La prima volta nell’ovest

Chi non ha desiderato una volta nella vita di andare almeno una volta nella vita negli Stati Uniti d’America? Forse per il fatto che nel secolo passato, molti nostri connazionali emigrassero lì e l’occasione di rivedere i figli, forse nostri parenti tornare in vacanza per raccontare il loro bel vivere, ha suscitato non poca curiosità nella...
Scritto da: alexcolombaioni
la prima volta nell’ovest
Partenza il: 13/06/1995
Ritorno il: 26/06/1995
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
Chi non ha desiderato una volta nella vita di andare almeno una volta nella vita negli Stati Uniti d’America? Forse per il fatto che nel secolo passato, molti nostri connazionali emigrassero lì e l’occasione di rivedere i figli, forse nostri parenti tornare in vacanza per raccontare il loro bel vivere, ha suscitato non poca curiosità nella mente di molti italiani. Io sono uno di quelli che da piccolo ne ha conosciuti alcuni, anche se la cosa che più ricordo con affetto è quella tuta da ginnastica bianca che mi regalarono dopo un loro viaggio da noi che aveva la scritta posteriore: USA, quanti ragazzi me la concupivano. È arrivato il tempo per organizzare un bel viaggio negli Stati Uniti. Non sapendo se un giorno ci potrò tornare cerco d’inserire tutto quello che in due settimane si può ragionevolmente vedere. 1° giorno: Italia – New York – Los Angeles Sono molto elettrizzato per questa partenza: ieri sera tra la preparazione delle valigie finita quasi a mezzanotte e la sveglia che ha suonato prima ancora che si levasse l’alba, non posso credere che è arrivato il giorno della partenza per gli Stati Uniti. Siamo pronti con le nostre valigie per salire sull’auto che ci darà un passaggio fino alla stazione di Roma Tiburtina per prendere il treno che ci porterà all’aeroporto. Lì incontriamo altri dei nostri amici di Roma con i quali condivideremo l’avventura delle prossime due settimane. Arrivati all’aeroporto Leonardo Da Vinci di Roma Fiumicino, ci dirigiamo verso i banchi della Delta per consegnare il bagaglio e ritirare la carta d’imbarco. Le procedure d’imbarco si svolgono con tranquillità e regolarità anche se sono più specifici e accurati rispetto ad altre nazioni. Sui bagagli controllati, anche a mano sono apposte dei piccoli contrassegni colorati e siglati. Siamo sul Boeing 767 che ci porterà a New York. Su quest’aereo viaggiamo 26 membri che compongono il gruppo. Gli altri 12 componenti sono partiti da Milano Malpensa e l’incontreremo all’aeroporto JF Kennedy di New York. Tra un pranzo ricco subito dopo il decollo, alcuni film, un riposino e una merenda prima di atterrare, il volo scorre velocemente. L’atterraggio avviene passando sopra Long Island e questo ci permette di scandagliare dal finestrino la caratteristica urbanistica di questa parte residenziale della città formata da ville con giardino e piscina arricchita da aree verdi parte dei molteplici campi da golf. Dopo l’atterraggio ci trasferiamo nell’area del controllo passaporti e del ritiro della valigia. È una cosa strana per noi, ma negli Stati Uniti questa è la prassi. Anche se il viaggio non è finito e il bagaglio è stato etichettato per un’altra destinazione finale, al primo aeroporto d’arrivo da un volo internazionale, si deve fare la dogana, ritirare la valigia e subito dopo rispedirla per la destinazione finale. Ci sottoponiamo a tutta questa procedura e finalmente ci dirigiamo tutti e 38 al gate di partenza per il volo che ci porterà a Los Angeles. C’imbarchiamo di nuovo per un volo di quasi sei ore. Ben presto il sonno prende il sopravvento che accompagnato dalla stanchezza accumulata nei giorni precedenti alla partenza per tutta la preparazione, ci fa addormentare. Le ore passano velocemente e finalmente l’annuncio che stiamo atterrando a Los Angeles ci fa preparare a vivere l’emozione di quest’atterraggio che avviene in maniera molto dolce. Scesi dall’aereo possiamo solo apprezzare la mastodontica architettura dell’aerostazione della Delta e dirigerci all’area per ritirare i bagagli. Fuori sul marciapiede dall’aerostazione, riceviamo la prima vampata di calore californiano delle nove di sera. Dimentichiamo la realtà italiana e c’immergiamo nell’avventura che sta veramente per cominciare. Ci attende la navetta dell’albergo che deve fare tre viaggi per portare tutti al vicino albergo. Rimaniamo tutti entusiasti della struttura che ci ospiterà per le prime due notti. Portiamo le nostre valigie in camera, facciamo una bella doccia e andiamo a letto alle undici della sera quando in Italia sono le otto del mattino. Ci addormentiamo subito.

