West Coast on the road con una bimba di 3 anni

Fly & drive in California e nei parchi dell’Ovest: il nostro secondo viaggio di nozze... in tre
Scritto da: dhali16
west coast on the road con una bimba di 3 anni
Partenza il: 05/08/2017
Ritorno il: 20/08/2017
Viaggiatori: 3
Spesa: 3000 €
Un viaggio fly & drive in California e nei Parchi dell’Ovest era un sogno che coltivavamo da tempo, e finalmente quest’estate siamo riusciti a realizzarlo!

Avendo una bimba di tre anni, abbiamo preferito prenotare tutti gli alloggi da casa, così non dovevamo avere la preoccupazione di girare a vuoto, magari per ore, per trovare un posto dove dormire.

Qui di seguito troverete alcuni consigli che spero possano essere utili per l’organizzazione di quello che è davvero il Viaggio con la V maiuscola; poi descriverò giorno per giorno quali sono state le nostre tappe.

CONSIGLI, SUGGERIMENTI, ANNOTAZIONI…

– La carta di credito è fondamentale in questo tipo di viaggio. In primis serve per poter noleggiare la macchina, poi ve la chiederanno come garanzia all’arrivo in qualsiasi hotel. Potete pagare di tutto con la carta, dalla benzina alla spesa, ai biglietti del tram, al parchimetro dove lasciare la macchina.

– Per chi si appresta a un viaggio fly & drive, consiglio assolutamente l’acquisto di un frigorifero portatile di polistirolo. Si chiama “Cooler” e lo vendono praticamente ovunque, dai supermercati ai market dei benzinai; noi l’abbiamo comprato al Walgreens a San Francisco, in Sutter Street all’angolo con Union Square. Costa intorno ai 5$, ha varie dimensioni ed è comodissimo! Infatti in tutti gli hotel ci sono distributori gratuiti di ghiaccio, con cui riempire il vostro frigo portatile, per poi riporre acqua e altre bevande. E vi assicuro che resta tutto fresco, superando anche le temperature della Death Valley!

– Se tra le vostre tappe avete San Francisco, ricordatevi che fa freddo, anche se è metà agosto. Soprattutto la mattina, c’è sempre una simpatica nebbia mista a smog, gocce di pioggerellina, e un bel vento nelle zone dei Pier. Poi di pomeriggio esce anche il sole, ma comunque non si hanno mai temperature tropicali.

– Le auto in USA hanno quasi tutte il cambio automatico; dopo un attimo di smarrimento iniziale (dov’è la frizione?!), si guidano molto tranquillamente. Si viaggia con la leva del cambio impostata su D (drive), poi c’è la R per la retromarcia, la N per mettere in folle, e la P da impostare sempre quando si parcheggia. Bisogna tenere schiacciato il freno quando ci si ferma a uno stop o in sosta, altrimenti la macchina avanzerà, anche se impercettibilmente.

– In tutti i ristoranti vi verrà servita gratuitamente dell’acqua naturale (ovviamente in bicchieri o caraffe stra-piene di ghiaccio); quasi sempre è quella del rubinetto, per cui alle volte può risultare disgustosa, con retrogusto di cloro. Se prendete delle bibite analcoliche, il refill è sempre compreso nel prezzo della prima consumazione. In posti come Mc Donald’s, potete andare voi direttamente al distributore a riempirvi nuovamente il bicchiere.

– La mancia è prassi obbligatoria nei locali: in alcuni, sullo scontrino, vi viene suggerito già l’importo della tip, pari al 10, 15 o 18%, e sta a voi decidere quanto lasciare al cameriere che vi ha servito.

– Ai prezzi che vedete esposti nei vari ristoranti, negozi etc, sono sempre da aggiungere le tasse, pari circa all’8%. La benzina, i generi alimentari e i medicinali, invece, sono già tassati, per cui il prezzo che vedrete esposto è quello già finale.

– In tutti i ristoranti c’è sempre l’opzione Kids menu (di solito fino ai 10 anni), che comprende solitamente: pasta al formaggio, hamburger, hot dog… Come contorni, propongono patatine fritte, insalata, frutta fresca, yogurt… Più la scelta di un soft drink (bibita, succo, acqua). È molto conveniente, di solito si aggira sui 7-8$.

– Non esistono le tovaglie nella maggior parte dei ristoranti.

– Esistono tre tipi di benzina: Regular (87 ottani), Plus e Premium. Noi abbiamo sempre fatto la prima, la più economica. Considerando la conversione da galloni a litri, la benzina costa circa la metà rispetto all’Italia, i prezzi infatti erano tra 1.20 e 1.40$. Le pompe della benzina sono di colore nero, e il tubo è spesso molto corto, quindi conviene parcheggiare dal lato giusto del serbatoio.

– Per quanto riguarda il rifornimento della benzina, non esiste il “servito”, quindi sarà sempre un fai da te. Potete scegliere di pagare in due modi: o carta di credito o contanti. Nel primo caso, basta inserire la carta nella macchinetta della pompa, e fare l’importo desiderato. Alle volte però abbiamo avuto problemi con questo metodo, in quanto viene richiesto il codice postale, e ovviamente quello italiano non viene riconosciuto. Quindi si deve procedere in questo modo: si deve entrare dal benzinaio (ovvero solitamente nel minimarket aperto 24h/24), comunicare l’importo che si desidera e la pompa; lui pre-autorizzerà il rifornimento e potrete procedere. È capitato che avessimo chiesto un importo superiore a quanto effettivamente ci stava nel serbatoio; nessun problema, una volta terminato il rifornimento, rientrate dal benzinaio, che vedrà quanto avete speso, e vi rimborserà la differenza (stornandolo dalla carta di credito oppure ridandovi i contanti). Sembra complicato a spiegarsi, ma in realtà è tutto molto automatico! Per il pagamento in contanti, vale tutto il procedimento spiegato prima, in quanto nella pompa di benzina non esiste la fessura per inserire le banconote.

– Non parcheggiate mai l’auto in corrispondenza degli idranti o se il marciapiede è colorato di rosso: rimozione forzata assicurata.

– Nei nostri viaggi, non abbiamo mai incontrato nessuna rotonda.

– A Los Angeles abbiamo fatto la conoscenza di simpatici stop “All ways”: non si dà la precedenza a chi viene da destra, ma si segue l’ordine di arrivo all’incrocio.

– È possibile svoltare a destra, anche se il semaforo è rosso, ovviamente controllando prima che la strada sia libera.

– In autostrada è possibile superare a destra.

– I semafori non sono sulla linea dell’incrocio, ma sono sospesi al centro della strada; attenzione quindi a fermarvi prima del semaforo in corrispondenza della linea.

– L’uso del clacson è notevolmente ridotto (se non eliminato del tutto) rispetto all’Italia.

