On the road da Miami a Los Angeles
Anche per la macchina riusciamo a trovare un’offerta on line con la compagnia National, pagando 1000 euro per 35 giorni di noleggio, a kilometraggio illimitato.
Destinazione finale: Los Angeles.
3-6 giugno.
I primi 3 giorni sono dedicati a Miami. Dopo l ‘inv(f)erno canadese è proprio quello che mi ci vuole, mi dico entusiasta al momento dell’atterraggio.
Mi accoglie una folata di aria umida e calda, che non ci abbandonerà fino alla nostra tappa successiva.
La stagione migliore per visitare la Florida è l’inverno. L’ho sempre letto ovunque, anche su questo sito, ma non credevo fosse così vincolante.
In estate le temperature raggiungono anche i 40 gradi percepiti e l’umidità rende tutto peggiore. In sostanza sembra di stare perennemente in una sauna.
A rendere il tutto più interessante, ogni locale o mezzo pubblico dispone di aria condizionata, ovviamente a temperature polari. Così conviene portarsi sempre una sciarpa, da mettere all’ingresso di ristoranti, autobus, ecc.
L’hotel ci costa sui 45 dollari a notte, che divisi a testa è accetabile. Anche la posizione non è male. Si trova a Miami Beach. Purtroppo proprio nella zona priva di locali, nella parte nord. Zona che si rivelerà provvidenziale due giorni dopo, quando un’acquazzone biblico allagherà le strade della parte sud. Mezzo metro d’acqua, tombini che straripano, negozi sommersi e traffico bloccato.
Il 4 guigno decidiamo di girare Miami centro. Il nostro malloppone di guida suggerisce Coral Gables e Coconut Grove. Entrambe si rivelano poi zone residenziali, su lunghi e larghi vialoni, privi di anima viva. Una volta vista qualche villa e una piscina comunale ricavata da una antica cava di corallo *_*, la battaglia contro il caldo si fa pesante. Finalmente troviamo una via commerciale e ci fiondiamo in un bar. Molto buono il té freddo alla mora, fatto in casa.
Il giorno successivo armate di rinnovata energia partiamo alla volta di Key West. Che sulla mappa sembra vicina, ma in realtà è a circa 4 ore a sud.
Le Isole Keys sono l’ambiente tropicale per eccellenza. La vegetazione è fitta e rigogliosa, le spiagge di sabbia bianca e l’acqua tiepida. Key West è più vicino a Cuba che a Miami in linea d’aria. L’atmosfera è davvero cubana: negozi di sigari, alcune auto d’epoca, pappagalli in libertà.
Parceggiamo gratuitamente vicino al cimitero e visitiamo da fuori la casa di Hemingway, e la Little White House, residenza di Truman.
Il tramonto lo vediamo dalla macchina, troppo stanche per restare più a lungo.
L’ultimo giorno a Miami è dedicato principalmente alla spiaggia e alla Ocean’s Drive a Miami Beach. É vero che il contrasto tra spiaggiona bianca e grattacieli non è il massimo, ma l’acqua è tiepida e limpida ed è di tutto conforto viste le temperature. Sarà l’ultimo bagno in mare della vacanza. Ancora non sappiamo che la California ci attenderà con climi molto meno caldi.
7-9 giugno Partenza per Orlando. 4 ore di auto attraverso piantagioni di arance, che ci fanno gola parecchio dato che trovare un supermercato con frutta e verdura è una missione impossibile. In tutta la vacanza riusciamo solo 3 volte a trovare supermercati degni del nome (al Grand Canyon, a santa Barbara e a Santa Monica). Il resto del tempo ci accontentiamo del negozio del benzinaio. Dove oltre a patatine e snack si può trovare al massimo una mela o una banana. Stessi frutti riproposti poi nelle colazioni dei motel, quando incluse.
A Orlando siamo ancora in hotel, però, un hotel con piscina, stanze grandi e a metà strada dal centro città e dalle attrazioni. Il centro ci stupisce per la pulizia l’aria fresca, il verde. Un vero gioiellino di città.