2° giorno: Los Angeles Quando i fusi orari sono così tanti è inevitabile svegliarsi durante la notte dal momento che il ciclo biologico deve essere praticamente invertito, a meno che non ci facciamo aiutare sotto prescrizione medica da qualche prodotto specifico come la melatonina. Purtroppo è così e per qualche giorno dobbiamo solo pazientare la regolazione del nostro organismo. Ci troviamo tutti nella hall dell’albergo per andare a fare una colazione americana in un locale vicino. Non sempre è vantaggioso, economicamente parlando prenotare anche la prima colazione in hotel specialmente se entro alcune centinaia di metri ci sono luoghi convenienti al riguardo. Da oggi arriva il pullman con il quale faremo il nostro tour della compagnia Olimpia. Una delle prime cose che notiamo viaggiando per le strade di Los Angeles sono le piante che incorniciano i viali. In Italia siamo abituati ai pini, ai platani, ai cipressi, alle querce, a Los Angeles si osservano palme alte anche alcune decine di metri che flettono pericolosamente sotto la forza del vento. Viaggiamo verso nord e il primo luogo che ci fermiamo a vedere è l’area esterna al teatro cinese. In questo luogo tutti stanno a testa bassa per osservare sul pavimento le speciale gettate di cemento sulle quali sono state lasciate le impronte dei piedi, delle mani o la firma fatta con un legnetto. Per non parlare del marciapiede con impressi i nomi delle più famose stelle del cinema. In pochi secondi riaffiorano alla mente scene di film visti in passato. L’immaginazione è interrotta dalla richiesta di risalire sul pullman per dirigerci al luogo successivo, gli Universal Studios. Stiamo arrivando dalla “101”, l’Hollywood Fwy ed entriamo nell’area antistante all’ingresso. Dopo l’ingresso percorriamo un’area affiancata di caratteristici negozi a tema che vendono articoli relativi al cinema o alla ristorazione. Percorriamo i circa 300 metri di questo percorso in piano attorniato da stradine e impianti dove sono rappresentati degli spettacoli, per trovare a sinistra una lunga e articolata scala mobile coperta che ci fa scendere dalla collina in precedenza percorsa ad un piano notevolmente inferiore. A sinistra ci dirigiamo a prendere un trenino, il Backlot Tram Tour, che ci condurrà nei luoghi dove periodicamente è possibile incontrare la registrazione di un film. In mezzo ad alcune vie stanno preparando qualcosa ma di attori e registi neanche l’ombra. Una delle prime cose che riconosciamo è la piazza con l’orologio in cui hanno girato il film “Ritorno al futuro”. Osserviamo meravigliati all’interno dei vari capannoni personaggi già visti in famosi film o altre volte incredibili simulazioni come un terremoto, un’alluvione o l’ira di King Kong. Alla fine di questo percorso di gruppo sul trenino, entriamo nel capannone che ricordano la storia d’ET. Dopo una fila in mezzo ad una foresta buia e profumata, saliamo su una seggiovia a forma di bicicletta che ci riporta al paese originale del famoso personaggio. All’uscita incontriamo la lontana riproduzione di due personaggi del cinema in bianco e nero: Stanlio ed Olio con i quali scattiamo alcune foto. Risaliamo la scala mobile che ci riporta al lato superiore del parco per andare a vedere un tipico spettacolo western rappresentato da attori acrobati. Alla fine di questo spettacolo acquistiamo il pranzo che consumeremo sul pullman. Il programma odierno è un po’ speciale perché nel pomeriggio vorremmo visitare un altro parco. Quando il tempo a disposizione non è molto, questa è senza dubbio un’alternativa. Riprendiamo la “101”, l’Hollywood Fwy che dopo un po’ a sinistra diventa la “5”, la Santa Ana Fwy fino ad Anaheim dove si trova Disneyland. Circa 500 metri dopo l’uscita c’è l’entrata del parco. A quest’ora non c’e folla e si può entrare velocemente. Appena entrati nel parco, prendiamo il trenino che fa il giro dell’impianto ricreativo. Percorriamo solo mezzo percorso evitando di entrare nella zona alberghiera. Appena scesi ci dirigiamo verso il teatro dove assistiamo ad una rappresentazione teatrale del “Terminator”, poi saliamo su una canoa che al buio e a velocità non normale perché su binari a mo’ di montagne russe salta nel vuoto e curva repentinamente in un gioco di luce non luce. Su un’altra canoa viviamo un mondo fantastico di bambole, su un’altra di pirati e su un altro trenino, quello spericolato dei minatori, uno percorso un po’ meno adrenalinico delle montagne russe. Il fatto che non ci fosse molto pubblico nei due impianti ricreativi, ci ha permesso di gustare in maniera abbastanza completo entrambi i parchi senza fare la fila. Quando ormai è buio e tutti i personaggi di Walt Disney hanno sfilato per le vie del complesso accompagnati dalla musica e i fuochi d’artificio, lasciamo il parco per riprendere il nostro pullman che ci riporterà in albergo.

3° giorno: Los Angeles – Flagstaff Questa notte abbiamo dormito meglio e dopo colazione nel solito posto di ieri, ci troviamo tutti pronti con le nostre valigie nella hall dell’albergo per la partenza del viaggio in pullman. La prima tappa della giornata sarà il centro della città di Los Angeles. Abbiamo davanti la City Hall e una magnifica fontana che emette i suoi getti idrici al filo del pavimento sul quale sono stati praticati dei fori. Dagli stessi fori è recuperata l’acqua che viene sparata ad un ritmo imprevedibile per un incantevole spettacolo a cielo aperto. Poco distante c’è il borgo prospiciente la chiesa di Nostra Señora de Los Angeles. Prodotti dell’artigianato messicano ci trascinano meglio nella tradizione locale. Una volta risaliti, con il pullman ci immettiamo sulla “101”e poi sulla “10” in direzione del San Bernardino National Forest, attraversato dalla “15”. Con la “15” proseguiamo fino a Barstow per poi imboccare la “40” in direzione dell’Arizona. Adesso stiamo viaggiando in pieno deserto della California. Le corsie dei due sensi di marcia sono distanti tra loro circa cinquanta metri interposte tra loro da una specie di fossato. Può succedere che l’autista di uno dei grossi camion che percorre centinaia di miglia al giorno si addormenti. Così anziché invadere la corsia opposta causando un incidente per l’urto contro un altro mezzo, va a fermarsi nei cambi di quota studiati per far rinsavire il mezzo