Appunti di viaggio: Sudan & Etiopia

Lungo il corso del Nilo attraverso la Nubia, passaggio a Berenice Pancrisia, poi un tuffo nel Mar Rosso e, infine, tappa in Etiopia
Scritto da: ziorico45
appunti di viaggio: sudan & etiopia
Partenza il: 14/11/2016
Ritorno il: 13/12/2016
Viaggiatori: 2+2
Spesa: 4000 €

APPUNTI DI VIAGGIO IN SUDAN e ETIOPIA 2016

Nubia è la regione situata nella parte nord del Sudan, che si estende a sud dalla confluenza tra il Nilo Bianco proveniente dall’Uganda e il Nilo Azzurro proveniente dall’Etiopia, fino ad Assuan in Egitto a nord. Si tratta di una regione estremamente arida, fatta eccezione per la striscia di verde che segue il cammino del fiume Nilo. Il nome deriva dall’antico egizio “nub” che significa oro, essendo concentrata nella regione l’estrazione di gran parte del prezioso metallo, dai tempi più remoti. Intorno al 2500 a.c. Durante la 5° dinastia. i faraoni egizi si espansero verso sud, conquistando parte della Nubia. Questa dominazione si interruppe in seguito allo sfaldamento dell'”Antico Regno” intorno al 2200 a.c. Con il riorganizzarsi dello stato egizio “Medio Regno”, i sovrani della XII° dinastia, conquistarono la Nubia fino alla 3° cateratta, nei pressi di Kerma, Il “Medio Regno” finì intorno al 1800 a.c. Il regno di Kerma esistette fino al 1500 a.C. quando i potenti sovrani della XVIII° dinastia ripresero l’espansione verso sud. Il faraone Thutmose III° spostò il confine fino alla 4° cateratta. Nei dintorni del Jebel Barkal fondò nel 1450 a.c. la città di Napata. La fase coloniale terminò nell’XI° secolo a.C. con il collasso del “Nuovo Regno” Intorno all’anno 750 a.C. Un re nubiamo di nome Kashta, divenne re di Kush (denominazione che poi venne assegnata al Sudan del nord). Il regno di Napata si estese fino a tutto l’alto Egitto. Piankhi successore di Kashta governò dal 744 al 716 a.c. e completò la conquista dell’Egitto diventandone faraone (747 – 716 a.c.). Con lui ebbe inizio la XXV° dinastia detta “La dinastia dei Faraoni Neri”. Il sovrano più famoso fu Taharka il grande che regnò dal 690 al 664 a.c. Nel 661 a.c. durante il regno di Tanwetamani i nubiani furono scacciati dall’Egitto dagli invasori assiri. I re kushiti continuarono tuttavia a governare la Nubia per altri 150 anni, fino al 500 a.c. quando trasferirono la capitale da Napata a Meroe. Il periodo Meroitico durò dal 500 a.c. al 350 d.c. quando la città di Meroe venne conquistata dal re etiopico Ezama proveniente da Axum . Forse si tratta di una incontrollata crisi di astinenza da Sahara, che ci spinge a recarci in viaggio in Sudan di questi tempi. In questo infausto periodo storico, in cui il terrorismo sta avvelenando gran parte di paesi del Medio Oriente e dell’Africa centro-settentrionale. Al germogliare di questo progetto di viaggio, qualche preoccupazione sulla sicurezza l’abbiamo avuta. Abbiamo contattato un conoscente, funzionario dell’ambasciata italiana a Khartoum, il quale ci ha rassicurato sulla massima tranquillità e sicurezza. Abbiamo appurato che sia “Avventure nel mondo”, che altre agenzie sudanesi organizzano viaggi lungo la valle del Nilo ed in tutto il territorio Nubiano. Quindi si può fare. Su internet abbiamo trovato e contattato la Mashansharti Travel Agency, abbiamo intavolato una trattativa con il titolare Midhat. Abbiamo visionato anche altre agenzie, ma io ho insistito per scegliere questa poiché mi è sembrata “la più africana”.

Indice dei contenuti

Peo avrebbe voluto spedire via mare 2 suoi fuoristrada fino a Port Sudan, ma ce lo hanno sconsigliato, si potrebbero perdere diverse giornate alla dogana, inoltre alla fine del viaggio andrebbe gestita anche l’uscita dei mezzi. Peo e Silvana intendono dedicare a questo viaggio 3 settimane, io e Patrizia un mese, è nostra intenzione dopo aver terminato il giro in Sudan, lungo il Nilo ed aver raggiunto Port Sudan, di raggiungere il nord dell’Etiopia. L’abbiamo visitata diverse volte l’Etiopia, ma solo nella parte centro-meridionale. Decidiamo di noleggiare 2 fuoristrada. In Sudan i fuoristrada si noleggiano solo con autista. Per ottenere il visto, l’ambasciata esige una lettera d’invito da parte di un’agenzia che operi in loco, un certificato a dichiarazione di iscrizione all’albo, con qualche difficoltà riusciamo ad ottenere tutto. Nel frattempo, il 25 settembre, in Etiopia il governo dichiara lo stato di emergenza, durante i festeggiamenti per la fine della stagione delle piogge, le tribù di etnia oromo manifestano duramente contro il governo, il quale reagisce con una violenta repressione; durante questi gravi scontri hanno perso la vita circa 150 persone. Altro momento di preoccupazione, in seguito poi parlo con un funzionario dell’ambasciata etiopica in Italia, mi assicura che la situazione ora è tranquilla, potrebbero esserci dei problemi nella regione dell’Oromia, situata a sud-est di Addis Abeba, noi intendiamo recarci nel nord. Fattostà che mai come in quest’occasione, al momento dei saluti, tanti amici ci raccomandano di fare attenzione, molti ci chiedono: “ma è sicuro il Sudan? ” Probabilmente questo è dovuto dalle pessime notizie che arrivano dal Sud Sudan, che si è distaccato dal Sudan in seguito al referendum del 2011, ed ora le varie fazioni si contendono il potere scannandosi a vicenda in una sanguinosa guerra civile.

1° e 2° giorno, lunedì e martedì 14-15/11/2016

Partenza da Roma alle ore 23,45 Con volo Ethiopian (voli: Roma – Addis Ababa – Khartoum. Ritorno da Addis Ababa – Roma costo totale per persona € 550). Dopo 5 ore giungiamo ad Addis Ababa alle ore 7 locali (ore 5 italiane). Ci reimbarchiamo sul volo per Khartoum che dovrebbe decollare alle 9,35, ma non si parte, alle ore 10 ci invitano a scendere dall’aereo, ci dicono causa avverse condizioni meteo a Khartoum. Ci portano in una sala d’attesa ci offrono del cibo. Peo intanto riesce a telefonare a Midhat che ci sta aspettando a Khartoum. Si parte alle 13,30, dopo un’ora giungiamo a destinazione, ma non vi è traccia di eventi meteorologici avversi! Ci hanno raccontato una balla. Come scendiamo dall’aereo veniamo avvolti da un’infuocata temperatura. Agevole disbrigo delle formalità doganali, ci accoglie con un ampio sorriso Moez, fratello di Midhat, il quale ci accompagna all’hotel Regency, ottima sistemazione, in centro città (camera doppia US $ 80 per notte). Ci riposiamo un attimo. Poco dopo le 18 usciamo, a piedi ci dirigiamo verso il Nilo. La città non è granchè, poco pulita, traffico intenso, in alcuni casi addirittura caotico, aleggia polvere di sabbia. Gli odori ci riconducono a ricordi di tante vecchie esperienze africane. Bene! Vi ci reimmergiamo completamente, raggiungiamo la riva sud del braccio di Nilo Azzurro, procediamo verso ovest sulla Nile Street, sta ormai facendo buio, raggiungiamo il bel ponte sospeso Tuti Bridge, tramite le gradinate saliamo sul ponte, sul parapetto che divide la carreggiata dal marciapiede, vi sono molti giovani seduti a chiacchierare, è un luogo di ritrovo, sotto al ponte vi sono ancorate delle barche ristorante, alcune donne vendono cibo di strada. Rimaniamo qualche tempo immersi in questo ambiente giovanile. Riprendiamo il cammino attraverso strade poco illuminate, ci fermiamo presso la Comboni School, dove troviamo Mattia, che oltre a lavorare presso l’ambasciata italiana, la sera tiene un corso di lingua italiana presso questa scuola. Mattia ci dà alcuni suggerimenti, tipo quello di registrarci presso l’ambasciata italiana, non gli piace molto l’agenzia che abbiamo scelto per il nostro itinerario lungo il Nilo, a noi sembra troppo pessimista, infatti non intendiamo registrarci, invece ci dà un ottimo consiglio sul ristorante per la cena. Rientriamo all’hotel, incontriamo Midhat, discutiamo il programma, gli consegniamo il programma che Patrizia ed io abbiamo stilato come traccia di viaggio. Prendiamo accordi sul cibo, sulla gestione, sul proseguimento verso l’Etiopia mio e di Patrizia. Peo prova ad insistere sul voler guidare noi nel deserto, ma Midhat, non acconsente causa la non copertura assicurativa. Ci accompagna al ristorante libanese Assha, ma non rimane a cena con noi. Ottima scelta, situato in un ampio cortile, fra un muro merlato e le camere dell’albergo annesse, è molto frequentato, grandi ventilatori ci convogliano aria e vapore acqueo rendendo fresca la temperatura. Ottimo il cibo, molti clienti mangiano frutta fresca e cocomero. Diversi fumano il nargilè, anche le donne. In quattro spendiamo 600 sterline sudanesi, che al cambio ufficiale corrisponderebbero a € 76,5, mentre al cambio nero = a € 31,5. Serata piacevolissima.

3° giorno, Mercoledì 16/11/2016

Ottima ed abbondante colazione in albergo. Lasciamo i passaporti alla reception, verranno a prenderli quelli dell’agenzia Mushansharti per la registrazione presso la polizia, che dev’essere fatta entro un paio di giorni dall’arrivo, ci procureranno anche i Travel Permit. In albergo facciamo conoscenza con Nadia una ragazza figlia di italiani emigrati in Sudafrica, che con un gruppo di una ventina di altri viaggiatori di diverse età e nazionalità, coordinati da un’organizzazione chiamata Dragoman, sono partiti da Il Cairo e in 42 giorni raggiungeranno Cape Town in Sudafrica, dispongono di un camion trasformato in pulman. Usciamo ed in taxi ci facciamo accompagnare al National Museum. Interessantissimo, nell’ampio cortile interno vi è una lunga vasca che simboleggia il fiume Nilo, ai lati, nella posizione in cui erano situati originariamente, sono stati qui trasportati e ricostruiti i templi, allorchè fu costruita la diga di Aswan, per evitare che fossero sommersi dalle acque del Lago Nasser. Protetti da ampi padiglioni metallici, visitiamo prima il Tempio di Buhen, che originariamente era localizzato nei pressi della seconda cateratta. Il tempio risale a 4000 anni fa al periodo della XII dinastia, successivamente durante la XIII° dinastia fu dedicato al dio Falco Horus, di cui vi sono incisioni a rappresentarlo. Stupefacenti sono alcune tinte originali, rosse, gialle, azzurre, le gonne dei faraoni color oro. All’ingresso vi sono due figure di faraone, una con la corona del Basso Egitto e l’altra dell’Alto Egitto a simboleggiare l’unificazione del regno. Passiamo al padiglione successivo che accoglie il Tempio di Semna Ovest, successivamente il Tempio di Kumma. Ci avviamo verso il Museo, non possiamo ignorare le due splendide colossali statue di Tabo, ritrovate sull’isola di Argo, costruite, ma non definitivamente terminate, in granito grigio, alcuni archeologi le attribuiscono al re nubiano Natakamani. Entriamo nei padiglioni del museo dove sono ben esposte statue, ceramiche, sarcofagi, suppellettili, terrecotte, anfore, ed arnesi, risalenti alla preistoria ed attraversando le varie civiltà succedutesi nel corso dei millenni su queste terre. Stupefacente tra gli altri reperti, la testa bronzea dell’imperatore romano Augusto, ritrovata durante gli scavi nella città reale di Meroe. La storia e cultura egizia hanno un fascino estremamente coinvolgente, come tutte le civiltà che hanno lasciato impronte e testimonianze rimarchevoli. Usciamo da questo museo molto soddisfatti. In taxi raggiungiamo la Grande Moschea, mentre stanno uscendo frotte di fedeli alla fine della funzione. Gli uomini indossano quasi tutti il “jallabiya”, la lunga tunica bianca, di donne non se ne vedono, chiediamo se possibile, ma non ci fanno entrare, allora facciamo delle foto dall’esterno alla bella struttura in stile arabo, color mattone, ma qualcuno ci chiede infastidito cosa stiamo facendo. Non è aria per noi, ci facciamo accompagnare al Museo Etnografico, situato in un gradevole giardino, minuscolo, ma ben tenuto ed interessante. Nel giardino si trova una giovane coppia, la ragazza è assai carina, chiedo se possibile far loro una foto, lei si rivolge al ragazzo il quale acconsente, poi lei estrae il suo smartphone e ci chiede di fare una foto con noi. Le ragazze tranne alcune eccezioni si coprono il capo con il velo, alcune hanno un portamento fiero ed il velo conferisce loro un tratto assai elegante, le giovani hanno il viso truccato, e vistoso rossetto sulle labbra. Poche donne indossano il burka. Usciti ci rivolgiamo ad un vigile per chiede la direzione per recarci ad Omdurman, sul versante ovest del Nilo Bianco, il vigile gentilmente ci aiuta ad attraversare la strada fermando il traffico, quindi ci procura un taxi, poiché i taxisti parlano poco inglese, ferma un passante che parli inglese, che traduca al conducente le nostre richieste, desideriamo vedere il mercato dei cammelli ed il souk. Il giovane taxista è simpatico, ma comincia subito a lamentarsi che le 150 sterline pattuite sono poche, più tardi ci accorgeremo di quanto avesse ragione, si ferma un’infinità di volte a chiedere dove si trovi questo benedetto camel-market, ci mandano avanti e indietro, a destra ed a sinistra, attraversiamo piccoli insediamenti, ampi spazi dove troviamo accatastate balle di foraggio, greggi di capre, piccoli ristoranti, odori pregnanti che cambiano continuamente. Diciamo al nostro taxista che intendiamo rinunciare, ma lui si incapponisce, finchè raggiunge un mercatino dei cammelli, non crediamo sia quello consigliato dalla nostra guida, anche l’orario (ormai sono le 17) non credo sia quello giusto. Vorremmo fermarci al Souk di Omdurman, ma da quelle parti troviamo il traffico intasato, da camion, bus, tuc tuc, carretti trainati da asini. Il nostro conducente tenta di farsi largo a colpi di clacson. Il suk che attraversiamo è coloratissimo. Meriterebbe una visita anche la tomba del Mahdi l’eroe nazionale che tenne testa all’esercito inglese, sconfiggendolo, ma che dovette poi soccombere nella battaglia di Omdurman nel 1885, purtroppo non abbiamo tempo. Riattraversiamo il Nilo, ci rechiamo presso il Mughrum Family Park, dal quale a piedi raggiungiamo il punto di intersezione fra i due fiumi: Nilo Bianco alla nostra sinistra e Nilo Azzurro che ci giunge dalla nostra destra. Ci sono dei pescatori, ci mostrano i pesci presi. Ci facciamo accompagnare dal nostro taxista ad un grande magazzino, facciamo alcuni acquisti, alle ore 18,30 in punto dagli altoparlanti interni inizia ad alto volume la preghiera vesprale del muezzin, continueremo ad ascoltarla anche all’uscita. Rientriamo, alle ore 20 viene a prenderci il titolare dell’agenzia, verrà a cena con noi, torniamo al ristorante Assaha, stasera c’è un trio che suona ed una ragazza cantante. Silvana e Patrizia chiedono un nargilè, proviamo a fumare, non c’è tabacco, ma vapore aromatizzato alla menta. Ci accordiamo con Midhat sugli ultimi dettagli organizzativi, anche stasera ottima cena e piacevole serata.

