La prima volta negli Usa

Un breve viaggio in alcune delle maggiori città dell'East coast, visitando anche luoghi simbolo della cultura e dell'identità americana
Scritto da: giranneschi77
la prima volta negli usa
Partenza il: 01/05/2012
Ritorno il: 13/05/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Ed eccoci di ritorno dal nostro primo viaggio negli Stati Uniti. E’ stata tutto sommato una bella esperienza, malgrado le esasperanti quanto, temo, inutili procedure di sicurezza cui bisogna sottostare dopo il 2001 non solo negli aeroporti ma praticamente in ogni edificio pubblico: ormai fanno togliere e controllano anche le scarpe, il che in alcuni casi vuol dire davvero scatenare armi di distruzione di massa! Siamo stati sottoposti anche al famigerato e quantomeno risibile questionario circa le nostre intenzioni all’ingresso negli USA: siete terroristi? Siete spacciatori? Volete sovvertire l’ordine costituito? ed altre amenità del genere…già me lo vedo Osama mettere la crocetta su “yes” ed in un impeto di improvvisa sincerità confessare anche di aver evaso le tasse e tradito le mogli già che c’è! Gli americani, o meglio gli statunitensi, sono proprio come uno se li immagina e li vede in Tv, molto espansivi e spesso vestiti in una maniera che definire casual è decisamente eufemistico, perennemente combattuti tra un eccesso salutistico che li porta a praticare jogging in gran numero, in ogni luogo e ad ogni ora, ed una perenne, insaziabile, vorace fame che gli fa consumare cibi iperproteici ed ipercalorici, serviti in porzioni elefantiache ed acquistabili praticamente ad ogni piè sospinto ed in ogni momento della giornata. Ovunque giganteschi supermercati il cui reparto alimentari ed affini rappresenta almeno il 90% dell’estensione ed aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7,chioschi e chioschetti di strada fitti come funghi in un bosco d’autunno (scusate il lirismo bucolico ,mi sto lasciando prendere la mano), negozietti che vendono di tutto,cibo caldo(o freddo) compreso, catene di fast food che hanno colonizzato ogni street ed ogni avenue, e ristoranti che servono esattamente lo stesso cibo dei fast food, solo che sul piatto ed in porzioni se possibile ancora più pantagrueliche, ma con lo stesso ritmo incalzante e ad un prezzo molto maggiore per via delle mance, intese in senso ben diverso dal nostro. Se poi si cerca di affrancarsi dalla cucina americana accostandosi a qualcosa di “etnico”, italiano per esempio, si dovrà sconsolatamente avere a che fare con piatti “ibridi”irreparabilmente americanizzati: questi occhi hanno visto cose che voi umani non potete neanche immaginare, discutibili maccheroni al formaggio (o sarebbe meglio dire formaggio con i maccheroni), sedicenti pizze “italian style” e improbabili lasagne “alla bolognesy”. Non voglio fare l’Alberto Sordi della situazione: credetemi, quando sono all’estero assaggio sempre tutto, mi piace molto provare la cucina locale perché ritengo che anche quello sia un modo per conoscere il paese che si sta visitando, ed in passato mi sono sempre trovato bene, ma questa volta è stata davvero dura e dopo 10 giorni i nostri fegati ormai asfittici nel colesterolo chiedevano pietà! Passando a cose decisamente più piacevoli, una grande emozione l’ho provata il giorno successivo al nostro arrivo a Boston, quando ci siamo imbarcati su un battello del “Boston Acquarium” ed abbiamo fatto un’escursione di “Whale watching”: non avevo mai visto le balene dal vivo e certo non speravo di vederle così da vicino come poi è successo! Lasciata la baia su cui si affaccia la città, disseminata di isolette e fari bianchi e rossi tipo quelli del New England di Edward Hopper siamo entrati nell’oceano aperto e subito gruppi di delfini si sono affiancati allo scafo e ci hanno scortato per lunghi tratti coi loro salti giocosi. Poi improvvisamente una nuvola di spruzzi all’orizzonte, e poi un’altra e un’altra ancora: ce n’erano tantissime! E ci siamo avvicinati tanto da sentirne il profondo respiro ed il loro arcano linguaggio fatto di sordi brontolii, e potevamo vederne le schiene gibbose inarcarsi per poi infrangere in un fragore di schizzi e schiuma le grandi code nell’acqua. E le abbiamo osservate emergere all’improvviso spalancando le enormi bocche per poi repentinamente serrarle sui malcapitati banchi di krill, ed eravamo tanto prossimi da poterne vedere e contare distintamente le escrescenze sui grandi musi scuri: il rumore delle onde e del vento, il maestoso spettacolo che mi si parava innanzi e l’orizzonte atlantico, libero in ogni direzione come libero in quel momento si sentiva il mio spirito m’hanno riportato alla mente lontane reminiscenze letterarie, dunque se volete “chiamatemi Ishmael”. Anche per il resto Boston è una città