperte a paglia poiché sarebbe troppo dispendioso coprirle in lamiera. Un grosso problema risulta essere per le abitazioni quello delle piogge che, essendo torrenziali da novembre a maggio, causano spesso crolli disgregando i mattoni e penetrando attraverso la copertura.

I lavori che queste persone svolgono sono svariati: dall’allevamento di mucche di una razza locale con una protuberanza sul garrese, alla produzione del pombe, una bevanda alcolica a base di granoturco. Diverse sono, lungo la strada, le bancarelle che vendono alimenti di ogni tipo.

La gente del villaggio è molto ospitale e ci invita in casa orgogliosa. L’interno delle case è arredato con panchetti di legno scavati in un unico tronco sui quali gli occupanti della casa si siedono per mangiare; le pareti sono spesso tappezzate di ritagli di quotidiani o riviste ed appesi al soffitto si trovano talvolta festoni.

Al di fuori della missione l’alimento base è la polenta di granoturco, una polenta bianca che viene a volte condita con verdure cotte.

Tutti i bambini che incontriamo ci chiedono le “pipi” ovvero le caramelle in Kiswahili.

E’ lunedì mattina e siamo pronti già all’alba a portare avanti il nostro incarico. In cinque giorni abbiamo finito di togliere ed ammassare le tegole aiutati dalle ragazze della scuola di cucito (grandi lavoratrici) che tramite una lunghissima catena di passamano le hanno portate dal ponteggio fino al luogo di stoccaggio; un grosso aiuto ce l’hanno dato anche Bonus Mbeni, un ragazzo muratore che per tutto il periodo ha collaborato con noi e Tomasi Kiwale, il falegname della missione che, da ultimo, ha timidamente chiesto 20.000 Scellini a Don Lino per poter comprarsi una pialla a mano e mettersi in proprio.

Apolino Tossi, il mugnaio del mulino della missione, essendo piuttosto tarchiato, più che aiutarci materialmente sul lavoro ci ha fatto da guida in due delle nostre escursioni domenicali.

Onorato Kahemela, fratello di Bonus, ci ha fatto visitare la sua casa molto accogliente poiché abita in un edificio della missione; è un edificio costruito in muratura e coperto a tegole; ci ha inoltre presentato sua moglie e i suoi figli, uno dei quali molto piccolo, ed infine ci ha portato a casa di Bonus, nel villaggio, dove abbiamo avuto modo di incontrare solo la giovane moglie poiché lui era ad annaffiare l’orto.

Le due maestre sarte: Scholastika Lukosi ed Emmy Mdendemi, sin dai primi giorni si sono mostrate interessate ad apprendere parole di italiano. La prima è veramente portata alla pronuncia, mentre la seconda ha alcune difficoltà poiché in generale la gente non riesce a pronunciare insieme determinate consonanti. Le due ragazze, sempre vestite con abiti eleganti, sono le uniche esterne alla missione, ma che vi lavorano e percepiscono uno stipendio. Uno dei primi giorni ci hanno preso le misure per avere il tempo di cucirci una camicia tipicamente tanzaniana, realizzata con una stoffa acquistata a Makambako sulla quale è stampata la bandiera della Tanzania e il simbolo dell’AMCEA e riportante la scritta “karibu Tanzania” ovvero “benvenuti in Tanzania”.

A me hanno inoltre confezionato un simpatico cappello (kofìa) coloratissimo da aggiungere alla mia collezione.

Ad Emmy e a Scholastika abbiamo insegnato diversi giochi con le mani e svariati scioglilingua stimolando in loro grasse risate; alla prima, così come a tutto il gruppo di ballo della chiesa che si esercita la sera, Rodolfo ha inoltre insegnato a ballare il twist ed una ragazza esile esile è addirittura caduta nel farlo poiché i loro balli non sono poi tanto movimentati! Tornando ai nostri lavori, è stata la polvere l’elemento che più ha identificato il nostro soggiorno ad Itengule durante tutto il periodo di demolizione. A sollevare i granelli di sabbia finissima incastrati tra le tegole vecchie di 60 anni, è stato il vento incessante ma utilissimo per combattere il caldo abbastanza accentuato per la stagione ed equiparabile a quello di una nostra estate.

Uno dei primi giorni di lavoro Marta si è ferita cadendo e subendo una storta ad una caviglia, piccolo infortunio che però l’ha immobilizzata per un po’; un piccolo graffio in faccia per Rodolfo ed uno leggermente più profondo in uno stinco a Giuseppe: questo il bollettino feriti.

Io, Lucio e Giovanna, mentre il resto del gruppo abbatteva gli ultimi travi maestri, ci siamo recati al di fuori della missione per fotografare la flora locale, di fauna neppure l’ombra perché gli animali al di fuori dei parchi vengono cacciati e mangiati. Nel nostro girovagare abbiamo scorto la solita gente indaffaratissima, persone che si spostano a piedi o in bicicletta poiché la jeep è un bene di lusso e se ne scorgono molto poche, ed animali che scorrazzano ovunque: galline in quantità, capre, “mucche dromedario” così definite da qualcuno di noi, ed alcuni maialini. Rari e tutti uguali i pochi cani presenti di colore giallo.

La mattina di mercoledì 21/08 io e Lucio abbiamo accompagnato Padre Battista al mercato di Makambako ove ci siamo recati per acquistare cartoni di acqua minerale, frutta e per comprare una batteria da auto nuova per la radio, stazione posta nell’edificio delle suore che ci serve per tenerci in contatto con la missione di Usokami collegata anch’essa al Centro Missionario bolognese. All’andata ci siamo fermati per fotografare alcuni spettacolari canyon di una terra rossissima.

Da Makambako abbiamo inoltre telefonato in Italia: Lucio ha chiamato Graziella ed il collegamento è stato immediato; non esistono cabine telefoniche, le chiamate si effettuano da un ufficio tramite un telefono di rete comune mentre l’addetto allo sportello cronometra il tempo di comunicazione. La spesa è stata di 7600 Scellini per 3 minuti di conversazione.

In un attiguo ufficio postale abbiamo acquistato le cartoline: 40 (anche per il resto del gruppo) che sono costate 200 Scellini l’una più 400 Scellini l’una di francobollo.

Makambako risulta essere abbastanza grande, popolata da circa 25.000 persone in buona parte musulmane. La prima impressione che abbiamo avuto io e Lucio è che fosse piuttosto pericolosa. In città, specialmente i musulmani, fotografie non ne vogliono ed un tale si è addirittura arrabbiato con noi dopo che io avevo fotografato un grosso cartellone – forse di sua proprietà – raffigurante Bin Laden in mimetica e sullo sfondo la bandiera americana; dopo averci urlato qualcosa dietro l’ha coperto. Un’altra foto a rischio è stata scattata ad alcune bancarelle del mercato colme di banane verdi, ma questa volta l’autorizzazione l’ha chiesta Baba Battista e non ci è stato impedito lo scatto. La cosa più curiosa è stata che, prima della foto, tutti i venditori si sono nascosti dietro i rispettivi banchi o si sono coperti coi loro kanga. In missione – dove la totalità è cristiana – le cose sono diverse, anzi l’opposto direi: è la gente stessa a chiederti una picha ( = foto).