4° giorno, giovedì 17/11/2016

Raggiunta Meroe km percorsi 320. Abbiamo a disposizione 2 Toyota Land Cruiser in ottimo stato, capo spedizione Moez, fratello di Midhat, condurranno i mezzi: Yassir e Safe. Il primo dispone di un corpo da pugile peso massimi, con una folta e ricciuta barba. Alle ore 11 lasciamo Khartoum seguendo il Nilo lato est e puntiamo verso nord, finchè la strada é in prossimità del fiume. Ci troviamo in mezzo a terreni coltivati a foraggi, cereali, frutti, ma come la strada si allontana, il terreno subito inaridisce. Percorsi un centinaio di kilometri di buona strada, trafficata soprattutto da camion che trasportano merci, lasciamo la strada e ci inoltriamo su pista direzione nord-est, incontriamo dei camion che trasportano del fogliame, sulla cui sommità stanno delle persone che ci salutano. Ci fermiamo ad un pozzo, dove degli uomini tirano su l’acqua tramite un grande contenitore fatto da copertoni di camion, la corda viene tirata da un cammello, all’abbeveraggio vi sono numerosi cammelli, uomini e donne riempiono delle taniche di plastica che poi caricano sui somarelli per trasportarla presso le proprie capanne. Raggiungiamo Nagaa, primo sito che intendiamo visitare, dove sono conservate le costruzioni più significative ed intatte del periodo meroitico. Prima visitiamo il bellissimo tempio dedicato al dio Amon, risalente al 1° secolo d.c. Costruito dalla coppia reale: Natakamani e Amanitore, è stato restaurato da archeologi tedeschi. Amon re degli dei del’antico Egitto, era la divinità più importante anche nel regno di Kush nell’antica Nubia. Qui veniva rappresentato con le sembianze umane e con la testa di montone. Successivamente il dio Amon si fuse con il dio Sole Ra di Eliopoli e divenne Amon-Ra, re di tutti gli dei del Pantheon egizio. Il collegio sacerdotale e l’oracolo del dio Amon, avevano un enorme peso, per esempio nel designare i governanti e nella direzione della guerra. Più in basso visitiamo il tempio dedicato al dio Apedemak, il Dio Leone. Vi sono rappresentate le grandi figure del re Natakamani e della consorte Amanitore. Uno scrigno di rara bellezza architettonica è costituito dal tempio chiamato “Il Chiosco” di influsso architettonico greco-romano. Ci spostiamo a Musawwarat, dove si trova il più grande tempio del Sudan; nel tempio numerose rappresentazioni di elefanti, probabilmente tenuto in grande considerazione durante il periodo meroitico. Qualcuno avanza la teoria che in questo luogo vi fosse un centro di addestramento per elefanti da guerra. Viene spesso rappresentato anche il dio Leone Apedemak. Ritorniamo sulla strada asfaltata e riprendiamo la direzione nord, vorremmo raggiungere la Necropoli Reale di Meroe, prima del tramonto, ma ormai è tardi, infatti la raggiungiamo che sta facendo buio. I nostri accompagnatori allora entrano nell’area, fanno un giro dietro delle collinette e si fermano per accamparci fra dei dossi. Impareggiabile! Piantare le tende presso le 44 piramidi della necropoli più affascinante del Sudan. Montiamo le tende, Yassir accende il fornello a carbone, preparano un’ottima cenetta a base di minestrina di verdure, pasta al ragù e carne in umido. Si alza una leggera brezza, ci soffermiamo a mirare il cielo completamente privo di umidità e carico di stelle. Io scrivo sul mio computerino, Silvana scrive vergando a penna sul suo quaderno, Patrizia legge un libro, Peo “spatacca” sul suo cellulare. Da dietro una collinetta ad est arriva un chiarore a preannunciare il sorgere della luna, che avverrà alle 22. Abbiamo montato solo la parte interna della tende data la temperatura alta, quindi dall’interno della tenda, attraverso la zanzariera vediamo l’escursione della luna durante la notte.

5° giorno, Venerdì 18/11/2016 (Accampati a Uady Marua, deserto del Bayuda, km perc. 185)

Mi alzo per primo, alle ore 6,30, sta schiarendo, Safe ha già acceso il carbone sul fornello. Poi si alzano anche gli altri, saliamo sul dosso che ci separa dalla necropoli, raggiunta la sommità lo spettacolo che ci si presenta è straordinario! Addossate su un’altura, fra rocce nere e dune di sabbia color ocra, le 44 piramidi svettano verso il cielo, formando un quadro stupefacente. Prima giungiamo sulla parte chiamata “Cimitero Sud” la più antica, aspettiamo il sorgere del sole, che illuminerà, modificandone i colori. Si tratta del più grande agglomerato di tombe conosciuto, luogo di sepoltura dei sovrani del regno di Kush. Conservate in ottimo stato. Bisogna purtroppo aprire una vergognosa parentesi: Ferlini un medico italiano, poi trasformatosi in archeologo, nel 1834 ottenuto dal governo una licenza a scavare, si mise alla ricerca di tesori, convinto che questi si trovassero al culmine delle piramidi, senza alcun scrupolo danneggiò alcune piramidi cominciando dal vertice, un addirittura la rase al suolo, infine nella tomba della regina Amanishakete, trovò un immenso tesoro. Successivamente cercò di vendere la refurtiva a musei o collezionisti europei, ma questi non credettero all’autenticità di questi tesori. Morì quasi in miseria. Oggi questi tesori sono esposti al museo egizio di Berlino. Dopo la parentesi vergognosa, apriamo la pagina triste ed ingiusta, accanto ai re venivano sepolti tutti i servi, perché potessero servire il loro re anche nell’aldilà, la cosa terrificante è che venivano sepolti vivi, i poveretti morivano per asfissia. Girovaghiamo a lungo fra le piramidi i cui caratteristici frontali spesso hanno la porta aperta, entrando notiamo incisioni che rappresentano divinità, i reali, cerchiamo di decifrare alcuni simboli, dei quali abbiamo trovato un elenco su google. Le piramidi egizie si differenziano da queste per dimensioni, angolo delle pareti e localizzazione della camera funeraria, queste sono da considerarsi monumenti funerari, dato che il corpo del defunto veniva sepolto sottoterra e per accedere alla camera funeraria veniva scavata una galleria inclinata. Le pietre che compongono la struttura sono di arenaria, smerigliate dalla sabbia soffiata dal vento, alcuni spigoli dove il vento gli arriva da entrambe le parte sono affilati come lame. Non ci stanchiamo di rimanere in questo straordinario sito, che ci prende ed affascina. Non ci sono altri turisti, siamo padroni della scena. Giungono dei cammellieri ad offrirci un passaggio sul cammello, io sono in alto, nei pressi del Cimitero Nord, quando Peo, Silvana e Patrizia decidono di accettare, percorrono un piccolo tratto di avvicinamento. Il difficile non è salire sul cammello, dato che questi viene fatto inginocchiare, poi accosciare, il problema sorge dopo essere scesi, nell’esaudire le richieste del cammelliere che non si accontenta, chiede, chiede, chiede, infine paghiamo 150 sterline a persona, per sfinimento! Torniamo all’accampamento per fare colazione, troviamo alcuni ragazzi, hanno impiantato un piccolo mercato, dobbiamo acquistare qualcosa. Lasciamo a malincuore questo fantastico luogo. Proseguendo verso nord, facciamo sosta nel villaggio di Kabushyan, dove dovrebbe esserci il mercato dei somari, oggi è venerdì giorno di festa per i paesi islamici, ma il mercato non ha luogo. Riprendiamo quindi la strada con direzione nord. Più avanti ci fermiamo per prendere un caffè, presso un edificio con portico, molto minimale, alcune persone riposano, qualcuno fuma il nargilè, ci sono due donne, una ci prepara il caffè aromatizzato al “ginger” è una simpatica signora con in braccio una piccola bimba, ci racconta di aver avuto un figlio all’età di 16 anni, poi 22 anni dopo ha avuto questa bimba, tramite fecondazione artificiale, con intervento eseguito in Egitto poiché più economico. E’ sorridente e chiacchierona. Durante questa sosta Yassir e Safe, si appartano, si lavano e pregano. Riprendiamo il viaggio, ci fermiamo a Ed Damer, cittadina tipicamente africana. I nostri accompagnatori vanno a pranzo in un ristorante, noi mangiamo solo un po’ di frutta e pane. Poco dopo giungiamo al bivio, attraversiamo il Nilo sul ponte e prendendo la direzione ovest ci inoltriamo nel Bayuda Desert, Bayuda significa bianco in dialetto locale e non tardiamo molto a capirne il motivo. Il suolo è estremamente piatto, arido di colore chiaro, zeppo di pietre al quarzo, sembrano pezzi di vetro opaco. Procedendo incontriamo qualche minuscolo villaggio, cammelli e caprette allo stato brado, altre volte badati da un pastore. La strada è asfaltata, sulla destra vi sono collinette di pietre nere. Nel tardo pomeriggio deviamo verso nord ovest, lasciandoci la strada sulla sinistra, procediamo per una mezz’ora su pista, giungiamo al letto di un vecchio wadi ormai secco, il Wadi Marua, a ridosso di una collinetta di pietre nere, ci accampiamo. Siamo completamente fuori dal mondo. Ci preparano una cena con ben 5 portate: minestrina con brodo di verdure, riso, fagioli, carne. Ottimo il pane arabo, si mantiene morbido a lungo. Dopocena a mirare le stelle, apprezzando silenzio e buio totali.

6° giorno, Sabato 19/11/2016 (Raggiunta Karima – Jebel Barkal)

I nostri accompagnatori, quest’oggi hanno l’ottima idea di proseguire lungo la pista che corre a nord della strada asfaltata, si snoda fra collinette, arbusti, piccole dune. La sabbia e pietrame cambiano continuamente colore, a tratti la sabbia è talmente chiara che sembra di marciare su un terreno innevato. Ci fermiamo presso delle capanne, escono dal recinto e si avvicinano incuriositi una coppia di sposi con 2 piccoli figli, hanno una conversazione con Moez. Lasciamo loro qualcosa, inimmaginabile come si possa vivere in questo luogo, con questo clima. Più tardi ci fermiamo all’incontro di un pastore che bada un gregge di capre, prima di fotografare facciamo chiedere permesso a Moez, il quale saluta tutti, pur non conoscendoli, appoggiando la sua mano sinistra sulla spalla destra, quasi come un abbraccio. Ci riavviciniamo al Nilo, visitiamo la Necropoli di Nuri, dove si trovano le piramidi di 19 sovrani e 53 mogli, della XXV° dinastia di Napata. Queste piramidi sono state costruite con un materiale meno consistente, i blocchi sembrano costituiti da un conglomerato di sassi e terra, che si stanno gradualmente disgregando. Ci dirigiamo a Karima, importante cittadina, al centro di una ampia zona di interesse archeologico. Soggiorniamo in una tipica casa nubiana, ora trasformata in pensionato, scarichiamo i nostri bagagli e prendiamo possesso della camera, dove passeremo le prossime 2 notti. Come tutte le case nubiane, un’alta cinta racchiude un cortile, molto belli e caratteristici sono i cancelli esterni in ferro decorato, sembra ci sia una gara a chi ha il cancello più bello. All’interno la casa con un ampio ingresso e le stanze ognuna con 3 brande, un armadio in legno chiaro, null’altro, né comodini, né sedie, un ventilatore a pale pende dal soffitto. Dopo due notti passate accampati nel deserto ora possiamo beneficiare di una confortevole doccia. Passiamo le ore più calde della giornata al fresco della casa, usciamo verso le 17, ci rechiamo al Jebel Barkal (tradotto “montagna Pura”), la montagna sacra, centro spirituale di Kush. Si tratta di un piccolo ed isolato massiccio a forma di panettone, alto 360 metri, con pareti di arenaria rossa a strapiombo. Assai caratteristico il pinnacolo di roccia distaccato che si erge sul fronte sud del massiccio, fu scolpito a mano, secondo gli archeologi potrebbe rappresentare il dio Amon, oppure secondo altre versioni il cobra, oppure potrebbe essere un simbolo fallico simbolo della vita. Scaliamo agevolmente ed in breve tempo questa piccola montagna, salendo dal versante nord, giunti sulla sommità, troviamo un ampio piano dal quale si può godere di una illimitata visuale a 360°: da sud a est tutta la città distesa, composta da caseggiati bassi dai colori beige e verde, diverse moschee con i minareti, possiamo seguire dall’orizzonte est, fino ad ovest il grande corso del Nilo incorniciato dal verde circostante, con palmeti e orti. Nella direzione nordovest in mezzo alla sabbia si trovano un gruppo di belle piramidi del periodo Kushita. Guardando in basso, lato sud, verso il Nilo si vedono i resti del bel tempio dedicato al dio Amon. Esistono 2 divinità Amon, uno egizio con corpo e viso umano sormontato da 2 corna lunghe piatte verticali e il dio Amon nubiano con il corpo umano, ma viso da ariete. Tutto il resto nel nostro orizzonte è costituito da deserto. Giungiamo al magico momento del tramonto, alle ore 18,15, siamo un gruppetto di turisti e ragazzi locali, assistiamo in religioso silenzio. Ci giunge immediatamente la preghiera del muezzin. Scendiamo dal fianco ovest camminando nella sabbia di una duna addossata alla roccia. Il telefono di Patrizia oggi è morto, non riesce a farlo funzionare, Moez ci accompagna dopo cena in paese, presso un Internet point, un ragazzo riesce a risolvere e riconnettere il telefonino. Approfittiamo per connetterci alla debolissima wi fi, riesco a mandare una mail ai nostri figli.

