Wild and Wonderful West! Indian Lands on the road

Un racconto di viaggio. Il grande Ovest, la frontiera, il Far West, il mito americano per eccellenza. I luoghi delle incredibili scenografie dei film americani: “Ombre Rosse”, “Butch Cassidy”, “Indiana Jones”, “Thelma & Louise”; la sensazione di dejà-vu lungo tutto il viaggio attraverso la California, il Nevada, l’Utah, il...
Scritto da: Ritaud
wild and wonderful west! indian lands on the road
Partenza il: 25/07/2007
Ritorno il: 17/08/2007
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
Un racconto di viaggio. Il grande Ovest, la frontiera, il Far West, il mito americano per eccellenza. I luoghi delle incredibili scenografie dei film americani: “Ombre Rosse”, “Butch Cassidy”, “Indiana Jones”, “Thelma & Louise”; la sensazione di dejà-vu lungo tutto il viaggio attraverso la California, il Nevada, l’Utah, il Colorado, l’Arizona ed il New Mexico! Periodo del viaggio: luglio ed agosto 2007 24 giorni di viaggio 6005 km. Percorsi 6 stati USA attraversati 1852 foto scattate 7 ore video girate 17 rifornimenti di carburante 161,47 galloni totali 481,33 $ spesi per il carburante pari a € 350 2,659 costo più basso del carburante a gallone 3,999 costo più alto del carburante a gallone 19 alberghi in cui abbiamo pernottato 239,79 $ costo più alto a camera 61,07 $ costo più basso a camera

Il 2007 è un anno importante; ho compiuto 40 anni e festeggiamo 10 anni di matrimonio. Da qui è nata l’idea di regalarmi/ci un viaggio. Meta gli States, e più precisamente i grandi parchi americani. E’ così iniziata una frenetica ricerca e consultazione di cataloghi, ore ed ore in internet per trovare più informazioni possibili, consigli e tutto ciò che poteva essermi utile per organizzare il viaggio; per decidere un itinerario che fosse il migliore per i giorni di ferie disponibili…Alla fine ho deciso che lo averi organizzato completamente da sola sia per un motivo economico (i viaggi proposti dalle agenzie avevano costi astronomici) sia perché essendoci Luca e Davide, desideravo fare il viaggio un po’ più “tranquillamente”; anche se alla fine è stato ugualmente estenuante… Non oso pensare cosa sarebbe stato questo viaggio fatto in 15gg come proposto dalle agenzie!!! Così dopo mesi di lavoro finalmente è arrivato il giorno della partenza.

25 luglio Venezia – San Francisco ore di viaggio: 14h 22 min miglia percorse: 6038 Sono le 7:31 di mattina ed io e Carlo partiamo da casa dopo aver caricato tutto; ci dirigiamo verso Bilione per prendere Davide e Luca che in questi giorni sicuramente hanno fatto impazzire i nonni! Il viaggio è lungo e sinceramente sono un po’ preoccupata perché non so come reagiranno i bambini al volo; al loro primo volo! Spero che le valigie arrivino tutte a destino! Essendo un viaggio nel quale si cambierà albergo quasi ogni notte, ho cercato di ridurre al massimo le cose da portare e mi auguro di non aver dimenticato nulla!! Nonostante questo abbiamo molte valigie ed il bagagliaio della macchina è pieno. Poco prima di mezzogiorno siamo al check-in della Lufthansa, le valigie per fortuna superano il controllo del peso. Solo quelle a mano risultano leggermente sopra, ma siamo passati ugualmente senza alcun problema.

Ora siamo pronti…Le valigie sono partire… Mi sono fatta mettere il timbro sul materiale fotografico che ho con me nel bagaglio a mano (praticamente una valigia è dedicata solo a quello – 2 macchine fotografiche, la telecamera, il binocolo) Il nostro aereo parte dal gate 13; manca poco più di mezz’ora. Davide e Luca stanno giocando a UNO… un paio di foto… una piccola ripresa con la telecamera. IN FERIE! Siamo in FERIE FINALMENTE!! Il volo della United Airlines 9066 è decollato in orario alle 14.30 e siamo arrivati a Francoforte alle 16:00. Il volo è stato tranquillo, i bambini tutti emozionati e felici. Scendiamo e cominciamo a camminare anzi direi correre sui lunghi tapis roulant che ci portano al gate di imbarco per il volo su San Francisco. Solo a leggere il nome quasi non ci sembra vero. Abbiamo solo un’ora e mezza e sinceramente ci dobbiamo sbrigare. Un bambino a testa, zainetti e bagaglio a mano trafelati arriviamo al gate ed affrontiamo per la prima volta l’immigrazione americana!!! Un’unica parola… “disorganizzati”; in ogni caso dopo mille controlli ce l’abbiamo fatta e siamo sul bus che ci porterà all’aereo.

L’aereo è grande. I bambini sono felicissimi dopo che hanno scoperto che ognuno di loro avrà la propria tv e potrà guardare il proprio film preferito. Anche questo volo è in orario alle 17:25 decolla come da programma. Ci aspettano 11 ore e 27 minuti di viaggio! Sarà un lungo, lungo viaggio.

Ci hanno dato un cuscino ed una coperta (utilissimi). Per cena abbiamo preso il pollo; non è male. Sarà la fame o il fatto che mangiando passa il tempo… In ogni caso tutti e quattro apprezziamo il menù. Undici ore però sono interminabili: mi si intorpidiscono le gambe, mi viene il torcicollo per l´aria condizionata, i seggiolini sono scomodi. Proviamo a dormire. Carlo e Luca sono quelli che riescono meglio; Davide dopo mille peripezie finalmente ci riesce anche lui … Io … Beh… Nulla da fare! In ogni caso ho mille pensieri che mi frullano per la testa.

Osservo le informazioni sul monitors inerenti la rotta compiuta dal Boeing che macina chilometri a migliaia ad oltre 12 mila metri di quota; il sonno degli altri passeggeri scivola morbido sui fusi orari inesorabilmente scanditi dal tempo, mi ritorna in mente Italo Calvino che ha scritto: “Volare è il contrario del viaggio, attraverso una discontinuità dello spazio, sparisci nel vuoto, accetti di non essere in nessun luogo per una durata che è anch’essa una specie di vuoto nel tempo; poi riappari, in un luogo e in un momento senza rapporto col dove e col quando.” Sorvoliamo i ghiacci della Groenlandia… È fantastico! Sono riuscita a vedere qualche iceberg e le cime delle montagne innevate. Uno spettacolo! Il display ci informa che stiamo volando a 10668 mt, che fuori ci sono 54 gradi sotto lo zero, che mancano SOLO 3000 miglia e ci sono ancora 5 ore e 40 di viaggio.

Siamo arrivati negli United States of America e qui sono le 19.52! Sono emozionata, il mio sogno si avvera.

Andiamo a recuperare le valigie… E purtroppo scopriamo che una manca!!! Per fortuna è quella mia e di Carlo. Facciamo la denuncia, diamo i dati dell’albergo passiamo la dogana senza il minimo problema e ci apprestiamo ad andare a prendere la macchina.