Al mercato abbiamo quindi comprato 20 cartoni di acqua contenenti bottiglie da 1,5 l. Che abbiamo pagato con la cassa comune. 14 per il gruppo, (2 per camera) e 6 per la cucina della missione (il quantitativo che il Baba compra solitamente ogni 15 gg.).

Ci siamo poi trasferiti al mercato della frutta: piramidi alte 1,5/2 metri di arance, cipolle rosse, canna da zucchero, mango, banane piccolissime ed altre molto grosse da friggere, papaje, ed altre varietà particolari di frutti locali.

Un acquisto che abbiamo fatto con la cassa comune è stato quello delle caramelle per i bambini della missione: 3 pacchi da 1 kg. A 550 scellini l’uno. Marca: BIBI.

La sera di giovedì 22/08 abbiamo assistito al cerimoniale saluto che la comunità di Itengule ha dato a due giovani suore che per 3 mesi hanno vissuto nella missione.

Il ritorno al Noviziato è stato allietato dai canti e dai balli delle solite bravissime ragazze che hanno offerto anche a noi la possibilità di assistere ad un autentico spettacolo.

La catechista ha poi donato un presente alle suore che si sono commosse. I discorsi del Padre, della suora più anziana e delle due giovani – che hanno anche cantato – hanno concluso la cerimonia di addio. Il 24/08 abbiamo festeggiato il compleanno di Don Lino! Credo che per lui sia stato il compleanno più particolare.

La giornata è cominciata con la Messa (ore 6.15!) e come sempre le ragazze del coro hanno cantato per quasi tutta la funzione con la loro acutissima voce.

Don Lino ha, come di consueto, letto il Vangelo in Swahili cavandosela egregiamente.

Alle ore otto la colazione, ma solo dopo la “cerimonia” del lavaggio delle mani: Sr. Concepta Maki, suora del gruppo delle “teresine sisters”, con una brocca versava l’acqua calda sulle nostre mani, acqua che da qui cadeva nella sottostante catinella di raccolta. Colazione, pranzo e cena erano preceduti dalla preghiera che a volte veniva detta da Padre Battista in Swahili ed a volte da Don Lino in Italiano.

La giornata è continuata con una mattinata di lavoro (demolizione con la mazza di muri divisori) e, a pranzo, con la festa in onore di Lino per il quale è stata preparata anche una torta tipo ciambella ma coperta di palline colorate di zucchero e zucchero in polvere vanigliato. Sempre il 24 le ragazze hanno provveduto a sostituire le lenzuola dei nostri letti ritirando le sporche: dato il quantitativo di polvere presente direi che è stata un’ ottima idea.

La sera in missione ad attenderci abbiamo trovato un pittore che vendeva le sue tele al prezzo di 4000 Scellini l’una. Ne abbiamo comprate due a testa.

Domenica 25/08/02: in Tanzania era l’Essenza Day ovvero il giorno del Censimento della popolazione che si tiene ogni 20 anni. Padre Battista ha richiesto anche i nostri dati in quanto vengono censiti anche i turisti presenti in Tanzania in questo giorno.

Questa era la data della prima nostra domenica a Itengule: per gli abitanti di questi posti è un giorno particolarmente importante e veramente di festa. Colazione anticipata alle 7 e Santa Messa alle 7.30.

Due ore intere di canti e di stupenda coreografia.

La raccolta delle offerte si svolge in modo diverso che da noi: un cestino viene posto di fronte all’altare dai chierichetti e tutta la gente che ha intenzione di fare un’offerta porta la propria moneta nel cesto. Questo metodo richiama alla mente, sicuramente più del nostro, l’idea di offerta.

L’odore della pelle nera in chiesa è molto accentuato, soprattutto quello delle donne, ed a qualcuno dei nostri ha dato inizialmente un po’ fastidio. Molta gente purtroppo non profuma in quanto percorre svariati chilometri a piedi per assistere alla Messa, provenendo spesso da villaggi lontani.

Rodolfo, dopo la prima ora di Messa, è fuggito nel bel mezzo della “pesantissima” predica in Swahili.

Al termine della Messa, girandoci, ci siamo resi conto che la chiesa era praticamente piena; la gente arriva poco alla volta forse proprio a causa della distanza.

I giovani ragazzi cantano facendo i bassi e suonando il tamburo, le ragazze gli acuti.

La domenica pomeriggio è riservata alle escursioni: meta di questa domenica era Malangali, un centro a 5/6 Km. Ad est di Itengule. Durante il percorso abbiamo incontrato diverse persone che ci hanno ospitato ed invitato a visitare le loro case. Abbiamo visto fabbricare i mattoni di argilla per le case e per la chiesa di Malangali ancora in costruzione.

Gruppi enormi di bambini ci assalivano per avere caramelle e fotografie; alcuni li abbiamo fotografati in compagnia dei loro rudimentali giochi (cerchi e monopattini artigianali).

Relativamente alla distanza da percorrere per giungere a Malangali abbiamo ricevuto dalla gente ipotesi contrastanti: la concezione che la gente di questi posti ha in merito alla distanza in Km. È piuttosto vaga e confusa forse proprio a causa della vastità dei luoghi o della scarsità di segnaletica stradale.

A lato strada abbiamo intravisto all’andata un grosso serpente velenoso morto, probabilmente travolto da un’auto: la cosa ci rassicura! I mezzi che circolano in Tanzania sono pochi e spesso fatiscenti, sono più quelli fermi a lato strada per guasti che quelli in movimento. I mezzi hanno la precedenza sui pedoni e sfrecciano a velocità folle sulle piste bianche suonando senza rallentare minimamente e inducendo quindi alla fuga animali, pedoni e ciclisti. In Tanzania si guida a sinistra.

Ci è inoltre capitato di viaggiare di notte e, come è semplice immaginare, i pericoli sono di gran lunga superiori poiché i camionisti – molto frequenti – viaggiano con gli abbaglianti ed il nostro autista è costretto a viaggiare in centro strada mantenendosi sulla direzione dei fari del camion per evitare di uscire di strada non vedendo assolutamente il ciglio stradale: solo all’ultimo minuto lo scarto per evitarlo. Quando due mezzi si incontrano i rispettivi autisti accendono la freccia di destra l’uno per indicare all’altro l’ingombro del proprio automezzo e per evitare che qualcuno li sorpassi. Le strade della Tanzania sono per lo più dritte e caratterizzate da ampi dossi che permettono di oltrepassare gli altipiani. Don Lino ad una bancarella ha comprato, per 150 Scellini, un pezzo di canna da zucchero che ci ha fatto assaggiare. La canna va innanzitutto spezzata, sbucciata e succhiata e solo alla fine masticata per di togliere anche l’ultimo zucchero rimasto tra le fibre. Abbastanza buona.