7° giorno, Domenica 20/11/2016 (Karima)

Prendiamo direzione sud, vediamo un cantiere dove fabbricano mattoni di terra cruda, coi quali costruiscono le case ed i muri di cinta. Ci fermiamo in una spianata dove sono sistemati parecchi orci in terracotta chiamati “zeer”, vengono fatti a mano con creta mista a paglia e vengono cotti in un ampio cratere di cenere. Lungo le vie delle città vediamo spesso dei zeer pieni di acqua, disposti all’ombra, essendo costituiti da creta mista a paglia l’acqua trasuda verso l’esterno e nella parte inferiore esternamente si forma del muschio, l’acqua evaporando cede calore e rinfresca l’acqua all’interno; dal fondo scendono delle gocce e gli uccellini vi ci si abbeverano. Sono a disposizione dei viandanti assetati. Giungiamo alla necropoli di El Kurru dove le piramidi sono andate distrutte, ma vi è la possibilità di accedere mediante una gradinata che scende in un tunnel per circa 7-8 metri, alle prime due camere funerarie della tomba del re Tawentamani. Bellissimi e ben mantenuti i disegni che rappresentano il re mentre fa doni alle divinità fra cui Isis, osservando da sinistra verso destra, viene rappresentata la traversata dell’anima del Re nell’aldilà, quindi sulla parete a destra, il faraone con una nuova sembianza, avanza verso una nuova vita ultraterrena. La terza camera, quella che doveva contenere la mummia è chiusa, Moez ci dice che la mummia è stata portata via dagli inglesi. Entrare nella tomba di un faraone, vedere i disegni originali che la adornano, è una sensazione fortissima. Poco distante visitiamo una foresta pietrificata, esemplare un lungo tronco, del diametro di circa 50 centimetri, completo di zoccolo delle radici, frantumato in vari pezzi, ma composto. Ci dicono che se ne stia lì immobile da trenta milioni di anni! Ritorniamo a Karima, raggiungiamo il Nilo, il grande fiume scorre lentamente, tanto lentamente che è difficile distinguerne il senso di marcia. Un uomo sta scaricando da una barca dei tronchi di legna e li depone su di un carretto trainato da un cavallo. Ci sono due barche con uomini a bordo, ferme sembrano in attesa, più avanti degli uomini si stanno lavando. Patrizia getta nel grande fiume Nilo un piccolo sasso portata da casa, sul sasso sono stati idealmente caricati i suoi problemi oltre a quelli di Peo e di Alice dall’Australia, quando getti il sasso il peso dei tuoi problemi si dovrebbe alleggerire, lo stesso rito era stato fatto sul fiume Gange!. Lungo la via che percorriamo, ci sono diversi negozietti che vendono manufatti in oro, diamo un’occhiata, ma l’oro non sembra di ottima qualità. Mentre i nostri accompagnatori pranzano, noi prendiamo un tè alla menta, osserviamo il continuo viavai di carretti trainati da asinelli. Alle 17, a piedi ci rechiamo a visitare il tempio di Amon situato sotto la parete sud della montagna sacra Jebel Barkal. L’insediamento in questa zona, chiamato la Karnak del sud, fu fondato dagli egizi nell’epoca coloniale del “Nuovo Regno”. All’ingresso del tempio si trovano 5 statue di Arieti in granito verde. Il tempio era diviso in tre stanze, entrando incontriamo enormi colonne dalle pareti incise, nell’ultima stanza si trova un enorme altare sacrificale consistente in un basamento di granito grigio, spezzato in due parti, recante su un fianco, chiarissime rappresentazioni del dio Amon ed il “cartiglio” contenente il profilo del re Taharqa il grande. Proviamo ad immaginare quanto lavoro e fatica siano costati solo per il trasporto dalle cave fino a questo luogo, di questo macigno di marmo. Siamo quasi al tramonto i colori dei ruderi sono caldi e forti. Entriamo in una caverna scavata sotto la montagna, all’interno troviamo il tempio dedicato a Mute, moglie del dio Amon. Spettacolari le incisioni sulle pareti della prima stanza, nella seconda invece pitture su figure in rilievo delle divinità, rappresentano cerimonie sacre, semplicemente stupefacenti. Quest’ultima spiegazione me l’ha fornita Moez. L’oracolo Wikipedia invece ci dice che questo tempio scavato nella montagna fosse dedicato ad Hator dea della gioia, della bellezza, della danza e della musica. La mia ignoranza in materia è disarmante, di conseguenza non posso far altro che astenermi da considerazioni o sintesi. C’è tempo per avvicinarci al gruppo di piramidi poste nella spianata alla base del monte sacro, sono anch’esse del periodo Kuscita, mantenute in ottimo stato, hanno una forma aguzza e slanciata con spigoli arrotondati, caratteristiche. Rientriamo che ormai è buio.

8° giorno, Lunedì 21/11/2016 (Campo sotto una duna nei pressi di Kawa)

Seguiamo il Nilo sulla sponda destra lungo l’ansa che prima dirige verso sud, poi con una curva a 180° piega di nuovo verso nord, leggermente nord-ovest. Siamo in pieno deserto Nubiano, la sabbia gialla ci inonda, ci fermiamo a fotografare, bellissimo un cammelliere che avanza con un gruppo di cammelli, mentre lo riprendo lui estrae dalla tasca un telefono cellulare, lo avvicina all’orecchio ed ha una lunga conversazione. Ci fermiamo a Old Dongola, visitiamo un cimitero musulmano con tombe a forma di cupola dove sono sepolti i Marabout (santoni-maestri musulmani). Entro in una tomba a cupola, in alto volteggiano diversi pipistrelli stridenti, si intravvede una tomba di pietra e si avverte un gran odore di guano. Ci rechiamo al posto di polizia per registrarci, quindi attraversando un ampio palmeto e campi coltivati, raggiungiamo il paese di Old Dongola, ci fermiamo a comprare dell’ottimo pane, poi al ristorante, man mano che ci dirigiamo verso nord, i ristoranti sono sempre più miseri e scarsi di igiene, fuori dal ristorante una donna prepara e serve tè o caffè. Ritorniamo nei pressi del cimitero musulmano, più in alto ci sono i resti di una cattedrale ortodossa, molto belle le colonne in granito. Sulla cima della collina che sovrasta la zona, una costruzione squadrata, un monastero che nel 1317 il re Abdalla Bershambu trasformò in moschea. Riprendiamo la direzione nord, ma poco dopo l’asfalto finisce e proseguiamo sulla pista per un centinaio di km, lungo questo tratto incontriamo solo tre veicoli. Questa parte del deserto nubiano che attraversiamo è affascinante, vediamo belle dune, spianate infinite. Ritroviamo l’asfalto a El Silem, ci fermiamo per la spesa. Poi ci inoltriamo nel deserto ci fermiamo a ridossa di una grande e scolpita duna per piantare il campo. Saliamo sul crinale della duna, assistiamo ad un superbo tramonto. Silvana ci fa notare che è più pulito qui che nella casa nubiana di Karima. Cena ottima, facciamo i complimenti a Yassir. Noi, il deserto, e basta… Rettifico, c’è anche una vigliacca zanzara che mi punge una mano. I nostri accompagnatori, mentre preparano la cena, smontano il carico, parlano, parlano, parlano e ridono, ridono, ridono, non capiamo quello che si dicono, ma è evidente che sono affiatati, sono un bel gruppo. Scherziamo spesso con loro.

9° giorno, Martedì 22/11/2016 (Campo nei pressi delle cave di Tombos)

Ci svegliamo felici in un luogo speciale. Mentre smontiamo la tenda Moez ci consiglia di fare attenzione, gli scorpioni alla ricerca del caldo potrebbero essersi insediati sotto. Alcune sere fa durante un campo, fece un giro attorno alle tende con una torcia a luce rossa e blu, asserendo che avrebbe evidenziato gli scorpioni, sta facendo terrorismo nei confronti di Patrizia! Mentre i nostri accompagnatori finiscono il carico dei mezzi, noi 4 ci incamminiamo, tanto per sgambare un po’, seguiamo le tracce lasciate ieri sera, camminiamo per una quindicina di minuti, bellissimo camminare nel deserto, da soli! Più tardi un fennek, la volpe del deserto ci attraversa la strada. Raggiungiamo un bivio, prendiamo a sinistra verso ovest, attraversiamo il Nilo sul moderno ponte. Sosta a Dongola, visitiamo il mercato, alcuni acquisti. Filmiamo un ragazzo che muovendo le mani alla velocità della luce, raccoglie il macinato di ceci, lo spalma in uno stampino metallico e lo fa saltare nella padella, dove frigge, hanno la forma delle nostre castagnole o dei ravioli, si chiamano “falafel”, ne mangiamo talvolta. Giungiamo a Kerma. Qui sono stati ritrovati reperti risalenti a 9000 anni fa. L’insediamento, che visitiamo, risale a 3000 anni a.C. dove si sviluppò la civiltà Kerma che rimane la potenza principale di tutta la Nubia, fino alla conquista egizia avvenuta nel 1550 A.C. Al centro dell’insediamento si erge un grande e strano edificio di mattoni crudi, in avanzato stato di corrosione, denominato “Defuffa” qualcuno ha ipotizzato si trattasse di un luogo commerciale fortificato, altri che si trattasse di una torre di avvistamento, altri lo considerano un quartiere religioso. Passiamo alla visita del recente ed interessante Museo Archeologico annesso alla zona archeologica. Il piatto forte di questo museo è costituito dalle 7 statue in granito nero raffigurante gli ultimi faraoni neri della XXV° dinastia, la statua più alta raffigura l’ultimo faraone nero che regnò anche sull’Egitto fino al 664 a.C. Taharqa. Durante una invasione egizia, le statue vennero frantumate e sepolte dai nubiani, per evitare che subissero offesa e distruzione da parte dei nemici i quali volevano cancellare ogni traccia dei Faraoni Neri. Nel 2003 furono rinvenute, ricomposte ed ora fanno magnifica mostra al centro della principale sala di questo museo, vi sono anche ricostruite delle tombe con scheletri umani, ceramiche, utensili e molto altro. Per il pranzo ci fermiamo in un locale con bella veranda che da sul fiume, ci servono dei dolci completamente imbevuti nello zucchero fuso, tipo miele, si chiamano “baklawa”, buoni ma esageratamente dolci!

Nel pomeriggio ci rechiamo presso un imbarco lungo il fiume, con una barca raggiungiamo l’isola Arti Gasha, durante la navigazione, incontriamo altri piccoli natanti, vediamo donne fare il bucato, molte pompe a motore pompano acqua verso orti e campi. Troviamo sull’isola campi coltivati a fave, mucche ed asini al pascolo, contadini dediti ai lavori. Visitiamo un villaggio, delle donne ci fanno entrare nel cortile della loro casa, ci mostrano il forno per cuocere il pane e otri dove conservano i cereali. Visitiamo la casa ormai diroccata dell’ultimo re dell’isola. Entriamo in un altro cortile, molto ordinato, ci fanno entrare in casa, ci mostrano un bel baule in lamiera decorata, è il contenitore del corredo di una ragazza, nella casa c’è una bella giovane signora con una bimba, ma non si fa fotografare. Ritorniamo sul “continente”, come dicono i siciliani, visitiamo le cave di granito di Tombos, da dove proveniva il marmo delle statue che abbiamo visto lungo il nostro percorso, vi si trova una grande statua distesa, incompiuta, forse raffigurante il faraone Taharqa, lì abbandonata da 2700 anni. Intanto nugoli di bambini ci avvicinano per chiederci delle penne, ne abbiamo diverse da distribuire, ma poi va sempre a finire che litigano fra loro. Ci fermiamo presso una abitazione nubiana, l’ha scelta Moez, ma dice che avremmo potuto sceglierla anche noi a caso, vuole la tradizione che se uno sconosciuto bussa all’uscio di una abitazione nubiana, e chiede, gli verrà sicuramente offerto un tè o del caffè, ci ospita il sig. Idris, ci offre tè, biscotti fatti in casa, datteri, gentilissimo, abbiamo una bella conversazione, parla inglese, piacevolissimo incontro. Raggiungiamo un campo per la notte in una spianata contornata da enormi massi di granito, poco lontani dalle cave, se dovessi descrivere questo luogo con una parola, direi: “lunare”.