Il secondo giorno a Orlando andiamo al Sea World. Abbiamo prenotato e strapagato il programma di interazione coi beluga, dei simpatici balenotteri. Ci viene fatto notare che l’ingresso non è compreso, così come il parcheggio. Sganciamo ancora una novantina di dollari, con rassegnazione. Il parco è bello, ma non ai livelli di DisneyWorld. Fortunatamente ancora non lo sappiamo e quindi possiamo goderci con una certa meraviglia gli spettacoli di delfini e pappagalli, (quello dell’orca invece è un’overdose di buonismo gratuito) e tutti gli animali presenti nel parco tra cui i fenicotteri rosa. Il parco offre poi molti negozietti e bar, e alcune attrazioni da luna park. Al momento di incontrare i beluga ci sentiamo emozionate. L’emozione scema dopo la ventina di minuti necessari a incumearmi nella muta taglia S, e al contatto con l’acqua gelida dove nuotano i suddetti cetacei. Sono creature intelligenti e simpaticissime, amano molto interagire con gli addestratori. Ci vengono insegnati alcuni comandi e ci è data la possibilità di toccarli e lanciare pesci nelle loro fauci fameliche. Non potendo portare la macchina fotografica con noi, andiamo a ritirare le foto al banco. Per tre foto ci chiedono 25 dollari.
Il giorno seguente andiamo a DisneyWorld. Ci accoglie un’atmosfera festante e varie ambientazioni che per quanto artificiali, mi fanno restare a bocca aperta. Facciamo tutto: i vari roallercoaster, le barche, zattere, battelli a vapore e anche un paio di spettacoli.
Ovviamente, mappa alla mano, organizziamo il giro con precisione chirurgica, partendo dal lato opposto rispetto alla folla che come noi è entrata all’apertura. La sera guardiamo affascinate la parata di carri luminosi e i fuochi d’artificio, riuscendo a raggiungere la macchina prima dell’esodo di chiusura. Coi parcheggi comincerà un rapposto ansioso, dato che il più delle volte non troviamo subito l’auto e pensiamo a tutte le opzioni più catastrofiche. La macchina è dove l’abbiamo lasciata, ci ricordassimo dove.
L’auto è una utilitaria di piccole dimensiani, ma ben tenuta, non ci creerà mai problemi.
Di solito a bordo strada notiamo la gran quantità di copertoni lacerati, pezzi di pneaumatico. Un tantino inquietante. Ci chiediamo come accada che le gomme delle auto si rompano con una frequenza così alta. Probabilmente sono i divisori spunzonanti tra le varie carreggiate a danneggiarli così a lungo termine.
10 giugno Costeggiamo montagne di pneumatici e ci dirigiamo verso l’Alabama. Poco dopo mobile ci fermiamo in una zona di benzinai e fast food. Questa sarà una delle tappe più tristi, Ci fermiamo in un Motel 6, catena che costituirà quando possibile la nostra scelta, poichè è tra i più economici. La piscina c’è sempre, ma internet è sempre a pagamento. La colazione inclusa, consiste in una tazza di caffé “slavazza”. Però le stanze son grandi, pulite, con bagno e tv.
Diventiamo subito dipendenti di un canale televisivo dove trasmettono programmi su famiglie di diciotto figli, coppie di nani, bambine a concorsi di reginette e quant’altro ha da offrire questa america variegata, quasi da baraccone.
11 giugno There is a house in New Orleans…, cantiamo entrando in Louisiana. In ostello hanno la stanza (privata) solo per una notte, al che lo interpretiamo come segno del destino e rimandiamo la scelta se restare ancora al giorno dopo. In realtà un pomeriggio e una sera, bastano e avanzano per vedere il quartiere intorno a Bourbon Street. Una zona principalmente di locali che vendono un beverone alcolico che proprio non ci sentiamo di provare con questo caldo. Chiediamo due granite ad un’attonita barista.
Le case hanno uno stile tutto particolare a New Orleans, con balconi in stile liberty e piante rampicanti. La città però emana un cattivo odore di immondizia, credo per il caldo e l’umidità, e pullula di turisti ubriachi. Dopo una cena a base di gumbo, una non meglio identificata zuppa nerastra tipica creola, ci fermiamo un po’ ad ascoltare jazz in un dehors e poi con uno slalom tra turisti ancora più ubriachi e collanine che piovono dai balconi torniamo in ostello. Che tra parentesi è molto caratteristico con i suoi mureles colorati e lo stile un po’ fricchettone.
Il mattino dopo decidiamo di spostarci.
