New York, Boston e il New England

Tra la Grande Mela, Boston, la costa del Massachusetts, Maine e l'Acadia National Park…
Scritto da: maria stella
new york, boston e il new england
Partenza il: 08/08/2012
Ritorno il: 26/08/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Questa è una vacanza senza le figlie, dove io e mio marito possiamo gestire i tempi e i luoghi secondo i nostri ritmi e gusti, senza dover scendere a compromessi, per quanto piacevoli o divertenti possano essere. Questo si ripercuote soprattutto nella scelta di dove andare a mangiare: evitati tutti i McDonalds e simili! Inoltre per me vacanza estiva è sinonimo di mare e abbronzatura, per cui sono state tante le spiagge visitate. Altro particolare: non avevamo né computer né navigatore, solo un cellulare per telefonate nazionali ma che riceveva dall’Italia e le cartine stradali, prestati da un’amica.

Questo il viaggio in breve

Cinque notti a New York, tre a Boston raggiunta con l’autobus, noleggio dell’auto e giro della costa del Massachusetts, Maine fino all’Acadia National Park, ritorno a sud di Boston, Rhode Island, Berkshires e partenza per Milano da Boston.

Abbiamo prenotato da casa solo gli alberghi di New York e di Boston, poi abbiamo sempre dormito nei motel, tranne un bed and breakfast, scelti direttamente nel luogo di arrivo. Questo ha permesso di essere molto liberi nell’itinerario che, anche se programmato da casa a grandi linee, ha subito molte variazioni dipese dal tempo atmosferico, dalla bellezza dei luoghi e dall’essere stufi di essere in macchina. Probabilmente prenotando in anticipo avremmo trovato anche soluzioni più economiche ma abbiamo preferito così. Il costo delle camere è variato da 65 a 120 dollari, inutile dire che il prezzo fa la differenza ma, anche dove non lo raccomanderei a nessuno, tutto era pulito.

8 agosto

Partenza da Milano Linate con destinazione New York. La compagnia che abbiamo trovato più a buon mercato è l’Aer Lingus, ogni aereo ha il nome di un santo, il che è di buon auspicio e nella tratta lunga ognuno può vedere quello che vuole nello schermo che si ritrova davanti. Lo scalo è a Dublino ed è quasi di quattro ore. Siccome è una città dove non sono ancora riuscita ad andare, prendiamo un taxi e pranziamo in un pub a Temple Bar, con tanto di musica tradizionale. Il tassista dell’andata è nato in Africa e ci rilascia la ricevuta, quello del ritorno è irlandese, si vanta di aver fatto parte dell’Ira ma spegne il tassametro. Il prezzo però è lo stesso.

Arriviamo al JFK airport e prendiamo il Bus Express Way che per 12.50 dollari ci porta alla Central Station e da lì uno shuttle, compreso nel prezzo, direttamente all’hotel.

Albergo scelto a New York il Newyorker, della catena Ramada, a due passi dall’Empire State Building, vicino a Penn Station e comodissimo con la metro. Con booking.com le camere non rimborsabili non hanno prezzi eccessivi. Siamo al ventunesimo piano ma non è silenziosissimo: anche da lassù si sentono le sirene, i condizionatori e il traffico. Inoltre New York è un cantiere aperto, ci sono dei lavori in corso anche vicino a noi.

Utilizziamo a New York la bellissima guida del Touring Club fatta solo di cartine pieghevoli per ogni zona, dove è evidenziato cosa visitare. Leggera e comodissima, è stata davvero utile. All’albergo arriviamo troppo presto per il check in, lasciamo però i bagagli in una stanza apposita. Grande errore della giornata: mio marito indossa pantaloni lunghi di cotone pesante blu scuri e, non avendo ancora la camera, non può cambiarsi, il caldo afoso e umido di New York mai provato nemmeno a Milano in agosto, gli provocherà una specie di eritema alle gambe che sparirà solo dopo alcuni giorni. Dappertutto ci ripetono che erano anni che non faceva così caldo d’estate.