10° giorno, Mercoledì 23/11/2016 (Raggiunta Soleb)

Ieri sera io e Patrizia siamo stati i primi a coricarci in tenda verso le 21,30. Poco più tardi abbiamo sentito gli altri parlare, si sono avvicinati alla nostra tenda con le torce accese, hanno avuto sentore della vicinanza di un cane selvatico oppure di un lupo, ci hanno messo delle pietre vicino all’ingresso della tenda, in caso di bisogno, poi hanno messo in moto un’auto, hanno fatto un giro in ispezione con i fanali accesi. Hanno lasciato una torcia accesa tutta la notte sulla tenda di Silvana e Peo. Stamane ci hanno raccontato di essersi preoccupati, ma io ieri sera, avevo appena deposto la Settimana Enigmistica che uso per conciliarmi al sonno, non avevo assolutamente voglia di allertarmi, mi sono addormentato. Stamane abbiamo cercato tracce sul terreno, ce ne sono diverse, ma non sappiamo se fresche di stanotte. Da nord verso sud, lungo il Nilo ci sono 6 cateratte, si tratta di punti in cui causa rocce, o rapide, il fiume non è navigabile. Saliamo su una collina e dall’alto ci appare la magnifica visione della Terza cateratta. Il fiume scorre maestoso contornato dal verde, nel centro c’è un isolotto, nella parte più a ovest, delle rapide fanno saltellare l’acqua, poi il fiume riprende il suo percorso tranquillo. Ci spostiamo verso nord fino a Koka, villaggio in cui intendiamo attraversare il fiume. Imbarchiamo le macchine, pittoresco traghetto, si salpa. Risaliamo la riva sinistra, ci fermiamo a visitare il Tempio di Sesibi, costruito dal faraone Amenophis IV° della XVIII° dinastia nel XIV° secolo a.C. Sono rimaste solo alcune colonne e poco altro. Mentre visitiamo il sito, escono da scuola e si dirigono di corsa verso di noi un troppi. Attraversiamo ancora una lunga parte di deserto su pista, fino a ritrovare la strada asfaltata e raggiungiamo Soleb. Qui si trova il tempio dedicato al dio Amon e al faraone sua immagine vivente, risalente al XXV° secolo a.C., costruito da Amenothep architetto egizio. Il sito è molto bello, arrivandoci da ovest, si notano le alte colonne, sopra le quali, nel primo cortile sovrastano i fiori di loto con petali aperti, a simboleggiare la vita, sulle colonne del successivo cortile i fiori di loto sovrastanti le colonne sono chiusi a simboleggiare la morte. Si può salire tramite gradoni su di una alta parte di muro. Sulle colonne sono raffigurati soldati prigionieri legati nelle braccia, sono distinguibili soldati dalle sembianze africane ed asiatiche. Oltrepassiamo il tempio, verso il fiume dove c’erano delle vasche, la cui acqua al mattino rifletteva il sole verso il tempio. Raggiungiamo il fiume dove ci dicono alcune volte è possibile vedere coccodrilli, ma oggi non ce ne sono. Questo sito, uno dei meglio conservati del Sudan è stato restaurato da una equipe dell’università di Pisa, i lavori iniziati nel 1957 proseguirono per 20 anni. Il guardiano del sito ha trasformata la propria casa in gest house, pernottiamo presso questa struttura, le camere sono veramente spartane, solo due letti, pavimenti in terra battuta. parecchia polvere. La corrente elettrica viene erogata da un generatore dal tramonto alle ore 22,30, l’acqua manca da tre giorni, facciamo la doccia prelevando l’acqua da una botte con un barattolo dei pomodori. Durante la cena ci accorgiamo dell’equivoco insorto oggi fra noi ed i nostri accompagnatori. Secondo il loro programma, noi avremmo dovuto rimanere con i mezzi sul lato destro del Nilo, poi giunti a Wawa, (situata di fronte a Soleb) avremmo preso il traghetto, (solo per persone) e saremmo venuti a visitare Soleb, quindi tornare sul lato destro. Invece stamane Silvana ha chiesto di condurci anche a Sesibi, noi non avevamo capito che per visitare Sesibi bisognava venire con le auto da questa parte poi avremmo dovuto ritornare a Koka e riportare le auto sul versante destro, visto che da qui fino a Wadi Alfa non ci saranno né ponti ne’ traghetti per auto. Pazienza, qualche incomprensione ci stà. Prima del tramonto ritorniamo al tempio per assistere al bellissimo scendere del sole. Da quando siamo in Nubia, non abbiamo mai visto nuvole.

11° giorno, Giovedì 24/11/2016 (campo fra montagne 100 km a sud di Wadi Alfa km perc. 280)

Alle ore 5,50 il muezzin ci ricorda quanto Allah sia grande. Ci accompagnano al Jebel Dosha, una collina poco distante, ci mostrano una stele incisa nella roccia, ed una caverna scavata a mano dove c’era un piccolo tempio. Saliamo fino alla sommità, dalla quale si gode di una impareggiabile e sconfinata vista sul Nilo, il verde circostante, il villaggio di Soleb e tutto il deserto sconfinato. Rimaniamo a goderci questo quadro, scendiamo dal versante nord, completamente coperto da una soffice duna con la sabbia ondulata dal vento, scendendo la “spettiniamo” completamente. A ritroso ripercorriamo la strada e pista di ieri, riattraversiamo il fiume sul traghetto, sempre pittoresco. Tornati sul lato destro del fiume riprendiamo la direzione nord. Attraversiamo zone rocciose e pietrose. Per il pranzo ci fermiamo in un misero ristorante, noi prendiamo solo un tè, facendo massima attenzione a non vedere come cucinano e sopratutto non vedere come lavano tegami e bicchieri. Di fianco al ristorante c’è un fabbro con un laboratorio a tetto semicoperto, il titolare sta costruendo letti e cancellate, mi chiede se parlo arabo, mentre osservo i suoi lavori lo gratifico con “jamill, jamill” che significa bello! Lui si inorgogliosisce col pollice alto e aggiunge “tamam” ch significa bene. Tutte le case nubiane sono recintate da un muretto, l’ingresso è chiuso da un cancello metallico,la cui forma è estremamente curata, nei colori e nella fattura, ogni cancello differisce dall’altro, alcuni veramente belli. All’interno dei recinti, le abitazioni svettano più alte, spesso i muri di terra sono decorati da disegni bianchi. In barca raggiungiamo l’isola di Sai, traghettiamo una sola auto poiché il sito archeologico dista circa 3 km, ci accompagna per tutta la visita un giovane armato di kalashnikow, mentre sto filmando parla con Moez, capisco che ce l’ha con la mia telecamera, la metto nello zaino, mi ringrazia con “shukran”. Il sito è stato oggetto di diverse conquiste probabilmente dovute alla sua posizione strategica: si sono trovate tracce di civiltà Kerma, quindi le armate faraoniche della XVIII° dinastia, sono stati ritrovati cimiteri di epoca napatea e meroitica. Più tardi diventa cristiana, infine islamica, ma vi sono tracce anche di un passaggio ottomano, come testimoniano le strutture esistenti, datati circa 500 anni fa. Le mura e gli edifici rimasti, costruiti con mattoni crudi, sono in avanzato stato di corrosione, il terreno è cosparso di milioni di frantumi di anfore in terracotta di diverse epoche. Niente di eccezionale, ritorniamo sulla strada che porta a nord. Siamo in piena zona mineraria, vediamo parecchi cercatori d’oro, intenti nelle loro ricerca. Chiunque può scavare, ma la legge consente solo fino a 5 metri di profondità, oltre ai quali è indispensabile un permesso governativo. Questa legge “dei 5 metri di profondità” sembra una di quelle leggi partorite dal parlamento italiano!.. Il punto di scelta dove scavare è determinato dalla presenza o meno di certi tipi di rocce, che denunciano la presenza d’oro. Sembra che la quarzite sia una di queste. I cercatori d’oro “fai da tè” usano il metaldetector. Le imprese meglio strutturate usano altri procedimenti più complessi. Per tutta la giornata odierna è spirato un fresco vento da nord, anche le ore più calde sono state mitigate. Causa il vento che a volte arriva con forti raffiche, per il campo scegliamo in luogo protetto tra le rocce, in una zona caratterizzata da grossi massi di roccia granitica, granito rosa di scarsa qualità, che si sta lentamente “desquamando”. Notte fredda.

12° giorno, venerdì 25/11/2016: Campo circa 40 km prima di Station 6 (km percorsi 285)

Nel programma che avevo stilato io prima di partire, avevo inserito una deviazione, partendo da Amara poco più a nord di Soleb, prendendo la pista direzione nord-ovest per un centinaio di km, fino a raggiungere l’oasi di Selima, poi ritorno. Ma Moez ha cominciato col dire che per spingerci in quella direzione ci vogliono dei permessi speciali, che si tratta di piste difficili. Peo e Silvana hanno intenzione di anticipare il rientro in Italia di qualche giorno, non ultima la storia che per andare verso Selima bisogna andare sul lato sinistro del fiume. Mi devo arrendere, saltiamo questa tappa. In un paio d’ore raggiungiamo Wadi Halfa, ultima città al confine con l’Egitto. Questa città si trovava più a nord, ma con la costruzione della diga di Asswan e la conseguente formazione del lago Nasser, i cittadini hanno dovuto ricostruire la loro città più a sud. A causa di questo i sudanesi ce l’hanno con gli egiziani, tanto che il lago si rifiutano di chiamarlo con quel nome, chiamandolo Nubian lake. La famiglia di Midhat e Moez è originaria di Wadi Halfa, qui vivono ancora dei familiari, ci rechiamo a casa del fratello Mazar, insieme alla giovane moglie ed il piccolo carinissimo figlio di 8 mesi, ci ospitano offrendoci un ottimo pranzo. A casa di Mazar c’è wi-fi, riusciamo a ricevere lentamente delle mail, ma non si riesce a spedire. Riusciamo a parlare tramite WhatsApp con i nostri figli. I nostri autisti passano in officina per il controllo dei mezzi. Facciamo una visita all’azzurro Lago Nasser, che sconfina alla vista dei nostri occhi, ci sono molti uccelli, metto i piedi nell’acqua. Peo spinge per guadagnare tempo, nel pomeriggio ripartiamo, direzione sud-est. La pista, a tratti ghiaiosa, a tratti sabbiosa, segue la vecchia ferrovia in una ampia spianata che si perde all’orizzonte. I nostri autisti sono veramente abili, hanno mezzi potenti, pneumatici adatti alla sabbia. Forse se guidassero un po’ più lentamente non sarebbe male, ma così è. Incontriamo tre ragazzi, uno dei quali è equipaggiato di rilevatore metaldetector, stanno cercando oro, chiedo loro se ci mostrano qualche pepita, ma non ne hanno con loro, le hanno depositate al campo, chiediamo loro qual è il prezzo attuale, ci dicono circa 30 dollari al grammo. Ci fermiamo al tramonto, ad una quarantina di km da Station 6, dove domani lasceremo la ferrovia per dirigerci verso est. La ferrovia, costruita dagli inglesi, è ormai in disuso, solo qualche treno merci la transita. Tutte le stazioncine che abbiamo visto, non servivano per i passeggeri, infatti non esistono paesi o strade che arrivino alle stazioni, servivano solo alla manutenzione ed ispezione delle rotaie e dei convogli. Ci accampiamo a ridosso di collinette in modo da proteggerci dal vento proveniente da nord, che stasera è notevolmente fresco. 13° giorno.

Sabato 26/11/2016

(Campo 100 km ad ovest di Berenice, posiz GPS N21°,20,91- E034°,01,91 km 260). Anche stamane ci incamminiamo a piedi, precedendo le auto, raggiungiamo una collinetta rocciosa con un ampio foro ad arco, una di quelle sculture naturali che solo la natura “creativa” riesce a produrre nei luoghi più impensati. Peccato che solo pochi possano ammirare. Ci fermiamo a Station 6. Della vecchia stazione rimangono solo ruderi, La palazzina, il cartello indicatore, due binari, di cui uno morto, un vecchio vagone, un carro, tanti assali con ruote, la cisterna dell’acqua per la locomotiva, sembra una vecchia stazione dei film di Sergio Leone. Nei pressi vi son ben tre store che vendono un po’ di tutto. C’è tempo per mangiare qualcosa, ci sediamo su di una stuoia, un grande catino al centro con pane e tre tipi di cibo, ognuno con le mani o col pezzo di pane, raccoglie e si serve. Vado a fare pipì dietro un muretto, quando in serpentello del diametro di un dito mignolo e lungo una settantina di centimetri mi passa vicino e s’infila attraverso un buco nel magazzino del ristorante. Bella la sosta a station six. Intanto i nostri accompagnatori rabboccano i serbatoi con gasolio. Moez tira fuori 2 apparecchi GPS, inserisce i punti, d’ora in poi saranno fondamentali per raggiungere la prossima destinazione Berenice Pancrisia. Anche Peo ed io ne abbiamo uno ciascuno, io mi limito ad inserire i punti di Berenice come destinazione, senza inserire i punti dei vari passaggi intermedi. Passiamo a registrarci presso la polizia, e via verso Est – Nord Est, continuiamo nell’affascinante Deserto Nubiano. Non si incontrano villaggi, solo qualche sgangherato accampamento dei cercatori d’oro, vediamo ruspe al lavoro. Attraversiamo un ampio territorio dove il terreno è stato completamente sconvolto, ribaltato, tutto scavi, gradi buche e cumuli di terreno. Il territorio cambia continuamente, da spianate sconfinate, a zone collinose, dove la pista serpeggia per cercare sbocchi, tratti in cui il verde si presenta con piccole palme ingiallite, colline formate da enormi pietre nere. Solo in un punto dobbiamo tornare indietro per la difficoltà ad imboccare la pista giusta. Le tante piste, solo in alcuni punti sono segnate da pneumatici piantati nel terreno o da cumuli di pietre. Giornata molto dura per i nostri bravi drivers, non ci si può rilassare un attimo. Marciamo fino alle 17,30, ci accampiamo fra collinette pietrose. Oggi le prime nuvole appaiono nel cielo nubiano. Stasera il vento si è placato, le tante mosche invece no! Fa freddo, indossiamo giacche a vento.