12 giugno Spostarci non di troppo in effetti. Giusto fino a Baton Rouge, che a occhio e croce ci sembra l’unica tappa fattibile prima del Texas ancora lontano. Strada facendo deviamo verso una piantagione. Resta solo la villa dei proprietari, in stile coloniale circondata da un giardino rigoglioso. Baton Rouge è quasi una città fantasma. Sarà che è sabato, ma tutta la zona del centro città è vuota. I bar son chiusi. Fotografiamo qualche monumento, facciamo un giro nel quartiere spagnolo (vuoto) e nel parco (vuoto) lungo il fiume. Poi torniamo in motel.
13 giugno Dopo qualche centinaio di miglia e alcuni armadillos morti a bordo strada ci lasciamo finalmente alle spalle la bayou della Louisiana. Il pranzo (allligatore fritto e pomodori verdi fritti) è rimasto a bordo strada nella cittadina di Natchitoches (peraltro gradevole e ben tenuta). Si vede che non gli andava di passare il confine col Texas nel mio stomaco.
Ci fermiamo a Marshall, appena dopo il confine. Non saprei dire cosa c’è a Marshall. A parte benzinai, fast food e motel. Inizia a sorgerci il dubbio che gli Stati Uniti centrali siano tutti così.
14 guigno Finalmente le nostre paure sono smentite a Dallas. Lì c’è qualcosa da vedere: strade, negozi, gente, grattacieli. Ci prende un’apatia molesta che ci costringe a farmarci a “sedersi un po'” ogni mezz’ora.
La città, vista delle sue pachine è molto bella. Fontane spettacolari e bei riflessi nei grattacieli.
Il pranzo messicano, primo di una lunga serie ci dà il colpo di grazia e con un burrito nello stomaco, ripieghiamo in motel prima del tempo. Anche tutte le miglia macinate in questi giorni cominciano a farsi sentire.
15 giugno Giornata on the road. Tappa a Whichita Falls, dove le cascate artificiali ci appaiono più finte di Disneyworld e le vie deserte con negozi chiusi andati in rovina ci fanno scappare a gambe levate. Proseguiamo fino a Vernon, dove almeno c’è qualche motel. Anche qui le strade son vuote e i negozi chiusi per fallimento. Troviamo però un buon ristorante dove gustiamo un succoso hamburger di angus. Un bagno in piscina ci ristora dalle fatiche del viaggio.
16 giugno A Amarillo la disperazione raggiunge l’apice. Era segnata come città piuttosto grossa, almeno a giudicare dal pallino sulla mappa (tralaltro viaggiamo prive di navigatore e il nostro unico ausilio è appunto il mio stradario comprato al Wal Mart per 10 dollari). In effetti non è piccola come città. Ma è vuota e indovinate un po’? I negozi sono chiusi per cessata attività ecc ecc… La via che sorge dove passava l’antica Route 66 è l’unico punto un po’ sensato della città. Ci fermiamo ad acquistare qualche souvenir.
17 giugno New Mexico. Terra rossa, collinette a forma di budino.. Stiamo addentrandoci nel west! Tempo qualche ora e siamo ad Albuquerque. Mi muovo circospetta tra le villette del Sandia Peak, la collina che sovrasta la città, avendo letto che potrebbero esserci scorpioni o ragni in libertà. Inutilmente cerchiamo un punto panoramico dal quale fotografare Albuquerque dall’alto. Scendiamo a visitare il centro storico molto suggestivo, in stile messicano: le case dalle forme arrotondate mi ricordano quelle dei Flinstones e ci sono un’infinità di negozietti e ristoranti. Aperti.
18-19 giugno Tempo di spostarsi in Arizona. Anche qui i paesaggi son secchi. Per le prime due ore fotografiamo entusiasmate ogni montagnola di terra e ogni sterpaglia (scopriamo poi che sono i tipici cespugli che rotolano, quando sono secchi). Dopo ore di macchina però cominciamo ad annoiarci. Facciamo tappa allora, ad una parco nazionale : Petrified Forest. La decisione è improvvisa ma non ci delude. Olretutto ci permette di usare al meglio la tessera pagata 80 $, che dura un anno e offre l’ingresso in ogni parco nazionale. Il nostro primo contatto con rocce scavate dalle intempreie e canyon ci lascia a bocca aperta. Per pranzo ho ancora un rimasuglio messicano a base di fagioli nella mia doggy bag (non vergognatvi mai a chiederla). Mi sento proprio come Bud Spencer, mentre lo mangio circondata da rapaci famelici. Il pezzo forte del parco sono dei fossili di albero, ormai diventati pietra. All’uscita scopriamo che li vendono anche.