La sera, rientrati in missione, abbiamo trovato Padre Battista alle prese con uno dei suoi film di inaudita violenza. Siamo arrivati alla conclusione che questi film erano di particolare gradimento a tutti i tanzaniani poiché, anche in autobus da Dar ad Iringa, l’unico film che ci hanno mostrato per televisione era sul genere. Tutti chiaramente film cinesi.

Un’altra interessante escursione è stata quella alla Secondary School di Itengule posta su di un altopiano a nord-est della missione. All’andata, accompagnati da un gruppo di bambini tra i quali anche Sabina (una bimba divoratrice di pipi), e da Apolino, abbiamo scattato diverse foto a strane piante tra le quali alcuni alberi che come frutto producevano palle verdi e legnose (chiamate MNYOWA) che noi abbiamo raccolto e utilizzato per giocare a bocce.

La scuola è di nuova costruzione e sono appena iniziati i lavori per un ampliamento; è una scuola mista (maschi e femmine), di tipo “generale” cioè con diverse materie sul genere delle nostre superiori. All’ingresso della scuola abbiamo incontrato una giovane maestra inglese che presta servizio in Africa.

Coi ragazzi della missione abbiamo intrapreso partite di calcetto, di basket e gli abbiamo addirittura insegnato le regole delle bocce. Florian, un bambino orfano adottato dalla missione, si è mostrato molto interessato a quest’ultimo gioco specialmente quando in premio c’erano delle caramelle! Io e Lucio ci siamo inoltre recati in chiesa per assistere alle prove di canto dei più piccoli diretti da una ragazza della missione maestra di canto. Quando ci siamo resi conto di essere causa si distrazione siamo usciti salutandoli con un applauso.

Un altro giorno ci siamo recati a visitare la casa di Elic Mlomo (Enrico), un ragazzo trentenne sposato con due figli (Samuele e Agnese) che ha lavorato, nel periodo i cui noi siamo rimasti in missione, al dispensario come imbianchino. Enrico, forse il più povero tra tutti i ragazzi che abbiamo conosciuto, ci ha ripetutamente invitato a casa sua, così un giorno ci siamo recati al suo villaggio – costituito da pochissime case (la sua era isolata) – muovendoci in direzione sud rispetto alla missione ed oltrepassando il cimitero. Questo luogo merita una notazione particolare: tombe in muratura con croci di cemento stampate con l’ausilio di un calco di metallo; colore predominante il bianco; alcune croci riportano il nome del defunto, la data di nascita e quella di morte; abbiamo così potuto dedurre che la vita media – all’interno della missione – si aggira intorno ai 70 anni. Fuori la mortalità, purtroppo soprattutto infantile, è molto più alta.

Proseguendo 2 km. C.A. Oltre il cimitero siamo poi giunti alla casa di Enrico che ci ha invitato ad entrare (karibu = avanti) e ci ha mostrato la sua casa composta da due piccoli edifici sistemati ad L; nel primo vi era la cucina (un vano vuoto per il fuoco) e nella seconda la sala da pranzo (4 o 5 sgabellini di legno), infine nell’altra costruzione, di terra coperta a paglia come la prima, la zona notte nella quale non siamo entrati. Elic, parlando un po’ l’ italiano, ci ha mostrato tutto ciò che aveva e cioè una decina di fotografie sue, dei suoi parenti ed alcune che i gruppi che ci hanno preceduto (uno bolognese ed uno del Trentino) gli avevano scattato poi spedito.

Parlando con Enrico abbiamo fatto un calcolo sommario di quanto costerebbe coprire la sua casa in lamieroni rimuovendo la paglia e risolvendo il problema piogge… 18 lamieroni occorrenti a 4000 Scellini l’uno per un totale di 72.000 Scellini ovvero circa 72 €, indubbiamente troppo per lui il cui stipendio è di soli 200 Scellini al giorno! Il 26/08 è cominciato, come i precedenti giorni, con un leggero vento che continuamente spira, con Lino che alle 6.30 si è recato a Messa e con le maestre di cucito che hanno terminato di prenderci le misure per le nostre camicie.

Abbiamo finalmente risolto l’enigma del sibilo che tutte le notti si sente dalle nostre camere e che proviene dall’orto delle ragazze antistante la nostra costruzione; inizialmente da noi attribuito ad una persona, che pensavamo malata, abbiamo poi scoperto da Scholastika che si tratta di un barbagianni (bundi) che una sera poi abbiamo visto appollaiato su di un tetto di tegole. Non siamo purtroppo riusciti a fotografarlo! Le due ragazze maestre di cucito ci hanno tenuto compagnia invitandoci nel loro laboratorio e, col loro simpatico modo di fare sempre sorridente, hanno addirittura insegnato a Rodolfo a cucire a macchina … con pessimi risultati.

La sera è abitudine soffermarsi a guardare le stelle, quelle stelle che dal nostro emisfero non si vedono tipo la costellazione della Croce del Sud composta da quattro stelle verticali e tre disposte orizzontalmente, tutte posizionate nella direzione cardinale sud. La croce ha il montante verticale dritto e i bracci leggermente inclinati verso destra. Le stelle sono molte di più, la volta celeste immensa e la Luna appare molto più grande. Dopo che il Baba toglieva la luce spegnendo il generatore della missione (verso le 22.00) le stelle erano le uniche cose che era possibile vedere.

Il 26/08 è anche venuto a farci visita il vescovo Tarcisius, ha pranzato con noi ed ha accompagnato Anna Bestotti, la ragazza che si è aggiunta al nostro gruppo dopo aver lavorato ad Iringa con altri missionari di Bologna dal 7 agosto. Anna studia lingue e così finalmente abbiamo un’interprete.

Il vescovo ha accolto la nostra richiesta di visitare il National Park Ruaha mettendoci a disposizione una jeep ed il suo segretario come autista: Peter che parla bene italiano (e il dialetto siciliano) così come il vescovo che, avendo studiato a Roma, conosceva già anche Don Lino.

Lino ha approfittato della presenza del vescovo per strappargli un passaggio per Usokami dove si è poi recato per qualche giorno per salutare gli amici ed i colleghi che aveva lasciato due anni prima. Oggi è anche cominciato lo sgombero delle macerie che abbiamo prodotto con la demolizione. Giuseppe guida il trattore della missione: un mezzo iracheno del 1980, modello 735 con le gomme anteriori diverse tra loro e targato IR 5433. Lo sterzo durissimo! Il carro era un carrello militare costruito a Napoli nel ’62 e adattato al trattore. Veniva utilizzato per il trasporto dei sacchi di farina dal villaggio al mulino della missione… noi l’abbiamo utilizzato per il trasporto di rifiuti edili! Il lavoro di trasporto macerie è continuato anche per tutto il giorno successivo, il 27/08 e, dato che il carro non era munito di ribaltabile e doveva essere ribaltato manualmente, la nostra tecnica andava via via affinandosi. Rodolfo, in uno dei primi viaggi, ha lasciato una mano sotto il carro e, pur avendo il guanto, si è ferito ad un dito. Ripensandoci gli è andata molto bene se si pensa che il carro pesava 8 quintali vuoto più il peso delle macerie al suo interno! Tutte le cose che inizialmente ci sembravano strane sono ora normali: gli odori, l’igiene, la mancanza di luce, i cibi, abbiamo addirittura fatto l’abitudine anche alla polvere.