– I bagni, nella maggior parte dei Parchi, sono di quelli chimici, quindi preparatevi a tapparvi il naso e fare il più in fretta possibile.

– Negli hotel sono rari i dosatori da muro per docciaschiuma/shampoo, quasi sempre troverete i classici campioncini monodose e per la doccia le saponette.

– Nelle camere degli hotel/lodge non abbiamo mai trovato il classico armadio, bensì rientranze nel muro (a volte celate da uno specchio), dove si trovavano anche asse e ferro da stiro (e cassaforte, frigobar, microonde…)

– Per immettersi nelle autostrade (l’abbiamo notato sia a Las Vegas che a Los Angeles), bisogna incolonnarsi in due o tre file (a seconda di quelle disponibili) ed attendere che il semaforo indichi il verde; questo per aiutare a far defluire meglio il traffico.

– Capirete subito chi sono gli americani alla guida perché mettono la freccia per rientrare in corsia dopo un sorpasso.

– Nelle autostrade la corsia più a sinistra è solitamente riservata (previa indicazione) al car pooling: possono accedervi le auto con all’interno due o più persone.

– Tutti i punti panoramici all’interno dei Parchi sono perfettamente segnalati da cartelli, e spesso e volentieri compaiono anche sul navigatore. Quindi non si hanno assolutamente problemi a ritrovarli.

SABATO 5 AGOSTO

Lasciamo l’auto in uno dei parcheggi di Malpensa e, con la loro navetta, raggiungiamo il Terminal 1 per il primo volo, direzione Londra Heathrow. La fila al check in è stata veramente lunghissima, per non parlare del controllo documenti… Due ore e mezza quasi non sono state sufficienti! Questo volo è stato un po’ un incubo, specie in fase di atterraggio: non si è capito come mai (forse la pista non era libera), ma l’aereo ha fatto tre giri a vuoto prima di poter toccare terra. Avevamo due ore di scarto prima del volo per San Francisco, inutile dire che abbiamo fatto le corse dei pazzi (insieme a tanti altri passeggeri) per andare al Gate corretto (che si trovava ovviamente dalla parte opposta dell’aeroporto), rifare la dogana, imbarcarsi… Per fortuna questo volo intercontinentale è stato un vero piacere, abbiamo volato con British Airways sull’Airbus A380 (quello a due piani, per intenderci), con un ottimo intrattenimento a bordo, sedili comodi, cibo discreto (ho avuto la possibilità di richiedere, dal loro sito Internet, il menu speciale per mia figlia – “child meal”)…

Atterriamo intorno alle 17.10 locali, tempo di passare il controllo passaporti e di ritirare i bagagli e qui un’amara sorpresa: a mio marito hanno rotto il lucchetto TSA della valigia. L’addetta British Airways sostiene che non sia stato a causa dell’ispezione della valigia, altrimenti avrebbero lasciato il foglietto all’interno (com’è avvenuto a me nel viaggio di ritorno); piuttosto, può essersi “impigliato” in un altro bagaglio ed essersi rotto. Compreremo poi un lucchetto (sempre TSA, onde evitare…) al già citato Walgreens (intorno ai 5$).

Prendiamo il taxi per il nostro Hotel (Carlton, in Sutter Street), il tragitto (comprese le valigie + passeggino) ci costa intorno ai 45$, a cui ovviamente va aggiunta la mancia. Il nostro alloggio è comodo per esplorare la città; dopo esserci sistemati, facciamo subito la conoscenza con i sali e scendi tipici di San Francisco… E anche con la tristissima realtà dei tanti homeless che l’affollano. In alcune zone hanno costruito vere e proprie case di fortuna, per non parlare di chi è davvero mentalmente instabile… Però nessuno ci ha mai dato fastidio.

Siamo abbastanza stanchi, per cui il nostro giretto si limita ad arrivare solo fino a Union Square (circa una ventina di minuti a piedi dall’hotel, considerando le dovute soste fotografiche), circondata da negozi eleganti, l’enorme centrale commerciale Macy’s e numerosi hotel. Su un lato della piazza si trova una scultura di un enorme cuore, ho letto che viene ridipinto spesso, ed è finanziato da un ospedale locale. Prima di rientrare in hotel, ci fermiamo al Walgreens per compare tutto quello che ci serve, compresa la nostra colazione che faremo in camera J

DOMENICA 6 AGOSTO

Con una bella passeggiata lungo Sutter Street, arriviamo al Financial District, pieno di palazzi enormi, sedi delle più importanti compagnie assicurative e banche. Lungo i binari, passano i tram della linea F: vere e proprie vetture d’epoche provenienti non solo dagli Stati americani, ma un po’ da tutto il mondo, Milano compresa. Arriviamo poi al Ferry Building, una sorta di grande mercato al coperto dove si trova di tutto e di più: chioschetti per mangiare, negozi di souvenir, vendita di prodotti tipici… Prima di tutto, andiamo ad acquistare i biglietti per il traghetto per Sausalito: se volete fare andata e ritorno, potete prenderli in un chioschetto al prezzo di 46$, con la compagnia Golden Gate Ferry. Un’altra alternativa per raggiungere l’altro lato della Baia, potrebbe essere quella di noleggiare una bicicletta solo per l’andata, e rientrare poi con il Ferry; in questo caso il singolo biglietto dovrete farlo alla vending machine davanti alla partenza del traghetto. Noi scartiamo questa soluzione perché non è molto comoda con la bambina (soprattutto perché abbiamo il passeggino al seguito!).

Il traghetto parte puntuale alle 10.40, regalandoci un bel panorama sullo skyline di San Francisco, sulla Coit Tower e, in lontananza, Alcatraz e Golden Gate. Il viaggio dura una mezz’oretta e, una volta sbarcati a Sausalito, sembra di aver attraversato un oceano, e non solo la baia… A San Francisco nebbia e freddo, qui sole e clima caldo. Dal Ferry Pier imbocchiamo a sinistra la Bridgewalk e, con una passeggiata di circa 3km (con qualche salita), arriviamo alla zona della Bay Area, da dove si gode una vista stupenda sul Golden Gate. Da notare che questa città è carissima, non a caso la chiamano la Portofino della California. Se volete cavarvela con poco, vi consiglio di cercare qualche supermercatino dove fanno dei panini da asporto; noi abbiamo preso in un Deli (Golden Gate Market) dei Club Sandwich enormi, da mangiare sulle panchine di fronte al mare, e abbiamo comunque speso 9$ a testa. Giriamo ancora un po’ per Sausalito, lungo la Main Street, e vediamo anche il Viña del Mar park, chiamato così in ricordo della città cilena con cui Sausalito è gemellata. È famoso per la sua fontana e due statue in pietra raffiguranti elefanti provenienti dall’Expo tenuto nella vicina San Francisco nel 1915.

