Kruger Park e dintorni

Un viaggio nella natura tra l’arancione del tramonto, i riflessi dorati dell’alba, la luce intensa di mezzogiorno, il nero della notte
Scritto da: silviagy
kruger park e dintorni
Partenza il: 04/08/2016
Ritorno il: 14/08/2016
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Quando penso ai giorni trascorsi tra il parco Kruger e la zona circostante, il primo ricordo è costituito dai colori di questa magica terra: l’arancione del tramonto, che dona tinte calde e piene al paesaggio; i riflessi dorati dell’alba, che inondano il nuovo giorno con la loro purezza; la luce intensa di mezzogiorno, che rende le distese di arbusti nel centro del Kruger un paesaggio quasi irreale; il nero della notte, illuminato da migliaia di stelle sconosciute e dalla luna, che sembra un sorriso.

Township

Ma il Sudafrica non è solo natura, per quanto meravigliosa che sia. La “nazione arcobaleno” ha una storia ingombrante, impossibile da ignorare, dai tratti oscuri e tormentati, purtroppo ancora troppo vicini al nostro tempo. Per comprendere un po’ di più la società in cui trascorreremo la nostra vacanza, il primo giorno seguiamo quindi Daniela, italiana che vive a Phalaborwa da una decina d’anni, all’interno della township di Lulekani. Nate nel periodo dell’apartheid, le township sono aree urbanizzate situate alla periferia delle città e abitate, ancora oggi, da persone non-bianche. Ci sono zone maggiormente “benestanti”, con case grandi e dal tetto di tegole, ma per lo più sono costituite da abitazioni minuscole, con copertura in lamiera, spesso senza acqua corrente ed elettricità. Lungo le strade, in maggioranza sterrate, vediamo numerosi bambini, ma solo perché è un giorno di vacanza; la scuola, oltre a essere vista come il punto da cui partire per avere un futuro migliore, garantisce un pasto caldo a ogni alunno, e Daniela ci spiega che, nei giorni di scuola, non si vede in giro nemmeno l’ombra di un bambino. Noi invece ne troviamo un gran numero intenti a giocare a calcio su un terreno sassoso; parecchi sono scalzi, e il pallone è duro come una pietra. Molti sono figli di mamme adolescenti, adescate con qualche regalo da uomini ricchi che presto si dileguano nel nulla; naturalmente l’aids è molto diffuso.

Assistiamo a una tipica danza, messa in scena da un gruppo locale di giovani. Il suono dei tamburi richiama immediatamente decine di bambini, e in un attimo ne siamo circondati. Alcune delle bimbe più intraprendenti si mettono a giocare con i miei capelli, e io le lascio fare. Daniela ci spiega che sono affascinate dai capelli biondi e, soprattutto, lunghi e lisci, così diversi dai loro, crespi e che tendono a crescere molto lentamente (le donne che vediamo con delle bellissime acconciature di treccine, ci dice, hanno delle extentions).

Entriamo in un negozio, un locale angusto e semivuoto: qualche patata, qualche cipolla e poco altro. Contrasta notevolmente con le colorate bancarelle che vendono arance, pomodori e avocado, che si vedono qua e là lungo le strade. Pranziamo all’ombra di un grande albero, con un piatto a base di polenta bianca, pollo e carote piccanti (molto gustoso), riflettendo su quanto abbiamo visto durante la mattina, e sulla storia di questo popolo e di coloro che hanno combattuto per rendere il Sudafrica un posto migliore. Il passato ha lasciato segni profondi, e servirà ancora del tempo a questa gente per lasciarselo alle spalle.

Blyde River Canyon

Nei pressi di Hoedspruit, un baobab gigante costituisce una curiosa attrazione. E’ davvero imponente, pare che servano quaranta persone per abbracciarne il tronco.

Con un po’ di fortuna, proseguendo lungo la strada sterrata per qualche chilometro si può incontrare il famoso ippopotamo Jessica che, dopo essere stato salvato, appena nato, durante un’alluvione, ha deciso di non allontanarsi dagli umani a cui deve la vita. E’ possibile accarezzarlo e dargli da mangiare, e questo è incredibile, se si pensa che l’ippopotamo è uno degli animali più pericolosi della savana. Noi, purtroppo, non ne abbiamo avuto l’occasione: il tizio che se ne occupa è un po’ particolare, e quel giorno ha deciso di non ammettere visitatori. Abbiamo quindi proseguito verso la provincia dello Mpumalanga. Il nome, anche se non sembra, è molto poetico: significa “il luogo dove sorge il sole”, in lingua Zulu.