Il 31/08 abbiamo accolto festosamente Don Lino che è rientrato da Usokami e ci ha raccontato le sue esperienze.

Abbiamo intanto lasciato alle ragazze della sartoria il dizionario Italiano – Swahili / Swahili – Italiano di Lucio e ci siamo scambiati gli indirizzi. Le nostre camicie sono quasi finite! Io ho inoltre lasciato a Sr. Concepta pennarelli e penne per la scuola ed una copia del nostro dizionarietto tascabile frutto delle lezioni di Swahili che Don Lino ci ha organizzato prima della partenza per l’Africa. Per quanto riguarda lo stato dei lavori … concluso il trasporto di macerie Giuseppe e Bonus, muratori coadiuvati da svariati manovali, hanno murato due file di mattoni sui quali poi dovrà essere poggiato il nuovo coperto. La sabbia siamo andati a prenderla col trattore dal letto del fiume e l’impasto consiste in 1 sacco di cemento per 6 carriole di sabbia! Alle 12.00 del 31/08 abbiamo considerato chiuso il cantiere, chiuso fino al prossimo anno in cui altri gruppi provvederanno a coprire lo stabile; per ricordo ci siamo fatti scattare una foto di gruppo a memoria del “Demolition group”.

Il pomeriggio Apolino e Tomasi ci hanno portato un album di foto da guardare, una immortalava uno splendido fiume immerso tra bianchissimi canyon. I due ragazzi si sono prestati per accompagnarci a visitare questo luogo e noi, indossati gli scarponi, li abbiamo seguiti.

Don Lino e Lucio sono rimasti in camera a riposare e a chiacchierare del più e del meno.

Dopo aver attraversato il villaggio posto immediatamente fuori la missione, ci siamo trovati in una zona totalmente coperta dai tipici arbusti della savana e, raggiunta la fine dell’altopiano, abbiamo cominciato a scendere fino ad incontrare il fiume. Qui abbiamo da subito notato uno spiazzo in terra battuta che le mucche si erano ricavate per poter dissetarsi e, guardandoci intorno, ci siamo trovati immersi in un paesaggio che nulla aveva a che fare con quello precedentemente visto: canyon scavati dall’acqua e dal vento, sculture di una sabbia bianchissima cementificata create dall’erosione ed infine una distesa di ghiaino composto da frammenti di granito rosa mescolato ad altre pietre verdi, bianche e nere.

Dopo alcune foto insieme ad Apolino, Tomasi e Emmy (che si era aggregata successivamente), abbiamo lasciato quel particolare luogo contenti di averlo visitato.

Sulla strada del ritorno abbiamo avuto modo di vedere un grosso tronco scavato al suo interno ed adibito ad arnia per le api e moltissime piante i cui frutti li abbiamo conservati. La sera abbiamo portato a Padre Battista gli indumenti che abbiamo deciso di lasciare; provvederà lui a metterli in vendita ad un modico prezzo in modo da non creare condizioni di favoritismi.

Gli abbiamo lasciato anche 110 € a testa (un anticipo gli era già stato dato) per il vitto e l’alloggio, e le offerte dei paesani di Castelluccio.

Qualche indumento lo abbiamo regalato di nascosto ai nostri amici (o meglio rafiki = amico): una camicia a Enrico, una a Tomasi insieme ad un paio di scarpe, un paio di occhiali ad Apolino e la tuta da lavoro di Rodolfo con cappello e guanti a Bonus. Dimenticavo, il mio cappellino a Florian anche se ora probabilmente qualche ragazzo più grande glielo avrà già rubato, situazione alla quale abbiamo già assistito ma che siamo fortunatamente riusciti a risolvere! La verità è che in Africa vige la legge del più forte non solo fra gli animali! Il primo settembre 2002 è stato l’ultimo giorno che abbiamo trascorso a Itengule. La sera del 31/08 è stata la tragica sera in cui il cane rabbioso ha morso Domenica così oggi Marta ha provveduto alle medicazioni del caso.

Il cane era stato poi inseguito dagli abitanti spaventati con asce e sassi senza però riuscire a prenderlo. Sr. Concepta ha messo me e Lucio in guardia dal momento che, durante il trambusto, eravamo in giro per foto. Purtroppo malattie che in Italia sono curabilissime, in Africa possono invece risultare molto pericolose.

Essendo domenica ci siamo presentati a Messa tutti con la nostra camicia (le camicie delle donne sono particolari poiché possiedono spalline molto pronunciate) e al momento dell’offertorio – al quale hanno partecipato anche Marta, Anna e Rodolfo portando i doni – i bambini hanno danzato insieme ad alcuni personaggi caratteristici vestiti da masai (che abbiamo saputo dopo non parlare neppure lo Swahili) e seguiti dai ragazzi più grandi che, legati ai piedi, avevano rumorosi campanelli, mossi a ritmo di musica.

Al termine della funzione ci hanno fatto accomodare su una panca all’ingresso della chiesa e, dopo che una numerosa folla – soprattutto di bimbi – ci ha circondato, sono cominciati i festeggiamenti e i balli in nostro onore. Voleva essere una cerimonia di ringraziamento per il lavoro da noi svolto e per la nostra compagnia; un contadino ha offerto a Don Lino un gallo vivo legato per le zampe che poi le cuoche ci hanno cucinato a cena.

Finiti i balli in nostro onore, Don Lino, Marta, Anna, Rodolfo, Giuseppe e Giovanna hanno insegnato ai bambini diversi balletti che Lino aveva danzato all’Estate Ragazzi; tutti in cerchio si sono divertiti per almeno un’ora.

La cena è stata particolarissima. A mangiare erano stati invitati tutti i ragazzi e le ragazze della missione. Un lungo tavolo a L ospitava il nostro gruppo, le suore, il Padre e l’autista inviato dal vescovo che il giorno seguente ci avrebbe accompagnato ad Iringa; mentre lungo le pareti della stanza sedevano i ragazzi. La nostra cena è stata abbondante e completa, quella dei ragazzi a base di riso, fagioli e Coca Cola. Era difficile per noi mangiare mentre questa povera gente ci guardava; sicuramente si trattava di una cena eccezionale anche per loro, ma la differenza tra i due menù era lampante e la cosa ci imbarazzava. Io e Lucio di sottobanco abbiamo allungato pane, frutta e birra a qualcuno di loro.