Rientriamo a San Francisco con il traghetto delle 15.20, e dal Ferry Market facciamo tutta la passeggiata lungo l’Embarcadero in direzione del PIER 39. Non mi ha colpito eccessivamente, o meglio, l’ho trovato tanto (troppo) turistico, pieno solo di ristoranti (dall’Hard Rock a Bubba Gump), chioschi di hot dog o churros, negozi di souvenir super affollati (da quello di calamite a quello di calze, a un altro con articoli per mancini)… In compenso, le banchine con i leoni marini sono davvero spettacolari, fanno davvero tenerezza!

LUNEDÌ 7 AGOSTO

Di mattina esploriamo a piedi la zona di Chinatown, entrando nel quartiere attraverso il Chinatown Gateway. Abbiamo trovato la zona molto sicura, frequentata da turisti e persone del luogo; è la più grande comunità cinese al di fuori dell’Asia. Percorriamo tutta Grant Avenue: qui si trovano negozi tipici, fasci di lanterne rosse appese in mezzo alla strada, tempi buddisti, palazzi decorati con colori vivaci, murales… Ce n’è uno bellissimo che rappresenta tutto il quartiere di Chinatown, e un altro con disegnati i vari animali che rappresentano il segno zodiacale cinese (per il 2017, il gallo). Si scattano bellissime fotografie alle strade in pendenza, complice anche il passaggio di una linea di Cable Car.

Percorriamo poi Columbus Avenue e North Beach, noto come “Little Italy”, pieno di locali dai nomi inequivocabili come “Vesuvio”, “Pizza Napoli” e chi più ne ha più ne metta. Arriviamo finalmente a Lombard Street, anzi, ai piedi della via. La parte più famosa, the most crooked street in the world, è in realtà un piccolo tratto in corrispondenza di Russian Hill, composto da ripidi tornanti, percorribili dalle auto alla velocità massima di 5 mph. Per arrivare al celebre tratto, dobbiamo fare una salita che ci mette a dura prova… Ma poi la vista dall’alto ripaga della fatica. Dalla giornata di oggi abbiamo tratto una conclusione: non bisogna sottovalutare le distanze a San Francisco. Noi l’abbiamo girata praticamente tutta a piedi, alle volte ci siamo ingannati e abbiamo impiegato più tempo del previsto, in quanto le salite sono numerose, e con un passeggino da spingere si è notevolmente rallentati…

Per pranzo ci fermiamo in uno dei ristorantini in prossimità del Fisherman’s Wharf (il Joe’s Crab Shack), tutto a base di pesce: mangiamo veramente bene e a prezzi onesti, con una bella vista sull’oceano. Rifacciamo un giretto al Pier 39, per la gioia di nostra figlia che può rivedere i leoni marini, poi ci avviamo verso il Pier 33, da dove prenderemo il traghetto per Alcatraz. Consiglio assolutamente di muoversi per tempo per prenotare la visita in questo monumento nazionale: noi abbiamo tenuto monitorato il sito ufficiale (www.alcatrazcruises.com) e abbiamo prenotato a inizio giugno il tour delle 15.50; se vi recate il giorno stesso sarà molto difficile (se non impossibile) trovare posto, infatti fuori dalla biglietteria segnalavano che il prossimo tour disponibile sarebbe stato per il 29 agosto. La visita di Alcatraz è davvero toccante, l’audioguida (disponibile anche in italiano) racconta la storia del carcere, narrata dai secondini e da ex detenuti, con tanto di rumori di sottofondo abbastanza angoscianti. Si visita il carcere, si può entrare nelle celle per rendersi conto della claustrofobia che assale per le scarse dimensioni, si può uscire anche all’esterno e gettare un’occhiata allo strapiombo che porta verso l’oceano… San Francisco dista solo pochi km in linea d’aria, ma per i detenuti sarebbe stato davvero impossibile evadere, considerando anche le acque gelide e le correnti fortissime.

Il rientro in hotel è stato problematico, dovevamo prendere il tram (Linea F) per arrivare a Union Square, ma per qualche strana ragione o non passavano tram, oppure erano strapieni e non si fermavano nemmeno… Alla fine abbiamo optato per un taxi, siamo riusciti a bloccarne uno con estrema fatica; poi un ragazzo di San Francisco ci ha spiegato che ormai i taxi sono merce rara nella città, utilizzano quasi tutti il sistema Uber per muoversi…

MARTEDÌ 8 AGOSTO

Di mattina ci rechiamo alla sede Hertz di Mason Street per ritirare la nostra macchina, che ci porterà alla scoperta dei meravigliosi Parchi dell’Ovest. Dire che il servizio Hertz è stato pessimo è un eufemismo: non si capisce cosa sia accaduto, probabilmente una sorta di overbooking, fatto sta che noi ci siamo presentati alle 10 (come da prenotazione), e l’auto ci è stata consegnata non prima di mezzogiorno; la motivazione che ci è stata data è che non erano rientrate le auto previste per quel giorno, per cui bisognava attendere il rifornimento della flotta. Altra cosa, noi avevamo prenotato una classe C, viaggiando comunque con molti bagagli + passeggino, dal contratto dovevamo avere una Toyota Corolla o similare, invece ci è stata consegnata una Nissan Versa (che risulta essere classe B), quindi siamo in contestazione con la Hertz per avere il rimborso della differenza sul noleggio. Poi comunque la macchina è stata comoda e affidabile per tutto il viaggio, nel bagagliaio ci stavano comodamente due valigie grandi + un trolley, ma il servizio è stato assolutamente pessimo.

Recuperiamo le valigie in hotel e ci avviamo in direzione Yosemite Park. Usciamo da San Francisco passando per l’Oakland Bay Bridge, c’è abbastanza traffico ma tutto sommato scorrevole. Poi il viaggio prosegue attraversando paesini agricoli e fattorie; ci fermiamo in un Burger King per pranzare, e qui scopriamo che gli americani non conoscono un gusto solo di Coca Cola, ma innumerevoli: lime, vanilla, cherry, orange, raspeberry…

Arriviamo allo Yosemite Park per il tardo pomeriggio, all’ingresso (Big Oak Flat Entrance) acquistiamo subito l’Annual Pass (80$): consigliatissimo in caso dobbiate visitare almeno tre Parchi, in quanto ammortizzerete sicuramente il costo (in media, un ingresso per un auto di 4 adulti costa 25-30$). Lo Yosemite è uno di quei Parchi che può ricordare, anche se vagamente, le nostre Dolomiti: cime imponenti, cascate (non ci aspettavamo di trovarle, pensavamo che con l’estate fossero in secca), prati, animali in libertà… Da ogni angolo del Parco si vedono svettare i due monoliti più famosi, El Capitàn e Half Dome, che con i colori del tramonto assumono tonalità spettacolari. Uno dei punti panoramici che più ci ha colpito è la piazzola su Southside Drive, dove si può ammirare El Capitàn sulla sinistra e la Bridalveil Fall a destra.