Spero solo che la valigia arrivi sarebbe veramente un bel problema in caso contrario! Prendiamo un trenino per andare al noleggio dell’auto che avevo prenotato dall’Italia via internet. Anche qui, quasi mi prende un colpo! L’impiegato della Dollar mi dice che abbiamo prenotato un piccolo SUV e mi chiede se vogliamo cambiare tipo di auto (naturalmente con un sovrapprezzo) … Lo guardo e gli dico che io NON ho prenotato un PICCOLO SUV! Prendo la conferma della prenotazione e gli faccio vedere che l’auto che avevamo scelto era una Jeep Grand Cherokee. Lui mi conferma che il PICCOLO SUV è quello!!!! Ben presto ci rendiamo conto che negli States oltre alle unità di misura sono diverse anche le dimensioni!!! E’ tutto grande, enorme, spazioso insomma BIG. Quella che per noi sembrava enorme, sulla strada si è rivelata una comunissima e piccola macchina americana. Carichiamo le valigie, prendiamo l’auto e ci troviamo catapultati nel traffico di SFO. Non ci mettiamo molto ad arrivare al Grosvenor Hotel. Le informazione trovate in internet sul percorso da fare ci sono state utili ed abbiamo raggiunto l’hotel abbastanza facilmente. Qui per fortuna nessuna sorpresa. La camera è grande ci sono due letti matrimoniali un divano, un grande tavolo rotondo, il bagno due stanze per le valigie e la cucina completa; non dico che è grande come casa nostra, ma poco ci manca. Siamo tutti stanchi morti, facciamo solo una telefonata a casa per avvisare che è tutto ok ed andiamo a nanna.

26 luglio San Francisco Ci svegliamo prestissimo tutti quanti a causa del fuso orario qui ci sono meno 9 ore rispetto all’Italia. Questo però è a nostro vantaggio perché ci permette di fare colazione, lavarci ed essere pronti presto per visitare la città.

Rimaniamo un po’ delusi dal tempo, c’è una nebbia alta che ricopre tutte le punte dei grattacieli che sembrano le vette alpine perse fra le nuvole. Nonostante questo siamo euforici di partire. Scopriamo ben presto che è freddo, è MOLTO freddo. Alle 8 di mattina qui ci sono solo 10°. Per i ragazzi non ci sono problemi, la loro valigia è arrivata, ma per me e Carlo è un’altra faccenda. Speriamo di trovarla al nostro rientro in serata in albergo.

Armati della guida, di una cartina,della mia tabella di marcia, e dell’inseparabile macchina fotografica, ci mettiamo in cammino per i saliscendi delle strade di San Francisco, effettivamente è come andare su e giù per le montagne russe. Già le strade, sono proprio le caratteristiche dritte e ripide strade che si vedono nei film.

Ci rendiamo subito conto che la parola o il saluto che qui in America un cameriere o un passante ti rivolge in strada o su di un autobus è indubbiamente un gesto che sorge tra i più sinceri e spontanei e non per cortesia o necessità. Il “How are you today?” ci lascia un po’ interdetti e non ci abbandonerà sino al termine del viaggio… scopriamo che gli americani chiacchierano volentieri con gli estranei.

Questa mattina ci aspetta una visita generale della città. L’albergo è in Pine Street a Nob Hill, quartiere splendido dove storicamente vivevano i baroni della finanza e delle ferrovie Leland Stanford. Da qui è possibile muoverci a piedi o con i mezzi pubblici con estrema facilità. Ci buttiamo subito nel cuore di San Francisco iniziando la visita Union Square, dove si trovano molti dei più forniti grandi magazzini di San Francisco, tra cui Macy’s, Sacks Fith Avenue, per poi proseguire per Powell St, dove finiscono e cominciano le corse dei Cable Car, assolutamente da vedere la piattaforma girevole che viene utilizzata per riposizionare il Cable Car, infatti dopo la discesa di tutti i passeggeri, la carrozza viene spinta sulla piattaforma e fatta ruotare a mano dal controllore e dal manovratore. Visitiamo il Financial Discrit, molti grattacieli tra cui spicca il particolarissimo Transamerica Pyramid costruito nel 1972, che come suggerisce il nome è a forma di piramide (altezza 260 metri), di seguito ci addentriamo a Chinatown quartiere sempre vivace e chiassoso. Usciti da Chinatown ci ritroviamo a North Beach, quartiere italiano dove spiccano ristoranti e caffé, da notare che su tutti i pali della luce è dipinta la bandiera italiana! Stanchi torniamo in hotel sperando di trovare i nostri bagagli, ma purtroppo non c’erano…

27 luglio San Francisco Oggi mattina terminiamo la visita di Frisco a piedi, con il cable car non possiamo non vedere Lombard Street, soprannominata “la strada più tortuosa del mondo”. Fino al 1922 era una delle strade più ripide della città con una pendenza del 27%. Vennero poi costruiti gli 8 tornanti per agevolare la salita delle auto. Arriviamo a Fisherman’s Warf. Facciamo un giro per il molo ed arriviamo al Pier 39 dove andiamo a visitare l’acquario.

La tarda mattinata è dedicata al giro in traghetto sotto il famoso e bellissimo Golden Gate Bridge con il suo famoso colore arancione. Ha una lunghezza di 2 miglia ed una campata principale di 1280 mt. Collega San Francisco a Marin County. Il colore del ponte è definito “arancione internazionale” e mantenerlo così comporta il lavoro di una squadra di 25 operai che stendono 1000 galloni (3790 l) di colore alla settimana! Abbiamo patito molto freddo… Veramente molto in ogni caso è stata un’esperienza fantastica. Vedere la skyline di Frisco, passare sotto il ponte, e fare il giro di Alcatraz il famoso penitenziario. Al suo interno vi erano rinchiusi i più pericolosi malviventi d’America tipo Al Capone. Era considerata a prova di fuga…Si dice che alcuni prigionieri siano riusciti a scappare, ma non si è mai saputo se siano riusciti ad arrivare sulla terra ferma sani e salvi. Al rientro della navigazione nella baia possiamo ammirare i famosi Leoni Marini che si sono impossessati del molo. Nel tardo pomeriggio riprendiamo il mitico cable car e ci dirigiamo verso l’albergo dove ancora non è arrivata la valigia.

28 luglio San Francisco – Sonora miglia percorse: 134 Oggi siamo piuttosto preoccupati in quanto dobbiamo lasciare l’albergo, ma siamo ancora senza valigia. Chiedo a Carlo di andare alla reception dell’albergo e di telefonare alla compagnia area per sapere cosa fare. Nel frattempo preparo le colazioni, sistemo le cose nelle valigie… E SORPESA Carlo arriva con la valigia!! WOW non ci speravo proprio! Rincuorati andiamo a visitare il SFMOMA ovvero il museo di arte contemporanea. E’ un edificio particolarissimo e riconoscibilissimo dal cilindro tagliato a fetta di salame. Pranziamo al Yerba Buena Park e facciamo un’ultima camminata per i dintorni… prendiamo nuovamente il cable car ed ammiriamo nuovamente la città di San Francisco sapendo che di li ad un paio di ore avremmo dovuto dirle addio. Arriviamo in albergo in quanto dobbiamo prendere la macchina e partire per Sonora. La temperatura si fa sempre più alta man mano che lasciamo la città. Attraversiamo lande sconfinate bruciate dal sole e con pochissime case.