14° giorno, Domenica 27/11/2016

Campo pochi km dopo Berenice, km 230. Mannaggia! Mannaggia! Mi si è rotto il computer, non si accende più, ora mi tocca scrivere su carta, poi riscrivere tutto al ritorno. Lasciamo il campo, il GPS indica come distanza diretta Berenice a km 100, per raggiungerla, ne percorreremo 203. Incontriamo un convoglio di auto, con vetri oscurati e bandierine sul cofano, probabilmente si tratta di passeggeri importanti poiché sono scortate da pickup con a bordo gente armata, si fermano al nostro incrocio, si dicono qualcosa con i nostri accompagnatori, si riparte. Nella tarda mattinata raggiungiamo e ci fermiamo al chek point dogana di Shalatain, sulla pista proveniente dall’Egitto, percorsa dai tanti camion che trasportano le merci di scambio fra i due stati, qui le varie merci vengono trasbordate fra autocarri, poiché gli autocarri viaggiano solo nello stato di appartenenza. Gli autocarri parcheggiati sono parecchi, ma non si vedono gru o muletti, il trasbordo viene effettuato a braccia. La pista oggi è difficile, con vari passaggi di sabbia, ma la difficoltà maggiore sta nel trovare il varco giusto fra le innumerevoli catene di colline per raggiungere la nostra destinazione. Almeno in un paio di occasioni dobbiamo ritornare indietro per cercare un varco percorribile. Alle ore 15,30 finalmente raggiungiamo la piccola valle dove si trova la “mitica” Berenice Pancrisia “Tutta d’oro” dove si trovavano le miniere d’oro dei faraoni. Berenice Pancrisia rimase conosciuta fini al XII° secolo, quindo iniziò il declino, poichè estrarre l’oro nel deserto in mancanza d’acqua, divenne eccessivamente dispendioso. Successivamente se ne perse l’ubicazione e fu cancellata dalle carte. Fu riscoperta dopo due mesi di ricerche e lungo peregrinare, il giorno 12-2-1989, da una spedizione italiana guidata dai fratelli Angelo e Alfredo Castiglioni, Luigi Balbo, Giancarlo Negro e Manlio Sozzani, utilizzando una mappa araba del IX° secolo. Il viaggio per raggiungerla è affascinante, l’aspettativa è considerevole, ma all’arrivo in questa piccola valle, popolata da tanti minatori dall’aspetto trasandato, che alloggiano in misere tende, sull’alto di una collina una ruspa sta scavando e martoriando il terreno alla ricerca del prezioso metallo. Ebbene, la vista di Berenice non appaga le aspettative. Pazienza. Ci soffermiamo a visitare le due recenti costruzioni in schegge di pietra di sisto, la più imponente a forma di castello doveva essere sicuramente la residenza del rappresentante del potere. Tuttavia la recente riscoperta di questo sito non ha ancora permesso di decifrarne chiaramente la storia. Da quando ci troviamo in questa zona mineraria, Moez è assai sospettoso nei confronti dei minatori, ci invita ad allontanarci prima che faccia buio, intende trovare un luogo appartato dove poterci accampare. Per uscire dalla valle percorriamo un canalone stretto, contornato da pareti di roccia. Ci fermiamo a chiedere informazioni agli autisti di un grosso autocarro, stracarico di attrezzature, barili per l’acqua e giovani minatori, mentre siamo in sosta qualcuno cerca di interpellarci con le poche parole di inglese che conoscono, sono curiosi. Appena usciti dai budelli stretti ci accampiamo in una radura fra rocce. Il dopocena è sempre un momento magico, nella consapevolezza di essere fuori dal mondo abitato, ci gustiamo questa condizione di eremiti, talvolta spegniamo le torce e ce ne stiamo ad ascoltare il silenzio totale. Ci capita di vedere anche qualche stella cadente.

15° giorno, Lunedì 28-11-2016: km 275

Moez non ama il presidente sudanese Al Bashir, in mattinata ci diverte imitandolo in ridicole scenette. Incontriamo un gruppo di ragazzi, cercano oro con l’ausilio di metaldetector, Silvana ne compra alcune pepite, (prezzo: 600 sterline al grammo (= € 31,5 al cambio nero) sono ragazzi allegri, ci chiedono di posare per le foto con noi, poi si mettono a cantare e danzare per noi, regaliamo alcune cose ad un bambino. Oggi la nostra guida Moez non si è guadagnata la sufficienza. Secondo noi non ha imboccato la pista giusta con direzione sud-est che dovrebbe condurci verso Muhammed Qol sul Mar Rosso, ci accorgiamo che al contrario ci stiamo dirigendo verso sud, leggermente verso ovest, glielo facciamo notare, lui cerca di convincerci che la direzione presa sia quella buona, ma continuiamo nella direzione sbagliata, gli chiediamo se ha i punti GPS da seguire, ci risponde che i punti li aveva, ma che gli agenti della security gli hanno imposto di cambiare traiettoria. Ci sono frequenti accampamenti di minatori, si ferma continuamente a chiedere, ma non ne veniamo a capo, continuiamo a dirgli che dobbiamo andare verso est, lui ci conferma che presto incroceremo una pista che porta verso est. Raggiungiamo un piccolo villaggio dove troviamo un distributore di carburante, facciamo il pieno. Ci dicono che dobbiamo tornare indietro. Risaliamo verso nord, ma non incrociamo piste che si dirigano verso est. Incrociamo autocarri e pick up dei cercatori d’oro. Tutto il territorio è martoriato dalle escavazioni dei cercatori d’oro, la pista scorre fra i cumuli di terra e ghiaia. Attraversiamo pure ampie spianate di sabbia soffice (fesh fesh). Ci fermiamo affascinati ad ammirare e fotografare una collina di rocce nere coperta di sabbia bianca con venature scure, uno spettacolo cromatico particolare. Per il pranzo ci fermiamo all’ombra di un’acacia a forma d’ombrello, stendiamo una stuoia, in un grande catino, ci preparano un’insalata di tonno e cipolla, un barattolo di fave, ed una pasta di sesamo, con pane, mentre pranziamo passano due uomini con un pickup, li fermiamo per chiedere informazioni, li invitiamo a mangiare con noi. Presso un accampamento un uomo si offre di salire con noi per condurci ad imboccare una pista, ma il groviglio di piste è tale che non ne veniamo a capo, penso che avremo percorso almeno un centinaio di km a vuoto. Risaliamo fino quasi al confine egiziano dove finalmente troviamo una pista. Improvvisamente ci appare una ampia macchia di verde, si tratta di un inaspettato immenso prato, stranissimo, probabile ci sia sotto una sorgente, oppure un avvallamento dove l’acqua ristagna dopo le piogge. A sera ci troviamo spostati verso est rispetto alla mattina di appena una cinquantina di km. E’ come se per andare da Milano a Venezia fossimo passati da Ancona!

16° giorno, Martedì 29-11-2016: 10° Campo Mar Rosso km240

Notte umida, le tende sono completamente bagnate. Prima di ricaricare le nostre valigie, tiriamo fuori le maschere ed i costumi da bagno, convinti di poter raggiungere il mare in tempo per poter finalmente fare un bel bagno. Ma anche oggi il bandolo della matassa stradale ci sfugge continuamente di mano. Chiediamo continuamente ai minatori, la difficoltà deriva anche dalla devastazione delle piste, dalle molteplici divaricazioni, come un delta di un grande fiume, è veramente un casino venirne a capo. Ma quando il GPS ti indica che stai continuamente allontanandoti rispetto alla direzione cui tendi, ti dovrebbe venire almeno qualche dubbio. Peo è intervenuto alcune volte per farci tornare indietro e cercare piste dirette verso est. Stamane il nostro GPS ci stimava distanti dal mare in linea d’aria a 70 km, ebbene dopo un paio d’ore di viaggio, la distanza diventa di 90 km!? Quando ci troviamo di fronte ad un bivio, i nostri accompagnatori non si fermano a ragionare, no! Prendono direttamente una direzione, non capisco con quale criterio. Forse non vogliono mostrare indecisione. Ormai siamo scesi a sud, ci troviamo a Jebet, grossa cittadina mineraria, ci invitano a non fotografare in quanto i cercatori d’oro sono molto gelosi e sospettosi, meglio evitare. Chiediamo di poter comprare oro, un signore ci accompagna in un sudicio store, il gestore tira fuori dei piccoli pacchettini contenenti le pepite, dalla forma vagamente sferica del diametro di circa 4 – 5 millimetri. Silvana e Peo ne comprano 6, io e Patrizia ne acquistiamo 2 da regalare ai nostri figli, entrambe pesano un grammo, costo 650 sterline (€ 34) cadauna. Lasciamo rapidamente il villaggio, non avvertiamo un clima cordiale. Nel nulla del deserto incontriamo due ragazzi a dorso dei loro cammelli che stanno badando un gregge di capre, viene da chiedersi quale accesso abbiano questi due ragazzi all’istruzione, al diritto alla salute, quali relazioni sociali possano avere? Infine cosa penseranno di noi che ci fermiamo a fotografarli, anche se in cambio diamo loro qualcosa. Per coprire i 70 km in linea d’aria che stamane ci separavano dal mare, a sera ne abbiamo percorsi ben 240. In questi ultimi giorni i veicoli sono stati sottoposti ad un severissimo stress, tant’è che qualche segno di cedimento alla carrozzeria comincia a palesarsi. Raggiungiamo il Mar Rosso poco prima del tramonto, che non vedremo causa il cielo nuvoloso. C’è un posto di polizia nelle vicinanze, ci consentono di accamparci, piantiamo le tende a 10 passi dall’acqua. Il tempo per mettere i piedi ammollo nell’acqua turchese, ci scappa anche una bella passeggiata sulla battigia di questo piccolo golfo. C’è segnale telefonico, mandiamo SMS ai nostri ragazzi, dopo 4 giorni di assoluto silenzio. Da Wadi Halfa abbiamo percorso1130 km di pista, ma colma di fascino. Abbiamo incontrato villaggi poveri, capanne primordiali, stato primitivo, carovane di cammelli, gente che vive come secoli fa, anche se parecchi hanno il telefonino cellulare. E’ buio, arrivano dei pescatori, i nostri accompagnatori acquistano dei pesci, simili a delle orate, li cuociono subito, li mangeremo domani. Alcuni pescatori poco distanti, illuminati da torce, battono i polipi, per ammorbidirli. Com’è diverso l’habitat stasera, rispetto alle serate scorse!

17° giorno, Mercoledì 30-11-2016: Port Sudan

Mattinata tranquilla. Facciamo il primo bagno nel Mar Rosso, il fondale non è granchè, ma allontanandoci un poco dalla riva troviamo delle rocce con coralli e pesci colorati, peccato il cielo velato, che non illumina. Ripartiamo, direzione sud lungo la costa. Ci fermiamo per il pranzo presso un ristorante, si tratta di una capanna con camminamento di ciottolato centrale a forma di croce, nei 4 angoli sono ricavati dei rettangoli delimitati da un basso muretto sul quale spiccano colorati fiori di plastica, il pavimento dei rettangoli è coperto da stuoie verdi e alcuni cuscini per appoggiarsi, si mangia distesi su un fianco. Sul tradizionale grande catino di alluminio ci servono delle uova strapazzate, un barattolo di fave, mangiamo il pesce di ieri sera, buono! Poi il caffè preparatoci da un ragazzo. Lungo questa costa ci sono diverse “marse”, sono delle insenature, che si incuneano nella terra, usciamo dalla strada per vederne una, ma niente di eccezionale, rischiamo anzi di impantanarci nella sabbia umida. Ci fermiamo presso il Sudan Red Sea Resort, un villaggio turistico con bei bungalow, quasi deserto, vorremmo farci un altro bagno, ma l’acqua non è chiara, prendiamo un tè e ce ne andiamo. Raggiungiamo Port Sudan, seconda città per importanza del Sudan. La periferia è molto sporca, tantissima plastica abbandonata, il vento ha sparso le sportine di plastica, fissandole su ogni cespuglio o appiglio, ci sono parecchie pozze d’acqua ricoperte di bottigliette di plastica. Mentre ci avviciniamo vediamo ampie baraccopoli. Tipica città africana. Ci regaliamo una decorosa camera d’albergo presso il Bashir Plaza Hotel (€ 80 la doppia con colazione) molto pulito, apprezziamo la ceramica del pavimento invece della moquette. E dopo 6 notti di campeggio, una favolosa doccia calda, impagabile! Poi cena semplice con pesce (in 4 spendiamo 240 sterline = € 12,6). Passeggiamo lungo il porto, ben illuminato, ci sono ampi spazi con tavoli e sedie, uomini che giocano a carte o a biliardo, ci sono chioschi per il cibo di strada, bancarelle con esposti oggetti fatti con conchiglie, ambiente gradevolissimo, di donne se ne vedono pochissime. Per il rientro prendiamo un tuc tuc che qui chiamano “regsha”. In albergo ottima wi-fi, parliamo con i nostri figli.