Raggiungibile percorrendo un passo di montagna e altopiani bruciati dal sole circondati da monti dalle innumerevoli sfumature d’ocra, il terzo canyon più lungo del mondo sorprende con le sue pareti coperte di vegetazione, che risaltano contro l’azzurro intenso del cielo e il blu del fiume che scorre sul fondo. Una delle attrazioni principali del canyon è costituita dai “Three Rondavel” (tre rondavel), formazioni rocciose che ricordano le tipiche capanne rotonde dal tetto di paglia. Il panorama che si gode dal punto di osservazione è semplicemente meraviglioso, e lascia senza fiato per la sua bellezza selvaggia.

A breve distanza dal punto panoramico si trova il sito delle Bourke’s Luck Potholes. Nel corso dei secoli, l’erosione delle acque del Blyde River e del Treuer River ha scavato le rocce color ruggine, creando delle curiose cavità cilindriche, visibili in fondo a un piccolo canyon, e delle pozze più piccole, dove è possibile immergere i piedi nell’acqua e trovare un po’ di refrigerio dal caldo. Delle simpatiche scimmiette ci fanno compagnia al centro visitatori, mentre curiosiamo tra le bancarelle di souvenir, e ci fanno pregustare gli incontri che faremo nel Kruger.

Kruger Park

Naturalmente, questa per noi era LA meta. Desideravo vedere da vicino gli abitanti della savana da quando ero bambina, quindi per me è un sogno divenuto realtà.

Con la sua superficie pari a quella della Lombardia, distribuita su una lunghezza di 350 km per un’ampiezza di 67, il parco comprende diversi ecosistemi, dalle foreste alla savana e alle zone pietrose, ognuno dei quali ospita determinati animali (la zona intorno a Satara, per esempio, è il regno dei leoni, mentre in quella intorno a Pretoriuskop ci sono numerosi rinoceronti).

Gli animali sono, ovviamente, l’attrazione principale, e l’affannosa ricerca dei “big five” spesso distoglie l’attenzione dai bellissimi paesaggi che il Kruger offre ai visitatori. Uno dei più famosi è quello che si gode dalla terrazza panoramica dell’Olifants Camp: la vista del gigantesco fiume al tramonto, che riflette le tonalità arancioni del cielo, con gli ippopotami e le zebre sparpagliati qua e là sui lembi di terra che ne dividono il corso, è davvero emozionante, e rimarrà tra i miei ricordi di viaggio più belli.

Da Phalborwa, dirigendosi verso nord si attraversa una zona alberata e verde; lo è anche al nostro passaggio, nonostante sia inverno e una siccità superiore alla media crei qualche preoccupazione, come ci spiegano i ranger. Alberi di media altezza si mescolano a giganti imponenti e lussureggianti, che io scruto sperando di vedere un leopardo disteso su uno dei grandi rami. In questa parte del parco incontriamo erbivori (principalmente impala, ma anche giraffe e kudu) e piccoli uccelli dal piumaggio blu elettrico e cangiante; sebbene io non ami particolarmente i volatili, resto affascinata dal loro colore. Una sosta presso una pozza particolarmente affollata di zebre, facoceri e impala ci regala una simpatica scena all’arrivo di un elefante, che inizia a spruzzare acqua in direzione dei facoceri per allontanarli e bere in solitudine.

Nella zona centrale, in particolare intorno a Satara, sembra di essere su un altro pianeta, soprattutto nelle ore centrali della giornata, quando i raggi del sole mettono maggiormente in evidenza gli spogli arbusti sotto i quali fatichiamo a distinguere delle leonesse, che si mimetizzano perfettamente con il colore sabbioso della terra. E’ in questa parte del parco, tra Phalborwa, Olifants e Satara, che trascorriamo più giorni e facciamo la maggior parte degli incontri più emozionanti: una iena che si rinfresca in un piccolo specchio d’acqua, una mamma elefante che allatta un cucciolo, piccoli di babbuino che giocano saltando da un ramo all’altro, una leonessa e un leone accucciati uno accanto all’altra con tre sciacalli a poca distanza che cercano di impadronirsi dei resti della carcassa di gnu che ha sfamato per due giorni i felini, due rari rinoceronti bianchi (mamma e cucciolo) che corrono accanto al fuoristrada del nostro ranger mentre sorge il sole… senza contare i gruppi di gnu, le mandrie di bufali, le simpatiche zebre e giraffe, gli innumerevoli impala, gli ippopotami immobili come sassi, i coccodrilli, i mastodontici elefanti, i meravigliosi kudu… e un unico, sfuggente, leopardo, avvistato a fatica ma con grande soddisfazione.

