un mese negli states

Era il sogno di una vita e, dopo anni di fantasticherie, ho iniziato a navigare, leggere e documentarmi finché il viaggio impossibile ha cominciato a concretizzarsi e a diventare realtà. Da Bologna partiamo, così, pieni di emozioni e aspettative verso San Francisco con uno stancante scalo a Londra completo di cambio aeroporto. Appena atterrati...
Scritto da: donadotty
un mese negli states
Partenza il: 24/04/2006
Ritorno il: 21/05/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
Era il sogno di una vita e, dopo anni di fantasticherie, ho iniziato a navigare, leggere e documentarmi finché il viaggio impossibile ha cominciato a concretizzarsi e a diventare realtà. Da Bologna partiamo, così, pieni di emozioni e aspettative verso San Francisco con uno stancante scalo a Londra completo di cambio aeroporto. Appena atterrati in California vorrei subito baciare il terreno e appena giunta in hotel non faccio in tempo a sistemarmi che già scalpito per uscire a visitare la meravigliosa città di Frisco. In tre giorni riusciamo a toccare le attrattive principali: Fisherman’s Wharf con i simpatici leoni marini del Pier 39, la vicina Ghirardelli Square e la tortuosa Lombard Street, il maestoso Golden Gate Bridge e il verdissimo Golden Gate Park, il centro cittadino con negozi e istituzioni, la variopinta Chinatown e l’allegro quartiere hippy di Haight Ashbury, senza dimenticare la caratteristica Alamo Square e la cima di Twin Peaks, da cui si gode una magnifica vista di tutta la baia di San Francisco. La gita ad Alcatraz, poi, è la ciliegina sulla torta e inevitabilmente ci siamo innamoriamo del romantico skyline della città definita “la più europea d’America”. Ritirata un’auto noleggiata on line prima della partenza, partiamo alla volta del primo parco da visitare: Yosemite NP. All’ingresso acquistiamo un pass che ci permetterà in seguito di entrare gratuitamente all’interno di tutti gli altri National Parks per un anno intero e ciò risulta di gran lunga conveniente. Qui ci concediamo due giornate a stretto contatto con la natura e assaporiamo ogni scorcio indimenticabile di questo angolo di paradiso. Le numerose e ricche cascate ci affascinano poiché la primavera è proprio il momento migliore per ammirarle dopo le abbondanti nevicate invernali. Bridalveil Fall, Nevada Fall, Vernal Fall e le Yosemite Falls (queste ultime al terzo posto al mondo per altezza), e poi ancora il Mirror Lake e la vista della Yosemite Valley da Tunnel View sono solo alcune delle perle del parco e occorrerebbe almeno una settimana per percorrere in lungo e in largo tutta l’area di Yosemite. Il nostro viaggio, però, deve proseguire e ci spostiamo verso il Sequoia NP per fare la conoscenza degli esseri viventi più grandi al mondo: le sequoie giganti. Questi enormi alberi possono anche vivere 3.000 anni e non muoiono se non schiacciati dal peso della troppa neve che cade copiosa su di loro per lunghi e rigidi inverni; arrivano a oltre 80 metri di altezza e a 12 metri di diametro e al loro cospetto ci si sente davvero minuscoli! Da 2.500 metri di altitudine abbandoniamo paesaggi ancora innevati scendendo fino a 85 metri sotto il livello del mare in sole poche ore per addentrarci nella calorosa e temuta Death Valley, anche questa istituita come parco nazionale dal governo statunitense. Imperdibili le Sand Dunes, il Badwater Basin, l’Artist’s Palette, il Dante’s View e Zabrisky Point, dal cui nome deriva il celebre film di Michelangelo Antonioni. I cambiamenti repentini, però, non sono ancora finiti e dalla desolazione del deserto passiamo al caos più totale della città del peccato: Las Vegas, portandoci dietro i circa 100°F di afa e calura. Las Vegas è una città che affascina per le sue miriadi di luci, per il lusso esorbitante dei suoi giganteschi hotel, per le stravaganze che solo qui possono essere lecite e consentite in ogni luogo, ma che non riesce a trattenerti per più di due giorni consecutivi… Il ritmo è troppo sfrenato e la finzione e l’eccesso vogliono lasciare il posto alla pace e alla tranquillità dei parchi, perciò dopo aver visitato tutti i mega-alberghi della Strip (la strada principale a sei corsie) e tentato la fortuna alla roulette, facciamo qualche acquisto veloce in un super-conveniente outlet per poi lasciare il Nevada e spostare l’orologio di un’ora per entrare nello Utah, lo stato dei “parchi rossi”. Zion e Bryce ci accolgono con i loro paesaggi quasi irreali. I pinnacoli del Bryce NP sono così particolari che sembrano stati creati dalla mano di un artista divino e al tramonto si accendono di tutte le sfumature di rosa, arancio e rosso fino a