Ci sentiamo in forma e andiamo a piedi verso l’High Line, che è la passeggiata più bella di New York, un’oasi artistica e verde ed è parallela alla riva occidentale. Scopriamo con piacere che Renzo Piana ha progettato uno degli edifici che stanno costruendo e che lì vicino ce n’è uno di Frank Gehry. Pranziamo da Puffy’s, una specie di pub, dove faccio i complimenti per il pane dei panini (è pane vero! Fresco e croccante), in tv c’è in diretta dalle olimpiadi di Londra la pallavolo maschile italiana che batte gli Usa in tutti e tre i set: nazionalisticamente orgogliosa! Continuiamo a camminare fino a Battery Park dove prendiamo il traghetto, prenotato da casa, per Ellis Island, commovente, anche se non si possono più rintracciare i cognomi degli immigrati, e la Statua della Libertà (dove però non scendiamo). Stanchissimi torniamo in metropolitana: basta comprare una tessera e caricarla di tutti i viaggi che vuoi (tipo il nostro carnet ma ricaricabile): più viaggi metti, meno paghi la singola corsa. La metro è un vero forno, solo a scendere le scale, la pressione va sotto i piedi, l’aria condizionata nei treni invece è polare. Devo dire, però, che il servizio è ottimo: nonostante i milioni di viaggiatori, non l’abbiamo mai trovata strapiena, in nessun orario. In albergo scopro che c’è una palestra gratuita, la sala computer, fax e stampanti a pagamento ma molto economica e un negozietto souvenir dove tutto (magliette, cartoline…) costa meno che in giro. Lì compreremo a quattro dollari un ombrellino tascabile. Scopriamo anche che in passato perfino Joe Di Maggio è stato nel nostro albergo. Cena al Five Napkins, consigliato da un amico, locale veramente New York style ed è piacevolmente strapieno. Nell’attesa ci danno un aggeggio che si illuminerà quando ci sarà un tavolo libero per noi e ce ne andiamo al bar per un favoloso cocktail. I prezzi non sono eccessivi e il menù ottimo (soprattutto la carne e gli hamburger). Calcoliamo le mance circa il doppio della voce “tasse”, consigliati da amici. Facendo i conti, realizziamo che i camerieri guadagnano un sacco di soldi esenti da tasse, nonostante la paga ufficiale si aggiri sui tre dollari l’ora. Essere un ottimo cameriere (a New York il servizio è davvero ad alti livelli, dappertutto) in un locale sempre affollato è un’aspirazione non un ripiego.

Camminata tra le luci di Times Square: non potevamo evitarla ma decidiamo di non tornarci più. E’ la zona più turistica nel senso negativo. Scopriamo però che proprio lì c’è il chiosco dove si possono comprare a metà prezzo gli spettacoli di Broadway per il giorno stesso. Non sono molto economici nemmeno a metà prezzo, Progettiamo di provarci ma poi non lo faremo. Altre cose che rimpiangiamo è di non aver preso il traghetto gratuito per Staten Island e di non essere saliti su nessun grattacielo. Sarà per un’altra volta.

9 agosto

Colazione in un Pret a Manger (che in Inghilterra sono ottimi), il caffè però ha un retrogusto di olio vegetale: non ci torneremo più. Arrivo in metro al World Trade Centre. Anche qui, per evitare la fila, abbiamo prenotato i biglietti gratuiti da casa. Le costruzioni dei nuovi edifici sono quasi terminate e la zona dà l’idea di un enorme cantiere che dà lavoro a migliaia di persone. Il Memorial è di una semplicità sorprendente, perfetto e l’effetto che mi fa è condiviso da altri: dovrebbe esserci un religioso silenzio, in fondo stiamo camminando in un cimitero invece, confermato anche da un volontario con cui chiacchieriamo, sta diventando un’attrazione turistica. Tutta la zona circostante ricorda la tragedia: gli avvocati hanno messo una targa ricordo, in alcune delle chiese (St Paul, St Peter, Trinity) sono stati raccolti oggetti, memorie e testimonianze di quei giorni terribili e sono state utilizzate come dormitori o mense per i volontari e i familiari. Apro una parentesi: quando si sta fuori dall’albergo tutto il giorno, trovare dei bagni di solito è un problema. Non negli Stati Uniti: ho utilizzato le restroom di chiese, musei, parchi, uffici informazioni e grattacieli (compreso quello di Donald Trump!).

Attraversiamo Wall Street, pranzo al World Financial Centre: i ristoratori interni, col bel tempo, cucinano all’esterno e la scelta è ottima, ci sono un sacco di tavolini dove ci si può sedere e danno tutto loro (forchette, tovaglioli…). Noi scegliamo dei tacos messicani ma anche i vari barbeque ispirano fiducia.

Da lì prendiamo il traghetto per Hoboken, New Jersey. L’ho promesso alle figlie: devo andare dal boss delle torte. La fila è lunghissima (noi ci impieghiamo un’ora però chi sta uscendo adesso è stato in coda per tre ore!) ma è organizzata bene. Innanzitutto è all’ombra e i dipendenti della pasticceria escono ad intrattenerci (se rispondi alle domande su Buddy, la sua famiglia o i suoi dolci vinci un cannolo) e si fa amicizia con gli altri che aspettano. Ci sono italiani, francesi, canadesi, cinesi, giapponesi e americani di vari stati. La trasmissione televisiva è evidentemente un successo. Unica nota negativa è che quando sei dentro non riesci a vedere tutte le vetrinette, così la scelta è un po’ limitata e non c’è molto da portare a casa perchè è quasi tutto fresco. Ad un certo punto arriva anche una delle sorelle e vai di foto! Noi compriamo delle sfogliatine (lobster tail), una cupcake alle carote, un bignè al cioccolato e delle paste di mandorle. Prendiamo la nostra scatola e andiamo al Sinatra Park (Frank è nato qui) a mangiarceli tutti. Bellissima la vista di Manhattan dalla riva. Hoboken dà l’idea di un posto dove vivere, di una comunità. Tutti i giorni al parco ci sono o film gratuiti per le famiglie o serate danzanti. Ci promettiamo di tornare una sera a cena, così da vedere lo skyline illuminato. Non lo faremo, sarà per la prossima volta. Riprendiamo il traghetto. Fra l’altro la stazione dei traghetti è anche quella dei treni e degli autobus ed è molto bella.