Passeggiamo a piedi nei pressi del Sentinel Bridge, ammirando le cascate Upper and Lower: la camminata è tranquilla e fattibile per tutti, e tra l’erba scorgiamo due cervi intenti a mangiare l’erba; non hanno assolutamente paura, nostra figlia li osserva ammirata e noi ne approfittiamo per scattare qualche foto.

Per la notte pernottiamo allo Yosemite View Lodge, che si trova a pochi km dall’ingresso del Parco: è un complesso enorme, in stile motel, caratterizzato da palazzine a due piani, ognuna con una piccola piscina o idromassaggio; all’interno ci sono anche una pizzeria, un ristorante e un supermercato. Visto che la camera (anche se è meglio chiamarla “appartamento”, viste le dimensioni) dispone di angolo cottura completo, acquistiamo il necessario per la cena, e mangiamo sui tavolini del nostro patio, con una bella vista sul fiume e le montagne circostanti.

MERCOLEDÌ 9 AGOSTO

Oggi ci aspetta un viaggio lungo, dobbiamo trasferirci alla Death Valley, per cui partiamo di buon mattino. Da inizio luglio, dopo lo scioglimento delle nevi, ha riaperto il Tioga Pass, per cui decidiamo di attraversarlo per uscire dallo Yosemite Park. Il paesaggio cambia continuamente, si attraversano pianure sconfinate, laghi di montagna, prati verdi… Da segnalare: Olmsted Point (peccato che la visuale non era delle migliori, causa nebbia mista a fumo – in quei giorni abbiamo scoperto che c’era molto fumo al Parco a causa della combustione degli alberi), Tenaya Lake, e Tuolumne Meadows.

Ci fermiamo al Lambert Dome per fare merenda, è un bel punto dove poter fare una passeggiata e scalare la vetta del monolite. Fate attenzione ai cartelli che avvertono di non dare assolutamente da mangiare agli animali, scoiattoli compresi che possono sembrare tanto carini; si è punibili con una multa di 100$.

Al momento di impostare la strada sul navigatore, ci venivano date tre proposte: un po’ a caso, abbiamo scelto quella più breve, che passa dal Mono Lake (nient di che) va verso la CA-120E. Per 3 ore non c’è NIENTE, il nulla totale, non si passa da un paese, non si vede anima viva; per fortuna ci sono i sensori sulle corsie che ti avvertono se stai andando fuori strada, perché l’abbiocco è in agguato. Quando arriviamo alla “cittadina” di Beatty, la salutiamo come un miraggio nel deserto: possiamo finalmente fermarci, scendere all’ombra, prendere un panino da Subway e fare benzina.

Arriviamo a Furnace Creek, il centro visitatori della Death Valley, intorno alle 17.30: il termometro che c’è all’esterno del complesso segna 120°F = 48°C… Vinciamo la paura e scendiamo dalla macchina, per andare a prendere la mappa al centro visitatori (che chiude alle 17, ma per fortuna lasciano delle cartine disponibili all’esterno). È difficile descrivere la sensazione di caldo, è secco ma c’è questo vento che ricorda la sensazione del forno a 200° quando viene aperto… Ti taglia il fiato davvero. Risaliamo in macchina e, tenendo l’aria condizionata al minimo per evitare di surriscaldare il motore, partiamo alla volta di Badwater. Sembra di stare su Marte davvero, ti ritrovi in un parcheggio e se volgi lo sguardo a sinistra, sul fianco di un monte, vedi un cartello lassù in cima che ti indica “Sea Level”. Fai due conti, e ti accorgi di essere veramente in una depressione, a 85mt sotto il livello del mare. Una distesa di sale si apre sconfinata davanti a noi, la si può percorrere a piedi, e ringraziamo di essere arrivati nel tardo pomeriggio, con il sole che sta calando, perché altrimenti non so come avremmo potuto affrontare il caldo e il riverbero del bianco del terreno.

Risaliamo in macchina e ci sembra di aver fatto una sauna… Conviene davvero ascoltare tutti i consigli che suggeriscono di portare litri e litri di acqua a testa: la disidratazione è dietro l’angolo! Imbocchiamo la Artist Drive, una strada a senso unico che permette di ammirare i colori magnifici delle montagne e dell’Artist’s Palette.

Il nostro motel è lo STOVEPIPE WELLS VILLAGE, pochi km fuori dalla Death Valley; per fortuna qui si trova di tutto (piscina, General Store, ristorante, pub), perché sei in mezzo al nulla, e non ci sono molte alternative su dove andare… Per far capire il clima: l’acqua del lavandino faceva fatica a raffreddarsi…

GIOVEDÌ 9 AGOSTO

La sveglia è suonata presto per cercare di evitare il caldo del deserto; dopo la colazione, ci dirigiamo alle MESQUITE FLAT SAND DUNES, che si trovano a pochi km dal nostro Motel. Sembra di stare davvero davvero nel Sahara, con distese di sabbia che si perdono a vista d’occhio e cambiano forma ogni giorno, grazie al vento. Prima di arrivare a Beatty, deviamo per Rhyolite, una sorta di città fantasma: la visita è assolutamente trascurabile, noi ci siamo fermati solo perché di passaggio; scattiamo qualche foto a una casa con le pareti ricoperte di bottiglie di vetro, una scuola abbandonata, e altre rovine.

La nostra prossima tappa è Las Vegas! Già dall’autostrada si vedono sfrecciare tutti gli hotel più famosi, imponenti come non mai… Noi alloggiamo all’Excalibur, a tema cavalleresco; dopo il check in ed esserci sistemati in camera, sfruttiamo per tutto il pomeriggio le piscine dell’hotel. Fa davvero caldo, stare in acqua è l’unico modo per avere un po’ di sollievo. I cocktail hanno dei prezzi assurdi (23$ la prima consumazione e 16$ il refill), la birra costa 9$; nel casinò noi non possiamo sostare in quanto abbiamo una bimba piccola, ma siamo obbligati a transitare in quanto è proprio al centro dell’hotel. Vediamo gente alienata che trascorre le ore a giocare alle slot machines; complice il fatto che ogni postazione ha lo spazio anche per appoggiare un piatto e un bicchiere (e si può fumare), si perde completamente la cognizione del tempo. All’interno dell’hotel si trova di tutto: ristoranti, Starbucks, Pizza Hut, negozi di souvenir, c’è persino la fermata di una monorotaia che porta agli hotel vicini… Dopo cena facciamo una lunghissima passeggiata (quasi 3km) sulla Strip, fino al Venetian. A Las Vegas ci sono pochissimi attraversamenti pedonali: per passare da un lato all’altro della strada si utilizzano scale mobili che portano ai ponti oppure, come nel nostro caso, prendiamo gli ascensori che ci portano al livello sopraelevato. Lungo la Strip troverete di tutto: ragazze seminude che vi inviteranno a fare una foto, uomini che distribuiscono biglietti da visita per night club, un enorme negozio M&M’s su 4 piani, ristoranti di ogni tipo, e i mitici hotel che regalano uno spettacolo incredibile di luci e colori. Credo che Las Vegas vada presa per quella che è, per poterla davvero comprendere e apprezzare; nel suo essere trash ed eccessiva, risulta divertente e piacevole. È una città che è sorta in mezzo al deserto completo, e ha fatto della sua particolarità ed esclusività il suo marchio di fabbrica.