Non c’è più la città affascinante, ma solo piccoli paesini con case in legno, baracche, case mobili su ruote. Anche la gente è quella classica di periferia che tanti film ben illustrano: uomini, ma soprattutto donne, obesi e vestiti in maniera sciatta. Il viaggio è tranquillo ed arriviamo al Best & Western senza il minimo problema. L’albergo è pulitissimo ed anche qui abbiamo una cucina il bagno e ben due camere. La calura si fa sentire e molto volentieri facciamo un tuffo in piscina.

Questa sera affrontiamo per la prima volta la cucina americana. Le altre giornate avendo avuto la cucina completa con anche il gas abbiamo preferito cucinare da soli.

Ci rendiamo subito conto che per quanto riguarda il mangiare non sarà uno scherzo. Le porzioni sono enormi ma il loro mangiare… Beh… Diciamolo pure che non sono famosi per l’arte culinaria.

29 luglio Sonora – Fresno attraverso lo Yosemite miglia percorse: 167 Ancora una volta ci siamo svegliati presto e quindi alle 7 siamo già a fare colazione. Le dosi sono super… Praticamente un nostro pranzo, però si mangia bene. Toast con burro, marmellate, miele, latte, caffè, the. Iniziamo a fare i conti con l’inglese…Ops, l’americano! La “water” è praticamente un vater per non parlare dei galloni … Per Luca sono diventati “galline” eggià oggi abbiamo fatto colazione con una “gallina di the”. Partiamo poco prima delle otto tutti sazi e felici. Dal finestrino il paesaggio cambia. I terreni aridi lasciano il posto a coltivazioni di frutta: pesche, mele e sono vendute direttamente dagli agricoltori sulla strada. Ci fermiamo e facciamo un po’ di scorta di frutta e verdura.

Arriviamo allo Yosemite senza problemi e ci rendiamo conto che non aver preso il navigatore non sarà un problema. Le strade sono tutte ben segnalate e la cartina è più che sufficiente. All’ingresso del parco acquistiamo l’ “Annual Park Pass” per 80$ che ci permetterà di entrare in tutti i parchi ad eccezione di un paio senza alcuna spesa aggiuntiva. Al termine del viaggio s è rivelato una vera manna.

Lo Yosemite è enorme e stupendo! Prendiamo la strada che ci porta a Glacier Point, prevede un passaggio nel Tunnelview, un punto panoramico proprio prima del tunnel da cui si ammirano i picchi rocciosi conosciuti come El Capitan, Half Dome (così chiamato perché sembra una cupola tagliata a metà in senso verticale). Da qui indossiamo i nostri scarponi di montagna ed andiamo all’Inspiration Point… È un cammino di 3 miglia… 3 miglia di sudore, caldo e fatica. Ma ne valeva la pena. Il posto è bellissimo e si gode una magnifica vista sulla valle sottostante, non abbiamo trovato anima viva e sembra che la folla del fine settimana sia inesistente. Rientriamo e ci dirigiamo verso le Bridveil Falls che purtroppo non avevano un filo di acqua. Di nuovo in auto attraversiamo il parco diretti verso sud, lungo una strada tortuosa che però offre dei panorami mozzafiato. Abeti, abeti ed ancora abeti: snelli, alti, eleganti. Impressionante vedere le aree che hanno subito i danni di incendi più o meno recenti. Gli abeti sono spogli, grigi o neri, senza più chioma ma solo con rami secchi che si allungano verso il cielo, la maggior parte ancora in piedi, mentre sul terreno ai loro piedi la vegetazione ha cominciato a ricrescere.

In serata arriviamo a Fresno ed anche qui troviamo l’albergo senza problemi.

Come oramai di consueto ci sistemiamo in camera e poi un tuffo in piscina. Questa sera andiamo a cena da Denny uno degli innumerevoli fast food che si trovano ovunque. Debbo dire che è andata decisamente meglio rispetto a ieri.

30 luglio Fresno – Delano attraverso il Kings Canyon e Sequoia National Park miglia percorse: 268 Finalmente il jet leg comincia a passare: ci svegliamo che sono quasi le sette. Carichiamo le valigie in auto, facciamo colazione e prima delle 8 riusciamo a partire. Il sole è già alto e fa caldissimo, fortunatamente il King Canyon ci offre un po’ di fresco. Altrettanto bello dello Yosemite, ha il vantaggio di offrire ai visitatori che hanno la caparbietà di raggiungerlo (è fuori mano rispetto alle altre mete) il piacere della solitudine. All’ingresso del parco presentiamo il pass dell’ingresso. Iniziamo la visita con un giro della General Giant Grove, dove si trovano alcuni esemplari di altissime sequoie, fra cui la grandissima General Giant Tree. Stupefacente anche una sequoia caduta più di 100 anni fa (la Fallen Monarch Tree) che giace sdraiata, completamente cava all’interno ed in parte bruciata. Scoiattoli di ogni specie si aggirano ovunque, rincorrendosi fin sulle cime degli alberi. Di nuovo con l’auto ci addentriamo nel parco lungo una strada che scende nel Kings Canyon lunga 36 miglia di tornanti, superando Cedar Grove, un campeggio sino ad arrivare alla Roads End. La strada offre dei paesaggi magnifici, con pareti di roccia, fitte foreste di abeti, cascate (asciutte) ed il fiume che scorre in fondo al canyon più profondo degli Stati Uniti, con i suoi 2500 mt. Sembra che qui negli USA non sappiano a cosa serve il guardrail. Anche se le strade sono larghe per essere in montagna, ci lascia un po’ stupefatti la mancanza di protezione verso gli strapiombi. Decisamente il Kings Canyon mi è piaciuto più dello Yosemite: stessi paesaggi incantevoli, splendido fiume, sequoie gigantesche e soprattutto molta più quiete e tranquillità.

Al rientro decidiamo di farci un bel bagno nel fiume… Ora stiamo decisamente meglio e siamo pronti per il Sequoia National Park. La prima tappa è al famosissimo General Shermann Tree, una sequoia gigantesca che detiene il primato dell’essere vivente più grande del mondo. Le sequoie, infatti, hanno alcune caratteristiche che ne fanno veramente degli alberi unici: la loro corteccia resistente e ricca di tannino le rende pressoché immuni all’attacco di batteri, funghi e fuoco. Molte sequoie infatti mostrano evidenti segni di incendio, soprattutto alla base, dove il tronco annerito si spacca, ma basta che la linfa vitale arrivi dalle radici alle foglie, affinché la sequoia sopravviva. La loro peculiarità principale che fa sì che raggiungano dimensioni tanto eccezionali, è la loro crescita particolarmente rapida. Dal General Shermann Tree parte il percorso a piedi denominato Congress Trail, che si snoda per un paio di miglia all’interno della foresta delle sequoie, percorrendo il quale possiamo ammirare alcuni degli esemplari più belli, come il maestoso gruppo chiamato “The Senate” o il gigantesco “The President”. Passare sotto una sequoia sdraiata oramai morta e guardare le sue radici divelte che sembrano una testa di medusa è un incontro sensazionale. Ci aggiriamo ancora un po’ per questo straordinario parco ed alla fine, con malincuore, dobbiamo lasciare questi alberi fantastici. Sono degli alberi bellissimi, slanciati, eleganti, possenti, i tronchi con profonde venature che scavano la corteccia, è uno spettacolo che non lascia di certo indifferenti. Risaliamo in macchina e notiamo che abbiamo tutti un po’ il collo indolenzito a forza di guardare per aria! Prima di lasciare del tutto il parco, andiamo a visitare il museo delle sequoia dove raccontano la storia di questi alberi con dei filmati. Per la notte dobbiamo arrivare a Delano e questa sera per la prima volta abbiamo avuto difficoltà a trovare l’albergo. Delano praticamente è una cittadina dispersa nel nulla.