La cerimonia con la quale ci hanno salutato è stata commovente e simile a quella con la quale hanno salutato le suore; ci hanno invitato uno ad uno a ballare salutandoci e dandoci la mano.

La cerimonia è finita con un discorso di ringraziamento per noi tenuto dal Baba e dalle suore, e da un nostro ringraziamento che uno alla volta abbiamo rivolto – esprimendo i nostri sentimenti – a tutti i presenti. La mattina seguente (02/09) sveglia alle 5.00, il Baba ci ha acceso il gruppo elettrogeno dandoci un’ ora di luce in modo da poter mettere in valigia le lenzuola e le ultime cose poi, terminata la Messa che Don Lino ha voluto dire in chiesa approfittando della corrente, e salutate le ragazze e le suore che appositamente si erano svegliate a quell’ora, alle 6.00 siamo partiti alla volta di Iringa. Qui siamo giunti verso le 8.30 – 9.00 e dopo una fugace colazione a base di pane, marmellata e caffè, il vescovo – che prontamente ci ha accolto – ci ha fatto scaricare dalla jeep i bagagli e ce li ha fatti sistemare provvisoriamente tutti in quella che sarebbe stata la mia camera. Liberatici dei pesanti fardelli siamo saliti su di una grossa jeep a passo lungo e, guidati da Peter che conduceva il mezzo, siamo partiti per il Parco Nazionale del Ruaha. Con noi è venuto anche Baba Battista che, dopo averci “sopportato” svariati giorni, aveva deciso per un giorno di riposo e ci aveva seguito da Itengule ad Iringa col suo Suzuki aggiungendosi alla nostra scampagnata per poter vedere anch’egli gli animali. Lasciato il Suzuki a Iringa è salito sul nostro fuoristrada di fianco a Peter e noi in otto sulle panchette dietro. Per giungere al Parco abbiamo percorso per tre ore una strada totalmente bianca e piena di buche ed avvallamenti. Ancor prima di aver superato l’ingresso del Parco abbiamo cominciato a scorgere i primi animali che consistevano in giraffe che incuriosite dalla nostra presenza si soffermavano a guardarci, qualche zebra ed un gruppetto di scimmie. Alcune faraone, numerose nel Parco, ci hanno attraversato la strada.

Giunti all’ingresso del Parco ci si è presentata un scena meravigliosa, ovvero un paradiso terrestre di savana nel bel mezzo del quale scorreva un fiume popolato da coccodrilli, ippopotami e sulle cui sponde zebre e giraffe brucavano dalle chiome delle acacie.

Mentre Don Lino, Lucio e Rodolfo hanno provveduto a recarsi all’interno della biglietteria per pagare il pedaggio, io ho scattato diverse fotografie. Dopo una foto di gruppo di fronte all’ingresso del Parco Nazionale, siamo risaliti in jeep e, attraversato il ponte che ci separava dalla natura, ci siamo inoltrati alla ricerca degli animali.

Ancora numerose giraffe, elefanti, zebre, impala, gazzelle sono state avvistate durante il nostro tour. Come prima volta ci siamo fermati in un’ oasi riservata ai guardaparco e alle guide: un complesso di diversi edifici con parcheggio per i Land Rover di servizio. Erano parcheggiate qui anche altre grosse jeep scoperte, appositamente costruite per visitare il Parco Nazionale.

Peter e Baba Battista si sono accordati con una guida, che a parer loro era la migliore (15 dollari il suo compenso), e dopo averla caricata sul nostro mezzo siamo ripartiti col fine di scovare i “simba” ovvero i leoni.

La guida ci ha portati all’interno del Parco lungo le piste battute dalle jeep, poi ad un tratto ha detto a Peter di inoltrarsi nella savana sconfinata. Dopo aver seguito per un po’ le indicazioni della guida, e dopo esserci soffermati accanto a quelli che secondo lei erano i possibili punti di riposo dei leoni, ecco che finalmente è comparso di fronte alla jeep un vecchio esemplare maschio disteso sotto un basso arbusto. Dai finestrini del fuoristrada abbiamo scattato diverse foto e filmato con la videocamera la scena. Altre due occasioni in seguito ci si sono presentate per poter vedere i leoni: prima nel letto di un fiume parzialmente in secca abbiamo scorto due giovani maschi che riposavano ed infine proprio sulla strada del rientro altri due begli esemplari sotto una grossa acacia.

Non solo i leoni era nostro interesse vedere: abbiamo avuto modo di contare numerosi branchi di bufali, di scorgere una simpatica famigliola di facoceri (la madre coi piccoli al seguito) e di stare a guardare volteggiare e posarsi la famosa aquila pescatrice nera col capo bianco. Dopo aver visto questi ed altri animali minori, tipo volatili e rettili, abbiamo ripreso la strada del rientro.

Proprio mentre stavamo tornando verso l’uscita abbiamo incrociato sul nostro percorso un gruppo di grossi elefanti. La guida ci aveva messo in guardia sin dall’inizio della pericolosità di questi animali e si era raccomandata di non disturbarli con urla o rumori strani; Peter ci aveva inoltre raccontato che un americano era stato di recente sollevato e ucciso da un grosso elefante da lui fatto innervosire. Tornando a noi … uno di questi pachidermi si è fermato proprio dinnanzi alla nostra jeep e, con gravi barriti, ha cercato di intimorirci ed infine ha caricato arrivando a poco più di un paio di metri dal nostro mezzo. La guida – veramente pratica ed esperta – ha imposto a Peter di non retrocedere bensì avanzare lentamente. Peter ha eseguito gli ordini. Arrivati praticamente a ridosso dell’elefante, Baba, a sedere di fianco al finestrino, ha aperto il vetro e la guida, dopo aver detto al pachiderma qualche parola in Swahili, gli ha battuto ripetutamente le mani fino a quando questo non si è spostato. Peter scherzosamente ci ha poi chiesto se avevamo imparato la tecnica di difesa, ma noi, ancora impietriti dallo spavento, non abbiamo risposto.

Sono del parere che la guida fosse effettivamente eccezionale: riuscire a farci vedere i leoni a mezzogiorno che solitamente si vedono solo mattina e sera (molti gruppi, compreso quello di Anna che c’era già stata i primi di agosto, non sono stati capaci di vederli probabilmente perché mal guidati), riuscire ad individuare praticamente la maggioranza degli animali presenti nel Parco e praticamente tutti quelli più grossi, essere riuscito ad evitare l’impatto con l’elefante; tutte circostanze che hanno fatto della nostra guida una sorta di eroe.

Al ritorno abbiamo scorto anche una famiglia di manguste, diversi babbuini e, prima di riaccompagnare la guida al centro, ci siamo fermati per fare due foto in un letto di un fiume in secca, paesaggio particolarmente pittoresco.