18° giorno, Giovedì 1-12-2016: Port Sudan

Colazione scadente. Ci rechiamo al porto, Moez ci ha trovato un barcaiolo che ci porterà fuori per lo snorkeling. Al prezzo di 200 $, altri ce ne avevano chiesti 400 – 500. Si salpa verso il reef, che dista circa 20 minuti di navigazione. La barca dispone anche di vetro sul fondo per vedere il magnifico fondale. Una prima sosta, ci tuffiamo con pinne e maschere in un paradiso subacqueo, oggi sole, i colori sono vivaci, l’acqua è limpida, il fondale non è profondo, ma ci sono delle buche, dove scende vertiginosamente all’improvviso, tanto che non si vede il fondo. Vediamo una tartaruga, tantissimi pesci di varie pezzature e colorazioni, coralli, i pesci che entrano ed escono dagli affranti delle rocce, a tratti sono centinaia! Questo è il Mar Rosso! Con enorme fatica risaliamo a bordo della barca che non dispone di una scaletta, col rischio di farci male. Ci spostiamo in un altro luogo dove si trova un relitto in avanzato stato di corrosione che in parte affiora. Il fascino dei relitti sommersi con i pesci che lo popolano, è irresistibile, rimaniamo a lungo, riprendo e scatto foto con la telecamera Go Pro subacquea. Quando risalgo a bordo, non mi sento bene, avverto mal di mare, il barcaiolo vorrebbe accompagnarci in altro luogo interessante per immersioni, ma io chiedo di rientrare. Strano, l’ultima volta che ho sofferto mal di mare credo sia stato 5 o 6 anni fa. Rientriamo in albergo, telefono in azienda, tutto bene, molto lavoro. Verso sera usciamo a fare una passeggiata, camminando sui larghi marciapiedi bisogna fare attenzione a non calpestare le stuoie predisposte per la preghiera, gruppi di uomini allineati pregano insieme. Ovunque ci sono tavoli e sedie, uomini che giocano, non si vedono turisti. Alle 19 ci rechiamo tutti nella zona del porto, all’interno di un immenso capannone, ha luogo una esposizione di prodotti di tutte le regioni ed etnie del Sudan. Nei vari stand sono ricostruite le tende di stuoie dei nomadi, gli utensili di uso comune, i costumi, le selle dei cammelli, tessuti lavorati, una donna macina a mano dei cereali. In uno stand, due donne con dei plastici rappresentano l’utero della donna con dei feti, nei vari stadi della gravidanza, ed il feto nelle varie posizioni, Moez presenta Patrizia alle due dimostratrici, hanno un confronto in materia. Un gruppo di ragazzi danza accompagnati da un tamburo, invitano Silvana e Patrizia a danzare con loro, accettano, subito si raggruppa un folto gruppo di curiosi, le donne locali non si esibirebbero mai in questo modo, è un piacevolissimo momento di convivialità. Molte sono le donne agli stand ed anche in visita. I colori degli oggetti esposti e gli abiti di alcune donne, rendono l’ambiente sfavillante. Peccato che all’interno faccia molto caldo. Incontriamo un gruppo di giovani italiani che lavorano per il ministero degli esteri italiano, ad un progetto europeo di cooperazione, vengono da Khartoum, ci raccontano che nella capitale ci sono stati 4 giorni di disobbedienza contro la politica del governo, i cittadini non si sono recati al lavoro o a fare spesa, nessuno è uscito di casa, paralizzando le attività, non hanno potuto manifestare in strada poiché la polizia spara sui manifestanti. Ci rechiamo a cena in un ristorante all’aperto, vicino al mare, con i nostri accompagnatori, si aggiungono due loro conoscenti. Menù ottimo: carne di montone, cotta direttamente sul carbone ardente, quindi un po’ sbruciacchiata, verdure, patatine fritte, tanto pane, infine i “baklawa” i tipici dolci imbevuti di zucchero fuso, bibita di yogurt, abbiamo offerto noi, (spesa totale sterline 470 = € 25). Serata super!

19° giorno, Venerdì 2-12-2016: Kassalà (Peo e Silvana ci lasciano)

Si parte direzione sud, ci fermiamo dopo 60 km per visitare Suakin. Era il porto più importante del Sudan, ma dal 1906, anno in cui gli inglesi fondarono Port Sudan, iniziò il suo declino. Visitiamo l’antica cittadella, ora quasi completamente diroccata, gli edifici erano stati costruiti con pietra corallica, se ne vedono evidenti tracce. Purtroppo il governo turco si è assunto l’impegno di restaurare l’intera cittadella. Anzichè riutilizzare le pietre originali, di cui vi è grande abbondanza, vengono usate pietre di arenaria grigia fatte arrivare da chissà dove, i muri vengono completamente intonacati e dipinti di bianco, sui vialetti sono stati installati dei lampioni. Risultato, luogo completamente snaturato! Non merita la visita, ce ne andiamo velocemente. Proseguiamo verso sud sulla strada ora invasa da autocarri che trasportano le merci giunte a Port Sudan, la strada attraversa una zona montagnosa e gli autocarri nei tratti in salita procedono a passo di lumaca. Ci fermiamo a Haiya dove incontriamo il bivio che ci divide. Peo, Silvana Moez e Safe con un’auto prendono la direzione sud-ovest per Atbara quindi Khartoum, dove domani sera Peo e Silvana prenderanno l’aereo per il rientro. Io, Patrizia e Yassir, con l’altra auto prendiamo la direzione sud, verso il confine con l’Etiopia. Anche Silvana scrive un diario personale, le ho chiesto di scrivere qualcosa da inserire in questo mio, ha accettato. Silvana scrive: Quando arriviamo in posti come questi, ci chiediamo sempre perché ci siamo venuti. Un richiamo ancestrale, la ricerca di avventure, il desiderio di spazi aperti, culture diverse e un modo di vivere il quotidiano, che non ha niente in comune con il nostro a parte i cellulari che ormai hanno invaso il mondo e ci rendono tutti uguali. Le donne con il burka, tutte vestite di nero, di cui scintillano solo gli occhi, il cammelliere che attraversa il deserto su un cammello, scortandone altri 7, verso una qualche destinazione, il contadino vecchio con il turbante e la barba bianca, che seduto per terra aspetta, all’ombra di un albero, l’arrivo dell’acqua pompata dal Nilo per irrigare il suo campo, sono tutti così diversi da noi, eppure il cellulare ci rende uguali. Loro lo impugnano con piacere e con orgoglio. A parte questo, mi è sembrato attraversando il Sudan che non ci siano stati tanti cambiamenti: si va ancora sugli asini, si coltiva il campo vicino al fiume Nilo, a mano, con strumenti di una volta, si garantisce l’acqua al viandante con enormi orci di terracotta, l’acqua traspira e si mantiene fresca. Le strade dei piccoli paesi sono di sabbia e terra, la carenza dell’acqua è molto forte, la mancanza di servizi igienici quasi completa nelle campagne. La gente è bella, cordiale, regale, con le vesti dell’Islam, tutti in bianco col turbante gli uomini, con felpi colorati o neri le donne. Le donne sono belle, begli occhi neri sapientemente truccati, sorrisi dolci, accattivanti. La povertà è ovunque, ma talmente diffusa che sembra che i ricchi non ci siano. Le macchine sono perlopiù scassate ed emettono fumi intossicanti ed inquinanti. Riemergono, affascinanti, le rovine del passato nubiano, egiziano, nubiano dei faraoni neri: belle colonne color giallo caldo nel deserto, tombe decorate, muri dipinti. Anche 3000–4000 anni fa si cercava di esorcizzare la morte prefigurando vite nell’aldilà e bisogni simili a quelli in vita. Amon accoglieva i faraoni, come Dio o Allah accolgono i credenti di oggi. Paradisi allora, paradisi oggi. Il Nilo: quando l’abbiamo studiato a scuola, con il suo mitico limo! Lo attraversiamo, lo riattraversiamo, lo vediamo dall’alto delle mitiche cateratte, che bloccavano il passo ai faraoni, quando andavano a conquistare l’oro della Nubia. Poi il bel percorso, attraverso il deserto, verso la mitica Berenice, il cui nome è più bello del luogo in sé. Incontriamo i cercatori d’oro che ovunque si aggirano per il territorio e fanno una vita da dannati sulla terra. E poi l’arrivo al mare: grande turchese e blu che subito ti porta echi di mondi lontani e ti da il senso della libertà cosa ci sarà al di là del mare?

Lista delle emozioni

– I compagni di viaggio, gentili, curiosi, attenti, rispettosi del luogo e degli altri.

– Il campo sotto la luna alle piramidi di Meroe.

– La visita, noi soli, alle piramidi di Meroe all’alba.

– I campi in pieno deserto, con i cieli stellati, le stelle cadenti e l’aria della sera.

– Il tramonto sul Jebel Barkal, la montagna sacra.

– Le minestrine di Yassir.

-Il tramonto sopra le colonne del tempio di Soleb.

– L’impegno di Riccardo nel preparare il resoconto di viaggio, per rendere partecipi gli amici. Peccato che mia mamma non potrà goderselo più.

– Le camminate nel deserto con le luci dell’alba, l’aria fresca, solo noi.

– Le corse a velocità sostenuta, sulle piste di sabbia larghe e lisce.

– L’acquisto dell’oro, direttamente dai cercatori d’oro della Nubia. L’arrivo al mare turchese e blu dopo tanti km nel deserto.

Grazie Silvana, grazie anche a Peo per la compagnia, con loro abbiamo una collaudata amicizia ed esperienze di viaggio fin dagli anni 70.

Lungo il nostro percorso verso sud, il terreno cambia, diventa più fertile, vediamo ampie coltivazioni a sorgo, numerose sono le pozze d’acqua, dove grossi branchi di cammelli, asini, capre si abbeverano, cominciamo a vedere anche bovini. Si vede qualche trattore, ma il grosso del lavoro viene fatto a braccia. Le abitazioni hanno i muri di terra, o capanne di stuoie. Ieri avevamo prenotato una camera presso l’hotel Hipton, l’ingresso sembra quello di un penitenziario, ma la camera è pulita, costo sterline 300 compresa prima colazione. Una doccia ed usciamo, ci dirigiamo verso il centro. Le strade sterrate, piene di buche ed immondizia, l’impressione è di una città misera, malamente illuminata. In centro, sui marciapiedi ci sono tavoli e sedie come altrove, cerchiamo un ristorante di rango leggermente più elevato, ma non ne vediamo, entriamo in un “kebab” 3 panini con kebab ed una bottiglia d’acqua, (sterline 33 = € 2). Ci sono 2 ragazze al tavolo di fianco al nostro, sono curiose, desidererebbero parlare, ma il loro inglese è estremamente scarno, ci limitiamo al superficiale. Passeggiamo nella zona centrale fra le tante bancarelle, vi è una enorme offerta di frutta e verdura, anche uva, a testimonianza della fertilità di questa regione.

20° giorno, Sabato 3-12-2016: Gondar (Etiopia)

Sorpresina!? Stamane ci troviamo un topolino sudanese in camera! Colazione sul terrazzo dell’hotel, peccato ci sia foschia, non possiamo fotografare i Monti Taka, dalla caratteristica forma tondeggiante. Gli italiani conquistarono questa città nel 1884, in seguito la persero, poi la rioccuparono nel 1940, cosa saranno venuti a fare da queste parti?! Si riparte direzione sud-ovest fino a Gedaret, poi sud-est. In un villaggio vediamo un immenso mercato di pecore e cammelli. Sarà lungo un km. Man mano che ci avvicinando alla frontiera, si intensificano i posti di controllo della security. Ci ferma pure la polizia stradale e fa una multa al povero Yassir a causa del volume delle attrezzature sul tetto, lui protesta ma invano, multa di sterline 15. Alle ore 13 giungiamo alla frontiera sudanese di Gallabat, semplici formalità in uscita. Salutiamo con un abbraccio, il bravo Yassir, con cui abbiamo viaggiato in Sudan. Incontriamo David, il nostro nuovo accompagnatore per il proseguimento in Etiopia (ce lo ha procurato Midhat). È un buffo ragazzo, abbigliato con pantaloni corti bianchi ed arancioni, scarpe da ginnastica con calze arancioni, t-shirt bianca, il particolare taglio dei capelli, tipo calciatore, rasato ai lati con il vertice fino alla nuca. E’ sveglio, ha 27 anni, gran chiacchiera, ci accompagna alla dogana d’ingresso in Etiopia. Percorriamo appena 100 passi e qui, contrariamente al Sudan, le ragazze hanno le spalle scoperte, magliette attillate, con i seni che spingono verso fuori! Come è strano questo mondo! Discutiamo con David il programma di viaggio, ci accordiamo sul prezzo del suo servizio ($ 200 al giorno), cambiamo i soldi: 1 $= Birr 22, -1€= Birr 24. Il veicolo è un pulmino Toyota, lo accompagnano: Amanir, l’autista, ed un altro ragazzo di nome Tasfu, che dovrebbe essere un meccanico. Prendiamo la strada verso Gondar, sale poiché l’Etiopia è quasi interamente situata sull’altipiano etiopico sui 2000-2500 metri. Le strade sono occupate da mandrie di animali, bisogna rallentare continuamente per evitarli. I frequenti controlli di polizia, ci ricordano lo stato di emergenza in vigore in Etiopia, ci controllano passaporti e talvolta anche i bagagli. Giungiamo a Gondar al tramonto. Troviamo una buona camera allo Zobel hotel, qui il nostro accompagnatore ci dice che è meglio se paga lui, se pagassimo noi, potrebbero approfittare, questa affermazione mi fa rizzare le antenne del sospetto. A cena prendiamo del riso, lui mi chiede i soldi per pagare, mi puzza! Stasera, dopo 20 giorni di “Saharia” ci concediamo una birra fresca, deliziosa! I mussulmani non immaginano quello che si perdono!?!… Oggi abbiamo lasciato il Sudan, un paese sconosciuto, quasi ignorato dal turismo, addirittura sconsigliato dai media, anche il ministero degli esteri italiano, a torto ne sconsiglia la visita. Fortunatamente noi abbiamo ignorato i falsi allarmi, questo ci ha permesso di fruire di questa ricchissima esperienza. Abbiamo apprezzato l’ospitalità della gente nubiana, l’accoglienza fraterna, l’indescrivibile immensa ricchezza archeologica, il grande fascino del deserto, l’esistenza del Nilo, come linfa vitale, i meravigliosi fondali del Mar Rosso. Grazier Sudan