diventare fuoco. Le strade panoramiche che conducono a Moab non sono da sottovalutare e nella programmazione del viaggio era stato tutto accuratamente studiato per non tralasciare niente di importante ed ogni chilometro percorso è un continuo stupore e meraviglia. Anche Moab è una sorpresa: una ridente cittadina nel bel mezzo del nulla che funge da base ideale per la visita dei suoi vicini parchi: Arches NP, Canyonlands NP e Dead Horse SP, senza tralasciare l’emozionante esperienza del rafting sul famigerato fiume Colorado, che però nel nostro caso si rivela più che altro, a parte qualche rapida preannunciata, una tranquilla gitarella per famiglie. Arches NP è un altro esempio di arte divina, nella quale davanti agli occhi appaiono drasticamente archi di roccia al centro di aspre radure come posati da mani astratte e indefinite. La salita al Delicate Arch, simbolo per eccellenza dello Utah, presente anche sulle targhe di questo stato, è faticosa ma appagante e la foto sotto l’imponente arco è d’obbligo. Purtroppo la zona di Canyonlands è molto vasta e ancora troppo selvaggia per consentirci di addentrarci per una rapida visita e, dopo qualche veloce ma incredibile scatto al primo view point disponibile, ci concentriamo sul Dead Horse SP, il quale risulta spettacolare anche se costituito da un unico punto panoramico. A malincuore lasciamo il meraviglioso stato dello Utah alla volta del Colorado, dove approdiamo ad un particolarissimo ma poco conosciuto parco nazionale: Mesa Verde. Un viaggio nel South West non può dirsi completo senza un minimo contatto con le varie culture indiane e noi scegliamo di visitare proprio uno dei rari siti storici nei quali sopravvivono resti di villaggi Anasazi. Qui è possibile inerpicarsi in tortuosi passaggi costruiti tra le rocce per raggiungere le nascoste minuscole casette di argilla in cui risiedeva questo antico popolo. Un simpatico ranger stile cartone dell’orso Yogi ci illustra l’interessante storia del luogo e ci fa sentire molto “giovani marmotte in campeggio”.

Tentiamo poi di raggiungere il Four State Corner, l’unico punto in tutti gli Stati Uniti in cui quattro stati contemporaneamente si toccano, ma purtroppo arriviamo proprio mentre i cancelli si stanno chiudendo e non ci resta altro da fare che scattarci una foto con il cartellone che annuncia l’entrata in New Mexico, anche se il nostro percorso prosegue in Arizona verso la mitica e leggendaria Monument Valley. Dopo una breve sosta a Goosenecks SP, un punto dove il corso del San Juan River crea delle anse spettacolari, e a Mexican Hat, un paesino che prende il nome da un masso nel bel mezzo del nulla a forma, appunto, di cappello messicano, e relativo pernottamento in una via di mezzo tra un cabin e una roulotte, possiamo assaporare l’essenza di una terra senza tempo, in cui ci immergiamo senza troppe aspettative e coinvolgimenti, ma dove veniamo travolti da un’atmosfera senza uguali. La Monument Valley è situata su un territorio indipendente in cui i Navajo cercano di conservare una terra sacra e intatta in cui far sopravvivere le loro usanze e identità, dove il turista può sentirsi parte di un mondo diverso e lontano dal caos stereotipato degli USA. E’ possibile visitare questa riserva indiana nel tentativo di non disturbare troppo la tranquillità dei suoi abitanti percorrendo la spettacolare strada principale che attraversa la valle, toccando i numerosi punti di interesse. Si passa tra i diversi hoodoos e i vari view point, superando senza indugi le vie laterali che conducono forse agli insediamenti locali. Ci rammarichiamo di non poter restare per il tramonto e proseguiamo verso Page, ridente cittadina affacciata sul Lago Powell, costituito da una diga enorme che forma il Glen Canyon NP. La visita al museo interno alla diga è da consigliarsi in quanto si possono apprendere informazioni interessantissime e vedere macchinari e turbine gigantesche. L’attrattiva principale nei dintorni di Page, però, è l’Antelope Canyon, che tutto può sembrare fuorché un canyon: esso somiglia piuttosto ad una grotta provvista di aperture sul soffitto dalle quali i raggi del sole filtrano a picco sulla sabbia creando giochi di luce senza pari sulle pareti levigate dal vento e con sfumature che vanno dal rosa al rosso all’arancio. Anche questo è territorio Navajo e per accedervi occorre essere accompagnati da una guida indiana autorizzata. Qui vicino, infine, si trova un altro sito particolarmente interessante: Horseshoe Bend, ossia un’ansa del Colorado River che assume colori incredibili creando in questo punto una forma a ferro di cavallo con uno sperone di roccia al centro.