Torniamo in auto: Flagstaff non è lontana. Il paesaggio cambia improvvisamente e quasi mi sento di nuovo in Canada. Strade sinuose circondate da foreste e anche la temperatura è più fresca.
Flagstaff è una cittadina vivace, piena di gente e di vita notturna. É un po’ una tappa obbligata per chi va al Canyon. L’atmosfera è molto peace and love.
Il giorno dopo si va al Grand Canyon. Con noi vengono due ragazze conosciute in ostello, viaggiatrici solitarie. Non possiamo trattenerci dal mettere la nostra colonna sonora stile Ennio Morricone e l’immancabile Thelma e Louise. Ma solo una volta dentro il parco, perchè prima è tutto foreste di conifere. Il parco si può girare in parte con la navetta gratuita, in parte in macchina. La visita ci porta via tutta la giornata. É un altro pianeta, quasi il suolo di Marte. Bello anche il Colorado River, che guizza sinuoso tra le rocce.
Ci accontentiamo di vedere tutto dall’alto, avvolto in una patina pastello quasi come fosse un pannello dipinto. C’è chi scende a fare escursioni, ma durano almeno due giorni, perché sui cartelli c’è scritto che a farlo tutto di fila si può morire.
20-21 giugno Faccio il mio ingresso trionfale nell’hotel di lusso di Las Vegas con il mio triste sacchettino del supermercato tutto a un dollaro. Avendolo prenotato su un sito di ostelli e pagandolo meno di quaranta dollari a notte, certo non mi aspettavo la hall marmorizzata e i valletti fuori che parcheggiano le auto. Una volta appurato che ho davvero una prenotazione in questo hotel, ne approfittiamo per un tuffo in piscina, molto più lussuosa di quelle a cui ci siamo abituate. C’è anche la Jacuzzi.
Il fatto che gli hotel costino pochissimo a Las Vegas, ci è subito chiao quanto vediamo quanti soldi butti via la gente in tutte quelle macchinette infernali.
Scordatevi le slot machines. Saranno caratteristiche, ma si perde di sicuro perchè pur vincendo 20 centesimi di tanto in quanto, ci si spendono dollari.
Per la prima sera, comunque, non ci avviciniamo neanche al gioco, ci accontentiamo solo di fotografare i casinò più strani, una volta passati sulla Strip, che malauguratamente si trova dall’altro lato dell’autostrada rispetto all’hotel. La mancanza di un percorso pedonale ci costringe a prendere un taxi al ritorno. Pur appunto trovandoci a 10 minuti a piedi di distanza.
Las Vegas è un delirio di scale mobili. Per attraversare la strada si prende la scala mobile. Solo che si passa un tratto dentro a un casinò e ci si perde dentro. Così su due giorni di permanenza riusciamo sempre a perderci gli spettacoli d’acqua del Bellagio, dato che siamo sempre sui marciapiedi opposti quando cominciano.
A Las Vegas tutto è sulla Strip. Visto quello hai visto tutto. Però ci si trova davvero di tutto: in una ventina di minuti passiamo da Venezia a Roma, a Parigi, a New York.
Il giorno successivo ci si sveglia presto per arrivare alla Death Valley in tempo utile, prima che si cuocia. Lungo la strada notiamo alcuni Joshua Tree nel deserto bianco tipico del Nevada. Tralaltro al confine con l’Arizona era molto interessante la diga blu turchese che dava un senso di pace, quasi un’oasi. Oggi niente. Solo caldo e secco e polvere.
In realtà pur arrivando alle 10 e restando fino a dopo mezzogiorno, non abbiamo affatto caldo alla Death Valley. Nessuno ci controlla neanche la tessera di ingresso. Veloci faciamo tappa a tutti i punti panoramici. Il migliore è il Bad Water Basin, dove c’è un’enorme spiana di sale.
Non restiamo a lungo però.
In serata siamo pronte e scattanti a Las Vegas, per un ultimo giro e per giocare alla roulette. Compro una fiche e riesco a vincere una bella somma.
22-23 giugno Scolliniamo dal Nevada alla California. Il livello di benzina è pericolosamente basso. Inchiodo davanti al primo distributore nel raggio di chilometri, di quelli classici con una pompa sola e il nulla attorno.