dell’assonnato autista. Ci fermiamo ad un area di sosta per sgranchire un po’ le gambe e mangiare qualcosa. Non possiamo fare a meno di fotografarci davanti ad uno di questi grandi camion parcheggiati, per ricordare le loro enormi dimensioni e le loro piccole case incorporate nel retro della cabina di guida. Il pomeriggio continua con il passaggio del fiume Colorado che ci ricorda che stiamo lasciando la California per entrare il Arizona. Il paesaggio cambia leggermente perché passiamo attraverso delle gole di rocce, poi di nuovo attraverso il deserto e poi ancora attraverso foreste. In realtà la strada è salita molto gradualmente, tanto che ora viaggiamo su un altipiano a 1.800 metri di quota sul livello del mare. Finalmente verso l’ora del tramonto arriviamo a Flagstaff per il pernottamento all’Evergreen Inn hotel. È un tipico motel americano con accesso alla camere dall’esterno. Benché la struttura sia posta sul vecchio tracciato della “40” è un luogo molto tranquillo. Per la cena è stato scelto un vicino locale in tipico stile western. I camerieri sono anche cantanti e ad una certa ora ci allietano la digestione con i loro canti tipici. Lasciamo il locale per tornare in albergo a farci una bella dormita. 4° giorno: Flagstaff – Grand Canyon – Las Vegas Facciamo colazione con caffè e ciambelle americane in un area riservata della reception e ripartiamo per la tappa odierna. Passiamo davanti alla stazione ferroviaria e al municipio. Qui si vive realmente in un’altra dimensione. Questa dicono sia la vera America. Lasciata la città alcuni cantieri edili esaltano la professionalità dei carpentieri in legno. In questi luoghi è abbastanza difficile trovare un altro modo di costruire. Stiamo percorrendo la “180” in direzione del Grand Canyon. Prima di entrare nel parco ci fermiamo a Tusayan, un piccolo villaggio dedicato all’accoglienza. Dopo aver superato sulla sinistra il piccolo aeroporto ci fermiamo per gustarci la storia di questo luogo mediante un film proiettato nello speciale teatro Imax. Ci sediamo sulle comode poltrone disposte a conchiglia. Lo spettacolo è talmente realistico e coinvolgente che talvolta siamo costretti a tenerci con le mani alla poltrona anteriore per la sensazione di cadere. Usciamo estasiati alla fine della rappresentazione per aver pregustato la storia passata e più attuale di questo luogo. Stiamo per vedere il “Grand Canyon National Park”. Non ci si stanca di certo ammirare incantati tanta maestosità. Dopo aver pagato il biglietto d’accesso, ci dirigiamo ai vari punti d’osservazione. Come dice mia moglie di questo luogo: non abbiamo abbastanza occhi per guardare. La vastità ispira sensazioni indescrivibili che né una foto né un filmato hanno il potere di raccogliere. Sciolto l’incantesimo, passiamo alle solite foto di gruppo, gruppetto o con l’una o l’altra coppia d’amici. È bello soltanto respirare quell’aria. Un certo languore ci ricorda che l’ora del pranzo è abbondantemente passata. All’uscita del parco ci fermiamo di nuovo a Tusayan per mangiare qualcosa. Nel pomeriggio ripartiamo in direzione di Las Vegas. In linea d’aria non sarebbe lontana, ma la strada carrabile ci farà passare per un percorso diverso. Percorriamo parte della strada del mattino al contrario fino alla cittadina di Williams dove riprendiamo la “40” in direzione della California. Dopo 130 miglia sostiamo a Kingman dove il pullman deve fare rifornimento di gasolio. Vediamo per la prima volta una stazione di rifornimento per mezzi diesel: camion e pullman perché le automobili sono tutte rigorosamente a benzina. All’interno della stazione di servizio compro a saldo, per soli cinque dollari, un atlante stradale degli Stati Uniti in formato A3. Percorriamo per 70 miglia la “93” per arrivare alla diga di Hoover. Senza questa diga che imprigiona l’energia idrica dl fiume Colorado per trasformarla in elettrica, difficilmente Las Vegas potrebbe essere la fantasmagorica città dalle 1000 luci. Una fermata in questo luogo ci permette di apprezzare il colossale intervento dell’uomo per raggiungere questo ambizioso obiettivo. Il viaggio per oggi è quasi terminato, solo venticinque miglia ci separano da Las Vegas. Ormai è buio, posiamo le valigie in albergo allo Stardust e dopo una sciacquata, con il pullman andiamo a cena al self service del Caesar Palace Hotel. Pranziamo nello stesso salone dove alcuni mesi prima sono stati sorteggiati i gironi dei campionati mondiali di calcio che sono in corso in questi giorni negli Stati Uniti. La cena è deliziosa e tutti sono contenti di questa scelta. Appena finita la cena la prima passeggiata è lungo la galleria commerciale dello stesso albergo ambientato alle gesta dell’antica Roma. Usciti sulla Strip, ci dirigiamo verso l’hotel Treasure Island. Il tema dell’albergo sono i pirati e il soggetto dello spettacolo che stiamo per vedere gratuitamente è la loro guerra contro il Britannia, la nave che difende l’impero. Le navi sono delle dimensioni reali e le cannonate che si tirano, anche se caricate a salve sono vere. Alla fine della battaglia dopo duelli con la spada, cannonate e bordeggi una delle due navi affonda per riemergere magicamente alcuni minuti dopo. Alla fine dello spettacolo la folla si disperde e poco più in la vediamo un vulcano con una cascata intorno, che erutta fuoco e fiamme a suon di tuoni. Tutto finto con un grande effetto scenico.