Ceniamo in un pub irlandese vicino all’albergo e facciamo un giro a piedi nei dintorni. Altro mito da sfatare: New York è una città che non dorme mai ma alle dieci di sera i negozi chiudono.

10 agosto: piove!

Facciamo colazione in una deli vicino all’albergo. Le deli sono un’ottima possibilità anche per i pranzi perchè hanno un’ampissima scelta di piatti caldi o freddi. Camminiamo fino alla Grand Central, la stazione che abbiamo visto in tanti film, alla biblioteca che è un bellissimo edificio e ospita sempre mostre gratuite (noi ne abbiamo vista una sul mangiare di strada, molto bella), il Bryant Park lì vicino, al Crysler Building che vediamo solo da fuori e arriviamo al palazzo dell’Onu, fuori del quale c’è una scultura di Pomodoro, donata dall’Italia. La sala del Congresso non è aperta al pubblico in quel momento, decidiamo di non entrare. Prendiamo un taxi fino al Moma, è la giornata giusta per un museo, che è splendido. I taxi non sono poi così costosi. Passiamo dal Rockfeller, che deve essere visto perchè compare in tutti i film, e lì prendo il caffè peggiore di tutta la mia vita: non sa nemmeno di caffè!. Al ritorno camminiamo sulla Quinta Strada e ci godiamo le vetrine. Alle 7.00 abbiamo prenotato un concerto al museo Rubin. Suona e canta un chitarrista che piace a mio marito, Tom Rush, che è un simpaticissimo cantastorie. Apro una parentesi: New York è innanzitutto una città culturale, ogni giorno e ogni ora c’è la possibilità di assistere a un evento, spesso gratuitamente e l’offerta copre davvero tutti i gusti e le sensibilità. Basta leggere il Time Out della settimana per accorgersi di non avere abbastanza tempo per tutto. Il museo, oltre a tutto un calendario di concerti, organizza anche conferenze con personaggi dello spettacolo e in queste occasioni lo si può visitare gratuitamente, sempre che si sia interessati all’arte himalaiana! Cena a Chelsea, bel quartiere, presso la Caffetteria. Anche qui tantissima gente, per cui aspettiamo il nostro tavolo al bar con un mojito alle more fenomenale. Altra parentesi: i ristoranti sono sempre pieni di ragazzi giovani che spendono parecchio: e la crisi dov’è?

11 agosto

Arriviamo a Greenwich Village. Colazione in un coffee bar (ce ne sono tanti davvero belli), giro attorno a Washington Square (che compare nel film La musica nel cuore), foto di fronte al Cafè Wha, dove hanno suonato i grandi del rock. Ci imbattiamo in un Grom, (ne scopriremo un altro a Columbus Circle), ma non è ora di gelato, troviamo un mercato all’aperto, lo giriamo e arriviamo a Lafayette Street che il sabato diventa pedonale: tutta New York è lì che corre, va in bici, fa aerobica… E’ come una grande palestra con attività organizzate lungo tutta la via. Passiamo davanti allo Sisters Building in stile liberty e mangiamo dal Barbuto, che ho prenotato da casa. Il ristorante è bellissimo, sempre stile New York, ed è gestito da un italiano e da un rockettaro fallito, che aveva partecipato a Master Chef. I prezzi del pranzo sono accessibilissimi e la qualità è ottima! Rifacciamo la High Line, questa volta da sud a nord. Poi ci trasferiamo a Central Park per rendere omaggio a John Lennon fuori dal Dakota Building, dove è stato ucciso, e nella parte di parco dedicata a lui: Strawberry Fields. Altra parentesi: difficilmente a New York si trovano targhe che dicano “qui è nato… morto…” ed è un peccato perché a noi piacerebbe saperlo. Ci piacerebbe fare anche un tour sulle scene dei vari film girati a New York ma nessuno lo organizza. Dal parco ci spostiamo al Lincoln Centre, vicino alla Metropolitan Opera House con i suoi enormi Chagall e di cui utilizziamo i bagni, e alla Julliard School. Qui c’è tutta una bellissima rassegna di concerti gratuiti in diverse location e uno dopo l’altro. Si può mangiare all’aperto (ma non costa poco) e sedersi o sul prato o sulle tantissime sedie. Ci piace così tanto che torneremo anche l’indomani. Per la cena andiamo a Brooklyn e mangiamo in una pizzeria proprio sotto il ponte. Basta prendere la linea blu e scendere alla prima fermata dopo il tunnel. Scopriamo che per l’estate hanno allestito anche una spiaggia e una piscina. Bello vedere Manhattan di sera e da questo lato. Le camminate di questi giorni mi hanno fatto venire due grosse vesciche per cui rinunciamo a camminare sul ponte.