In California ci fermiamo a Mammoth Lakes. Per chi volesse visitare lo Yosemite consiglio assolutamente questo lato del parco, per fermarsi la notte. Il giorno dopo infatti faticheremo parecchio a trovare una sistemazione a Mariposa.
Anche entrare dal lato ovest ha i suoi vantaggi: c’è molta meno coda e si passa da un lato di parco che altrimenti non si vedrebbe. Qui c’è addirittura neve sulle montagne. E il giorno prima eravamo nel deserto. Laghi a specchio, boschi, ruscelli. Lasciamo la macchina nei pressi del parcheggio centrale (già pieno) e con la navetta ci fermiamo ancora ad ammirare cascate arcobaleno e prati di un verde mai visto.
C’è anche gente che fa il bagno in un laghetto gelido. Usciamo dal lato sud, dove nel Mariposa Grove si trova un bosco di sequoie giganti. La serata si fa nefasta quando stanche e debilitate accettiamo una stanza a cifre spropositate, essendo l’unica libera in tutto il villaggio di Mariposa. Il computer rotto chiude in bellezza la giornata.
24 giugno Berkeley non fosse per la nebbia bigia e il mio computer da portare ad aggiustare prendendo una multa per il parcheggio non pagato, sarebbe anche carina. Come Campus però non è il massimo, paragonato alla UCLA o a quelli Bostoniani. Una zona ricca di studenti, soprattutto asiatici, che mi danno fiducia di poter resuscitare il mio computer. Finirò poi per spendere i soldi di Las Vegas in un nuovo computer.
Finalmente ci possiamo schiodare da Berkeley. Speriamo a San Francisco di trovare più sole.
25-27 giugno A San Francisco il sole non esiste proprio, o quasi. Cerchiamo invano di fotografare il Golden Gate Bridge, che in teoria sarebbe visibile dal nostro ostello, non fosse avvolto dalla nebbia quelle 20 ore al giorno.
La prima sera non ci spostiamo troppo. Visitiamo Ghirardelli Square (le nostre finanze ci permettono giusto una pallina di gelato) e poi il Fisherman’s Wharf, con i classici leoni marini sulle banchine. Chiaramente l’acqua è gelida. Un po’ come la brezza che non ci dà tregua e ci spinge a entrare in ogni negozio di souvenir solo per trovare un po’ di caldo. Ben diversa dalla situazione in Florida. Ceniamo a base di chowder, zuppa servita in un tozzo di pane scavato.
Il giorno dopo in una giornata riusciamo a vedere: Lombard Street ovvero la strada che scende a curve dalla collina; Little Italy, dove bevo un vero cappuccino; Chinatown dove vediamo un vecchio fare Tai Chi, cosa che mi trasmette molta calma; il centro finanziario con il parco Yerba Buena. In serata andiamo A Japan Town, poi collassiamo in ostello, dove tento inutilmente di fare un collage delle foto del Golden Gate, per ricostruirne una versione visibile.
Il giorno dopo decidiamo di spostarci in tram. Prendiamo quelli moderni, perchè quelli storici costano il doppio e son pieni di turisti. Cosa che saremmo anche noi, in effetti. Ma dopo tre settimane di strada ci sentiamo molto esperte e vissute. Una foto alle casette vittoriane e poi in centro dove troviamo il gay pride. Una parata abbastanza interessante, ma sotto il sole cocente (sì, perchè il sole è finalemnte spuntato, ma quando saremo davanti al ponte ovviamente ci sarà la solita nebbia).
In serata visitiamo Castro, il quartiere gay, ancora in festa per la parata della giornata.
28 giugno Scendiamo a Monterey. Ci sono molti surfisti e ancora dei leoni marini, ma almeno fa più caldo e possiamo stare in spiaggia. La cittadina non è male. Alcune scogliere fiorite sembrano molto irlandesi. Di certo la California me la aspettavo diversa.
29 giugno La strada verso Santa Barbara è interminabile e continuiamo a trovare nebbia. Siamo indigante. É questa la california da surfisti?
A Santa Barbara strapaghiamo un motel sulla spiaggia e non resistiamo neanche mezz’ora in riva al mare, con le folate di vento polare.
Passeggiamo per la via centrale della città e ci fermiamo in un grazioso dehors di un ristorante…messicano. Faccio voto di non mangiare messicano per il resto della vacanza.