Entriamo nella hall del Mirage per ammirare una delle più rare attrazioni: le tigre albine che vivono all’interno di una grande gabbia vetrata. Con una passeggiata osserviamo quasi indifferenti ai molteplici e pacchiani nei che illuminano gli alberghi più vecchi, che da quanto ho capito, saranno presto demoliti per lasciare il posto a più nuovi costruiti con altre tecniche e con differenti effetti scenici. Andiamo felicemente a dormire nel nostro comodo albergo. 5° giorno: Las Vegas – Bishop Svegliandoci abbiamo la meraviglia di una Las Vegas completamente diversa: quella del giorno. I riflettori sono spenti sulla città che in teoria non dorme mai. Questa mattina ci siamo concessi un po’ più di tempo per il riposo e ritardato la partenza dato che ieri sera siamo andati a letto un po’ più tardi del solito. Così a mezza mattinata partiamo in direzione nord lungo la “95” nel deserto del Nevada. Dopo 40 miglia incrociamo il paese di Indian Springs dove risiede una delle più importanti basi dell’aeronautica militare americana l’ A.F.B.. Durante la prima parte del tragitto il nostro autista è in contatto con altri autisti che ci procedono. Abbiamo in programma di attraversare la Death Valley o Valle della Morte. Purtroppo le temperature sono troppe elevate ed è molto rischioso visitare questo luogo di 85,95 metri sotto il livello del mare. Continuiamo pertanto la nostra tappa fino al bivio di Beatty dove decidiamo di fermarci per mangiare qualcosa. Ho avuto l’impressione di rivivere le scene di uno di quei film western che vedevo da bambino dove i cow boy raggiungendo un luogo legavano il cavallo alla steccato e si rifocillavano un po’ prima di ripartire. Questo villaggio è costituito da pochi edifici bassi e ne fanno solo un luogo per fermarsi durante un viaggio. Ripartiamo ancora sulla “95” e durante le successive tre ore incontriamo soltanto quattro autovetture. A volte abbiamo la sensazione d’essere fermi non vedendo il paesaggio cambiare in nessun modo se non fosse per lo sballottare dei sedili sul fondo stradale. Il deserto è veramente un interminabile mare di sabbia e sassi. Finalmente curviamo a sinistra per imboccare la “266” all’altezza della zona di Stonewall Flat per tutto il tratto in salita. Adesso il paesaggio cambia leggermente perché stiamo per attraversare una piccola catena montuosa. Tutto questo succede, mentre vediamo la formazione di una tromba d’aria che si sposta frettolosamente prima verso di noi e poi fortunatamente verso un’altra direzione. Dopo alcuni chilometri che ci siamo introdotti nella parte più montuosa del percorso, l’autista pensa bene che per un allargamento della strada possiamo fermarci una decina di minuti. Questa fermata ci permette di apprezzare la conformazione rocciosa delle pareti che ci sovrastano. Ripartiamo e iniziamo la discesa nella “168” vino all’arrivo sulla Owens Valley. Voltando a destra abbiamo imboccato la “395”, una strada finalmente normalmente trafficata nel paesaggio di un ampia vallata. Per la prima volta in vita nostra abbiamo desiderato un po’ di traffico. Fa un certo effetto aver incrociato durante quattro ore soltanto cinque autovetture. Il paesaggio è completamente cambiato. La vallata ha un’ampiezza d’alcune decine di chilometri e dolci montagne l’incorniciano da ambi i lati. Gli irrigatori rendono verdi le programmate culture dei diversi prodotti californiani. Finalmente arriviamo a Bishop. Rispetto ad altri giorni in cui siamo arrivati in albergo con il buio, questa volta arriviamo che il sole è ancora abbastanza alto. La parola Bishop si traduce in italiano “vescovo” e questo la dice lunga sulla sua religiosità: un paese non molto grande che ha 35 luoghi di culto. Come hotel ci fermiamo dall’altra parte del paese al The Vagabond Inn, una struttura in legno a due livelli con accesso delle camere dall’esterno. Ci rifocilliamo un po’ e decidiamo di fare una passeggiata per il paese per vedere come si vive in questa sperduta parte del mondo la quotidianità. Da una strada esce una vecchia Cadillac cabriolet di color rosa. Il personaggio sembra uscito dal film “Grease” con indosso abiti simili. Ci segue per un po’ per esibirsi, poi visto che non gli diamo molto credito, se ne và. Continuiamo la nostra passeggiata tra le viuzze, vedendo esternamente prima uno poi l’altro logo di culto per poi ritornare sulla strada principale dove abbiamo visto che c’è un Mc Donald. Dopo cinque giorni ci sembra arrivato il momento per gustare quest’esperienza culinaria nelle sue terre d’origine. Mentre siamo in fila per ordinare ci chiediamo cosa potrebbe succedere in un paese del genere quando una persona qui si sente male. Non dobbiamo aspettare molto per avere una risposta. Davanti a noi un ragazzo di tredici anni, Marco si accascia a terra svenendo sotto la presenza dei due impauriti genitori, della sorella e tutti noi amici. Non facciamo a tempo a renderci conto che cosa stia succedendo a differenza dei gestori del locale che hanno immediatamente chiamato l’ambulanza del pronto intervento. Non passano due minuti letterali che è arrivata nel piazzale laterale al locale. Una volta che Marco è stato posto sull’ambulanza, nel giro di dieci minuti gli praticano tutti gli accertamenti del caso ed emettono la diagnosi. Il ragazzo deve mangiare. Abituato tutti i giorni agli spaghetti italiani, aveva solo bisogno di mangiare cose più sostanziose. Una bella bistecca è quello che ci vuole per ridargli energia. Ceniamo tutti allegramente incoraggiando Marco a mangiare con regolarità e non farci più prendere certi spaventi. L’ultima passeggiata della sera ci riaccompagna in albergo dove riposiamo consapevoli di pernottare in un luogo rilassante e molto tranquillo.

6° giorno: Bishop – Yosemite Park – Merced Per la colazione ci sistemiamo nella piccola hall dell’albergo per mangiare una ciambella dolce da bagnare in un caffé americano. Ripartiamo felici per aver trascorso una serata e una notte in una parte della vera America e perché oggi vedremo una dei parchi che sulla carta appaiono tra i più belli dell’America: speriamo che le aspettative, trovino la giusta realizzazione. Imbocchiamo la “395” e continuiamo il percorso verso nord su quest’altipiano che sulla destra ha zone semidesertiche alternate a zone cultuali e sulla sinistra delle montagne intorno alla famosa località anche sciistica di Mammoth Likes. Proseguiamo fino a Lee Vining dove voltiamo a sinistra per continuare sulla ”120” l’ascensione che c’introdurrà nel Yosemite Park. Tornante dopo tornante, il pullman continua a salire offrendoci ad ogni cambio di direzione un paesaggio differente fatto qua e là d’abeti e rocce sulle quali a macchia di leopardo rimangono quei mucchi di neve che il sole di giugno non è ancora riuscito a sciogliere. Questa strada d’inverno è chiusa per la neve, ora finalmente siamo arrivati al Tioga Pass e ci mettiamo in coda per il biglietto. Davanti a noi c’è un altro pullman e quattro automobili. Dopo che il ranger ci ha salutato possiamo subito apprezzare la meraviglia di ciò che è intorno a questa strada che ricomincia a scendere dopo che al passo avevamo toccato la quota di 3.030 metri sopra il livello del mare. Proseguiamo per alcuni