12 agosto

È domenica, vado a messa a Saint Patrick, sulle colonne della cattedrale grandi schermi trasmettono la cerimonia, scopro che è in diretta tv e internet. La chiesa è molto bella e revoca molti film, la strada accanto è stata dedicata al cardinale O’Connor che ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo. Intanto mio marito aspetta fuori e ha modo di assistere alla simpatia dei poliziotti che mettono il loro cappello sulla testa dei bambini, li fanno salire sulla loro auto e giocare con luci e microfono. Parentesi sulla polizia: è dappertutto e ci si sente al sicuro. Assistiamo a un arresto in diretta vicino al nostro hotel con tanto di manette e scopriamo dal telegiornale che, a un isolato da noi, un uomo è stato ucciso dalla polizia perchè non lasciava il coltello (e ci sono parecchi tipi strani in giro): meglio essere innocenti! Camminiamo per la Quinta Strada ed un simpatico poliziotto ci indica dove è Tiffany e dice a mio marito che pregherà per lui, prevedendo i soldi che gli chiederò di tirar fuori. Inutile dire che non comprerò niente.

Tappa obbligata anche da Abercrombie e Fitch, a comprare i regali per le figlie e dove mi fotografano con un fustone di modello. Giro alla Trump Tower (ottimi i bagni!) e hot dog preso da un baracchino (rito obbligatorio ma non ne vale la pena). Ritorniamo a Central Park nella parte non vista ieri, dove ci fermiamo a guardare una partita amatoriale di baseball e di nuovo al Lincoln Center per altri concerti. La sera decidiamo di andare a cena a Chinatown, avendo voglia di cinese. La zona è davvero brutta, in un negozio di pesce fresco la titolare cinese afferra un’aragosta, le spezza la testa, l’annusa e la butta via. Non sono un’igienista ma ci passa la voglia. Camminiamo fino a Little Italy che nelle sere d’estate, con tutti i tavoli all’aperto e le luminarie ricorda il turismo nel sud Italia. In estate non è kitsch ma ci si sente davvero a casa. Difficile scegliere dove mangiare: tutti ti chiamano e ti vogliono. I menu sono autoctoni (pizza al peanut butter!) ma i cannoli sono favolosi. Optiamo per un take away (che in America non si chiamano così ma “food to go”), dove danno una fetta di pizza e una birra per sei dollari e ha fuori tre tavolini. Si chiama Sal’s, la titolare è molto simpatica e il caffè ottimo. Sulla via principale davanti alla chiesa di San Francesco una bancarella vende rosari, santi e madonne di gesso e da una vetrina si intravede un museo di storia italo americana dove scopriamo che un ristoratore di Little Italy ha offerto pasti a tutti i volontari della tragedia dell’11 settembre per giorni e giorni. In una maglietta in vendita leggiamo: “non solo sono perfetto ma anche italiano”. E’ il nostro ultimo giorno a New York, siamo stanchissimi ma entusiasti.

13 agosto

Andiamo a piedi alla stazione degli autobus (Port Authority) per prendere il Greyhound Peter Pan (le due compagnie si sono unite) per Boston. Abbiamo preso i biglietti in anticipo on line perché costano meno e, comunque, meno del biglietto ferroviario. Arriviamo troppo presto ma ci lasciano prendere l’Express prima del nostro senza pagare il supplemento. Quattro ore di viaggio (lo stesso tempo del treno) con fermata presso un fast food per cibo o bagni. A destinazione prendiamo un taxi per l’hotel, la John Jeffries House, che ha un’ottima posizione nella zona di Beacon Hill ed è vicina alla metro. La camera ha anche la cucina che utilizzeremo una sera di diluvio, dopo essere passati in un supermercato non lontano. Boston è una Londra perfetta. Sembra quasi irreale, stile Truman Show. Scopriamo però che la causa più alta dei decessi dei giovani è la droga e che l’alcolismo in Massachusetts è una vera piaga. L’assistenza sanitaria, grazie all’ultimo governatore, è invece gratuita. Usciamo subito e camminiamo seguendo il Freedom Trail (ogni sito internet ve lo descrive nei dettagli) che è marcato sul pavimento. Pranzo a Quincy Market, che è una bella copia di Covent Garden. La scelta è vasta e noi optiamo per il Wagamama, catena giapponese già sperimentata a Londra che fa dei noodles fenomenali. Bella anche la zona italiana. Stanchi, soprattutto dopo le lunghe camminate afose di New York, mangiamo in un bel pub vicino all’hotel, facciamo una passeggiata tra le meravigliose case di Beacon Hill e guardiamo The Mentalist in tv nella nostra stanza.