Il nostro viaggio giunge, quindi, ad un vero miracolo della natura: sua maestà il Grand Canyon. Il grande canyon scavato dal fiume Colorado in milioni di anni non ha bisogno di presentazioni, semplicemente è qualcosa di cui tutti hanno sentito parlare o di cui si è vista qualche immagine, ma che è impossibile descrivere a parole quando lo si vede nella realtà e davanti a questa meraviglia della natura non si può fare altro che restare in silenzio e contemplarla. Restiamo due giorni per viverlo anche solo da spettatori esterni, ammirandolo dai vari view point e immergendoci solo per un miglio e mezzo al suo interno, purtroppo perché abbiamo ancora molto da vedere davanti a noi e l’intera discesa (e relativa risalita) richiederebbe un altro paio di giorni. Ogni singolo parco, infatti, sarebbe da vivere al 100% dedicando addirittura settimane a ciascuno, ma le nostre quattro settimane non sarebbero sufficienti e occorrerebbero mesi o forse anni per riuscire a fare tutto ciò perché gli spazi sono immensi e stupendi in ogni minimo centimetro di queste terre meravigliose.

E’ la volta di un altro sogno: la famosa Route 66. Percorriamo la lunga strada madre solo per qualche chilometro attraverso simpatici paesini, poi deviamo a sud verso il Joshua Tree NP. Facciamo così ritorno in California e al caldo del deserto, ma un deserto molto diverso dalla Death Valley, pieno di miniere abbandonate e di strana vegetazione come i cactus Jumping Cholla, che schizzano aghi come forma di difesa se un visitatore curioso si avvicina troppo. Qui vicino troviamo Palm Springs, una ricca città nel mezzo del niente dove i campi da golf e i giardini delle case sono però rigogliosi e sempre umidi, dove le insegne dei negozi appartengono solo a grandi marchi internazionali e dove le persone per strada indossano solo capi firmati… Una sorta di delegazione di Beverly Hills in pieno deserto. Tra centinaia di mulini a vento percorriamo la trafficata strada (è venerdì sera, pessima serata per raggiungere la città) in direzione San Diego, abbandonando un sole splendente che ci ha accompagnati fin qui per tutto il viaggio. Ci si immagina la costa californiana sempre serena e piena di surfisti, ma per noi non è così e un grigiore particolare ci farà compagnia per tutto il resto del nostro tour. Appena arriviamo a San Diego cerchiamo un hotel e troviamo posto in uno spartano ma economico albergo di Little Italy che ci consente di raggiungere a piedi il quartiere di Horton Plaza, centro nevralgico dello shopping di questa città della California meridionale piena dell’influenza del vicino Messico. Facciamo un giro anche al Gaslamp Quarter che la sera si anima con i suoi locali dalle luci soffuse e il suo straripare di gente sempre in festa. Il giorno seguente, invece, è dedicato ad una delle più famose attrazioni di San Diego: lo Zoo, ricco di migliaia di specie che non si possono vedere in molti altri parchi faunistici del mondo… E’ un po’ come fare il giro dei più svariati ecosistemi in poche ore, ma la tristezza che scaturisce dallo sguardo vuoto di molti animali ci fa promettere di non visitare per molto tempo giardini zoologici. All’uscita ci troviamo praticamente dentro al Balboa Park, il polmone di questa città, un’immensa area verde piena di palazzi e musei importanti, oltre che parchi botanici e artisti di strada. Dopo una pausa in hotel ci diamo appuntamento con degli amici al Coronado, una zona collegata alla terra ferma da un lunghissimo e avveniristico ponte che illuminato spicca dalle acque dell’Oceano Pacifico. Qui troviamo un ristorante italiano che apprezziamo enormemente perché non facile trovare una cucina così autentica in territorio straniero. Scopriamo che “Il Fornaio” fa parte dell’omonima catena che possiede diversi ristoranti sulla costa occidentale degli USA e annotiamo di cercarne altri in futuro. La nostra terza giornata in città è all’insegna del divertimento acquatico e, sebbene piuttosto costoso, ci catapultiamo nel magico “Sea World”, un parco nel quale troviamo parecchie specie marine con tanta voglia di giocare e divertirsi con il pubblico. Oltre ad ammirare le vasche degli inquietanti squali, socializziamo con le ammalianti razze e