chilometri prima della prima e vera sosta. Siamo al lato del lago Tenaya che ci offre a quella quota una ricchezza di conifere che non siamo abituati a vedere. Le acque del lago sono gelide, l’aria è fresca ma gradevole, il cielo è limpido. Mentre sulla sinistra il lago e dintorni ci offrono questo spettacolo a destra, dall’altra parte della strada un’enorme roccia ci sovrasta. Osserviamo dei puntini che si muovono verso l’altro, in realtà sono degli atleti che praticano il Free Climb. Rimaniamo un po’ incantati ad ammirarli, mentre siamo baciati dal sole e l’autista del pullman ci richiama per risalire. Percorriamo ancora pochi chilometri per fermarci dopo una curva in una piazzola d’osservazione dalla quale si ha un ampia veduta sull’ampiezza del parco. Alcuni leggii ospitano delle tavole scritte sulle quali è descritto quello che possiamo vedere davanti a noi. Le rocce cambiano gradualmente colore, mentre nelle vallate vi si incuneano i boschi di conifere. Ripartiamo nuovamente per andare a vedere una delle parti più interessanti del parco. Questa volta il tratto di strada che percorriamo è lungo alcune decine di chilometri, ma lo facciamo piacevolmente all’ombra della gigantesca vegetazione che ci protegge dal sole che ormai è diventato cocente per quanto percepiamo da dietro i vetri in occasione di qualche spiraglio di luce solare. Ad un certo punto il pullman volta a destra e poco dopo si ferma perché siamo arrivati a Crane Flat, abbiamo un appuntamento con gli alberi più alti del mondo. Iniziamo a percorrere a piedi una comoda strada in discesa e iniziamo ad intravedere le prime sequoie alte alcune decine di metri. Qui tutto è grande e quasi non ci accorgiamo di quanto siamo piccoli rispetto a queste piante e mentre la discesa continua, troviamo una sequoia che diventa per noi una protagonista. Nella parte superiore sono state sistemate delle pedane in legno sulla quale le persone si possono sistemare per fare delle foto di gruppo. Ma le foto più impressionanti sono quelle scattate alle persone singole perché solo in questo caso è possibile percepire la loro piccolezza rispetto alla pianta. Alziamo gli occhi al cielo e non siamo capaci di quantificare l’altezza di questa pianta che potrebbe misurare anche più di cento metri. A turno scattiamo le nostre foto, anche alle sequoie vicine pur se non sono così grandi e non avendo le stesse caratteristiche della precedente. La strada continua fino ad incontrare una sequoia entro la quale è stata scavata la strada. Purtroppo nel passato un fulmine l’ha colpita e rotta ad una certa altezza portandola alla morte. Con il tempo il suo interno è diventato cavo ma la sensazione che si prova passandoci dentro è molto particolare. Andando più avanti troviamo una sequoia sdraiata. Queste piante hanno un apparato radicale molto vasto, ma poco profondo. Se il terreno su cui vivono è sottoposto a smottamento, le radici possono perdere aderenza e se non controbilanciate possono cadere com’è successo a questa. Col tempo e senza nutrimento all’interno si cava. È veramente emozionante camminarci all’interno fino a riuscire ad un certo punto da un alto e che emozione salirvi sopra per farci ritrarre in una vera foto e non in un fotomontaggio. Convergiamo di nuovo alla più grande delle sequoie già vista in precedenza per vedere adesso in quante persone riusciamo ad abbracciarla: senza allargare troppo le braccia facciamo questo in ventitre persone. Ricominciamo la salita di ritorno facendo però nel primo tratto una strada differente per gustare un paesaggio diverso e ammirare altre sequoie da angolazioni differenti. Uno spettacolo del genere oltre ad essere più unico che raro, ci lascerà senza dubbio un ricordo indelebile nei nostri occhi e pensieri. Risaliti sul pullman continuiamo il percorso verso ovest sulla “120” fino al bivio della “140”. Continuiamo a scendere ed ogni tanto qualche spiraglio tra la fitta foresta ci permette di spaziare con i nostri occhi sulla vallata sottostante. Siamo ormai nella vallata e continuiamo su questa strada che viaggia adesso a senso unico. Facciamo la prima sosta nella Yosemite Valley, sul lato di una strada a quattro corsie, due dedicate alla sosta e due allo scorrimento. Siamo fermi davanti ad un bosco sovrastato da irte pareti rocciose per alcune centinaia di metri. Nella parte più profonda di questa ultima, una cascata a tutta altezza con un salto unico forma una nuvola d’acqua simile al velo della sposa o la coda di cavallo, non ha caso la chiamano con questi nomi. Dalla parte opposta osserviamo una roccia dalle dimensioni incredibili per un altezza di 1.100 metri quasi in verticale. Si chiama “El Capitano” ed è meta dei più appassionati rocciatori di Free Climb. Mi assicurano che un rocciatore esperto impieghi due giorni per salire e che la notte intermedia la passa dormendo attaccato in parete. Non avendo con me un binocolo o una macchina fotografica con un teleobiettivo non riesco a vedere coloro che in questo momento si stanno cimentando nell’impresa. Proseguiamo con il pullman fino ad un certo punto della strada perché oltre un certo limite, la circolazione è interdetta ai mezzi privati. Lasciato così il pullman al parcheggio continuiamo con un altro rigorosamente elettrico, silenzioso e non inquinante. Il giro che facciamo ci permette di osservare il piccolo fiume che spacca la vallata in due e i campeggi sorti intorno. Gli unici rumori qui, sono quelli prodotti dalla natura. Arriviamo al Visitor Center dove possiamo acquistare quello che ci serve per ricordare meglio questo bellissimo luogo. La cosa che in questo momento ci preme di più è mangiare. Ci arrangiamo con un panino che per le sue dimensioni mi ricorda tanto le sequoie. Qui è tutto molto grande. Una passeggiata in mezzo a questo verde e persone che amano la natura ci fa sentire bene e tranquilli. Sono molti gli scorci che si aprono tra gli alberi e uno di questi ci permette di apprezzare il portentoso salto della terza cascata al mondo per altezza: la Yosemite Fall per i suoi 939 metri di salti complessivi. La portata non è elevata, ma l’effetto è ugualmente notevole. Il pomeriggio è ormai inoltrato e i chilometri che ci separano dall’albergo c’impongono di ripartire per uscire dal parco. Con la “140” dopo un paio d’ore arriviamo alla cittadina di Merced che si chiama come l’omonimo fiume che l’attraversa. Non ci sembra una città che dica qualcosa di particolare così che per noi è solo un luogo di passaggio per la tappa di domani. Occupiamo le camere del Vagabond Inn che come il precedente ha l’accesso agli alloggi dall’esterno. Dopo una doccia ceniamo nel ristorante di fianco all’albergo. La serata finisce piacevolmente, mentre ci raccontiamo le belle cose viste durante la giornata. 