14 agosto

Andiamo al porto per informarci sui traghetti per Cape Cod, vorremmo passarvi il giorno dopo ma non lo faremo perchè la mattina ci sarà brutto tempo. Prendiamo però una piccola barca vicino al museo dove è ricostruito l’episodio del tè e vediamo Boston dall’acqua facendo un bellissimo giro tra le tre foci che circondano la città. Vediamo anche l’antica prigione che ora è un hotel e ha una vista splendida. Al ritorno faccio una visita al Children Museum. Mi interessa perchè sono una maestra. Mi chiedono subito se porto bambini con me e siccome deve suonare strano che un adulto da solo voglia visitare il museo, al pagamento del biglietto, mi ritirano il passaporto e mi danno il distintivo di visitor. Il museo è interessante, istruttivo e divertente. E’ su tre piani e i bambini possono arrampicarsi invece di usare le scale. Ci sono laboratori creativi, uno spettacolo teatrale ogni due/tre ore e tante cose da toccare e da provare. C’è un’area dove è ricostruita la parte afroamericana di una città con tanto di finto parrucchiere per le Afro Queen. Non mi sembra molto politicamente corretto, avrei preferito che il gioco del parrucchiere non avesse una connotazione di “razza” ma non sono lì per giudicare, io sono l’ospite. Scopriamo che anche Bruce Springsteen è in città e troviamo i fans fuori dal suo hotel ma non lo incrociamo. Pomeriggio al Mit (bello l’edificio di Frank Gehry) e ad Harvard, splendidi. Siamo andati a piedi anche se è lontano, ceniamo nella zona di Harvard che è molto vivace.

15 agosto

Piove per cui decidiamo che a Cape Cod andremo in macchina nei prossimi giorni. Arriviamo nella zona shopping del Prudential, l’edificio più alto di Boston. Scopro che i francescani hanno trasformato un negozio in cappella e vado a messa lì: è piena di gente di tutte le età. Usciamo e arriviamo alla chiesa dei cristiani scientisti (è una confessione nata a Boston e i suoi seguaci credono che la fede sia più forte delle medicine) che è molto grande e ben tenuta e visitiamo lì accanto il Maparium. Quest’ultimo è un gigante mappamondo che si visita dall’interno: curiosa esperienza. Camminiamo fino al Museo of fine Arts, al Fesbury Park, che è lo stadio di baseball dei Red Sox, window shopping tra le vetrine di Newbury Street e camminata sul lungo fiume. Torniamo in albergo pronti a cambiare rotta: basta città!

16 agosto

All’aeroporto in metropolitana a ritirare la macchina. In realtà all’aeroporto una navetta gratuita ci porta all’agenzia che è più lontana e il servizio è impeccabile. Abbiamo noleggiato l’auto più economica, una Kia che non ci darà nessun problema. L’idea è di fare più costa possibile per cui ci muoveremo sulla Statale 1, molto panoramica, o sulla più veloce 95. Prima tappa Marblehead, bellissima e a solo mezz’ora dal noleggio auto. Faccio un po’ fatica a capire qual è il centro e finiamo per errore al “neck” dove ci sono bellissimi punti per un pic nic con una vista spettacolare. Dopo una breve pausa ci dirigiamo a Gloucester, villaggio di pescatori e scena del film “La tempesta perfetta”. Anche qui c’è una forte presenza italiana, probabilmente di origine siciliana, con tanto di festa di san Pietro, patrono dei pescatori: di conseguenza ottimi dolci e caffè. Facciamo un tour su una barchetta, è un tour “hop-off” dove ci spiegano la crisi dell’industria della pesca e approdiamo nella zona dei pittori, piena di studi, gallerie e belle casette. Due signore di una certa età hanno tele e cavalletti e stanno dipingendo. Una di loro mi chiede dove ho comprato i miei sandali (che sono bassi e comodissimi) e quando rispondo “In Italia”, mi dice che l’anno prima ha fatto hiking attorno ai laghi di Como e Maggiore: ha almeno novant’anni! Ci gustiamo un ottimo gelato al “Kiss on the neck” (intraducibile gioco di parole) dove Raffaella Carrà alla radio canta il tuca tuca. E ora è tempo di spiaggia. Ci fermiamo a Wingaersheek Beach (20 dollari di parcheggio!), molto bella ma piena di bambini dei summer camps. Grosso sbaglio: non avere cibo con noi e dover mangiare il junk food del bar. Visto il prezzo del parcheggio ci fermiamo per qualche ora. Ci spostiamo poi a Rockport, molto bella e piena di turisti. Qui cominciamo a vedere le povere aragoste. Io non riesco a mangiarne una intera, mi fa impressione anche se mi piace ma gli americani hanno ovviato al problema inventato il lobster roll, che è un panino aperto con l’aragosta a pezzi. Ci hanno detto che quest’anno c’è stata una sovraproduzione: di solito in una gabbia ne catturavano due o tre, quest’anno anche cinque o sei per cui i prezzi sono molto convenienti per i consumatori. A Rockport c’è una bellissima sala concerti che ha una parete immensa di vetro che dà sull’oceano. Avremmo dovuto prenotare un concerto in anticipo. Proseguiamo il nostro itinerario, vorremmo cenare ad Ipswich ma scopriamo che non c’è molto e avremmo potuto evitarla. Andiamo sulla 95 e pernottiamo in un motel della catena Anchorage Inn sulla strada. Un consiglio: non accettate mai il prezzo che vi propone un motel, di solito sono disponibili a trattare perchè la concorrenza è molto grande. Ceniamo in un diner lì vicino e, siccome la ragazza ai tavoli ci dice che sta studiando ostetricia, siamo in vena di alzare la solita quota per la mancia.