31 luglio Delano – Ridgecrest miglia percorse: 135 Oggi non abbiamo fatto molte ore di viaggio, praticamente siamo arrivati in meno di 3 ore. E’ stata però una tappa molto particolare.

Abbiamo attraversato la parte meridionale della Sierra Nevada attraverso una strada lunga ed interminabile lungo la quale abbiamo incrociato pochissime auto. I bimbi sono stati molto bravi e sono persino riusciti ad addormentarsi. Luca soprattutto ha dormito per tutto il tragitto di montagna che era piuttosto tortuosa con pendenze sino al 13%.

Il paesaggio ora è cambiato non si vedono più abeti o sequoia, lo sguardo si perde lungo infinite praterie di erba completamente gialla e rinsecchita dal sole cocente. Qua e la qualche albero sperso… impressionante e stupendo.

Una volta scollinato abbiamo attraversato una zona semidesertica dove abbiamo raggiunto i 39° ed abbiamo iniziato a rimpiangere il freddo di San Francisco (quasi). Sono scesa dall’auto per scattare un paio di foto… L’aria era irrespirabile un caldo secco con vento caldo, le montagne erano completamente prive di alberi solo sassi.

Si inizia a percepire il senso di “caldo” e di “deserto”. Arrivati a Ridgecrest troviamo una base militare e pensiamo bene di chiedere a loro informazioni per l’albergo… Risultato ci hanno fatto parcheggiare la macchina, e ci hanno chiesto i passaporti… Per cercarli abbiamo dovuto vuotare tutto il bagagliaio sotto il sole delle 14!! Finalmente siamo arrivati in albergo e ci siamo immediatamente tuffati in piscina per trovare un po’ di refrigerio. Anche alle 8 di sera qui ci sono 40°. Domani ci aspetta una giornata molto lunga ed impegnativa. Il programma prevede la Valle della Morte. Abbiamo così fatto provviste di acqua per tutti, Gatorade, acqua per il radiatore della macchina, il pieno alla macchina. In albergo ci hanno detto che se per le 8 la temperatura a Fournace Creek supera i 48° chiudono la strada. Ci informiamo sull’orario della colazione. Ceniamo in camera ed andiamo a letto presto con un po’ di apprensione per il giorno successivo. La sveglia è prevista per le 4,45 con partenza alle 5,30 1 agosto Ridgecrest – Pharump attraverso la Death Valley miglia percorse: 245 Mi sveglio presto alle 4,30 ci prepariamo in fretta, facciamo colazione e miracolosamente riusciamo a partire alle 5,15. Ottimo!! E’ ancora buio, il cielo sembra nuvoloso e ci sono già 29°.

In un paio di ore dovremmo raggiungere Fournace Creek.

Luca si addormenta quasi subito; Davide ci impiega un po’ di più, ma per fortuna tutti e due riescono a dormire un po’. Uscendo da Ridgecrest prendiamo la 155 che ci porterà dritti alla DV. Si esce dal paese e non c’è più nulla; solo lande sconfinate, al limite della desertificazione. La temperatura si alza, ci siamo solo noi e non incrociamo nessuna auto. Addentrarsi nella D.V. È impressionante; ovunque ci si giri c’è un paesaggio diverso con colori che variano dal rosso al giallo, al grigio, al nero. Ad un certo punto troviamo un piccolo spiazzo con del verde; è il Passaggio dell’Emigrante. E’ una valle stretta fra due montagne dove passa solo una piccola striscia di asfalto. Ci fermiamo e scendiamo. A parte noi non c’è nessuno. Tutto tace, il silenzio ci avvolge, si sente solo il vento. Scattiamo delle foto; Carlo fa un paio di riprese con la telecamera e ci rimettiamo in cammino. Dopo un paio di curve, in mezzo al nulla più assoluto, facciamo un incontro alquanto bizzarro con un povero asino impaurito. Si mette a correre avanti alla macchina e noi non riusciamo a sorpassarlo. Per fortuna poi la valle si allarga e la povera bestia impaurita riesce a spostarsi. Il caldo fuori dall’auto è infernale. La Highway non è altro che una fettuccia nera nel deserto, all’orizzonte nulla. Niente è paragonabile al caldo ed al paesaggio della Valle della Morte; in lontananza avvistiamo quello che sembra acqua – un miraggio – in realtà si tratta di distese di sale che poco dopo attraverseremo. Immaginare o descrivere il caldo della Death Valley è impossibile: solo l’esperienza diretta può rendere l’idea.

Verso le 8 siamo arrivati a Fournace Creek! Un posto surreale. Ci sono 41° l’aria è calda e scendere per fare un giro ci si ritrova completamente sudati. Sono contenta che avevo optato per un pernottamento prima della DV e non qui. Immagino sia veramente arduo dormire. A Fournace Creek c’è persino un campo da golf!! Questo si che è un miraggio. Ma come si fa a giocare a golf a queste temperature? Qui abbiamo incontrato un coyote che si aggirava in cerca di cibo. Rimontiamo in auto e ci avviamo verso Zabriskie Point. C’è un silenzio di pace inquietante ed un vento caldo che soffia. La vista è fantastica. Tantissime dune e picchi dai colori indescrivibili di giallo, grigio, rosso, viola, marrone, nero. I bambini restano impressionati da questa vista. Ritorniamo indietro un paio di chilometri e prendiamo la strada asfaltata verso Badwater, passando lungo la Artistic Drive, così chiamata perché le rocce che la delimitano sembrano dipinte da artisti: rosse, gialle, grigie, bianche e nere in un susseguirsi di colori e tonalità che è difficile credere siano opera della natura e non dell’uomo; restiamo praticamente a bocca aperta. Incrociamo un paio di auto, del resto fa già caldo ed agosto non è certo il mese ideale per visitare questa valle infernale.

Veramente stupefacente è il Devil Golf Corse (ovvero, il campo da golf del diavolo), un fondovalle completamente ricoperto di sale cristallizzato che forma piccole conche grigie e bianche. Il sale, per effetto del vento e dell’acqua che a volte bagna quest’area, cambia continuamente forma dando vita a nuove conformazioni. Se si rimane in silenzio, si sente anche lo scricchiolio del sale che si espande e contrae. Siamo soli, ci guardiamo intorno, facciamo qualche passo su questa strana conformazione.

Procediamo oltre fino ad arrivare a Badwater, il punto più basso della valle e di tutto l’emisfero occidentale (86 metri sotto il livello del mare). Anche qui si rimane senza parole. Nel niente più assoluto c’è acqua e vegetazione, vediamo persino qualche uccello. L’acqua è salata, da qui il nome Badwater (appunto perché non può essere bevuta) ma tutt’altro che velenosa. Solo un paio di pozze vicino al punto di osservazione sopravvivono alla siccità estiva; a volte, in seguito a forti piogge, si forma un lago temporaneo. Il paesaggio è ancora più incredibile. A volte sembra di non essere sulla terra ma su un altro pianeta. Camminiamo per qualche decina di metri sulla conformazione salina e nonostante i 42° e l’aria cada, l’idea di ritornare in auto non mi attira.