7° giorno: Merced – San Francisco Dopo colazione il nostro pullman parte felicemente in direzione ovest sulla “140” in direzione d’Okland. Attraversiamo alcune vallate con la “5” che successivamente diventa la “580” per ammirare centinaia di pale eoliche che trasformano in energia tutto il vento che giunge dalla baia parallela all’Oceano Pacifico. Oggi c’è un traffico inusuale per la domenica. C’incolonniamo per attraversare il San Francisco – Okland Bridge, il ponte che attraversa la baia e unisce tra di loro le due città. Il ponte è a cinque corsie e a due livelli. Noi percorriamo in direzione di San Francisco la corsia superiore, mentre coloro che viaggiano verso Okland ci passano sotto, al piano inferiore. Questa soluzione architettonica ricorrente in molti ponti americani, permette di sfruttare al meglio l’altezza delle travi reticolari laterali del ponte stesso. Una volta superato l’ultimo isolotto chiamato Yerba Buena Island, si apre a noi sulla destra l’ampio skyland della città con i suoi grattacieli, i suoi palazzi più antichi e bassi incorniciati lungo il mare dall’alternarsi dei vari moli, una volta molto più utilizzati da tutte le navi che attraccavano a questo vecchio e importante porto, trampolino per l’Asia. Appena finito il ponte, costeggiamo la baia lungo l’Embarcadero fino al molo o Pier 39 per vedere come è stato trasformato in un attraente centro commerciale, capace di offrire al turista tutto ciò che gli può allietare la permanenza in questa multietnica città capace perfino di ospitare, nelle sue prospicienti acque alcuni leoni marini. Lasciato il molo, dopo alcune centinaia di metri ci troviamo davanti al Fisherman’s Grotto all’altezza del Pier 45 per il pranzo. La specialità della casa è la polpa di granchio che viene servita all’interno di una rosetta svuotata dall’alto della sua mollica, riscaldata e riempita di polpa di granchio e del suo brodino. La rosetta serve praticamente da scodella. I più affamati possono tranquillamente mangiarla perché insaporita con il brodino dei granchi di notevoli dimensioni cucinati alla nostra vista. Facciamo una breve sosta ai bordi della Lafayette Square. Da questa parte della città si può avere un bel colpo d’occhio di una parte della città con i primo piano le tipiche case coloniali in legno. Risaliamo sul pullman per attraversare la città e durante il percorso, l’autista ci dice che oggi in città c’è il Gay Pride e che tutti coloro che lo sostengono, hanno esposta fuori dalla loro casa la bandiera dell’arcobaleno. Proseguiamo verso sud sulla “101”, raggiungiamo i monti di Twin Peaks, resi famosi al mondo per una famosa serie televisiva. Questo straordinario punto panoramica ci permette di spaziare a 270° dalla baia fino all’oceano e vedere per tutta la sua estensione, la grandezza di San Francisco. Un po’ di foschia non ci permette di avere contorni nitidi ma alcuni dettagli come i ponti o la terraferma oltre la baia ci fanno apprezzare la salita a questo punto panoramico. Riprendiamo il pullman per attraversare il Golden Gate Park ovest della città dove tranquilli bisonti pascolano all’interno del loro recinto. Dopo,riprendiamo la “1” in direzione nord e attraversiamo l’abbandonata area residenziale del Presidio. Quest’area era densamente abitata fino al disgelo della guerra fredda dai militari che lavoravano presso le basi militari, avamposto del pacifico verso l’Unione Sovietica. Adesso le erbacce nascondono la bellezza e la riservatezza di queste splendide ville o piccoli condomini. Ci fermiamo davanti ad una delle più grandi opere d’ingegneria del mondo: il Golden Gate che con i suoi 1.860 metri di lunghezza e 86 d’altezza per il passaggio delle navi e una lunghezza complessiva di tre chilometri e mezzo si presenta come uno dei ponti più grandi del mondo. Li per lì, il tutto non sembra così grande ma quando riguardiamo una foto scattata davanti a questo monumento dell’ingegneria mondiale costruito a metà degli anni trenta, allora percepiamo l’esatta proporzione esistente fra le persone e la struttura, specialmente con il vicino pilone alto 210 metri. Dopo i primi minuti di smarrimento contemplativo passiamo alla scatto delle foto di rito con quello o quell’altro amico del gruppo. Saliamo adesso sul ponte e percorriamo alcune centinaia di metri in direzione di Sausalito. Non è nelle nostre intenzioni attraversarlo a piedi ma solo di percepire l’altezza del piano d’attraversamento rispetto al livello del mare. C’è un tale vento, che qui non manca quasi mai, che le bandiere americane mostrano per intero le loro stelle e strisce. Essendo passate le tre del pomeriggio possiamo dirigerci verso l’hotel Renoir sulla Market Street anche se l’accesso è da una traversa. L’albergo è orribile, ma in questa città con il tipo di clientela che c’è per avere qualcosa che si confà ai nostri standard, o dobbiamo prenotare almeno un anno prima o comunque pagare delle somme un po’ più elevate del solito. Non dobbiamo dimenticare poi che durante questo fine settimana nella città si svolge il Gay Pride e un’importante incontro di calcio dei campionati mondiali di calcio in corso. Quando avevamo fatto a suo tempo le nostre prenotazioni non avevamo calcolato questo. Per non vedere la camera più di tanto, dopo che abbiamo lasciato i bagagli, usciamo nuovamente e come gruppo risaliamo in pullman che avremo per tutta la sera perché domattina tornerà a Los Angeles. Torniamo nella parte più centrale della città per una passeggiata attraverso i più alti grattacieli, le piazze e le hall degli alberghi più spettacolari come l’Hyatt. Ceniamo in una conveniente steak house in Powell Street mangiando una sostanziosa bistecca accompagnata da una bella patata calda aperta in due dove si scioglie una noce di burro e da una gustosa insalata per la modica cifra di 12 dollari.