La zona intorno a Pretoriuskop è più pietrosa, e non delude le nostre aspettative per l’avvistamento dei rinoceronti, ne incontriamo davvero parecchi.

A prescindere dalla zona del parco in cui ci si trova, è interessante fermarsi accanto a una pozza d’acqua, senza altre vetture accanto, guardarsi intorno e attendere. E’ bello anche solo semplicemente sentirsi immersi nel paesaggio, fondersi con la natura imponente che ci circonda, con i suoi odori, i suoi colori, i suoi suoni: gli elefanti mentre bevono, gli zoccoli di un gruppo di zebre che si avvicina, lo scalpiccio di numerosi babbuini che circondano l’auto e poi fuggono di fronte alla comparsa di un coccodrillo… ci si sente contemporaneamente parte di qualcosa di maestoso e piccoli e insignificanti in confronto a quanto si ha intorno; e sì, è un luogo così bello che, in assenza di animali, è piacevole anche osservarlo sprofondati nel suo silenzio.

Consigli pratici

Abbiamo prenotato tutto su internet con South African Dream, agenzia gestita da italiani con sede a Hoedspruit. La consigliamo vivamente. Siamo partiti il giorno in cui l’aeroporto di Dubai, dove dovevamo fare scalo, è stato chiuso più ore per un incidente aereo, con conseguenze su tutta la nostra organizzazione (coincidenze perse, arrivo a tarda notte a Johannesburg ecc.), e siamo stati seguiti molto bene, trovando perfino il proprietario di una guest house di Johannesburg, dove non avremmo dovuto fermarci, ad accoglierci in aeroporto a mezzanotte (Blue Mango Lodge, buona soluzione a una decina di minuti dall’aeroporto).

_ Soggiorno

Abbiamo soggiornato per cinque giorni a Phalaborwa, dove si trova uno dei gate di ingresso al Kruger (più o meno a metà del parco), poi per tre notti abbiamo pernottato all’interno del parco, nei camp.

A Phalaborwa abbiamo soggiornato al Kaia Tani, una piccola guest house in stile africano gestita da una coppia di italiani, Barbara e Paolo, che ci hanno dato ottimi consigli su come organizzarci e hanno prenotato per noi le escursioni con i ranger del parco. Le camere sono confortevoli e pulite, l’ambiente molto curato e circondato da un lussureggiante giardino (c’è anche una piscina), il cibo gustoso e lo staff professionale; l’atmosfera è piacevolmente informale e, se lo si desidera, viene naturale fare conoscenza e scambiare le proprie esperienze con gli altri ospiti, magari davanti a un bicchiere di Amarula o intorno al tipico “braai” gustando un’ottima grigliata in stile sudafricano. Lo consigliamo vivamente (e, se potessimo, ci torneremmo oggi stesso).

All’interno del Kruger, abbiamo trascorso due notti all’Olifants e una al Pretoriuskop. In entrambi i camp abbiamo utilizzato i bungalow, strutture in muratura con il tetto di paglia. Quello dell’Olifant era più spartano, ma abbiamo avuto la fortuna di avere uno di quelli con la posizione migliore di tutto il camp, proprio sull’orlo della scarpata da cui si gode un fantastico panorama sull’Olifant River. In genere, in tutti i camp che abbiamo visto, ogni bungalow dispone di un “braai” (barbecue), e quelli – come il nostro – che non hanno una cucina possono usufruire delle cucine comuni. Se ci fossimo fermati più giorni, ne avremmo approfittato, anche perché l’alternativa è il ristorante del camp, in stile fast food (appartengono tutti a catene come Mugg and Bean e Wimpy). Avevo letto che talvolta la pulizia lascia a desiderare, e avevo portato i sacchi lenzuolo e due coperte di pile per ogni evenienza; non è stato necessario utilizzarli. In ogni camp ci sono anche un negozio che vende generi di prima necessità e un benzinaio. A Skukuza, il camp più grande, si trovano anche un ufficio postale, un ambulatorio medico e una sala conferenze. Tra quelli che abbiamo visto, è quello che ci è piaciuto meno, proprio per le sue grandi dimensioni. Consigliamo comunque di pernottare all’interno del parco: l’atmosfera è davvero magica, specialmente all’Olifants per la sua posizione panoramica.

Personalmente, trovarmi in un luogo recintato all’interno del quale rinchiudersi mi è piaciuto, e non per un semplice fatto di sicurezza: per una volta, siamo noi umani a essere in gabbia e questo ci ricorda che, almeno in questo angolo di mondo, siamo solo ospiti.