Siamo rimasti a bocca aperta per il lavoro che sono riusciti a fare gli americani con l’hotel Venetian: hanno ricostruito perfettamente il Campanile di San Marco, Palazzo Ducale, all’interno si trovano i canali attraversati dalle gondole, e il cielo sopra di te è completamente finto, con tanto di nuvole. Il Bellagio ti riporta sulle sponde del Lago di Como; il Caesar Palace è la perfetta ricostruzione di Roma (anche se ci hanno piazzato pure una Nike di Samotracia) con tanto di Colosseo e Fontana di Trevi; al Paris c’è una Tour Eiffel su cui si può salire e godere il panorama dall’alto; fuori dal New York New York ci sono le montagne russe… Di tutto e di più!

VENERDÌ 11 AGOSTO

Tra le cose tecnologiche del nostro hotel, scopriamo che il check out è possibile farlo dal menu della tv in camera, e ne approfittiamo. Ci apprestiamo a lasciare Las Vegas, ma non prima di aver scattato una foto al mitico cartello “Welcome to Fabulous Las Vegas” (mentre dall’altro di legge “Drive carefully. Come back soon”). C’è un comodo parcheggio in corrispondenza dello spartitraffico, per cui si può scendere dall’auto, mettersi in coda e scattare la foto di rito.

Prima di arrivare in Utah, portiamo avanti le lancette dell’orologio di un’ora. Ci dirigiamo quindi alla volta dello Zion Park; d’estate le auto non possono circolare all’interno del Parco, per cui lasciamo la macchina nel parcheggio (consiglio: arrivate il prima possibile, perché dopo le ore 10 è praticamente strapieno; oppure lasciate l’auto nella cittadina di Springdale e prendete la navetta che vi porta al parco in una decina di minuti) e ci apprestiamo a prendere la navetta. La coda è abbastanza lunga, ci mettiamo circa una mezzoretta prima di poter salire su un pulmino; decidiamo di rimanere a bordo e vedere tutti i punti panoramici, senza scendere, giusto per avere un’infarinatura del Parco e scattare qualche foto. Tutto il giro completo dura circa 80 minuti.

Pranziamo all’interno dello Zion con quello che abbiamo comprato in un supermercato a Springdale (il Sol Foods, poco prima dell’ingresso del Parco, lo consiglio perché ben rifornito), e poi ripartiamo per il Bryce Canyon. Il primo tratto per uscire dal Parco è davvero spettacolare, si attraversa una galleria completamente buia, poi le rocce rosse ti circondano su ogni lato, e abbiamo anche incrociato dei simpatici stambecchi J

Il Bryce è uno dei Parchi più piccoli degli States, ma offre dei panorami straordinari. Dato che tutti i punti panoramici si trovano sul lato sinistro della strada guidando verso Rainbow Point, ci dirigiamo direttamente verso il punto più a Sud, per poi effettuare le soste fotografiche durante il rientro al Visitor Center. In questo modo, ogni sosta è una semplice e sicura svolta a destra al momento di reimmettersi sulla strada del parco. Durante la visita incontriamo tutti i clima possibili: sole, vento, diluvio e infine uno splendido arcobaleno che sembra sorgere dagli Hoodoo, i caratteristici pinnacoli del Parco. Purtroppo alcuni colori sono stati falsati dal fatto che mancasse il sole a battere sulle rocce, ma comunque queste particolari conformazioni ti colpiscono davvero.

Il nostro lodge (Best Western Plus Ruby’s Inn) si trova appena fuori dal Parco, è una piccola città con tutti i comfort, dal supermercato alla stazione di servizio, la piscina al coperto, due ristoranti… Ceniamo molto bene all’interno del Cowboy Buffet & Steakroom.

SABATO 12 AGOSTO

Partiamo alla volta dell’Arizona (quindi altro cambio del fuso: si torna indietro di un’ora), ma prima facciamo sosta alla Lone Rock Beach, un imponente massiccio di roccia rossa che si trova al centro del Lake Powell. Fa parte del Glen Canyon, quindi se avete acquistato l’Annual Pass vale la pena fare una piccola deviazione (ben segnalata) dalla Highway 89. Qui si trova anche una spiaggia, un campeggio, e un’area di sosta dove fermarsi per rilassarsi.

Proseguendo in direzione di Page, è doveroso fare una sosta alla Glen Canyon Dam, una diga imponente sul fiume Colorado. Potete lasciare la macchina al parcheggio del Carl Hayden Visitor Center, e poi dirigervi verso il parapetto da cui godrete di viste impressionanti sullo strapiombo e sulle aree circostanti. Ci sono anche degli “spazi” all’interno della rete di protezione dove poter inserire la macchina fotografica per poter scattare delle belle foto.

È arrivato il momento di dirigerci al Lower Antelope Canyon: avevamo prenotato un paio di mesi prima il tour delle 15.30 con la Dixie Ellis (una delle due compagnie che gestisce le visite in questo Canyon), ci avevano avvisato tramite mail che potevano esserci ritardi a causa dell’elevato afflusso di turisti, ma di presentarsi all’orario prenotato. Alle 15.50 siamo pronti per partire verso il canyon con la nostra guida Navajo (per visitare questa zona è obbligatorio essere accompagnati, essendo territorio indiano); siamo in attesa di scendere nel canyon, quando il cielo diventa nero, si alza un vento fortissimo e in breve si scatena il diluvio… 5 minuti ed è tutto finito, ritorna pure il sole, ma tutti i tour vengono annullati, per una questione di sicurezza (una ventina di anni fa 11 turisti morirono all’interno a causa di un’inondazione del canyon). Andiamo alla reception dove ci propongono o il rimborso totale del tour (in quanto è stato annullato per causa loro), oppure di riprogrammarlo per la mattina seguente. Il primo tour disponibile è alle 6.10 (!), dopo un’iniziale perplessità decidiamo di accettare questo orario… Saremo un po’ degli zombie, ma quando ci ricapita di tornare?