Una passeggiata non basta per smaltire tutto quello che abbiamo mangiato. Ritornati all’autobus l’autista ci porta nell’isolotto di Yerba Buena Island attraverso il ponte che abbiamo percorso questa mattina mentre venivamo da Okland. Da qui possiamo ammirare San Francisco di notte e lo stesso potremo fare al ritorno mentre percorriamo il ponte che viaggia ad una quota più elevata. Mentre siamo su quest’isolotto la presenza di alcuni telefoni pubblici inducono alcuni del gruppo a telefonare a casa. Quasi tutti erano risaliti sul pullman quando alla fine vediamo arrivare Giuseppe con lsua moglie e la figlia che stavano piangendo. Durante la telefonata Giuseppe è stato avvertito che sua mamma dopo otto anni in un letto di malattia si era addormentata nella morte quel pomeriggio stesso. Mentre in un primo momento ha pensato di partire subito la mattina dopo per tornare in Italia, il calcolo dei tempi l’hanno aiutato a capire che non sarebbe comunque arrivato a tempo per il funerale già stabilito. La nostra compagnia potrà essere per lui e la sua famiglia fonte di conforto. Torniamo tristi in albergo per la notte. 8° giorno: San Francisco Usciamo dall’albergo sulla Market Street per sederci in un luogo dove consumare una tranquilla colazione. Proseguiamo poi di alcune centinaia di metri fino all’incrocio di Powell Street dove comprendiamo dalla fila quanto dovremo aspettare prima di uscire a salire sul Cable Car. Si, stiamo vedendo uno dei simboli della città: il tram che si arrampica sulle irte strade di San Francisco con i passeggeri spesso sporgenti dalle predelle d’accesso. Essere in fila significa che abbiamo il tempo per scattare delle foto per scambiare delle impressioni con gli amici del gruppo. A cadenza regolare arrivano questi mezzi che lì, nel punto dove li attendiamo ci fanno vivere uno spettacolo inconsueto. Il tram scende la strada sul suo lato destro ma arrivando al capolinea non ha un sufficiente raggio di curvatura per tornare indietro. Per questa ragione il mezzo sale su una pedana circolare con struttura di ferro e pavimentata in legno. I due tranvieri scendono dal mezzo e con la sola forza delle loro schiena fanno ruotare la pedana perché il tram possa ruotare a sufficienza per invertire il senso di marcia. Finalmente arriva il nostro turno per percorrere la strada che ci porterà dall’altra parte della baia dove c’eravamo fermati già ieri. Già stare sopra questo mezzo è uno spettacolo, farlo poi in mezzo ad una simile architettura con scorci che si rinnovano e diversificano ad ogni incrocio, rende la visita di questa città un’esperienza unica. Quelle immagini che spesso abbiamo visto mediante pellicole cinematografiche o televisive, adesso le stiamo riprendendo direttamente con i nostri occhi per imprimerle indelebilmente nella nostra mente. La prima parte del percorso è in salita e la seconda in discesa. La discesa la viviamo in Hyde Street. Una delle fermate è effettuata nella parte più alta di Lombard Street da dove si possono cogliere dei colpi d’occhio meravigliosi: da un lato verso la Coit Tower e dall’altra verso l’isoletta d’Alcatraz, ex carcere di massima sicurezza diventato famoso in tutto il mondo per le gesta di Papillon. Oggi purtroppo la giornata è un po’ nuvolosa e abbastanza ventosa. Scesi dal tram camminiamo verso l’Embarcadero per visitare con più calma il Pier 39 e tutte le sue attrazioni e per riuscire anche ad acquistare alcuni ricordi. Per pochi dollari compriamo delle stampe in bianco in nero, disegni che ritraggono: uno la Lombard Street vista dal basso verso l’alto e l’altro il Cable Car che percorre Hydes Street con l’isola di Alcatraz sullo sfondo. Due simili rappresentazioni nel soggiorno di casa nostra ci ravviveranno il ricordo di questo viaggio. In fondo al Pier 39 si possono scattare delle foto con l’isola di Alcatraz alle spalle. Dopo aver mangiato uno spuntino dettato più dal desiderio di soddisfare l’occhio, iniziamo il nostro girovagare tra le strade della città. Percorriamo la Taylor Street fino ad incrociare la Columbus Avenue che forma una specie di spartiacque tra le due colline. Da quest’incrocio famoso è possibile fotografare tra l’altro un altro simbolo della città, il grattacielo a forma di piramide. Meno male che il vento ha spazzato via le nuvole così che i colori della città possiamo apprezzarli di più, specialmente adesso che ci stiamo trasferendo lungo la Lombard Street. I colori pastello delle costruzioni prospicienti, il verde degli alberelli e delle siepi, l’armonioso abbinamento dei cespugli fioriti rende questo tratto di strada unico al mondo. Come si divertono gli automobilisti a scendere lentamente la strada danzando armoniosamente tra un tornante e l’altro! Non possiamo fare a meno di immortalarci in questo luogo e percorrerne le parti apparentemente più nascoste. Mentre camminiamo tra una strada e l’altra, un negozietto e l’altro incontriamo alcuni italiani. Sono a San Francisco per i mondiali di calcio, anche se la nazionale italiana gioca in altri stadi. Le due persone che riconosciamo sono il signor Pairetto, arbitro internazionale e uno dei suoi assistenti, il signor Ramicone il quale ci dice che nella serata arbitreranno un’importante partita di calcio. Diversi del gruppo sono stanchi e alcuni hanno la necessità di riposare, le salite della città hanno stroncato le gambe dei meno allenati. Prendiamo un taxi che ci riporta in albergo. Dopo un piccolo riposino, usciamo di nuovo camminando sulla Market street nella direzione opposta rispetto al mattino. Osserviamo l’imponente City Hall, ma siamo particolarmente attratti dai negozi di Ross dove possiamo trovare dei capi di abbigliamento a prezzi veramente convenienti. Ci ritroviamo tutti per la cena e poi in hotel perché domani voleremo su New York. 9° giorno: San Francisco – New York Poco dopo le sette del mattino, un pullman viene a prelevarci per trasferirci all’aeroporto. Arriviamo al terminal della Delta e dopo le normali procedure d’imbarco saliamo sull’aeromobile che ci porterà a destinazione. Dobbiamo mettere in conto per il viaggio quasi sei ore di volo, dobbiamo aggiungerne poi tre di fuso orario: praticamente passiamo l’intera giornata in volo. Una volta arrivati all’aeroporto JFK di New York, un pullman ci trasferisce sulla 45 street all’hotel Roosevelt. La posizione rispetto alla città è ottima, anche se una grande confusione ci disorienta un po’ perché in questo albergo c’è una folta delegazione del Gay Pride che si è spostata a NY. Dopo esserci sistemati in camera non possiamo fare a meno di ritrovarci in strada per immetterci tra le illuminate e tiepide strade della città per la cena ed una passeggiata.