gradevole, quasi europea nell’aspetto e nella mentalità degli abitanti. In particolare la zona universitaria, dove si trova la mitica Harvard (ebbene si, ora posso anche dire di essere entrato ad Harvard… e di esserne uscito mezz’ora dopo! decisamente una carriera universitaria fulminea!). Non è in nulla dissimile da certi quartieri di Londra. E poi New York. Mai visto niente di più caotico,vitale e stimolante. Magari sarà per l’assuefazione cinematografico-televisiva che ci ha mostrato per anni praticamente ogni quartiere ed ogni angolo della città, ma mi sembrava quasi di conoscerla o di esserci già stato. E così a camminare per le sue strade , per le quali si incontra davvero la più varia umanità in un crogiuolo di accenti e razze che credo sia la reale quintessenza dell’America, si ha la strana sensazione di trovarsi sul set di un film o di qualche serie tv, senza contare che spesso è davvero così, nel senso che ci è capitato di assistere al lavoro di molte troupes che giravano o usavano i grattacieli come sfondo per i loro servizi fotografici. Abbiamo fatto il giro classico: Statua della Libertà, Metropolitan, Ellis Island, Empire State Building e via dicendo, e la sera ci concedevamo un pò di struscio tra la Broadway e Times Square, anche solo per guardarci intorno: come diceva Bukowski “Che spettacolo la gente… ed è pure gratis!” Le cascate del Niagara sono molto belle, soprattutto dal lato Canadese; peccato per l’insulsa e spropositata colata di cemento di mega-alberghi, ristoranti e casinò che gli hanno costruito tutt’attorno per accogliere e spennare il turismo di massa che ogni anno vi giunge copioso: dai canadesi soprattutto mi sarei aspettato una maggiore sensibilità e rispetto per la natura! Philadelfia è una bella città, ma è un po’ sfigata. Col fatto di essere estremamente vicina a New York non è molto considerata, soprattutto dai turisti stranieri che spesso non la includono nei loro tour e la saltano a piè pari. Peccato perché non è niente male e per gli americani è quasi un luogo di culto, al quale praticamente ogni buon patriota dovrebbe recarsi in visita almeno una volta nella vita. In quelli che loro orgogliosamente chiamano “i 2 km quadrati più storici d’America”(un parco nel centro della città vecchia con pochi edifici in mattoni rossi e marmo risalenti ai primi del 1700…vecchia?!!ok, mi sto comportando da europeo spocchioso, lo ammetto!) si sono svolti alcuni degli avvenimenti fondamentali per la loro storia: la firma della dichiarazione d’indipendenza, la stesura della costituzione, la creazione della prima bandiera dell’Unione e così via. La “Liberty Bell”, una vecchia campana in bronzo, per giunta crepata e dunque non più utilizzabile, è considerata un vero e proprio simbolo nazionale e venerata quale fosse la reliquia di un Santo, e le guide locali, le didascalie, il modo in cui tutto è misticamente posto e presentato incoraggiano questa sorta di feticismo collettivo. Si tratta di uno dei tanti modi in cui una nazione, tutto sommato molto giovane, prova a darsi dei miti di fondazione, una storia gloriosa con episodi dai connotati leggendari e personaggi quasi sovrumani per saggezza e rigore morale, degni per come son ritratti più d’un agiografia che d’un trattato storiografico: il tutto per avere una base comune da cui partire, delle radici, delle tradizioni, uno spirito unitario (il che è una bella sfida per un paese “fondato”sull’immigrazione). E’ comprensibile, immagino sia stato un passaggio obbligato nella formazione di ogni identità nazionale (in fondo, a ben pensarci Augusto e Virgilio con l’Eneide fecero la stessa cosa, no?), solo che la relativa vicinanza temporale degli eventi che si tenta di mitizzare rende questo processo di “beatificazione” un’ operazione un po’ troppo palese per risultare credibile. Nella stessa scia ma con toni ancor più pomposi, pretenziosi ed amplificati,si pone Washington: una serie di costruzioni imponenti e richiamanti nello stile e nel nitore dei marmi la classicità e credo negli intenti di architetti e committenti gli splendori della Roma imperiale. Il risultato a mio modo di vedere sono una serie di brutte copie un po’ fuori luogo e decisamente fuori contesto, atte a celebrare la grandezza e la potenza del paese, se volete una serie di “Vittoriani”in successione, pur se posti con un certo gusto scenografico (ma anche qui sicuramente il mio giudizio è influenzato da una lunga serie di preconcetti e dunque poco obiettivo). Beh, pur se per sommi capi direi che più o meno vi ho detto tutto, e questo resoconto di viaggio è venuto fin troppo lungo: spero di non avervi tediato troppo e se avete avuto il coraggio di arrivare fino in fondo, complimenti per la tenacia!


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