Saltata quindi la visita pomeridiana all’Antelope Canyon, ci dirigiamo verso un’altra meraviglia di questa zona: l’Horseshoe Bend. Lasciamo la macchina nel posteggio, e ci apprestiamo a raggiungere questo punto panoramico. Avevo letto indicazioni contrastanti su quanto fosse la distanza dal parcheggio allo strapiombo: chi parlava di 10 minuti di strada, chi di 2km… Posso dire che noi, con bimba al seguito e quindi andatura rallentata, ci abbiamo messo 25 minuti. Una cosa che mi sento assolutamente di consigliare è questa: affrontate il cammino in un momento favorevole della giornata, cioè non con il sole a picco. La strada non ha punti d’ombra, all’andata ha una parte iniziale (breve) in salita, e poi è tutta discesa, quindi al ritorno vi aspetta una bella scarpinata, e farla sotto al sole di mezzogiorno non credo sia piacevole. Comunque una volta arrivati al punto panoramico si resta davvero a bocca aperta: il Colorado ha creato delle anse pazzesche nella roccia, poi con il sole che faceva capolino dalle nuvole dopo il temporale si sono creati dei colori davvero magici. Io soffro di vertigini per cui non mi sono avvicinata troppo al bordo del precipizio, e ho tenuto mia figlia ben lontana, in quanto non ci sono minimamente le protezioni; ho visto persone fregarsene letteralmente dello strapiombo, alla ricerca dello scatto memorabile, a costo di finire di sotto loro e il cellulare. De gustibus…

Per la notte pernottiamo al Travelodge di Page, una sistemazione senza infamia e senza lode, giusto per la notte; vicino c’è una Steak House dove poter cenare (anche se abbastanza cara, come tutti i ristoranti della cittadina).

DOMENICA 13 AGOSTO

Stamattina sveglia all’alba per poter fare il tour al Lower Antelope Canyon. Siamo il secondo gruppo a entrare, la nostra guida Navajo è bravissima e disponibilissima, scatta delle foto in punti particolari che solo loro conoscono… La nostra scelta di visitare il Lower è stata “obbligata” in quanto, per la data in cui ci trovavamo a Page, non c’era disponibilità per la visita all’Upper; non siamo rimasti minimamente delusi, anzi. Temevo un po’ che fosse difficoltoso accedere a questo Canyon, in quanto non è al livello del terreno come l’Upper, ma per accedervi bisogna scendere delle scale, alcune abbastanza ripide; siamo comunque riusciti a farle anche con nostra figlia, nei punti più ripidi mio marito la prendeva in braccio, e comunque si tratta di una ventina di scalini (per due rampe), quindi assolutamente fattibile. Il percorso all’interno del Canyon è stretto in alcuni punti, in altri bisogna fare attenzione a non picchiare la testa per le rocce sporgenti, ma comunque non vi sono problemi anche per chi soffrisse di claustrofobia, in quanto il cielo è sempre visibile. Quando ci trovavamo all’interno del Canyon è anche sorto il sole, per cui le rocce hanno assunto tonalità incredibili; il punto di uscita dalla gola è spettacolare, in quanto sembra proprio di emergere dai meandri della terra. Insomma, è valsa la pena fare la levataccia!

Dopo aver fatto colazione in hotel, partiamo alla volta della Monument Valley (di nuovo cambio delle lancette: +1, in quanto nella riserva Navajo non hanno l’ora legale). Prima di entrare al Parco, si può fare una sosta al Welcome Center, dove sono presenti vari negozietti Navajo e un’area di sosta.

La Monument Valley non fa parte dell’Annual National Pass, quindi bisogna pagare un ingresso a parte (20$ ad auto, fino ai 6 anni è gratuito; è possibile pagare direttamente all’ingresso del Parco, oppure online, sul sito http://navajonationparks.org). Se decidete di visitare il Parco con la vostra auto, dovrete rimanere sulla Scenic Drive; se invece prenoterete un tour (jeep, cavallo, a piedi…) con una guida Navajo, verrete portati anche in altre zone protette e non accessibili al pubblico. Un consiglio: se opterete per il tour in jeep, portatevi foulard o qualcosa per ripararsi la bocca, altrimenti “mangerete” una quantità incredibile di polvere, visto che i mezzi sono completamente aperti sui lati!

Noi abbiamo percorso “solo” la Scenic Drive, e devo dire che questo è il Parco che mi è rimasto più nel cuore: ad ogni angolo veniva voglia di accostare la macchina, scendere e scattare foto a non finire. Già dal Visitor Center si può ammirare un panorama magnifico su “The Mittens and Merrick’s Butte”, i tre monoliti più famosi della Monument, quelli che sono impressi nell’immaginario collettivo e che ti riportano subito alla mente i film western con John Wayne. Sembra di stare in una cartolina… Ci tengo a precisare che con la nostra auto (una normalissima berlina) non abbiamo avuto problemi ad affrontare il percorso (tutto sterrato, tranne un breve tratto iniziale) della Monument; certo, una 4×4 mi superava senza problemi, mentre la velocità della nostra macchina era decisamente ridotta, ma basta andare con cautela, specie nei tratti più dissestati, e non si hanno difficoltà. Il lodge (Kayenta Monument Valley Inn) si trovava a una mezz’oretta dal Parco; abbiamo cenato nel ristorante interno dove, obbedendo alle leggi Navajo, non vengono serviti alcolici. A Kayenta si trovano numerosi benzinai, Mc Donald’s, Taco Bell, Burger King…

LUNEDÌ 14 AGOSTO

Dopo la colazione, ci rechiamo nel centro commerciale di Kayenta, il Bashas’, dove c’è un supermercato veramente ben fornito (anche di frutta e verdura) e con ottimi prezzi. Ci dirigiamo verso il Grand Canyon (ultimo cambio di fuso orario, torniamo un’ora indietro) ed entriamo al Parco dall’ingresso Est. Percorriamo tutta la Desert Drive (40km fino al Visitor Center) fermandoci nei vari View Points segnalati dalla guida. Imperdibile è il primo che si incontra, ovvero la Desert View Watchtower: è una torre di osservazione in pietra, alta 21mt, da cui si gode uno stupendo panorama a 360° sul Parco. L’area è allestita anche con tavoli per picnic, per cui ci fermiamo qui a pranzare. A mio avviso i punti panoramici più belli sono il Moran (da dove si ammira la stratificazione del Grand Canyon fino al letto del Colorado) e il Grandview, con vaste distese di vegetazione.

L’hotel (Best Western Premier Grand Canyon Squire Inn) si trova proprio appena fuori dal Parco, ed è veramente spettacolare! Sfruttiamo la piscina al coperto per rilassarci un po’ e poi ceniamo nel ristorante a buffet all’interno del Lodge.