E’ nuvoloso, ma il riflesso su questa distesa salata è ugualmente fastidioso. E’ ora di risalire in auto e dirigerci in albergo. Il tragitto è ancora piuttosto lungo.

Lasciamo la Death Valley nel primissimo pomeriggio e dopo un paio di ore arriviamo a Pharump.

Il paese è veramente piccolo, ma soprattutto sperduto nel nulla. L’albergo è OK, i bambini sono contenti perché c’è la piscina e si catapultano immediatamente; io e Carlo ci riposiamo una mezz’oretta. Usciamo per andare a mangiare qualcosa e naturalmente entriamo in un casinò dove troviamo un buffet “all you can eat”. Sul momento non riusciamo bene a capire come funziona, una cameriera messicana si avvicina a Carlo pensandolo compaesano (tratta in inganno dalla scritta sulla maglietta) e ci dice di non preoccuparci di mangiare quello che desideravamo e quanto volevamo. Praticamente ci abbuffiamo tutti e quattro con soli 20$. E’ assurdo, ma sin’ora è anche il luogo dove abbiamo mangiato meglio.

2 agosto Pharump – Las Vegas miglia percorse: 60 Una giornata intera tutta dedicata a Las Vegas. Ai ragazzi non ho detto cosa è Las Vegas. Volevo fargli una sorpresa. Ho prenotato un albergo direttamente sulla Strip il New York New York. Ci siamo alzati senza alcuna sveglia ed abbiamo lasciato Pharump per dirigerci a Las Vegas. La strada per arrivarci attraversa una bellissima parte del Nevada. Il contrasto della città con la desolazione ed il silenzio della giornata di ieri nella Valle della Morte, non poteva essere più marcato. Las Vegas è scintillante, chiassosa, kitsch, caotica; in mezzo al nulla sorge questo concentrato del divertimento proibito, quello legato al gioco d’azzardo legalizzato, alla disponibilità di alcolici ad ogni ora del giorno e della notte, agli spettacoli per adulti, con i suoi alberghi-casinò giganteschi quanto assurdi. Pur credendo di sapere cosa ci aspettasse, non si riesce a credere ai propri occhi: New York, con tanto di statua della Libertà, l’Egitto con piramide ed obelisco, Venezia con il campanile, piazza San Marco ed il Ponte di Rialto, Cesar Palace con i fori romani, Colosseo e fontana di Trevi sono stati riprodotti in miniatura (ma comunque a grandezze gigantesche) e si affacciano lungo il Las Vegas Boulevard (anche chiamato Strip), alternandosi ad inverosimili isole del tesoro, Parigi con torre Eiffel, castelli di Excalibur, Circus Circus, Aladdin, nomi e luoghi che rievocano posti reali o immaginari. Percorriamo parte della Strip sino ad arrivare al nostro albergo il New York New York. Non facciamo nemmeno in tempo a mettere un piede fuori dalla macchina che arriva il parcheggiatore, ci aiuta con le valigie e si porta via la macchina. Noi entriamo in questo lussuoso albergo e veniamo immediatamente risucchiati da suoni e luci delle slot machine e si fatica a trovare il bancone per il check in dell’hotel (strategicamente situato in un punto accessibile solo dopo aver attraversato il casinò). Ci consegnano le chiavi della camera ed una piantina (anche quella ci serve per non perderci). Siamo alloggiati al 30° piano alla stanza nr. 3035. L’albergo ha 4254 camere ed ha una capienza tale che ci potrebbe pernottare tutta Tolmezzo! I bambini sono euforici ed esterefatti da quello che vedono. Sistemiamo le cose, ci cambiamo e subito partiamo alla scoperta di questa irreale città. Sembra di essere in un libro delle favole; si passa da un albergo all’altro senza nemmeno uscire per strada. Sono tutti collegati gli uni agli altri da corridoi, tapis roulant, scale mobili, trenini; i casinò non hanno finestre, né orologi tantomeno cartelli che indichino l’uscita, tutto studiato per intrappolare i turisti.

Facciamo a piedi tutta la Strip poi rientriamo in albergo in quanto avevamo promesso ai due un po’ di riposo nella piscina. Abbiamo cenato presto e poi nuovamente fuori sotto questo sfavillio di luci e colori. Siamo andati a vedere uno spettacolo di pirati al “Tresaure Island” ed infine siamo arrivati al Bellagio che è una rappresentazione del lago di Como. Fantastico! Qui abbiamo assistito ad uno spettacolo di giochi d’acqua e musica mozzafiato. Oramai è notte inoltrata e dobbiamo rientrare.

3 agosto Las Vegas – Torrey attraverso Zion N.P e Bryce Canyon miglia percorse: 375 Lasciamo il caos di Las Vegas alle 7 di mattina e ci dirigiamo verso lo Zion National Park. So che sarà una giornata lunga; ci sono molte miglia da percorrere. Effettivamente è stata drammatica in quanto siamo arrivati in albergo alle 22 stanchi morti (a nostro sfavore avevamo anche il fuso orario. Siamo arrivati in Colorado ed il Colorado ha una fascia oraria diversa.). In ogni caso abbiamo visitato due parchi fantastici. Lo Zion ed il Bryce. Le rocce bianche, rosa e rosse dello Zion sono talmente gigantesche, solenni, magnifiche da lasciare senza fiato chi le vede per la prima volta. Il canyon è formato da un’unica valle che si percorre in un senso o nell’altro, ci rendiamo conto subito della maestosità di quello che ci sta davanti ed è “infotografabile”.
I paesaggi sono talmente grandi che pur con tutta la buona volontà del mondo, in ogni foto non si riesce a prendere che dettagli e mai il paesaggio intero. Da oggi in avanti questa purtroppo sarà la peculiarità dei parchi che vedremo. Il Bryce è completamente diverso. Affacciarsi al primo belvedere che troviamo sulla strada lascia senza fiato e con un nodo alla gola. I parchi che abbiamo visitato sin’ora erano tutti spettacolari, ma la vista dell’immenso anfiteatro del Bryce è qualcosa di straordinario. E’ un meraviglioso insieme di pinnacoli, picchi, guglie e punte cui si aggiungono bizzarre formazioni chiamate “hoodoo”. Ci mettiamo gli scarponi ai piedi e percorriamo il Navajo Loop uno dei vari trail che scendono al fondovalle. Ovunque ci si giri si è circondati da queste magnifiche guglie che ricordano le cattedrali gotiche. Il sentiero è ripido e scosceso e se non dovessimo stare attenti a dove mettiamo i piedi, non staccheremmo mai gli occhi dalle bellezze che ci circondano. Rientriamo alla macchina ed attraversiamo tutto il parco fermandoci ai vari belvedere. Quando usciamo dal parco abbiamo la certezza di lasciare uno dei posti che ci ha dato forti emozioni. La strada per arrivare all’albergo è stata un incubo. Siamo arrivati sino a 3000 mt di altitudine, la strada tortuosa e come usuale senza il guardrail. Guidare al buio lungo una strada di montagna che non si conosce e priva di protezioni non è proprio il massimo. Abbiamo persino dovuto inchiodare la macchina in quanto un capriolo ci ha attraversato la strada. Ne abbiamo incrociati diversi vicini al ciglio della strada ed un infinità di lepri. A notte fonda e stanchi morti siamo arrivati in albergo. Di fronte all’abergo c’era un bar/pizzeria molto americano dove abbiamo ordinato la pizza (ottima) da portare via e l’abbiamo mangiata in camera.