21° giorno, Domenica 4.12.2016: Gondar

Appena alzato, chiedo alla ragazza della reception quanto costa la camera, avevo avuto ragione a sospettare di David, la camera costa 250 birr, lui me ne ha chiesti 500, ha pagato anche la sua. Quando il nostro accompagnatore scende per la colazione, gli parlo subito della questione. Lui dice di aver pagato per 2 notti, non è vero poiché non avevamo ancora stabilito se fermarci per 2 notti. A muso duro gli dico che non si deve permettere di cercare di fregarmi. Mi rende il resto della cena di ieri sera. Più tardi ci porterà dei biscotti e della cioccolata. In auto dirà pure che lui è giovane ed africano, che noi dovremo dargli dei consigli. È evidente che ha accusato il colpo, ora è avvisato, noi pagheremo per noi e loro per loro, punto. Ci rechiamo a Gorgora, circa 40 km a sud, graziosa cittadina sul Lago Tana, lato nord, oggi c’è vento, l’acqua mossa, facciamo una passeggiata nei bei giardini a ridosso del lago. Oggi è domenica gli etiopici sono molto religiosi, in maggioranza ortodossi, ne vediamo a grandi gruppi con indosso il mantello o scialle bianco, si recano a messa. Rientriamo a Gondar. La città è completamente addobbata da bandiere a strisce bianco rosse, i giovani indossano le maglie dello stesso colore, sono i colori della locale squadra di calcio, che oggi alle 15 incontrerà la più titolata squadra del Saint George di Addis Abeba, serie A. Entriamo nella cittadella dell’antica capitale. Gondar fu capitale dell’Etiopia dal 1636 per oltre un secolo. Ingresso al sito 200 Birr cadauno, + 200 Birr per la guida + 75 Birr per la telecamera. L’imponente castello di Fasildas con le sue 4 torri, è l’edificio più fastoso ed affascinante, l’interno poco interessante. Bello il giardino circostante. Ci facciamo accompagnare con un tuc tuc a vedere la chiesa Debre Berhan Salaissie, bellissima con muri di pietra, il tetto in paglia, una elegante pensilina colonnata intorno, all’interno, bellissimi i dipinti, il soffitto interamente dipinto con cherubini alati, dai grandi occhi neri. Ci trasferiamo nella centrale piazza, costruita dagli italiani, denominata proprio “Piazza”, percorriamo alcune vie che si diramano da essa, con negozi e bar. Molta gente passeggia, ce ne andiamo, ci dicono che fra poco alla fine della partita potrebbe essere pericoloso poiché i tifosi bevono e si danno ad escandescenze, sapremo più tardi che la locale squadra Gondar ha vinto 2-1. Cena in albergo con qualche difficoltà a farci capire, sul menù i piatti sono indicati sia in amarico che in inglese, ma è difficile lo stesso!

22° giorno, Lunedì 5-12-2016: Axum, km percorsi 360

Il nostro accompagnatore ci mostra trionfante un foglio, dice si tratti di un lasciapassare, non ci dovrebbero più fermare ai posti di controllo. Direzione est, ci inoltriamo nel magnifico paesaggio costituito dai Monti Simien, di colore rosso e giallo con varie sfumature, trapuntati dal verde di piccoli boschi. Scendono in profonde vallate, tipo canyons. La strada sale e scende con stretti tornanti, per una cinquantina di km è sterrata, stretta e malmessa, quando incrociamo i rari autocarri e bus, nascono problemi. Ci fermiamo ad ammirare un gruppo di scimmie e l’impareggiabile panorama. Incontriamo gruppi di donne che trasportano faticosamente fasci di legna sulle spalle. Attraversiamo alcuni fiumiciattoli. Ci indicano un vasto campo profughi, ospita 25000 eritrei. Entriamo nella regione del Tigrai. Vediamo gruppi di ragazzi e ragazze in divisa turchese uscire dalle scuole, alcuni camminano per lunghe distanze. Giungiamo ad Axum alle 18,30, dopo 9 ore di scomodo viaggio. Prendiamo una pulitissima camera all’Africa Hotel (doppia con colazione Birr 500, cena Birr 300).

23° giorno, Martedì 6-12-2016: Makalle

La città fu fondata nel 400 A.C. Il regno di Axum ebbe origine nel 1° secolo d.C. Non si sa ancora molto di questa civiltà. Visitiamo il “Parco delle Steli Settentrionale” (entrata Birr 200 a persona + 200 per la guida). Il luogo è semplicemente fantastico, su un piano di terreno rialzato svettano allineate, in fronte le Stele, dietro alle Stele sono posizionati gli Obelischi, dietro ancora ci sono i Monumenti, che differiscono dagli Obelischi solo per la punta arrotondata (risalenti al 3° e 4° secolo d.C.). La prima a sinistra è la Stele Roma. Era frantumata in 3 tronconi. Nel 1937 i fascisti la trafugarono, la portarono a Roma, la ripararono e la eressero. Nel 2005 l’Italia giustamente riparò al danno restituendola. Ora fa bella mostra di sé in tutta la sua bellezza. Distesa per terra frantumata in alcuni tronconi, giace la “Grande Stele”, un monolito di granito lunga 33 metri, dicono sia crollata poiché avrebbero interrato la base solo per 2 metri. Le Stele erano pietre tombali e monumenti in onore dei sovrani, come le piramidi testimoniavano l’autorità, il potere e la magnificenza delle dinastie regnanti. Scendiamo tramite una scala nel Mausoleo, percorriamo un lungo corridoio sotterraneo, ai lati del quale si accede a delle camere, erano le tombe dei familiari del Re. Poi scendiamo nella tomba “della Falsa Porta” così detta poiché come le porte delle Steli sono solo scolpite, non apribili, scendiamo nella tomba del Re Ramhai. La grossa pietra che sosteneva il sarcofago, all’interno è scavata, percuotendola con una pietra, suona come una campana. Breve visita al piccolo museo annesso. Visitiamo la grande moderna Chiesa di Santa Maria di Sion, fatta costruire negli anni 60 dall’imperatore Hailé Selassié. Poco distante vediamo, la vecchia Chiesa di Santa Maria di Sion, le donne non sono ammesse, fu fatta costruire dall’imperatore Fasiladas, fondatore di Gondar nel 1665. L’interno è decorato da affreschi molto belli, due sacerdoti aprono un librone, ci mostrano i dipinti contenuti nelle antiche pagine, dicono sia datato di 1000 anni. Fra le 2 chiese, si trova una cappella, non avvicinabile, dove si dice sia custodita “L’Arca dell’Alleanza”, il cofanetto in cui, secondo la leggenda, Mosè custodì le tavole dei 10 Comandamenti durante il suo peregrinare nei 40 anni trascorsi nel deserto. Visitiamo il museo dove sono esposte le corone degli imperatori, le preziose vesti, le selle dei cavalli, calici, croci, gioielli. Piccolo, ma interessante. Alle ore 12 si riparte, direzione Adua, chiedo di poter vedere il luogo dove avvenne la “Battaglia di Adua”, quando nel marzo del 1886, le truppe etiopiche al comando di Menelik II° sconfissero l’esercito italiano, comandato dal generale Barattieri. Mentre osserviamo le montagne teatro di quello scontro, si avvicina un signore che dice di abitare nella valle sottostante, dichiara di conoscere la storia, ci narra nel suo inglese, (a noi poco comprensibile), gli avvenimenti di quella battaglia. Proseguiamo fra montagne e valli coltivate, raggiungiamo Makalle, la capitale della regione del Tigrai. Forse una delle città maggiormente industrializzate dell’Etiopia. Le popolazioni delle altre regioni dell’Etiopia, specialmente quelle dell’Oromia, sono in contrasto con la regione del Tigrai, in quanto la maggior parte della classe politica dominante attuale, proviene da questa regione, quindi i maggiori fondi o investimenti vengono rivolti verso questa parte. Le altre etnie lamentano che le tasse aumentano, il potere d’acquisto diminuisce. Questi devono essere stati i motivi degli scontri avvenuti nei mesi scorsi e che hanno causato l’istituzione dello stato di emergenza. Ci accasiamo presso l’Atse Yohannes Hotel, ottima camera con colazione Birr 800.

24° giorno, Mercoledì 7-12-2016: Lalibela

Tralasciamo la visita al castello di Makallè. Ci attende un lungo trasferimento. Ci fa piacere scorgere sulle cime circostanti, tante pale eoliche che mosse dal vento producono energia elettrica pulita, questo è un ottimo segno. Attraversiamo zone montagnose e valli coltivate. E’ tempo di trebbiatura dei cereali, come orzo e tief, dopo la mietitura fatta a mano, le spighe vengono deposte su un ampio telo di plastica, un uomo guida un gruppo di 5 o 6 bovini a girare in tondo, come una giostra sopra le spighe, questo calpestare dura delle ore, appena passate le bestie, un altro uomo con una forca solleva la paglia verso l’alto, il vento fa volare la pula, infine viene separata la paglia dai chicchi di cereale. Di queste trebbiature ne vediamo tantissime. Con la farina di tief viene preparata l’ingera, la spugnosa ed acidula piadina che è alla base dell’alimentazione etiopica. Ci fermiamo spesso a fotografare i paesaggi, le persone intente nei caratteristici lavori. Non vi è traccia di trattori o macchine agricole, il trasporto viene assolto dalla schiena degli asini, dei cammelli, e degli umani. Il percorso odierno nessuno dei nostri accompagnatori lo aveva mai fatto, non dispongono di una cartina stradale, non hanno un GPS, d’accordo che qua non ci troviamo nel deserto, ma li dobbiamo guidare noi con l’aiuto del nostro “city map 2 go”! Arriviamo alle 15,30 a Weldna, i nostri accompagnatori ci avvertono che per raggiungere Lalibela occorrono altre 4 ore di viaggio, forse converrebbe fermarsi qua poiché non ci sono altre città con alberghi prima di Lalibela. Noi lasciamo loro la decisione, comunque se se la sentono, noi preferiremmo continuare. Decidono di proseguire, successivamente bisogna scegliere tra 2 strade: la via corta, ma con 80 km di strada sterrata, oppure la strada più lunga ma con soli 60 km di sterrata, ci dicono che la strada breve è anche pericolosa di notte per banditismo. Scelgono di percorrere la breve, all’inizio lo sterrato è in ottimo stato, poi diventa un vero calvario, piena di buche che al buio sono anche difficili da individuare. Attraversiamo piccoli agglomerati urbani, senza illuminazione, branchi di asini che percorrono indisturbati la carreggiata, gruppi di persone a piedi, gli uomini portano il loro immancabile bastone sulle spalle, sul quale appoggiano le braccia come crocifissi. Il nostro conducente Amanir è veramente abile ed instancabile. Finalmente arriviamo alle 19,30, dopo aver guidato per un’ora e mezza al buio. Prenotiamo l’albergo Alef Paradise per 2 notti, buona camera con colazione per Birr 500 a notte, c’è un debole wi-fi e riusciamo a ricevere ed inviare qualche messaggio con WhatsApp.

25° giorno, Giovedì 8-12-2016, Lalibela

Le chiese monolitiche rupestri di Lalibela, varrebbero da sole un viaggio in Etiopia, di straordinaria imponenza, gusto architettonico, quello axumita, di grandissimo impatto religioso. Vivono attorno al complesso delle 11 chiese, un migliaio di preti o monaci ortodossi. Sono meta di pellegrinaggi. Si narra che il Santo Re Gebre Meskel Lalibela, avesse visto Gerusalemme e che abbia voluto ricostruirla qui, come sua capitale, allorchè Gerusalemme fu conquista dai musulmani comandati da Saladino nel 1187. Rimase capitale del regno dal XII° al XIII° secolo. Raggiungiamo il complesso delle chiese in 10 minuti a piedi (ingresso per 5 giorni € 48 a persona + Birr 300 per telecamera). Troviamo una guida che parla francese, di nome Mekashaw. Iniziamo dal settore sud, ci immergiamo in budelli, gole, scalinate, scavate nel tufo vulcanico di colore rosso. Prima visita alle contigue chiese dedicate ai Santi Gabriel e Rafael. Entriamo in un lungo e buio tunnel che rappresenta la via dell’inferno. Passiamo alla Abba Libanos, poi alla Bet Merkorios, Bet Amanuel. Per passare da una all’altra chiesa attraversiamo cunicoli, fenditure, scalette sconnesse. Si tratta di enormi monoliti scolpiti a mano, staccati dalla roccia circostante vi si può girare intorno. All’entrata ci si toglie le scarpe, all’interno i pavimenti sono coperti di tappeti, vi sono sacerdoti seduti intenti in letture, porgono la croce da baciare ai fedeli, alcuni li vediamo baciare i muri. Alcuni fedeli se ne stanno rannicchiati stesi sul pavimento immobili, completamente coperti dai loro mantelli bianchi. All’interno alcune chiese sono semplici, altre hanno decorazioni scolpite, con colonne, archi, croci stilizzate, notevoli quadri dipinti. Giungiamo in un largo cortile antistante una chiesa, dove un folto gruppo di sacerdoti, cantano e danzano. Accompagnati da tamburi. Un sacerdote con paramenti cerimoniali compie un ampio giro intorno alla chiesa e fra i sacerdoti incensando. Rimaniamo a lungo ad assistere a questo straordinario rito religioso. Passiamo alla visita della parte nord: Bet Medhane Alem, Bet Maryam, con colonnato attorno, rappresenta la casa della Madonna. La più bella in assoluto, nella forma è sicuramente la Bet Giyorgis, dedicata a San Giorgio protettore dell’Etiopia, sicuramente il capolavoro principale, dalla fossa scavata nella roccia si erge il tetto a forma di croce greca. Rappresenta l’Arca di Noè. Scendiamo lungo un cunicolo inclinato, raggiungiamo la base e l’entrata. E’ alta 15 metri, la ammiriamo guardandola dal basso. All’interno non vi sono colonne, molto semplice. Passiamo a visitare il piccolo museo, la nostra guida ci lascia, ma noi rifacciamo con calma il giro delle chiese più belle, perdendoci fra questi tunnel, fessure, scalinate, con la consapevolezza ed il piacere di trovarci in uno di quei luoghi unici al mondo. Rientriamo verso il tramonto, percorrendo a piedi un sentiero attraverso un bosco che ci porta in paese nei pressi del nostro albergo. Giornata indimenticabile.