MARTEDÌ 15 AGOSTO

Per il nostro Ferragosto, decidiamo di regalarci un’altra visita al Grand Canyon. Andiamo in direzione del Village, lasciamo la macchina nei pressi del Maswick Lodge e poi ci apprestiamo a prendere la navetta che ci porterà lungo la Hermit Road, in direzione Hermit’s Rests; questo tratto d’estate è chiuso al traffico delle auto, per cui è necessario utilizzare lo shuttle (linea rossa) per raggiungere i vari punti panoramici. Sull’utilissima guida che viene consegnata all’ingresso del Parco sono riportate tutte le distanze a piedi tra le varie fermate della navetta; noi scendiamo a The Abyss, per poi percorrere il sentiero (Rim Trail) che ci porta alla fermata successiva (Mojave Point). Il sentiero è molto tranquillo (non fattibile con il passeggino però), in alcuni punti bisogna stare attenti a non affacciarsi troppo perché lo strapiombo è notevole ma, se dovesse dar fastidio, si può comunque rientrare sulla strada asfaltata (dove passano solo le biciclette e le navette del Parco). Lungo il percorso, si trovano anche tavoli e panchine, dove potersi fermare per un picnic con vista.

Fate attenzione che la navetta del ritorno (che parte da Hermit’s Rests) ferma solo in 3 punti: Pima Point, Mojave Point, Powell Point, facendo poi capolinea al Village Route Transfer; passano ogni 10 minuti circa.

Dopo questa bella camminata, rientriamo a Tusayan, dove pranziamo da Pizza Hut, e poi partiamo in direzione Kingman. Questa cittadina è attraversata dalla Route 66, ovunque vi si trovano accenni, e c’è pure un museo dedicato, all’interno del Powerhouse Visitor Center. Peccato che chiuda alle 17, e non facciamo in tempo a visitarlo. Ne approfittiamo per fare comunque una sosta e poi ci dirigiamo alla prossima tappa, Lake Havasu. Questa cittadina è stata inserita per forza di cose, per spezzare il viaggio che dal Grand Canyon ci avrebbe portato a Los Angeles, altrimenti sarebbe stato davvero massacrante (quasi 8 ore di macchina). Non ci aspettavamo granché da questa città, siamo arrivati tardo pomeriggio in quanto già sapevamo che non avremmo potuto nemmeno sfruttare la piscina dell’hotel (Hampton Inn Lake Havasu), in quanto in ristrutturazione.

La sera ceniamo in uno dei ristoranti più buoni di tutta la vacanza, l’italianissimo LA VITA DOLCE. Spendiamo non poco, ma sia il salmone (finalmente del pesce cucinato come si deve!) che i ravioli ripieni di aragosta sono spettacolari. Sorvoliamo invece sul tiramisù, che sembrava più una torta al cioccolato, in quanto non aveva traccia né di mascarpone né di savoiardi, e soprattutto presentava un improbabile caramello.

A Lake Havasu l’unica attrattiva è il London Bridge: il famoso ponte di Londra è stato smontato e ricostruito interamente in questa cittadina. Facciamo una passeggiata lungo il lago e scattiamo qualche foto, ma fa davvero caldo (quasi come a Las Vegas), per cui rientriamo in hotel.

MERCOLEDÌ 16 AGOSTO

Dopo la colazione (la seconda inclusa in hotel, dopo quella di Page), riprendiamo l’auto. La nostra destinazione finale sarà Los Angeles, ma per spezzare il viaggio ci fermiamo a visitare il Joshua Tree National Park. Passato il confine tra Arizona e California, ci imbattiamo in una dogana per “ispezione agricola”: ci viene chiesto se trasportiamo carne o frutta e dove l’abbiamo comprata… Tutto ok, possiamo procedere.

Arriviamo al Parco, entriamo dall’Oasis Visitor Center e ritiriamo la mappa. Il ranger ci dà alcune indicazioni su quali sono i punti imperdibili del Parco, che comunque non è di grandi dimensioni; a meno di non voler percorrere sentieri (ma non ci sembra il caso, siamo in pieno deserto) o di spostarci nelle zone più remote, si gira tranquillamente in un’oretta. Percorrendo la Parl Blvd, si possono ammirare distese infinite di Yucca, gli alberi somiglianti a cactus, dalle forme grottesche e contorte, che danno il nome al parco. Le rocce sembrano cadute dal cielo, e alcune assumono forme davvero bizzarre. Una su tutte: la Skull Rock, una suggestiva roccia a forma di teschio, imperdibile per una sosta fotografica.

Usciamo dal Parco attraverso l’ingresso Ovest (dove è presente un altro Visitor Center, con bar annesso), e poi facciamo una piccolissima deviazione per Palm Springs. La città non ci dice nulla di che, non scendiamo nemmeno dall’auto e ripartiamo subito per Los Angeles.

Appena ci avviciniamo alla metropoli, ci rendiamo subito conto di cosa significhi davvero la parola traffico. L’autostrada è a 5 corsie, e nel senso opposto al nostro è completamente bloccata, e noi procediamo a passo d’uomo. Per fortuna riusciamo a sfruttare la corsia di car pooling, così velocizziamo i tempi. Entrando in città, vedo subito le mitiche lettere di Hollywood che svettano sulla collina omonima… Il nostro hotel (Ramaza Plaza) si trova in zona West Hollywood, in Santa Monica Blvd; si è rivelato comodo perché a pochi passi abbiamo trovato uno Starbucks (dove poter fare colazione) e numerosi ristorantini. Questa zona era un susseguirsi di palestre aperte 24 ore su 24, bar e supermercati che vendevano bibite energetiche, locali gay friendly… Invece scarseggiavano proprio i supermercati.

A Los Angeles se non si ha l’auto si è completamente persi; le distanze sono siderali, i mezzi non sono un granché e si rischia di rimanere imbottigliati in cambi e coincidenze eterne; percorrerla a piedi è praticamente impossibile… Di contro, i parcheggi sono carissimi, noi per 3 giorni di sosta nel parcheggio dell’hotel abbiamo speso 99$. Di sera abbiamo cenato da Fresh Corn Grill, una soluzione rapida e veloce per mangiare insalate, carne e pasta a un prezzo contenuto.

GIOVEDÌ 17 AGOSTO

Oggi tappa mare, a Santa Monica. Dal nostro hotel ci vuole circa mezz’oretta di auto; la lasciamo al parcheggio di Colorado Avenue, la sosta per 4 ore ci costa circa 8$. Meno di dieci minuti a piedi e siamo al Pier. Mi è piaciuto molto di più del molo 39 di San Francisco, forse perché c’era meno gente, e ci siamo potuti godere le bancarelle di souvenir (uno vendeva delle stupende targhe in metallo), ascoltare i musicisti di strada, scattare foto all’Oceano e al cartello “End of Trail” della Route 66… C’è anche un piccolo Luna Park, con ottovolante e ruota panoramica. Poi scendiamo in spiaggia, dove trascorriamo tutta la mattinata, posizionandoci di fronte a una delle mitiche postazioni dei bagnini che ricordano tanto Baywatch. L’acqua è freddina, siamo pur sempre nell’Oceano, e ci sono onde molte alte, per cui non ci allontaniamo dalla riva.