E’ stata la tappa più pesante del viaggio.

4 agosto Torrey – Green River attraverso Capitol Reef miglia percorse: 125 Oggi la tappa è stata molto più tranquilla ed abbiamo visitato il Capitol Reef Canyon ed il Dead Horse Point State Park.

Quest’ultimo è un minuscolo parco statale che offre ampie e magnifiche vedute del fiume Colorado, del vicino Canyonlands e delle più distanti La Sal Mountains. E’ un parco che merita sicuramente una visita ed una piccola deviazione dalla strada principale. Questo parco deve il suo nome al fatto che in passato i cowboy radunarono dei cavalli selvaggi della zona in un recinto che dava sullo strapiombo; una volta scelti gli esemplari migliori, non si sa bene per quale motivo, abbandonarono gli altri cavalli all’interno del recinto, lasciandoli morire all’interno del recinto senza che avessero possibilità di fuga. Capitol Reef è caratterizzato da alcune delle formazione rocciose più strane che mi sia capitato di vedere. Intanto sono “storte”, nel senso che sembrano pendere da uno dei lati. Poi, sono di colori particolarissimi. Nel primo tratto della strada domina un colore tra il marrone chiaro ed il rosso. Proseguendo, nel parco e fino ad Hanksville, si susseguono rocce di colori completamente differenti. Una dopo l’altra, senza intervalli di spazio, ci passano davanti agli occhi rocce dei colori, forme e dimensioni più disparate. Uno spettacolo unico tanto che più volte ci chiediamo se alcune di esse siano veramente completamente naturali.

5 agosto Green River – Monticello attraverso Canyonlands ed Arches miglia percorse: 240 Canyonlands è uno dei più grandi e selvaggi parchi dello Utah. E’ l’unico a non avere alloggi al suo interno se non un campeggio, né punti di ristoro o stazioni di rifornimento benzina. Ci dirigiamo nella zona più facilmente accessibile denominata Island in the Sky, dove percorrendo un brevissimo sentiero arriviamo fino al grandissimo Mesa Arch, un arco attaccato alla parete del dirupo che incornicia orizzontalmente tutto il paesaggio. Island in the Sky è praticamente un altopiano circondato dal fiume Colorado e dal fiume Green River. Quando arriviamo al Grand View Point Overlook, è evidente il lavoro svolto dai due fiumi nel corso degli anni, scavando la roccia e conferendo al paesaggio visto dall’alto, l’aspetto di un intricato labirinto. Usciamo dal parco e ci dirigiamo verso Arches National Park. Qui ci sono innumerevoli intinerari da fare a piedi e non c’è che l’imbarazzo della scelta… Se non quello di osservare bene i grossi nuvoloni neri che non promettono nulla di buono. Decidiamo che non possiamo andare sin sotto il Delicate Ach, un arco alto 13 metri e largo 10 in quanto è un percorso piuttosto faticoso e soprattutto lungo. Ci accontentiamo di farne uno più corto e meno impegnativo che permette ugualmente di avvicinarsi al più famoso degli oltre 250 archi distribuiti all’interno del parco. Raggiungiamo la meta ed abbiamo a malapena il tempo di fare un paio di foto e di rientrare velocemente. Si è alzato un forte e minaccioso vento che ci obbliga a risalire in auto. Ripartiamo e ci dirigiamo verso un’altra zona del parco. Per fortuna il vento cala e sembra che i neri nuvoloni abbiano deciso di cambiare rotta. Passiamo vicino al “The Gossip”, al “Balanced Rock”, al “The Organ” sino a raggiungere un parcheggio. Qui scendiamo e a piedi raggiungiamo il Double Arch, il North e South Window. Gli archi si sono formati a causa dell’erosione dei ghiacci. Oltre 150 milioni di anni fa, sul deserto che ricopriva questa zona, si sono depositate delle rocce di arenaria, ma il sale che copriva il fondo del deserto causò la frattura delle rocce, facendo assumere l’aspetto di strette formazioni verticali, che, appunto erose dai ghiacci, sono diventate i celebri archi. Queste formazioni verticali sono ben visibili e sono chiamate “i dorsi dei dinosauri” e danno alla zona un aspetto veramente singolare. I contorni sono morbidi e smussati, le superfici levigate, queste enormi rocce sembrano essere state messe in fila da una mano ordinata, tutte separate verticalmente da una distanza simile.

Usciamo dal parco e percorriamo ancora un centinaio di chilometri sino ad arrivare a Monticello, un paesino di poche anime lungo la strada. Arriviamo facilmente al nostro Best & Western, pochi minuti per il check in e parcheggiamo l’auto davanti alla porta della camera. Per noi non è un dettaglio da poco, considerato il fatto che dobbiamo scaricare molti bagagli fra borse, valigie, provviste di cibo, zainetto termico, zaini, scarpe, macchina fotografica, giornali, riviste e cartine sparse nell’auto nel corso della giornata. In ogni caso richiede poco tempo, un tuffo in piscina non può mancare ed infine ci prepariamo ed usciamo per la cena. Ceniamo in un ristorante vicino all’hotel e qui troviamo una famiglia italiana di Treviso con un bambino dell’età di Davide. I tre bambini sono felicissimi di fare conoscenza ed optano per cenare insieme in un unico tavolo, cosa che facciamo anche noi adulti.

6 agosto Monticello – Durango miglia percorse: 154 Raggiungiamo Mesa Verde National Park in poco più di un’ ora ed entriamo quindi in Colorado (è il quarto stato del nostro viaggio). Già poco dopo l’ingresso, il parco presenta lo spettacolo desolante della distruzione causata da due incendi, uno nel 1996 e l’ultimo nel 2000 che non hanno lasciato quasi nulla, il nostro percorso quindi si snoda tra gli scheletri degli alberi che un tempo forse erano una foresta rigogliosa e verde.