Riaccompagnata la guida al centro, dove abbiamo visto tra l’altro una jeep incidentata che, abbiamo saputo, si era scontrata con un animale (sul cofano c’era del pelo), ci siamo fermati in un punto di ristoro facente parte del complesso, per bere una Coca cola e mangiare alcuni biscotti al cocco, poi siamo ripartiti per Iringa uscendo dal Parco aiutati dai simpatici e caratteristici segnali stradali in muratura che compaiono sui crocevia delle piste.

Baobab secolari e acacie immense facevano da contorno a scenari da documentari.

Per tornare ad Iringa abbiamo scelto una strada secondaria (più sconnessa ma a sentire Peter più corta!) che attraversava diversi villaggi di Masai. Ne abbiamo visti diversi coi caratteristici indumenti rossi e la lancia in mano. Qualcuno si spostava in bicicletta.

Rientrati all’Arcivescovato di Iringa il Vescovo ci ha fatto sistemare nelle nostre camere con i nostri bagagli. Baba Battista sarebbe dovuto tornare indietro a Tosamaganga (sulla strada per il Parco) per gli esercizi spirituali, ma dal momento che il Suzuki era stato portato, su ordine del Vescovo, in officina per riparazioni, ha pernottato con noi a Iringa. La mia camera era l’unica posta nel complesso che ospitava i parroci, sede anche del Vescovo, e a sentire gli altri anche la più confortevole. Le altre camere erano poste oltre la chiesa (cattedrale di Iringa) in una costruzione abbastanza vecchia. Le camere erano tutte singole con i bagni comuni nei corridoi. I letti erano muniti di baldacchino con zanzariera poiché qui qualche zanzara era presente; ci siamo cosparsi di spray antizanzara, muniti di ultrasuoni (Lucio e Lino) ed abbiamo acceso gli zampironi dopodiché ci siamo riuniti per la cena. In quanto a mangiare si rimpiangeva tutti Itengule… benché fossimo in Arcivescovato a tavola col Vescovo e con altri personaggi ecclesiastici di rilievo, la cena è stata – in confronto alle precedenti – povera. A parte una minestra in brodo, ideale dopo una giornata pesante come quella trascorsa, vi era in tavola del riso sempre con pomodoro e della polenta bianca che senza l’aggiunta di verdure non sapeva assolutamente di nulla. Don Lino ci ha informato del fatto che questa sostituiva il pane e ci ha insegnato ad insaporirla.

Sulla tavola vi erano poi tegami ermetici riservati al Vescovo: Lucio nel cercare si afferrarne uno è stato ripreso da un personaggio che sedeva a fianco del Vescovo, sorte che è toccata anche a Baba Battista quando ha cercato di sottrarre una delle arance di Tarcisius.

Finito di mangiare ci siamo ritirati nelle nostre camere stremati dalla pesante giornata e una volta infilati sotto la zanzariera ci siamo coricati in attesa dell’ancor più massacrante giornata successiva. Il caso ha tra l’altro voluto che io non mi addormentassi subito poiché vicino alla mia camera ululava un cane. In compenso la mattina successiva l’altra camerata è stata svegliata dall’”ululato” di un musulmano che predicava all’interno di una moschea. (Qui le moschee nascono come funghi di rimpetto alle chiese al fine di sottrarre a queste i credenti ed impedire lo svolgersi delle funzioni religiose). A me non è toccata una sorte migliore: prima il canto di un gallo, che credevo in camera mia, poi la campana, che annunciava la Messa, posta proprio sopra il nostro stabile.

Per il 03/09 in programma c’era la visita al mercato dell’ebano posto in centro alla città ed il rientro a Dar es Salaam. Una volta svegliati, fatta colazione, salutato definitivamente il nostro Baba Battista e il Vescovo, e caricati i bagagli su una seconda jeep che ci avrebbe raggiunto alla fermata dell’autobus, siamo saliti nuovamente in jeep con Peter che ci ha accompagnato in centro. Qui abbiamo trovato un ufficio che forniva ai clienti servizio telefonico e di fax in modo da poter chiamare l’Italia ed avvisare del nostro arrivo il 5 notte. Con 5600 Scellini abbiamo chiamato casa: Lucio ha chiamato Graziella, Don Lino sua madre ed io Ombretta e Giulio.

In un secondo momento abbiamo visitato il mercato dell’ebano anche se qualcosa avevamo già comprato ad Itengule poiché Baba Battista aveva invitato, su nostra esplicita richiesta, alcuni venditori di questo pregiato legno e che solitamente il fine settimana raggiungevano la missione. Al mercato abbiamo acquistato monili di legno, soprattutto collane da regalare, e qualche alimento tipico che avevamo degustato a cena la sera prima, come l’ hot pili pili, ovvero peperoncino, o la marmellata di mango.

Io e Lucio, fatti i nostri acquisti, siamo tornati alla jeep per paura delle zanzare che numerose si annidavano all’interno dei banchetti, gli altri hanno fatto un giro anche per il mercato della frutta. Anna ci ha raccontato che due delle sue amiche, facenti parte del gruppo col quale ha lavorato ad Iringa, avevano preso la malaria, una delle due proprio al mercato dell’ebano della città mentre l’altra in aeroporto a Dar: affermazione per noi poco rassicurante.

Riunitici siamo ripartiti questa volta per raggiungere il capolinea degli autobus. Arrivati abbiamo trovato la jeep con le valigie che ci aspettava; una volta spostati i bagagli dal fuoristrada al bus, ci siamo congedati da Peter e gli abbiamo lasciato ciò che gli spettava per il disturbo e per il soggiorno e l’ospitalità in Arcivescovato. Siamo poi montati sul torpedone per un nuovo straziante viaggio. Alle 10.30 siamo partiti e solo la sera tardi abbiamo raggiunto il Terminal di Dar es Salaam.

Rivedere Natanaele ed i nostri biglietti aerei, senza i quali saremmo stati bloccati, è stato per tutti un sollievo. Natanaele è stato puntualissimo e di parola ed al nostro arrivo a Dar ci ha accompagnato, con la solita jeep dell’andata, al Kurasini Centre, albergo che ci avrebbe ospitato fino alla nostra partenza. Fortunatamente anche questo viaggio non è stato lunghissimo (circa 30 minuti) poiché questa volta eravamo in nove con l’autista più i bagagli! Arrivati al Kurasini Centre, un albergo di lusso con tanto di guardiola e soldati all’ingresso, ci siamo ritirati in camera per posare e disfare le valigie. Io in camera con Rodolfo e Giuseppe, Marta con Giovanna e Anna e Lucio coppia fissa con Don Lino. Le camere erano accoglienti: letti con zanzariere, bagno in camera, acqua calda (anzi molto calda, mi sono addirittura strinato con l’acqua della doccia) e ventilatore applicato al soffitto per muovere un po’ l’aria. Faceva molto caldo, caldo umido e qui a Dar oltre a rimpiangere il cibo di Itengule, rimpiangevamo anche il suo vento fresco! Dopo aver fatto una doccia calda ci siamo trasferiti nella zona pranzo dove abbiamo cenato. Qui era tutto un ronzare di zanzare! Noi sempre cosparsi di repellente ovviamente! In tavola pressappoco vi erano gli stessi alimenti che ad Iringa con l’aggiunta delle banane fritte: una qualità di banane grandi appositamente raccolte per essere cucinate in questo modo.