Dopo pranzo, riprendiamo l’auto e ci spostiamo nella vicina Venice Beach: sono solo 5km, si potrebbero anche fare noleggiando una bici e percorrendo il lungomare. Troviamo posto in una via laterale senza dover pagare la sosta, e andiamo subito ad esplorare la zona dei canali: stupenda! Le villette che vi si affacciano sono deliziose, sembrano veramente quelle classiche dei film americani, con il loro piccolo giardinetto, il barbecue, il grande salone con cucina annessa… La piccola Venezia non ci delude! Poi passeggiamo lungo il Venice Boardwalk: preparatevi a trovare tutta l’umanità possibile e immaginabile: barboni accampati sull’erba che divide il lungomare dalla spiaggia, palestrati e culturiste che si allenano nella famosa Muscle Beach (la palestra all’aria aperta dove si allenò anche Schwarzenegger), giocolieri e musicisti di strada, skaters che fanno acrobazie nelle loro piste… In spiaggia è impossibile tornare per il troppo vento, per cui passeggiamo finché non decidiamo di rientrare. In macchina decidiamo di fare tappa in due delle mete top di Los Angeles: Rodeo Drive (incasinatissima, ci passiamo giusto per qualche foto) e Beverly Hills. Qui le ville sono qualcosa di spettacolare, ci si aspetta di vedere spuntare Brenda Walsh e i suoi amici da una di queste case…

La sera ceniamo da Tender Greens, un’ottima soluzione per depurarsi un po’, in quanto tutte le pietanze sono improntate a un’idea bio, salutare e il più stagionale possibile.

VENERDÌ 18 AGOSTO

Questa mattina ci dedichiamo alla zona “mitica” di Los Angeles, ovvero la Walk of Fame e Hollywood Boulevard. I prezzi dei parcheggi in questa zona sono folli (come tutti in città), ne troviamo uno in Las Palmas Avenue, 15$ tariffa flat per tutto il giorno, e in due minuti a piedi siamo sul Boulevard. I nostri occhi continuano a spaziare verso l’alto, per ammirare i palazzi e i teatri, e verso il basso, dove si susseguono le stelle dei più famosi (o meno) attori, musicisti, presentatori… Lungo la via si sprecano anche i negozi di souvenir, alla fine vendono tutti le stesse cose (magliette, calamite, rappresentazioni delle statuette degli Oscar), alcune di qualità più “made in China”, altre un pochino più carine… Ovviamente qualche regalo e acquisto per noi ci scappa. Facciamo le foto di rito al teatro El Capitàn (dove proiettano cartoni Disney o si può assistere a musical) e al Dolby Theatre (dove si svolge la magica notte degli Oscar). Entriamo nel cortile del Chinese Theater, e io mi perdo alla ricerca delle impronte di mani e piedi dei miei beniamini… Quentin Tarantino, Al Pacino, il cast di Harry Potter e Hunger Games… Poi tappa obbligata all’Hard Rock Cafè: siamo stati in tanti ristoranti di questa catena, ma qui forse si respira la vera atmosfera americana… Mangiamo bene come al solito, spendendo non poco (ma si sa, questo è lo standard), e poi girovaghiamo nel locale (bella la cucina a vista), fotografando i cimeli dei divi del rock, dai Guns’n’Roses ai Metallica, Green Day, Motley Crue…

In Hollywood Bouleverd si trova anche il centro commerciale Hollywood & Highland; non ci siamo entrati, ma l’abbiamo usato come punto di osservazione. Infatti, salendo le scale mobili fino alla passerella del secondo piano, si gode una bellissima visuale sulla collina di Hollywood e sulla mitica scritta. Con il teleobiettivo, ci possiamo regalare delle foto spettacolari.

Decidiamo di dirigerci verso il Griffith Observatory, con l’idea di scattare ancora qualche foto panoramica (e magari altre alla scritta Hollywood), ma scopriamo che non ci si può avvicinare all’Osservatorio in auto: bisogna infatti parcheggiarla parecchie centinaia di metri prima (pagando 4$ all’ora) e farsi un lungo tratto in salita sotto il sole. Lasciamo quindi perdere.

Ci spostiamo allora verso la zona più antica di Los Angeles, El Pueblo, dove si trova Olvera Street, piena di mercatini in perfetto stile messicano. In questa zona si trova anche Pico House, uno dei più antichi hotel della città, e che oggi è monumento storico.

SABATO 19 AGOSTO

Ultimo giorno per non farci mancare niente, ci dirigiamo verso un outlet (abbiamo visto la pubblicità su un volantino a Santa Monica) per un po’ di sano shopping! Quindi facciamo il check out e partiamo in direzione Citadel Outlets (circa mezz’oretta dal nostro hotel). È una sorta di “villaggio” sullo stile degli italiani Vicolungo, Fidenza, Serravalle, ci sono un centinaio di negozi di marchi più o meno noti e, grazie a una card che ritiriamo al Customer Service Center, abbiamo degli sconti aggiuntivi su quelli già presenti nei negozi. Alcuni, oltre ad avere il prezzo outlet, praticano anche i saldi, quindi il risparmio è stato davvero notevole! Compriamo benissimo da Tommy Hilfiger, Gap e Converse (il mio regno!). Abbiamo pranzato da Ruby’s Diner, un locale in perfetto stile anni 50, con cameriere truccate con eye liner nero e gonnellina a righe, una grossa Cadillac all’ingresso, divanetti di pelle rossa e sedie bianche e nere… Ti aspetti di veder spuntare Fonzie da un momento all’altro!

Il nostro primo volo è da Los Angeles a Dublino, con Aer Lingus, sicuramente non all’altezza del primo intercontinentale con British Airways: aeromobile rumoroso; un’ora di ritardo sulla partenza; cibo scarso; nonostante avessi richiesto il child meal per mia figlia non me l’hanno portato; poca scelta nell’intrattenimento e gli auricolari funzionavano da un jack solo.

Dopo quasi 3 ore di scalo a Dublino, ripartiamo per Malpensa; un’attesa infinita per avere i bagagli, e un’altra esasperante per farci venire a prendere dalla navetta del parcheggio (a questo sproposito sconsiglio assolutamente Low Cost Parking di Ferno: servizio a dir poco pessimo, scarsa puntualità e pulmini che hanno visto epoche migliori), e siamo a casa intorno a mezzanotte.

È stata una vacanza che può essere riassunta in una sola parola: indimenticabile. Ci siamo riempiti gli occhi e il cuore di meraviglie della natura e dello spettacolo delle grandi città, e abbiamo portato a casa una quantità incredibile di foto che ci aiuteranno a tenere vivi i ricordi… E come dice il titolo del mio racconto: sì, è una vacanza che si può fare anche con i bambini piccoli.

Se avete bisogno di qualsiasi informazione, non esitate a contattarmi!



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