17 agosto

Partenza per Portsmouth, attraversando la costa del New Hampshire, carina con un bellissimo negozio di cd usati ma che in venti minuti si è finita di visitare. Eccoci nel Maine. Arriviamo nella nostra seconda spiaggia: Ogunquit. Questa volta il parcheggio è 25 dollari e siamo l’ultima auto accettata perchè è strapieno. Passato il sentierino che arriva sulla spiaggia ci pentiamo subito: nemmeno la Liguria di domenica è così affollata. Scopriamo però che basta camminare cinque minuti per arrivare in zone quasi isolate e tranquillissime. Il pomeriggio, poi, la bassa marea raddoppia l’area della spiaggia. C’è anche la possibilità di camminare su un sentiero tra le dune molto bello. Ci stupisce sentire tante persone parlare francese, scopriamo che sono i canadesi del Quebec. Rispetto alla California, sulla East Coast la vita da spiaggia è simile a quella europea: si arriva alla mattina e si va via quando è ora di cena. Riprendiamo l’auto e andiamo a Kennebunkport, molto carina, coi soliti negozi di souvenir. Ci prendiamo una limonata fresca ad un banchetto (ho sempre voluto farlo da quando leggevo Linus!) e non restiamo più di un’oretta. Dormiamo in un motel a piccoli cottage a Brookside sulla strada per Old Orchard Beach, che paghiamo 65 dollari. Molto economico per la zona. Andiamo a cena a Portland su un molo in uno dei baracchini di legno che vende il lobster roll con tanto di musica dal vivo. Purtroppo si abbatte una lunga pioggia torrenziale (per fortuna siamo sotto un tendone) e dobbiamo rinunciare a visitare la città.

18 agosto

Continua a piovere e decidiamo di andare fuori programma a Freeport, una vera città outlet, Passiamo per Brunswick, ma non ci fermiamo a causa del tempo. Esce il sole e facciamo tappa a Popham Beach che è splendida: si può camminare per ore sulla sabbia. Non si paga il parcheggio ma 6 dollari a testa al ranger. Non c’è né bar né cibo. Arriviamo a Boothbay Harbour dove decidiamo di fermarci in un bed and breakfast. Le case del Maine sono splendide (stile Jessica Fletcher) e dobbiamo proprio entrare in una di queste. Scegliamo quella di una nonnina (Nana’s Place) molto affabile e ospitale. Il paese è splendido e ceniamo di nuovo a base di aragosta in un ristorante su un vecchio molo che ha la vasca all’esterno con i poveri animali! Credo che il paese sia in crisi turistica: le magliette col nome del luogo che abbiamo trovato dappertutto a 25 dollari, qui costano solo 5.