Ci hanno fatto compagnia due personaggi di Napoli anch’essi in Africa per prestare aiuto in una missione di Dar es Salaam; uno dei due era un giovane parroco.

La stessa sera abbiamo ricevuto notizie discordanti in merito ai tempi di spostamento per raggiungere Zanzibar: meta del giorno successivo. Unica cosa chiara il prezzo del biglietto e cioè 70 € a testa andata e ritorno con l’aliscafo. Qualcuno ha considerato eccessivo tale prezzo ed ha optato per rimanere a Dar e visitare il mercato dell’ebano della città, altri hanno deciso di visitare ugualmente l’isola delle spezie e dei Sultani.

La mattina successiva (04/09) alle 7.30 dovevamo essere al porto di Dar es Salaam per salire sull’aliscafo che ci avrebbe poi accompagnato a Zanzibar. Colazione alle 6.30 e alle 7.10 Natanaele è venuto a prenderci con la jeep. Arrivati al porto ci siamo precipitati in biglietteria dove per fare il biglietto ci voleva il passaporto (che avevamo) e 70 dollari. Gli uffici di cambio erano ancora chiusi e noi possedevamo solo Euro. Natanaele ci ha così anticipato i soldi occorrenti per pagarci solo l’andata. Io, Rodolfo, Giuseppe, Giovanna e Lucio siamo così partiti in aliscafo per raggiungere l’isola mentre Don Lino, Marta e Anna si sono fermati a Dar e con Natanaele e i due napoletani hanno visitato il mercato e fatto le ultime compere.

Zanzibar, pur facendo parte dell’Unione delle Repubbliche della Tanzania , gode ancora di una certa autonomia eleggendo per esempio un proprio Presidente ed avendo una propria Camera dei deputati. Per l’ingresso all’isola è obbligatorio il passaporto valido e appena sbarcati vi è l’obbligo di rivolgersi all’ufficio immigrazione che timbra il passaporto e rilascia un permesso di entrata. Stessa procedura per uscire. Fino a poco tempo fa veniva controllato anche il libretto di vaccinazione contro la febbre gialla, oggi non più. Mentre trenta dollari era il costo effettivo del biglietto, 5 dollari erano la cosiddetta Port tax di modo che il costo complessivo del ticket per l’andata è risultato di 35 $ anziché 30. Idem per il ritorno.

Abbiamo così solcato quel tratto di Oceano Indiano che ci separava dall’isola a sul pontile a bordo di un veloce aliscafo della Sea Express Services Limited che in un’ ora e quaranta minuti ci ha portato a destinazione, contro alle 4-5 ore che ci sarebbero volute con una tradizionale imbarcazione. Dall’aliscafo abbiamo intravisto in lontananza gli spruzzi delle balene.

Nei pressi di Zanzibar abbiamo iniziato a scorgere le isolette del suo arcipelago: la prima sormontata da un monumentale faro; abbiamo poi visto l’ Isola delle tartarughe ed infine il porto di Stone Town.

Appena sbarcati siamo stati assaliti, come succede su gran parte delle isole, dalle “guide”, persone che per 5 dollari a testa, anziché i 25 che normalmente servirebbero, ti fanno visitare le peculiarità dell’isola. Un soggetto piuttosto insistente ci ha seguito per almeno 20 minuti pretendendo prima 25 poi 20 dollari per farci da guida; una volta che io e Giuseppe ci siamo impuntati e lo abbiamo minacciato di chiamare la polizia, se ne è andato. Uno più furbo, che ha sfruttato l’occasione, si è presentato chiedendo 1 $ a testa così abbiamo accettato. Sono tutt’oggi del parere che incontrarlo sia stata la nostra fortuna in quanto ci ha mostrato e spiegato cose che girovagando da soli non avremmo mai visto né conosciuto.

Intanto in precedenza eravamo già stati a sbrigare le pratiche di ingresso all’isola ed eravamo in possesso del nostro lasciapassare e di una cartina acquistata in un ufficio informazioni posto vicino all’ufficio immigrazione.

Ibrahim Mussa, questo il nome della nostra guida musulmana, ci ha accompagnato lungo la Mizingani Road, strada che costeggia l’Oceano e sulla quale sono presenti alcuni dei più importanti monumenti di Zanzibar. Da qui lo spettacolo era magnifico: l’oceano blu, le bianche spiagge, i Mtumbwi (canoe) e dowl (barche a vela) scavati in tronchi che cavalcavano l’acqua, le palme a ridosso del bagnasciuga ed in lontananza i bianchi atolli, le isolette e la barriera corallina.

I monumenti che abbiamo avuto modo di vedere e fotografare sono: l’Old Dispensary, il People’s Palace & Museum, L’House of Wonders (l’edificio più importante di Zanzibar che fu eretto nel 1883, primo palazzo locale ad avere luce elettrica ed ascensore e che venne usato per cerimonie e ricevimenti. La sua porta, tipica di Zanzibar, è stata donata al Sultano), L’Old Portuguese Guns e, spostandosi verso l’interno della penisola di Stone Town, la sede del Consolato britannico e la Livingstone’s House. La guida ci ha indicato due sportelli di cambio per il denaro dove abbiamo cambiato degli Euro in dollari (da restituire a Natanaele e per fare il biglietto per il ritorno) e in Scellini (22.000 a testa per pagare il Kurasini Centre).

Subito dopo Ibrahim ci ha accompagnati in un lussuoso ristorante con terrazza sul mare dove, ci ha spiegato, si riuniscono i turisti per vedere il tramonto. Qui abbiamo scattato diverse foto all’Oceano punteggiato di barchette artigianali ed abbiamo scritto alcune cartoline sorseggiando una birra Safari fresca. Giovanna, interessata ai portacenere in ebano e metallo posti sui tavolini, ha chiesto al cameriere se poteva acquistarne uno e lui, dopo averci confessato che da tempo aspettava uno stipendio che non arrivava mai, gliene ha venduti due per 5 $. Ibrahim ci ha poi guidati ad un ristorante indiano per pranzare. Per raggiungerlo abbiamo così visitato anche l’interno di Stone Town accompagnati dai profumi inebrianti delle spezie.

Durante il percorso ci ha fatto notare le porte tipiche di Zanzibar: porte immense in legno con scolpiti i simboli di Zanzibar, tra i quali anche le catene degli schiavi, e puntellate con grossi speroni di ottone atti a impedire che gli elefanti, girando per il centro, sfondassero questi portoni. La guida ci ha inoltre spiegato il motivo per il quale la città prende il nome di Stone Town: il nome, che significa “città di pietra”, deriva dal materiale con cui un tempo venivano costruite le abitazioni, una pietra porosa simile al nostro tufo. Ancora oggi su Stone Town gravano grossi vincoli costruttivi.