Ci dirigiamo subito al Visitor Center ed acquistiamo i biglietti per la visita de Cliff Palace e della Balcony House. Intanto che aspettiamo l’ora della visita andiamo al museo indiano e facciamo un giro per il parco che conserva i più bei resti degli indiani Anazasi, gli antichi “Pueblos” che abitavano la zona e antenati degli indiani d’America (Anazasi in lingua navajo significa “antichi popoli”). I villaggi di questo popolo hanno la peculiarità di essere costruiti addossati alle pareti rocciose dei canyon. Erano costruiti con pietra arenaria ed hanno una forma squadrata e le case avevano più stanze collegate fra loro. Caratteristiche sono le Kiva, delle stanze circolari con un focolare al centro e delle piccole finestre per la ventilazione, in cui sembra che gli Anazasi svolgessero le loro cerimonie. Questi edifici furono costruiti fra il 1100 ed il 1300 quando improvvisamente (non si sa per quale motivo), il popolo abbandonò i villaggi. Addossate alle pareti, a strapiombo sul fondovalle del canyon collegate da scale in legno a pioli e strettissimi cunicoli, queste costruzioni sono dei capolavori. Il Cliff Palace è uno dei complessi più grandi che ospitava sino a 200 persone e 23 kiva. Non è facile inerpicarsi lungo le scale a pioli oppure passare per stetti cunicoli e sottili fenditure nella roccia, ma la visita è davvero emozionante. Prima di visitare Cliff Palace siamo andati alla Balcony House, molto simile alla prima, con l’unica differenza che davanti alle case scorreva una balcone scoperto di collegamento fra le varie abitazioni, con vista sul Canyon. Qui il percorso è ancora più difficile. La scala a pioli è ripidissima e naturalmente senza protezioni, poi c’è un cunicolo strettissimo e piuttosto lungo nel quale per passare dobbiamo metterci a carponi. Già alla scala a pioli una coppia si è ritirata. Terminata la visita a Mesa Verde (praticamente tutta la giornata) abbiamo preso la macchina e ci siamo diretti a Durango. Arrivati in albergo mi accordo di aver perso la carta d’identità nel parco di Mesa Verde! Spero mi venga invita a casa nell’eventualità che venga ritrovata (cosa che non accadrà). Il solito tuffo in piscina e poi ci prepariamo per uscire a cena. Durango è una bella cittadina e abbastanza animata. E’ una tipica cittadina mineraria, si possono vedere diversi alberghi, saloon di epoca vittoriana. C’è anche il fischio di un vecchio treno a vapore che percorre un tragitto di circa 70 km sino a Silverston.

Dopo aver fatto qualche acquisto (io mi sono preso un bellissimo cappello a falda larga) decidiamo di mangiare in un vecchio saloon dal quale si sente una bellissima musica di piano. La vita notturna è abbastanza animata ed i locali sono pieni. Siamo andati al Diamond Belle Saloon. Un edificio d’epoca dove anche le cameriere indossano abiti vittoriani, calze a rete con giarrettiera e fascia con piuma nei capelli. E’ un locale intimo con luci soffuse e c’è un pianista anche lui con abbigliamento adatto, che suona il ragtime. Ci sediamo proprio vicino al piano ordiniamo la cena e conosciamo una coppia più anziana di noi ambedue di origini italiane, ma che parlano esclusivamente inglese. Abbiamo proprio trascorso una bella serata.

7 agosto Durango – Ch’ama – Santa Fe – Albuquerque miglia percorse: 293 Questa mattina ci siamo alzati come al solito verso le 7, colazione e poi in auto. Siamo andati in centro di Durnago per vedere partire il vecchio treno. Arriviamo e ci accoglie subito il fischio ed il suo fumo nero. Osserviamo tutti i preparativi necessari per farlo partire sino alla lucidatura della campana che si trova sulla locomotiva.

Partito il treno è anche il nostro turno di metterci in viaggio e ci dirigiamo verso Chama. Siamo nel New Mexico. Qui troviamo a più vecchia stazione rimasta in funzione negli USA. Nel 1880 da qui passava l’importante linea della compagnia ”Denver & Rio Grande West”, molto ramificata attraverso il Colorado e il Nord del New Mexico; era a scartamento ridotto ed arrivava ad altezze incredibili (ben oltre i 3000 mt. Di altezza!).

Come ho detto siamo nel New Mexico ed il simbolo Zia è quello che la rappresenta (anche sulle targhe delle auto). E’ un antico simbolo del sole da cui partono numerosi raggi stilizzati ciascuno diretto verso i quattro punti cardinali. Rappresenta il ciclo della vita ed i quattro punti su ciascun lato si riferiscono alle quattro stagioni (primavera, estate, autunno, inverno), e quattro fasi della vita (infanzia, adolescenza, maturità e vecchiaia), le quattro direzioni (nord, sud, est, ovest) ed i quattro periodi della giornata (mattino, pomeriggio, sera, notte).

Poco prima dell’ora di pranzo siamo a Santa Fe, la Cittò Santa. E’ una bella città con architetture adobe. Noi visitiamo il centro storico che ci lascia un’impressione strana: ha un’impronta indiana e “latina” allo stesso tempo ha molti influssi spagnoli. L’anima americana la si nota quando ci si accorge che tutte le abitazioni sono “finte” nel senso che sono tutte costruzioni moderne rifatte sui vecchi stili. Santa Fe è molto raffinata. Ci sono bei negozi di artigianato. Le donne del luogo (fanno parte dei pueblos indiani) indossano lunghe gonne nere e girocolli in argento, sulle terrazze delle case si notano filari di peperoncini a seccarsi al sole. Visitiamo la St. Francis Cathedral che ospita la più antica statua della Madonna esistente in Nord America. Lasciata Santa Fe la nostra meta per il pernottamento è Albuquerque. La pronuncia del nome della capitale del New Mexico ci è stata un po’ ostica, ma alla fine ci siamo riusciti “Abucherchi”. La città si trova su un altopiano a 3000 mt; effettivamente in questi giorni non ci siamo abbassati molto, abbiamo viaggiato sempre ad altitudini elevate. Troviamo l’albergo con facilità, il tuffo in piscina e poi a piedi raggiungiamo la old town. La città non ci entusiasma molto. Decidiamo di andare a cena in un locale sulla Plaza. Il luogo è molto particolare basti dire che al centro della sala c’è persino un albero con le radici nel terreno e non in un vaso. Sul menù troviamo scritte come tacos, burritos, enchiladas, chorizo. Chiediamo al cameriere le differenze fra i vari piatti ed infine ordiniamo. Carlo ha deciso di provare il cibo del luogo. Io ed i bambini preferiamo andare su qualcosa che non sia piccante. Mentre aspettiamo la cena ci portano una salsa rossa piccantissima ma molto buona e le tortillas. Arriva poi l’ordinazione. Carlo man mano che mangiava la sua carne con le salse diventava sempre più rosso. La cucina qui è molto piccante. Noi altri, invece, ce la siamo cavata abbastanza bene. In ogni caso il cibo è buono.

8 agosto Albuquerque – Chine siamo in Arizona miglia percorse: 293 Alla mattina subito dopo un’ottima colazione prendiamo la I40 che collega Albuquerque a Flagstaff (sarebbe la mitica route 66). Facciamo una deviazione a Gallup in quanto abbiamo letto che è il principale centro di scambi commerciali fra i navajo e gli zuni. In questo paesino si trovano le migliori gioiellerie e negozi di artigianato. Effettivamente ci sono oggetti di ottima qualità ed anche i prezzi sono equi e contenuti. Passiamo circa un’ora per fare acquisti e per i regali poi ripartiamo in direzione di Chinle.

Non è nemmeno ora di pranzo che siamo arrivati. Oggi si visita il Canyon de Chelly. Chinle è piccolissima, qualche pompa di benzina, baracche capanne ed un paio di alberghi. Si trova in prossimita’ di un altro grande esempio di antica cultura indiana–americana i Pueblo.

Il canyon è
situato all’interno del ‘Navajo Indian Reservation’ la riserva indiana che copre una superficie di 67.000 kmq. Il canyon è di proprietà privata dei Navajo. Qui vivono le famiglie dei nativi, coltivano la terra e vivono negli hogan che sono delle abitazioni di legno coperte di terra. Il nome navajo del canyon è Tsegi e significa canyon del sasso. Qui si trova lo “Spider Rock”. Sono due torri di roccia alte 240mt sacre per gli indiani. Un’antica leggenda navajo narra che sopra la torre vivesse la “spider women” donna ragno la quale insegnò ai navajo l’arte della tessitura.