30 giugno-9 luglio Los Angeles. Una settimana basta giusta per vedere un po’ i dintorni. Dopo un primo giro nel quartiere, nientemeno che Hollywood, la città ci piace già. Il cimitero delle star è molto ben tenuto, con cigni e pavoni e prati che paiono campi da golf. La collina occhieggia dall’alto, tra le palme dei viali. La Walk of Fame potrebbe essere più curata. Spesso il marciapiede è incrostato di sporcizia. Almeno il nostro ostello che costa 20 dollari a notte, è bello, pulito e in piena Hollywood. Normalmente non amo gli ostelli, ma questo lo consiglio davvero.
Il secondo giorno visitiamo Venice Beach, prendendoci anche il giusto tempo da passare sulla spiaggia. Questa zona è in effetti piena di gente un po’ strana e accattoni (vediamo persino un tizio con il metal detector in cerca di monete), ma il lungomare è caratteristico. La marina del Rey merita anche una visita. I canali, che hanno dato il nome di Venice al quartiere, sono tranquilli, ordinati e puliti, così come le villette ai bordi. Sembra impossibile che qualche metro più in là ci sia la sporcizia di Venice Beach.
Per quanto ci siano un’infinità di tour organizzati davanti alle case delle star, noi organizziamo personalmente il nostro giro. Armate di cartine poco dettagliate e istruzioni prese da google maps, ci avventuriamo per le colline di Hollywood e Bel air. Purtroppo a parte un cancello, il più delle volte pieno e senza inferriate, non riusciamo a vedere molto, ma ci sentiamo ugualmente soddisfatte del nostro giro tra le stelle. Una passeggiata sulla Rodeo Drive a Beverly Hills e un giro alla UCLA (piena di scoiattoli) chiudono in bellezza la giornata.
Il giorno seguente ci spingiamo fino a Redondo Beach, dove sono state girate la maggior parte delle scene di The OC. Purtroppo il cielo è un po’ nuvoloso, ma riusciamo ugualmente a goderci un po’ di spiaggia e a fotografare forsennatamente i moli.
Decidiamo di passare il 4 luglio a Santa Monica, per evitare un po’ le parate della festa nazionale e la folla. In effetti a Santa Monica non troviamo quasi nessuno, contando anche che purtroppo non ci sono fuochi d’artificio in programma nella serata. Ci sentiamo truffate. Riusciamo però a vedere quelli di Venice dal molo. Il molo di Santa Monica è un must, col suo luna park. Anche il tramonto sul mare è molto bello.
Una giornata a San Diego ci allontana un po’ dalla caotica Los Angeles. Ci fermiamo per prima cosa al Balboa Park, che ci sorprende per la bellezza degli edifici in stile coloniale e dei giardini curati.
Pranziamo a Little Italy (le lasagne più indigeste di tutta la mia vita) e proseguiamo verso il centro storico stile messicano, dove si trovano molti edifici da far west che ora sono musei gratuiti. Si possono trovare vecchie diligenze, uffici dello sceriffo e vecchie cascine dell’ottocento.
Il giorno dopo lo passiamo a Malibu, ma sarà che non c’è sole, il posto non ci entusiasma più di tanto. Visitiamo ancora qualche casa delle star, ma la maggior parte qui, sono su strade private inaccessibili. In spiaggia i bagnini in stile baywatch hanno il giaccone a vento. E siamo a luglio.
Dopo una settimana a Los Angeles non abbiamo ancora visitato il centro città. Rimediamo subito. Meritano di essere visti la chiesa Nostra Signora degli Angeli, da cui ha preso il nome la città, Chinatown e Little Tokyo. Ovviamente il centro per eccellenza è quello con i grattacieli. Meritevole la Walt Disney Hall.
L’ultimo giorno prima della partenza siamo in un certo senso sollevate, di poter tornare alla nostra vita quotidiana un po’ meno nomade. Ci accontentiamo di un ultimo giro in auto a vedere ancora qualche casa. Cerchiamo un accesso alla collina di Hollywood per fotografare la scritta da vicino, ma con gran disappunto non riusciamo ad avicinarci più di 500 metri perché pare essere ad accesso vietato. Ad ogni modo c’era la nebbia.
Il nostro viaggio finisce qui. Ma tante cose restano ancora da vedere. Speriamo che le nostre informazioni vi possano essere utili.