10° giorno: New York La prima colazione la consumiamo in un locale quasi adiacente all’albergo. Appena siamo tutti pronti scendiamo nel mondo sotterraneo della metropolitana di New York. Meno male che il grosso flusso dei pendolari che la usano per andare a lavoro è quasi finito e questo ci permette di viaggiare non solo non pigiati come sardine ma addirittura trovare qualche posto per sederci. Ci fermiamo alla fermata di Wall street e continuiamo fino alla punta estrema di Manhattan. Da qui possiamo vedere la statua della Libertà e immaginare gli italiani che nel passato nei tempi dell’emigrazione arrivavano con la nave in questo luogo, in particolare ad Ellis Island. Il monumento acqueo che più ci colpisce è quello ai cadute nelle battaglie navali. Crea una gran suggestione e realismo. Torniamo indietro passando da Wall street e dal WTC per poi deviare verso il Pier 17 da dove è possibile ammirare il nuovo skyland di Brooklyn dopo che lo hanno ripulito dai molteplici cartelloni pubblicitari. Ci hanno raccontato com’è andata la storia di questo cambiamento. Guardando da Manhattan verso Brooklyn, dall’omonimo ponte verso il ponte Giovanni da Verrazzano c’era una disordinata selva di cartelloni pubblicitari. L’origine del malcontento sembra sia partita da una forma d’intolleranza verso i Testimoni di Geova che accanto al ponte hanno la loro sede mondiale. Sopra quest’edificio c’è la scritta: Watchtower. Era soprattutto questa scritta che i manifestanti volevano fosse tolta. Dopo molti dibattiti, il comune di New York emise la decisione finale. Tutte le scritte pubblicitarie dovevano essere tolte perché deturpatrici del paesaggio ma non la scritta Watchtower perché estremamente significativa per questa parte della città e perché nel complesso della scritta fa parte uno dei pochi orologi e termometri della città che informa dei gradi non solo Fahrenheit ma anche centigradi ai quali sono abituati i turisti europei. Cento anni fa questa veduta era arricchita dalle navi ancorate ai moli, ma oggi sotto questo profilo questa parte della città non presenta più un’attività fervente come allora. Tornando al ponte non possiamo che meravigliarci dinnanzi ad un’opera tecnicamente all’avanguardia e costruita quasi un secolo e mezzo fa. Passiamo dal quartiere cinese per vedere se fare qualche acquisto conveniente. Poi con la metropolitana torniamo verso l’albergo. Visitiamo il Tramp Building e l’edificio adiacente con il suo tetto trasparente e di lì in poi, zigzagando tra un’avenue e una street giungiamo all’ora del tramonto e della cena. Prima di tornare in albergo, una passeggiata al Rockefeller Center e Times Square ci permette di percepire la vitalità di questi luoghi incastrati con il distretto dei teatri.

11° giorno: New York La prima cosa che facciamo dopo colazione è la foto di gruppo che gentilmente un inserviente del luogo si presta a farci. La foto è resa simpatica, oltre che dal ricordo dal fatto che una persona del gruppo non voleva essere ritratta. Si era spostata di circa cinque metri da un lato, ma lo zelante fotografo ha incluso anche lei. Peccato che per questo motivo, noi siamo venuti leggermente più piccoli, ma almeno sappiamo perchè. Camminiamo per rivedere il Rockefeller Center e Times Square di giorno dato che non fanno lo stesso effetto che di notte. Lungo la Broadway arriviamo fino alla trentaquattresima street per fare una breve visita ai grandi magazzini Mecy’s prima di salire con gli appositi ascensori sull’Empire State Building. La fila per salire non è eccessiva e dopo circa venti minuti riusciamo a prendere l’ascensore che con una spinta impressionante ci fa salire lo stomaco in gola quando parte e ci schiaccia gli intestini in basso quando arriva all’80° piano per il cambio d’ascensore che ci permette l’accesso alla terrazza panoramica. Lo spettacolo è unico. Più particolari conosciamo della città, più li possiamo associare informazioni a fatti e luoghi. Per quanto un aereo in atterraggio offra dal finestrino uno spettacolo entusiasmante, l’osservazione da una torre del genere dona delle emozioni ancora maggiori. Il resto del pomeriggio lo passiamo andando a trovare degli amici che abitano a Brooklyn. La sera prima di tornare in albergo ci fa piacere rivedere di notte il Rockefeller Center e Times Square che distano poco fra loro e sono di strada per il ritorno.

12° giorno: New York Dopo colazione prendiamo vicino all’albergo la metropolitana che ci porta fino al WTC. Da lì possiamo prendere il Path Trein per arrivare nello stato del New Jersey alla fermata di Journal Square. Lì accanto abbiamo prenotato una visita guidata in italiano allo “Stanley Theatre”. Questo locale ha rischiato la demolizione se non veniva acquistato per farne una sala dei congressi con 4.500 posti complessivi. È stato completamente ristrutturato in un tempo record di 10 mesi e riportato all’antico splendore con i suoi marmi originali, ottoni e lampadari di cristallo nell’hall. Il salone principale riporta ai lati le facciate dei palazzi veneziani in tridimensionale, il palco rappresenta la volta del ponte del Rialto e il soffitto intonacato accoglie al buio un cielo stellato e la proiezione di nuvole da una parte all’altro della sala, il fascino romanticamente europeo di un edificio riportato alla sua piena funzionalità. Appena finita la visita riprendiamo il Path Trein che ci riporta al WTC. Dopo un’altra breve passeggiata per rivedere questa parte finanziaria della città, con la metropolitana arriviamo nei pressi del Central Park. Passeggiamo sul bordo piccolo per poi zigzagare di nuovo tra le vie del distretto dei teatri e vedere per l’ultima sera il Rockefeller Center e Times Square di notte.

13° giorno: New York – volo per l’Europa Dormiamo con comodo finché il pullman non ci viene a prendere per il transfert all’aeroporto JFK. Gentilmente l’autista percorre una strada leggermente più lunga per farci vedere da fuori alcune cose che non abbiamo ancora visto. Passa davanti al Palazzo delle Nazioni Unite e risalendo East River fino ad Harlem. Tornando indietro passa lungo il Central Park, dandoci così la possibilità di vedere da fuori il Solomon R. Guggenheim Museum progettato dal famoso architetto Frank Lloyd Wright e il Metropolitan Museum of Art. Dopo aver attraversato il Queensboro Bridge attraversiamo il Queens per arrivare all’aerostazione della Delta al JFK Airport per la partenza. Secondo l’orario prestabilito ci salutiamo con gli amici di Milano e saliamo in volo per la cena e il pernottamento.

14° giorno: Italia Il volo arriva puntuale nella mattinata sia a Roma che a Milano. Arriviamo a casa, abbastanza stanchi per una bella dormita così domani possiamo tornare al lavoro. Mentre non riusciamo ad addormentarci subito, le scene di quel viaggio che per la prima volta mi ha portato in America ripassano davanti ai miei occhi. Il bel ricordo lasciato, non mi fa escludere che un giorno ci tornerò.



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