le tranquille tartarughe per poi giocare con i simpatici delfini; assistiamo anche agli spettacoli di leoni marini e foche che si rivelano buffissimi e scherzosi. Ci sono orsi polari, pinguini, trichechi e tutto ciò che concerne l’acqua e il mare, ma lo spettacolo più entusiasmante è la danza degli animali simbolo del parco: le enormi e affascinanti orche. Serata dedicata, invece, a tutt’altro argomento: l’antico cuore di San Diego dal sapore messicano autentico, Old Town, con i suoi negozietti di cianfrusaglie e le case dallo stile inconfondibile. Capatina al Seaport Village al mattino e poi via verso una nuova avventura, l’attraversamento del confine con il Messico con tappa al primo avamposto centroamericano: Tijuana, sentita ricordare tante volte nei telefilm made in USA. Attraversare la frontiera verso sud è semplicissimo: si lascia l’auto in un parcheggio a due minuti di distanza e si imbocca la porta scorrevole dell’alto cancello, senza che nessuno chieda chi siamo e dove andiamo. Delle indicazioni ci conducono al centro della cittadina, dove veniamo continuamente invitati ad entrare nei vari ristoranti o negozi di ogni genere di prodotti, ma la particolarità più eclatante è la variegata presenza di pseudo-farmacie che svendono Viagra a prezzi ridicoli. Evidentemente c’è chi espatria proprio per fare incetta di questo medicinale a quanto pare miracoloso. Io preferisco altro e decido di acquistare un bellissimo paio di texani che in Italia sarebbero un sogno! Dopo un’oretta facciamo ritorno al confine e questa volta scopriamo che il rimpatrio negli Stati Uniti non è così semplice perché una chilometrica fila indiana di persone sta aspettando pazientemente di essere testata dalla scrupolosa dogana americana. Noi non vogliamo crederci e, da bravi italiani, tentiamo di trovare un modo alternativo di ritornare nei nostri amati States… Siamo stati poco tempo in Messico, ma siamo già stufi del loro modo di affrontare il turista, preferiamo di gran lunga la mentalità cordiale ma non invadente del popolo anglosassone. Veniamo invitati ad accodarci e la cosa ci risulta un tantino difficile dato che non riusciamo assolutamente ad intravederne il termine, perciò preferiamo accomodarci su un pullman che per fare dieci metri ci chiede cinque dollari e così arriviamo da un addetto che comprendendo la situazione ci sorride e ci fa oltrepassare nuovamente il confine. Un po’ stressati ma contenti di esserne usciti “incolumi”, ci accingiamo a percorrere la costa californiana in direzione nord attraversando prima La Jolla, la spiaggia più rinomata di San Diego, poi, dopo un salto all’outlet di Carslbad, facciamo sosta a Laguna Beach e, infine, a Newport Beach, graziosa cittadina dall’aria molto ricca che ha fatto da sfondo alle vicende di uno dei nostri telefilm preferiti: “The O.C.”. Passiamo la notte ad Anaheim, base ideale per la visita del giorno seguente: Disneyland, dove torniamo bambini per qualche ora. Il parco potrebbe realmente sembrare una città ed è pieno di attrazioni che richiamano i classici Disney. Noi adoriamo il genere e ci divertiamo tantissimo, per non parlare dell’emozione di abbracciare i nostri personaggi preferiti e scattare qualche foto con loro. Prossima meta: Long Beach per la visita, purtroppo solo esterna, della Queen Mary, la più famosa transatlantica della storia che ora è diventato un hotel stabile al porto di fronte all’Isola Catalina. Proseguiamo verso Hermosa Beach, dove avvistiamo la celebre casa sulla spiaggia dove, nel telefilm “Beverly Hills 90210”, abitavano Kelly e Donna. Superiamo i “Raleigh Studios” di Manhattan Beach al cui interno vengono girate le scene di “The O.C.” e, terminando il nostro giro turistico dei set cinematografici, arriviamo a Venice Beach, ma non trovando parcheggio, decidiamo di dirigerci direttamente alla spiaggia “losangeliana” per eccellenza: Santa Monica, con le sue torrette tipiche dei baywatch e il suo inconfondibile molo con il luna park pieno di famiglie. Ma Los Angeles non è solo mare e ci addentriamo nel cuore della zona vip tra le colline di Bel Air e Beverly Hills, tra altissimi muri e cancelli che separano le immense proprietà di personaggi famosi a livello