19 agosto

Colazione nel bed and breakfast. E’ un problema: primo perchè è alle 9.30 mentre noi saremmo andati volentieri via anche prima, secondo perchè è immangiabile. Prima la vecchietta ci serve una macedonia passabile con una mousse di yogurt e poi tira fuori dal forno una pirofila a forma di barca con una cosa dolcissima e bollente a base di mirtilli bolliti e caldi! Riesco a mandar giù solo qualche cucchiaio, io che mangio tutto e sono stata educata a non lasciare mai niente. Mi dispiace soprattutto per lei che era davvero orgogliosa di quel piatto. Troviamo mille scuse (è lì che ci guarda, non possiamo nasconderlo dentro una pianta!) e decidiamo di non andare più in un bed and breakfast. E’ domenica e vado a messa a Boothbay. Il prete invita tutti i bambini all’una a festeggiare il nuovo anno scolastico che comincia domani. A chi si presenta verranno regalati penne e quaderni e tagliati i capelli gratis! Noi però non ci fermiamo. Andiamo a Pemaquid Beach, bellissima insenatura. Notiamo che i gabbiani assaltano zaini e borse, portando via anche i panini chiusi nel cellophane pur non riuscendo ad aprirli. Io sono seduta tranquilla con un bagel in mano e mi sento colpire di lato. Penso già alla palla di un bambino ed invece è un gabbiano che mi ruba il pane e scappa via. Era tutto il mio pranzo. Unica consolazione: non me ne sono accorta, per cui non ho fatto in tempo a spaventarmi. Andiamo ad ammirare il faro di Pemaquid Point, molto bello. I fari nella zona sono molti ma bisogna andare proprio a cercarli. Ci immettiamo sulla 1 e facciamo un bellissimo viaggio panoramico fino a Bar Harbor. Ci fermiamo in un motel fuori dal paese: costano almeno la metà! Ci sono tantissimi turisti e ceniamo in un pub: basta aragoste!

20 agosto

Visita all’Acadia National Park. Compriamo il pass nella piazza (Green) del paese e decidiamo di girarlo in macchina fermandoci il più possibile. Il pass dura una settimana e sarebbe bello fermarsi di più, facendo anche i sentieri a piedi ma le cose che vorrei ancora vedere sono molte. Ci sono bellissime scogliere, spiaggette, laghetti e favolosi panorami (es. dalla cima del monte Cadillac). C’è un unico posto ristoro ma è preso d’assalto: meglio portarsi il cibo da fuori. Siamo pronti a tornare a sud e percorreremo il tragitto più lungo in macchina prendendo la 95 fino a Boston. Facciamo una pausa pranzo in un supermercato della catena Hannaford (simile ai Wholefood, dove si può trovare tutto già pronto, caldo o freddo) e dormiremo in un Motel 6 a sud di Boston, a Braintree. Lì ceniamo molto tardi con 3 dollari in una pizzeria d’asporto e prendiamo una birra con bruschetta in un pub.

21 agosto

Arriviamo a Plymouth e facciamo colazione in un vero panificio sulla via principale. La cittadina è molto bella. Visita al vecchio cimitero, dove sono sepolti i primi abitanti non autoctoni degli Stati Uniti, alla “rock” dove approdarono i Padri Pellegrini, alla Mayflower, ricostruzione fedele della nave e che ha davvero attraversato l’oceano, e alla Plantation. Quest’ultima è stata davvero una bella esperienza: è la ricostruzione del primo villaggio dei coloni con tanto di comparse/attori che rispondono a domande e mostrano i disagi e le difficoltà dell’epoca. Riprendiamo l’auto e ci spostiamo a Sandwich, paesino carino con le ormai abituali splendide case e chiese di legno. Non ha un vero centro, per cui non è evidente dove si possa camminare, ma ha un bel mulino e due o tre negozietti da guardare. La spiaggia è di ciotoli, come quelli dei fiumi e la prima mezz’ora veniamo punti in continuazione dalle mosche, che all’improvviso smettono. Troviamo un bel motel accogliente (Country Acres Motel) e ceniamo in un pub nella zona commerciale. Decidiamo di fermarci due notti perchè è un ottimo punto di partenza per visitare Cape Cod.

22 agosto

Partenza per Provincetown dove la sfida è trovare parcheggio. La città è molto turistica ma bisogna vederla. I negozi sono tantissimi e per tutti i gusti. Facciamo una camminata sul molo dove partono e tornano le escursioni di pesca e i pescatori provetti si fanno immortalare con le loro prede. Mangiamo in un piccolo molo coperto, dove ci sono tavolini e sedie a disposizione di chi compra nei piccoli take away. Ripartiamo e ci fermiamo al faro di Highland Beach e passiamo il pomeriggio alla Marconi Beach, dedicata al nostro eroe nazionale del segnale radio, molto naturale con delle dune gigantesche; purtroppo l’alta marea nel pomeriggio la riduce di molto. Le spiagge tra cui scegliere sono davvero tante e belle, ci sarebbe piaciuto avere più giorni a disposizione. Guardando Cape Cod con occhi profani, si riceve l’impressione che sia molto provvisorio e destinato a scomparire a causa dell’erosione di acqua e vento. Finiamo la giornata alla Sandy Neck Beach di Sandwich (dopo una certa ora il parcheggio è gratuito) e ceniamo in una pizzeria d’asporto.