_ Auto / Strade

Noi abbiamo noleggiato una Fiesta. Ci siamo trovati bene, anche se un veicolo più alto consente una visuale migliore per osservare gli animali (la maggior parte della gente era al volante di grandi veicoli) e rende più facile percorrere gli sterrati.

Al di fuori del parco, dove il limite è di 50 km/h e tutti sono prudenti e rispettosi, i sudafricani guidano come dei pazzi, nonostante le frequenti pattuglie di polizia dislocate lungo le strade di grande percorrenza. E’ consigliabile spostarsi sulla corsia d’emergenza o di lato, dove possibile, quando si nota un’auto che si avvicina velocemente, e lasciarla sorpassare (si viene ringraziati con le quattro frecce accese a intermittenza).

Abbiamo sempre trovato strade in buone condizioni, ma è sconsigliato guidare con il buio. Spesso c’è gente che cammina ai lati delle strade e chiede passaggi o attraversa, anche lungo l’autostrada, e talvolta sono attraversate dagli animali (scimmie, principalmente) specialmente vicino al parco.

Da Johannesburg a Phalaborwa abbiamo seguito la N1 in direzione Mokopane e Polokwane, percorso il Magoebaskloof Pass (sembrava di essere in montagna, davvero molto bello) e proseguito in direzione Tzaneen, attraverso ordinate piantagioni di banane e arance. Al ritorno, abbiamo lasciato il parco dal gate di Malelane.

_ Nel parco

Abbiamo visitato il parco sia con la nostra auto che partecipando alle escursioni con i ranger (con cui abbiamo fatto un morning drive, un full day e un night drive), che sono state molto utili per prepararci a girare in solitaria. I ranger hanno ovviamente un buon occhio nell’individuare gli animali (che si mimetizzano nell’ambiente in un modo incredibile, anche i più grandi), forniscono spiegazioni interessanti e possono accedere al parco in orari preclusi al resto dei visitatori (prima e dopo la chiusura dei cancelli).

I drive con i ranger si svolgono a bordo di Jeep scoperte e, al mattino e alla sera, si gelava (era agosto, quindi inverno). Indossavamo giacca antivento, guanti e cuffia di lana. Soprattutto nel caso di full day, è necessario vestirsi a strati (nelle ore più calde si sfioravano i 30 gradi, contro i 5-6 del mattino prima dell’alba).

Indispensabili un cannocchiale e, se si gira da soli, la cartina del parco (è fatta molto bene, contiene molte informazioni ed è reperibile ovunque, anche in italiano).

Noi abbiamo visto tutti i “big five” e decine di altri animali non meno interessanti. Quando ci muovevamo da soli spesso sostavamo presso le pozze d’acqua, dove abbiamo sempre fatto ottimi avvistamenti, e qualche volta siamo tornati nel luogo in cui il giorno precedente avevamo visto un animale particolarmente interessante; in questo modo, per esempio, il giorno dopo aver assistito al pasto a base di gnu di una leonessa, abbiamo trovato anche il leone maschio accucciato accanto a lei.

Consigliamo di non esitare a chiedere e dare informazioni. Se ci sono delle auto ferme, senz’altro c’è qualcosa di interessante da vedere, ma talvolta risulta difficile da individuare (mi chiedo come qualcuno possa aver visto un pitone su un albero lontano dalla strada, ma è accaduto ben due volte). Utile anche guardare le cartine all’interno dei camp, che riportano gli avvistamenti del giorno precedente e del mattino stesso.

Considerare, nel calcolare gli spostamenti, le eventuali soste per l’osservazione degli animali (il tempo passa in fretta quando ci si trova davanti alle bellissime scene di vita che offre il parco) e la ridotta velocità (50 km/h sembra poco, ma a volte è necessario andare ancora più piano per guardarsi meglio intorno).

Naturalmente è vietato scendere dall’auto. Le uniche eccezioni sono i camp e le aree (non recintate ma sicure) segnalate.

Acquisti

I souvenir migliori li abbiamo acquistati al punto panoramico del Blyde River Canyon. Se si curiosa bene tra le bancarelle si possono trovare cose carine e artigianali (monili, sculture di animali…). Nei negozi dei camp si trovano invece oggetti di fabbricazione industriale e magliette, identici a quelli in vendita all’aeroporto a Johannesburg.

Una bottiglia di Amarula, il liquore locale (simile al Baileys e prodotto con la polpa dei frutti dell’albero di marula) prodotto a qualche chilometro da Phalaborwa, è stato un piacevole ricordo delle serate sudafricane.

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