mondiale. Percorriamo la storica Sunset Boulevard e camminiamo per Rodeo Drive specchiandoci nelle lustre vetrine di negozi d’alto livello; pestiamo le innumerevoli stelle dell’Hollywood Boulevard cercando di leggere quanti più nomi possibile e posiamo le nostre mani sui calchi di quelle di attori del calibro di Bruce Willis o Johnny Depp. Infine, raggiungiamo l’Hollywood Sign, la celebre scritta a caratteri cubitali che dall’alto osserva la megalopoli in tutta la sua ampiezza ed eccentricità. Gli Universal Studios sono una piacevole scoperta e ne rimaniamo entusiasmati: oltre alle varie attrazioni tipiche dei parchi di divertimento, possiamo assistere a vari spettacoli completi di spiegazione degli effetti speciali hollywoodiani e scoprire vari set cinematografici di film importanti e famosi a bordo di un grazioso trenino e, tra giochi d’acqua e fuoco e terremoti perfettamente simulati, assistiamo alle riprese dell’ultima serie di “Desperate Housewives”. Passiamo, quindi, per Pasadena per poi raggiungere Malibù solo in tarda serata, con l’unico inconveniente di non poter vedere alla luce del sole questo meraviglioso panorama sul Pacifico. Santa Barbara è un paese sulla costa ancora con forti influenze spagnoleggianti, dove visitiamo l’antica missione, la Courthouse e la torre dell’orologio dalla quale si ha un’ottima vista della città che spazia fino al mare. Percorrendo la leggendaria “One”, la strada che risale tutto il litorale californiano, arriviamo ad un nuovo outlet, quello di Pismo Beach, per un po’ di sano shopping, per poi attraversare verso un paradiso naturale di inestimabile bellezza: Big Sur. I panorami che si possono assaporare da ogni angolo di questo tratto di costiera sono indimenticabili e fanno innamorare; leoni marini trascorrono lentamente le loro giornate giocando tra loro e godendosi il sole e l’acqua fresca dell’oceano. Arriviamo a Carmel nel pomeriggio e già dal primo impatto ce ne innamoriamo: questa graziosa cittadina è un piccolo gioiello nascosto dalla vegetazione, immerso in una natura rigogliosa e costituito da un insieme di case originali e dall’aspetto accogliente. Sui visi delle persone c’è gioia e tranquillità e ci sembra un paese estremamente vivibile e rilassante. Sindaco di questo immacolato quadretto è stato in passato addirittura Clint Eastwood e la cosa ci fa sorridere. Oggi festeggiamo i nostri primi cinque anni insieme e scegliamo accuratamente il locale dove concederci una cenetta romantica e appagante: “Il Fornaio”. Per un colpo di fortuna troviamo una succursale di questo locale anche qui a Carmel e ne approfittiamo per brindarvi alla nostra storia d’amore. Tra Carmel e l’altrettanto meravigliosa Monterey si trova un’altra delle piacevoli sorprese del nostro viaggio: la 17-Mile Drive, che ne attraversa tutto il promontorio per diciassette miglia di splendida natura e paesaggi da sogno. Ogni scorcio è motivo di sosta con tanto di foto ricordo anche se gli scatti non rendono giustizia a ciò che gli occhi vedono e il cuore prova. Diversi animali, tra cui scoiattoli, anatre, cervi e cerbiatti, pascolano indisturbati ai bordi della strada tra una flora rigogliosa e impeccabili campi da golf, mentre noi assaporiamo i nostri ultimi giorni in territorio americano.

Santa Cruz è l’ultima tappa sulla costa e finalmente riappare il sole a splendere sui nostri passi, così riusciamo anche ad assistere alle entusiasmanti acrobazie degli esperti surfisti californiani. San Francisco, però, ci è entrata nell’anima e, come ci eravamo ripromessi all’inizio del viaggio, vi facciamo ritorno con un giorno di anticipo per poterne godere ancora un po’… Fisherman’s Wharf con la sua caratteristica vista su Alcatraz e sull’imponente Golden Gate Bridge già ci mancava, per non parlare della succulenta zuppa di granchio e del tipico sali-scendi a bordo del Cable Car. Dopo l’ultimo round di shopping le valigie faticano a chiudersi e anche i nostri cuori sono strapieni di emozioni e ricordi che porteremo con noi fino a casa e che per molto tempo faticheranno a lasciare le nostre menti che torneranno continuamente a pensare al nostro fantastico mese in terra americana.



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