26° giorno, Venerdì 9-12-2016: Bahir Dar (Lago Tana)

Ieri sera non avendo visto i nostri accompagnatori, avevo inviato a al nostro accompagnatore un sms chiedendogli di partire stamane verso le ore 8. Sul tardi avevo udito arrivare un’auto, poi qualche discussione, stamane ho chiesto alla ragazza della reception, ci dice che ieri sera i ragazzi erano rientrati tardi e che molto probabilmente avevano bevuto. Più tardi, durante il viaggio chiedo al nostro accompagnatore, conferma, avevano festeggiato e bevuto. David è sveglio e simpatico, si impegna, ma è giovane e talvolta si sopravvaluta, inoltre la sincerità non è sicuramente la sua principale virtù. Tutto sommato non ci lamentiamo, ma alcune scelte non le comprendiamo. Oggi David ci comunica che domani Amanir e Tasfu torneranno con l’auto a Gondar. Per accompagnare noi ad Addis Abeba dopodomani noleggerà un’altra auto per sola andata, poi lui tornerà a Gondar in autobus. Si lamenta sempre dei costi, ci ha sempre chiesto soldi in anticipo, traffica, studia modi per risparmiare. Gli dico che noi possiamo andare fino ad Addis Abeba da soli, non occorre che ci accompagni, potremmo andarci anche in aereo, ma lui asserisce di sentirsi responsabile di noi fino alla destinazione. Non si può capire sempre tutto! Percorriamo i primi sessanta km di pessima strada sterrata. Possibile che un luogo tanto importante per cultura, religione e turismo come Lalibela non abbia una strada completamente asfalta per raggiungerlo?! Ci fermiamo a mangiare qualcosa in una cittadina, Amanir si accorge che la ruota posteriore destra è quasi completamente sgonfia, il pneumatico è messo molto male, il battistrada non esiste più. Sostituiscono la ruota, li invito a riparare o quantomeno a gonfiare la ruota smontata, ma non mi danno ascolto, rischiamo di rimanere a piedi, ma fanno di testa loro. Amanir mi garantisce al 100% che con questo asfalto non avremo ulteriori problemi. Beato lui e le sue certezze! Lungo il percorso odierno abbiamo visto alcuni autocarri ribaltati su di un fianco o addirittura precipitati sulle scarpate a lato della strada. Alle 16 siamo a Bahir Dar, capitale della regione Amhara. Prendiamo una camera per 2 notti presso il Bid Ambesa Hotel, doppia con colazione Birr 550 per notte, niente di eccezionale, ma decente. Il tempo di rinfrescarci un poco ed usciamo. Entriamo nel cortile circostante la Saint George Church, bel giardino, con panche, dove i fedeli pregano, vengono diffusi canti religiosi, luogo di pace. Successivamente raggiungiamo il lungolago, c’è un pontile che conduce a delle imbarcazioni dove ha sede un bar ristorante. Nel grande giardino prospiciente l’acqua, vi sono lunghe panche a gradinata, dove molta gente se ne sta seduta a conversare guardando il lago al tramonto, una ragazza serve birra e bibite, ci sediamo in mezzo a questa gente, peccato l’acqua è color terra. Altra passeggiata, dando un’occhiata ai negozi. Rientriamo, cena al ristorante dell’albergo: pesce arrosto, con riso, verdure + 2 birre Birr 260 = € 12. Siamo sul lago c’è qualche zanzara.

27° giorno, Sabato 10-12-2016: Bahir Dar

Gita in barca sul lago Tana, visita alla penisola di Zege, che dista circa 40 minuti di navigazione nell’acqua liscia come l’olio. Costo della barca Birr 600 a testa, costo guida per visita alla chiesa Birr 110 a testa, ingresso al monastero Birr 100. Scendendo dalla barca si attraversa una coltivazione di caffè, lungo il percorso che conduce al monastero (circa 20 minuti) ai lati del sentiero vi sono innumerevoli bancarelle di venditori di oggetti di artigianato, entriamo nella chiesa Urakidane Meret. La parte interna centrale a forma quadrata, chiusa, adibita alle celebrazioni, ha tutte le pareti esterne completamente dipinte con figure di angeli, apostoli e santi. I peccatori vengono sempre raffigurati di profilo, tutti gli altri a viso pieno. Le pitture belle, dai vivaci colori risalgono al XVIII° secolo. Il muro perimetrale esterno ha 12 porte che rappresentano i 12 apostoli. Ritorniamo a bordo della barca, ci spostiamo in altra località, visitiamo la chiesa Entos Jesus, più semplice della prima, ma nello stesso stile, anche le pitture hanno gli stessi soggetti. Successivamente ci spostiamo in un piccolo golfo dove possiamo ammirare degli ippopotami, ma che preferiscono restarsene sommersi. Simpatici dei ragazzi che pagaiano su delle piccole canoe fatte di canne di papiro. In barca con noi ci sono anche un egiziano ed un signore croato che viaggia da solo, spostandosi con i mezzi pubblici. Con lui durante la navigazione abbiamo una interessante conversazione, sulla situazione politica internazionale e sulla guerra in Bosnia degli anni 90. Patrizia vorrebbe rientrare in albergo, io insisto per andare a vedere le cascate del Nilo Blu, ci dicono che essendo questa la stagione secca, non sono molto belle, ci troviamo a soli 30 km di distanza sarebbe un peccato rinunciare a vederle, sono considerate le seconde come importanza dell’Africa. L’auto ci costa 1200 Birr + Birr 100 di entrata + Birr 350 per guida e traghetto. Il tragitto è infernale, un’ora abbondante su una strada disastrata e polverosa. Attraversiamo il Nilo Azzurro a bordo di una piccola imbarcazione, a bordo con noi le genti del luogo, donne che trasportano sacchi sulle spalle, uomini con attrezzi agricoli. A piedi fra campi coltivati a cipolla, chat, canna da zucchero, rocce nere di origine vulcanica, il vulcano che ha prodotto il Lago Tana. Giungiamo sul bordo di un profondo canalone, dove da un’altezza di 45 metri, il Nilo compie questo magnifico salto. Ora essendo stagione secca ha solo due getti d’acqua, nel periodo delle piogge il fronte di caduta è molto più ampio e spettacolare. Attraversiamo su un ponte sospeso, tipo ponte tibetano, una profonda gola, sul cui fondo scorre il piccolo affluente Alata. Sullo stretto ponte incrociamo donne che stanno rientrando con fagotti sulle spalle, ci chiedono soldi, tutte quante. Alcune accompagnano pecore. Veniamo accerchiati da bimbe e donne che ci offrono in vendita i loro prodotti: sciarpe, collane e fiasche di zucca. Scendiamo giù nel canalone fino al punto di caduta, il vapore ci avvolge. Molto bello all’ora del tramonto. Giungiamo all’albergo che è già buio, non mi accorgo di aver dimenticato la telecamera sul sedile del pulmino, poco dopo me la riportano, bel gesto!

28° giorno, Domenica 11-12-2016: Addis Abeba km 450

Ci siamo chiesti in questi giorni, se non ci fosse convenuto spostarci in aereo anziché in auto per visitare le città importanti del nord: Gondar, Axum, Lalibela, Bahir Dar ed infine Addis Abeba. Non sappiamo quanto ci sarebbe costato, ma penso che sia valsa la pena farlo per via terrestre, ci siamo immersi fra migliaia di persone che camminano lungo le strade, che lavorano i terreni, con tanta fatica, specialmente le donne che “contendono” il lavoro di trasporto agli asini e cammelli. Le migliaia di negozietti, gli animali, le montagne meravigliose, gli odori, i bambini che si avvicinano curiosi, ci chiedono la penna o danaro. Le conversazioni con i nostri accompagnatori, o con chiunque ci rivolga la parola. Oggi giornata di trasferimento, il nostro accompagnatore ha noleggiato un pickup con autista, partenza alle ore 5,30. Passiamo dalla regione dell’Amhara alla Oromia. Ci fermiamo per un caffè a Debre Markos (Debre significa chiesa), il pavimento del locale è cosparso di fogli di canna da zucchero, è usanza etiopica di cospargere il pavimento di foglie nei giorni festivi. Ci servono un caffè aromatizzato eccellente, sul tavolo ci portano anche carbone con incenso. Raggiungiamo la capitale alle ore 14, salutiamo il nostro accompagnatore che ci chiede ulteriori soldi, ma non scuciamo. Ottima scelta l’Addis Regency Hotel, estrema pulizia, estrema gentilezza ($ 80 con colazione). Anche in questo hotel, come in tutti gli altri in cui abbiamo soggiornato in Etiopia, notiamo la scarsa frequenza, la bassa stagione, lo stato di emergenza, ci dicono siano le cause della scarsa affluenza di turisti. Pomeriggio di riposo.

29° giorno, Lunedì 12-12-2016: Addis Abeba

A piedi ci rechiamo a visitare la Saint George Church (Birr 200 di ingresso con guida obbligatoria 200 per filmare, ma rinuncio). La guida è simpatica e competente. Questa chiesa fu fatta costruire dall’imperatore Menelik II° per commemorare la vittoria di Adua sugli italiani nel 1896. Dedicata a San Giorgio protettore dell’Etiopia, qui furono incoronati l’imperatore Hailè Selassiè e sua moglie. A forma ottagonale, come in tutte le chiese ortodosse etiopiche, all’interno vi è un quadrilatero il cui interno è dedicato all’eucarestia. Ci dicono vi sia custodita una copia dell’Arca dell’Alleanza, come in tutte le chiese importanti. Assistiamo alla preghiera e canti di un gruppo di sacerdoti. Visitiamo il piccolo museo annesso (Birr 150). Visita al buio, ci forniscono 3 piccole fiaccole. Mentre passeggiamo diretti verso il “merkato” ci facciamo “adottare” da un giovane, si chiama Andahare, dice di essere un saldatore, ma oggi non lavora causa mancanza dei energia elettrica. Con lui ci facciamo una camminata di tre ore, prima ci conduce nella zona della vecchia residenza italiana, poi ci rechiamo nella zona chiamata “piazza” dove troviamo uno sconfinato mercato. Si tratta di un quartiere di viuzze stracolmo di gente, asini, donne accovacciate a terra che vendono: frutta, verdure, pollame, radici aromatiche. E’ difficile procedere tanta è la folla, gli odori fortissimi. Più avanti entriamo nel rione del “riciclaggio”, montagne di rifiuti di ferro, plastica, fusti metallici. Uomini muniti di cesoie, martelli, piedi di porco, raddrizzano i vecchi ferri da carpenteria, poi li ripiegano a mano per il riutilizzo in edilizia. Un rumore assordante ci accoglie dove vengono recuperati i fusti, vengono tagliati, col martello vengono ribattuti gli orli, ne ricavano mastelli, con l’applicazione di una rete fine vengono trasformati in setacci o valli. Recuperano reggette da imballaggio, smontano cuscinetti e pulegge da congegni meccanici. Si cammina fra tondini, barre metalliche, rivoli di acqua putrida mista ad olio, se ci si aggiunge il rumore e lo spazio angusto, viene da pensare di trovarsi in una bolgia infernale! Passiamo in vicoli tra baracche costruite con lamiere arruginite, una “bidonville” abitata da povera gente. Camminando tra grosse pietre, poi su di un ponticello, attraversiamo un rivolo di acqua putrida. Ci chiediamo il motivo per cui Andiaman ci ha voluto mostrare questa parte di città, noi volevamo vedere il mercato. Usciamo da questo luogo, ci facciamo accompagnare nella zona dei negozi per souvenir. Facciamo alcuni acquisti. Decidiamo di liberare il nostro occasionale accompagnatore, gli chiediamo quanto gli dobbiamo per il suo servizio, ci chiede 200 $, chiedo se è impazzito, gliene diamo 15, fra le sue proteste. Solito discorso, per iniziare un rapporto basta un attimo, interromperlo è una fatica infinita! Col taxista avevamo pattuito 100 Birr per accompagnarci all’hotel, lui sbaglia strada, quando scendiamo ce ne chiede 200, ma non se ne parla. Ci riposiamo, usciamo alle 16,30, in taxi ci facciamo accompagnare presso le poste centrali, si trovano i negozi di artigianato, facciamo alcuni acquisti, rientriamo a piedi percorrendo tutta la Churchil Avenue.

30° ultimo giorno, Martedì 13-12-2016

In taxi ci facciamo accompagnare a Makanissa dove hanno quartiere i Padri della Consolata, ci hanno detto che hanno delle tovaglie fatte a mano. Ci dormimmo in questo centro negli anni 1985–86 allorchè transitammo mentre ci recavamo a Gambo per una vacanza lavoro. Reincontriamo Padre Renato, che conoscemmo in quegli anni presso la missione di Gambo, acquistiamo parecchie belle tovaglie da regalare. Salutiamo Padre Renato. Tralasciamo di visitare il Museo Nazionale, lo visitammo anni fa. Nel pomeriggio visitiamo il Museo Etnografico, allestito all’interno della villa che fu residenza di Hailè Salassiè, situata in un magnifico giardino, all’interno dell’università. Allestito con gusto, visita piacevole. A piedi rientriamo all’hotel, con sorpresa vediamo che all’ingresso hanno piazzato una cabina metaldetector, ci controllano pure gli zainetti! Alle ore 20 con il pulmino dell’hotel ci accompagnano in aeroporto, a mezzanotte si vola verso casa.

E così siamo al felice epilogo di questo interessantissimo viaggio. Tutto è filato liscio nel migliore dei modi. Quindi, come al solito, non lesiniamo ringraziamenti: alla fortuna, alla salute, ai nostri accompagnatori, ma sopratutto a Sudan ed Etiopia che ci hanno accolto con grande fratellanza.

Riccardo e Patrizia

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