Giunti al ristorante abbiamo pranzato con un ottimo risotto condito con numerose e profumatissime spezie e con carne di pollo in umido, tutto per una sessantina di Scellini in sei (noi 5 più la guida alla quale, dopo aver offerto la birra abbiamo anche pagato il pranzo). A tavola Ibrahim ci ha lasciato il suo indirizzo e ci ha chiarito molte delle nostre curiosità.

Finito di mangiare abbiamo ripreso a girare per le strette viuzze di Zanzibar scorgendo i tipici banchetti di ebano e quelli dei pregiati tessuti. In un grosso e accogliente negozio di souvenir abbiamo acquistato diversi ricordi di Zanzibar tra i quali orecchini, collane e guide turistiche. Immediatamente dopo ci siamo recati in Post Office dove Ibrahim ci ha spedito le cartoline.

Una tappa importante e suggestiva è stata quella alla Anglican Church of Tanzania della diocesi di Zanzibar: chiesa costruita in seguito alla tratta degli schiavi al cui interno è ancora possibile scorgere sul pavimento la lapide che chiude il foro dal quale fuoriusciva il palo della fustigazione. Dietro all’altare diverse immagini scolpite su rame e, sul pavimento, una targa in memoria di Livingstone. A muro abbiamo potuto scorgere un crocifisso, sempre posto in ricordo del predetto celebre personaggio.

Per accedere alle carceri degli schiavi (former slave market site), bui anfratti scavati nella roccia nei quali gli schiavi venivano ammassati a centinaia in attesa di essere venduti, abbiamo pagato 1 $ ovvero 900 Tsh. Fuori dalla chiesa abbiamo visto il monumento agli schiavi: diverse statue a grandezza naturale in pietra di schiavi incatenati tra loro; la guida ci ha fatto notare le loro espressioni, espressioni tipiche di chi è consapevole di non tornare.

Come ultima tappa abbiamo visitato il mercato del pesce che si trovava sulla strada del ritorno: un lunghissimo capannone con un corridoio centrale ed ai lati innumerevoli box entro i quali erano disposti singolarmente i banchi del pesce. Qui l’odore era penetrante tanto che Giovanna non ha resistito ed è dovuta uscire. L’igiene era scarsissima: mosche che a migliaia si posavano sul pesce fresco, commercianti talvolta scalzi sui banchi del pesce e per finire grossi polipi che venivano lavati su un pavimento in battuto di cemento sporchissimo. Nel complesso però lo spettacolo è stato affascinante e ci ha colpito. Annesso al capannone del pesce c’era quello della frutta, più piccolo e meno interessante nel quale ci siamo solo affacciati.

Per le strade di Zanzibar abbiamo visto persone di diverse etnie: musulmani (più numerosi) insieme ad africani e indiani. La lingua parlata è comunque anche qui il Swahili.

Sulla strada per il porto abbiamo rivisto mercati all’aperto e personaggi che svolgevano svariati mestieri.

Il porto, più precisamente il luogo dell’imbarco, è preceduto da una zona ove per accedere bisogna pagare 500 Tsh.: questo per evitare il sovraffollamento della stessa. Ibrahim aveva già pagato questa quota la mattina, prima che arrivassimo noi e le guardie ai cancelli ci hanno quindi lasciato passare.

Arrivati al porto ci siamo di nuovo recati all’ufficio immigrazione per le pratiche burocratiche e prima alla biglietteria per acquistare il ticket per il ritorno in aliscafo.

Ci siamo alla fine congedati con Ibrahim lasciandogli 1 $ a testa più 1500 Tsh.

Alle 16.00 ha attraccato al porto il nostro aliscafo proveniente da Pemba e diretto a Dar. Alle 17.00 non eravamo ancora saliti data la fila! Una volta sopra ci siamo sistemati sul pontile e qui abbiamo ripercorso il tragitto, questa volta affrontando un mare abbastanza mosso. Alcuni passeggeri si sono sentiti poco bene, noi invece, benché montanari, sembravamo marinai.

Giunti a Dar (verso le 19.00) abbiamo trovato Natanaele, Onorato (suo fratello) e Don Lino ad attenderci per riaccompagnarci al Kurasini Centre. A fine giornata tutti noi eravamo ben felici di aver” investito” in questo modo i nostri 70 Euro.

Di nuovo al Kurasini ci siamo fatti una doccia calda in vista del viaggio aereo del giorno successivo poi abbiamo cenato in compagnia delle nostre zanzare ed infine ci siamo ritirati per la seconda notte nelle nostre camere.

La mattina del 05/09, sveglia di nuovo verso le 6.00, ultima colazione al Kurasini alle 6.30 e poi, dopo aver salutato e pagato gli addetti alla reception, siamo ripartiti per l’aeroporto questa volta fortunatamente con due jeep. Arrivati abbiamo salutato e ringraziato Natanaele, abbiamo pagato in Euro i nostri debiti nei suoi confronti, dal momento che a Zanzibar il cambio ci aveva rifilato dollari di vecchio taglio, spendibili sull’isola, in tutti gli altri Paesi del mondo, ma non in Tanzania. Sbrigate le pratiche d’imbarco alle 8.40 ci siamo imbarcati nuovamente sul nostro MD-11 della compagnia svizzera e siamo decollati alla volta di Zurigo verso le 9.00.

Ha allietato il viaggio di ritorno un coro di africani che hanno cantato in aereo diverse belle canzoni religiose; questo coro suo organico aveva anche tre Masai in costume che hanno pure danzato, ed era diretto in Germania per un gemellaggio.

Siamo atterrati a Zurigo verso le ore 18.00. Con noi a Zurigo sono scese tre giovani suore di clausura che dovevano recarsi a Roma: Lucio e Don Lino hanno provveduto a guidarle affinché salissero sull’ aereo.

Dopo essere riusciti a spiegare alle suore l’orario di partenza del loro volo (impresa non facile dal momento che non riuscivano a concepire il giorno composto da 24 ore, bensì solo da 12 + 12 e dato che loro cominciano a contare le ore dalla nascita del sole quindi con sfasamenti d’orario impressionanti rispetto all’orario effettivo) siamo saliti nuovamente sul nostro Turboelica e verso le ore 22.30 eravamo all’aeroporto G. Marconi di Bologna.

Qui ad attenderci abbiamo trovato Ombretta e Giulio, Graziella e Pietro e Alessio e Stefania.

Caricati i nostri bagagli in auto ci siamo diretti verso Castelluccio raccontando la nostra stupenda avventura. Demolition Group: Gabriele Mucci (io) Rodolfo Mucci Lucio Carboni Don Lino Civerra Marta Civerra Giuseppe Agostini Giovanna Sabattini Anna Bestotti



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