23 agosto

Lasciamo la zona e partiamo per Rhode Island. La prima fermata è Newport con la sua aria decadente. Per arrivarci attraversiamo due splendidi ponti sull’oceano che passano per Jamestown. Ci sono splendide ville dei ricchi del passato, vale una breve sosta. Ci fermiamo a Rhode Island Beach e a Narragansett, dove c’è la possibilità di traghettare per Block Island, ma non lo facciamo. Ceniamo con vista sul tramonto in un semplice ma ben organizzato take away di pesce. Ci fermiamo al faro di Judith Point dove assistiamo alla cerimonia dell’ammainabandiera, commovente per la sua semplicità. Nella spiaggetta di ciotoli lì davanti la gente costruisce sculture provvisorie con pile di sassi, lo facciamo anche noi. Troviamo da dormire in un motel a Scarborough Beach. Non è economico ma i prezzi in giro sono il doppio, infatti troviamo l’ultima camera. Impressioni del Rhode Island: le strade sono tenute male, la gente è più rozza, meno educata e meno disponibile e gli standard in generale sono più bassi di quelli a cui eravamo abituati.

24 agosto

Direzione Stockbridge passando per il Berkshire. La zona è molto bella e ricorda un po’ in nord Europa, i paesi sono piccoli ma molto accoglienti e si respira l’atmosfera di gente colta in pensione o in ritiro meditativo. Visitiamo lo splendido museo dedicato a Norman Rockwell, Stockbridge e Lennox. Trovare da dormire non è facile, ci sono posti bellissimi ma cari. Optiamo per un motel sulla 7. Nel supermercato vicino compriamo il necessario per il picnic serale e ci chiedono la carta d’identità per acquistare il vino. La sera infatti siamo a Tanglewood che è una delle esperienze più sorprendenti della vacanza. E’ la sede dei concerti estivi della Boston Simphony Orchestra. Ci sono due sale abbastanza grandi all’interno di un vero e proprio bosco, una è un enorme auditorium e l’altra è tutta di legno, che hanno la possibilità di ascolto anche all’aperto, pagando un biglietto ridotto. Noi compriamo i biglietti per il concerto serale (posti in piedi) che dà la facoltà di assistere anche a quello pomeridiano. Il prezzo è davvero economico. Nell’attesa di entrare ci divertiamo ad osservare gli spettatori: interi reparti geriatrici trasportano sedie a sdraio, coperte e tavoli da picnic, ceste con ogni ben di dio, lampade, candele, bottiglie, calici di cristallo… Tutti scelgono un posto nel prato e occupano una zona. Anche noi sdraiamo gli asciugamani e ci prepariamo all’evento. Ci rendiamo conto però che ci si può sedere gratuitamente sull’ultima fila di panche e ne occupiamo una (ottima scelta perchè dall’erba al tramonto comincerà a salire un’umidità incredibile). I due concerti sono davvero notevoli. Una simpaticissima orchestra da camera nel pomeriggio con vocazione agli spettacoli comici e alla sera Gershwin con tanto di video in cui Gene Kelly balla “Un americano a Parigi”. Lo spettacolo più grande sono però il pubblico: turisti europei, canadesi e soprtatutto gli americani che offrono il meglio di sé mentre mangiano il loro sontuoso picnic a cui il concerto fa da colonna sonora.

25 agosto

Siamo agli sgoccioli e ci riavviciniamo a Boston. Visitiamo i luoghi dell’indipendenza americana. Fermata a Concord, dove c’è un bellissimo parco con guide in costume dell’epoca che raccontano della battaglia. Ci sono donne in crinolina occupate a bere il tè, ribelli americani pronti ad attaccare e soldati inglesi decisi a difendere i loro territori. I monumenti non sono solo in onore degli eroi nazionali ma anche dei soldati inglesi morti in battaglia. Ci spostiamo a Lexington dove abitò Mary Louise Alcott (la sua casa è un museo) e le sue piccole donne. L’impressione è proprio quella di essere tornati indietro nel tempo, le architetture sono ancora quelle originali dell’epoca. Problema dell’ultima notte: vogliamo essere nella zona di Marblehead, sia perchè non molto lontana da dove dobbiamo lasciare l’auto, sia perchè vogliamo essere vicini all’oceano l’ultimo giorno. Trovare una camera richiederà parecchio tempo: è sabato ed è tutto strapieno. Quella che troviamo infine è molto cara.

26 agosto

Ci fermiamo a Lynn dove facciamo un’ottima colazione alla panetteria ebraica Newman, sul lungo mare e io vado a messa nella chiesa lì vicino. Il lungo oceano è splendido per l’ultima camminata sul suolo americano e la vista di Boston è molto bella. Le case affacciate sul mare sono bellissime, una è anche in vendita e la tentazione è alta. Mangiamo in un take away che ha dei tavolini all’aperto, ci godiamo il sole e la grandissima spiaggia. Infine l’addio, il volo da Boston con l’Aer Lingus senza nessun problema. Inutile dire che la nostalgia che ci accompagna per lungo tempo è molto forte. Una promessa: ci ritorneremo, magari facendo solo Boston e la costa più immediata ma ci ritorneremo.



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