Terminato il giro del parco rientriamo in albergo. Purtroppo non possiamo fare il classico bagno in piscina in quanto è in ristrutturazione. Carlo quindi si dedica a salvare le innumerevoli foto su un cd, Davide e Luca si guardano un po’ di cartoni in americano ed io decido di attraversare la strada e di andare nella “laundromat” a fare il bucato.

Mi trovo catapultata in un’altra era ed in un altro luogo. Qui non ci sono le lavatrici nelle case e le donne con i figli piccoli si ritrovano in questi posti. Ci sono file di lavatrici di due dimensioni (piccole e grandi ma sempre più grandi delle nostre) e file di asciugatrici. Qua e la ci sono delle panchine di legno dove le donne aspettano che il ciclo sia finito, nel frattempo chiacchierano, leggono, fanno a maglia, si sistemano le unghie. Ogni tanto entra qualche donna con un carrello della spesa stracolmo di biancheria. Termino il ciclo di lavaggio e me ne torno in albergo. Ceniamo fuori e poi a nanna. 9 agosto Chine – Kayenta attraverso la Monument Valley miglia percorse: 183 Partiamo dal piccolo e caratteristico villaggio di Chinle e ci dirigiamo verso la Monument Valley. Prima di arrivare andiamo a vedere il caratteristico Mexican Hat, una bella e bizzarra formazione rocciosa che sembra un messicano con poncho ed un sombrero. La strada è proprio quella che si immagina sia guardando i film americani, una lunga ed infinita lingua scura che attraversa un altopiano senza incontrare anima viva o quasi. Piano piano i paesaggio cambia ed inizia ad assumere e il caratteristico stile della Monument Valley, enormi monoliti rossi che si ergono da una terra piatta ed arida. Entriamo nel parco tribale della Monument Valley e compiamo il classico giro turistico di 17 miglia su una strada sterrata a bordo del nostro SUV la “scenic drive”. Il tour si snoda fra gli enormi monoliti (chiamati “butte”) che a seconda della forma o del loro legame a qualche evento, sono stati fantasiosamente battezzati. Così ci sono le Three Sister (le Tre Sorelle), tre pinnacoli slanciati e sottili, uno vicino all’altro, il “Thumb” il butte che assomiglia ad un pollice, il “Camel” perché sembra avere due gobbe ed il famosissimo John Ford’s Point, intitolato al noto regista che scelse questo luogo come set per alcuni suoi film portandolo di conseguenza alla ribalta. Oltre ai butte, molto suggestive sono anche le “mesa”, piccoli altopiani rocciosi dalle forme tonde oppure frastagliate. Il rosso è il colore predominante, interrotto solo qua e là dal verde acceso di qualche albero. Dopo tutte le meraviglie naturali ammirate nei giorni scorsi, la Monument Valley non mi suscita l’emozione che mi aspettavo. Forse è solo il mito del luogo a destare tanto interesse, ai vari film western che hanno reso questo paesaggio “di casa”, anche se le formazioni rocciose rosse sono obiettivamente uniche ed affascinanti.

Al termine del tour ci ritroviamo pieni di polvere rossa e desideriamo un bel bagno.

Arriviamo a Kayenta una cittadina piuttosto squallida e di nessuna importanza se non quella di essere vicina alla Monument Valley. C’è un senso di desolazione e di squallore. I nativi americani abitano per lo più in case prefabbricate. Molti di loro si dedicano all’allevamento di mucche, cavalli, capre e pecore. Gli animali pascolano fin sul ciglio della strada e la attraversano incuranti del traffico automobilistico. La presenza di bianchi è minima ed i pochi che si vedono in giro sono quasi tutti turisti. La piaga dell’obesità sembra affliggere anche i nativi americani che abbandonano la loro cucina tradizionale e si ingozzano di hamburger, panini e Coca-Cola. Infatti in questa piccola cittadina non mancano i fast food appartenenti alle note catene americane.

10 agosto Kayenta – Page visita dell’Antelope Canyon miglia percorse: 154 Ci alziamo presto come al solito e dopo un’ottima colazione ci mettiamo in viaggio vero Page. Arriviamo in albergo un po’ prima delle 10. Almeno così crediamo. Sono invece le 9, ora locale. Rimaniamo confusi dato che per quello che sapevamo Utah e Arizona seguono la stessa time-zone e poi a Kayenta l’orologio in camera segnava effettivamente la stessa ora dello Utah. Alla fine scopriamo che la questione è piuttosto ingarbugliata. Utah e Arizona sono sulla stessa time-zone ma l’Arizona non adotta l’ora legale. Il territorio Navajo, invece, pur essendo in Arizona adotta l’ora legale e segue la stessa ora dello Utah tutto l’anno.

In albergo ci dicono che siamo troppo presto e che il check in è alle 15. In questo modo abbiamo guadagnato un’ora e possiamo prendercela comoda. Chiediamo informazioni, una cartina di Page e prenotiamo il tour per l’Antelope Canyon con partenza dall’albergo alle ore 14. Andiamo così a visitare la diga del lago Powell, il museo e qui troviamo persino un fossile con le orme di dinosauro! Luca non potrebbe essere più felice. Andiamo poi a vedere un punto panoramico sul fiume Colorado che finalmente è verde e non più marrone. Fantastico.

Pranziamo ed alle 13:45 siamo pronti per salire sul camioncino che ci porterà ad Antelope Canyon. Lo guida una nativa americana molto simpatica, ma anche molto spericolata, corre come una matta ed in 20 minuti, di cui 10 su strada sterrata lungo un letto di fiume asciutto, siamo all’entrata del canyon. L’Antelope Canyon ci coinvolge subito. Non ci sono dubbi che meriti tutta la fama che ha. All’interno l’atmosfera è veramente surreale. C’è un continuo gioco di luci e ombre. Il chiarore del sole è visibile solo nella piccola apertura che a tratti s’intravede una ventina di metri sopra di noi. Più in basso la roccia “gioca” con la fioca luce, creando effetti difficili da descrivere. I raggi di luce che scendono dall’alto sono stupendi, così come le pareti levigate e la sabbia sul fondo. Sono contenta di essermi portata il treppiede; senza sarebbe stato quasi impossibile realizzare delle foto solo decenti! L’Antelope canyon è uno “slot canyon” e non è un canyon come tutti gli altri: i canyon tradizionali in genere sono ampi e molto profondi poichè si formano a seguito dell’azione continua e possente di fiumi che scorrono 365 giorni all’anno, nell’arco di lunghe ere geologiche.
Invece, gli “slot canyon” sono formati dall’azione erosiva improvvisa, ma limitata temporalmente, dei grossi nubifragi: a monte si raccolgono delle grandi quantità d’acqua che s’incanalano verso valle con una forza violenta ma temporanea. Per questo, gli “slot canyon” sono soltanto delle strette aperture nella roccia.

Al termine del tour rientriamo in albergo e qui ci attende una brutta sorpresa. Oramai sono le 17 e pensiamo che non ci sia fila invece la reception dell’albergo è piena di persone che aspettano la camera. Mi avvicino al bancone e chiedo la camera che avevo prenotato…In un primo momento ci dicono di attendere in quanto non è ancora pronta, poi ci chiamano nell’ufficio del responsabile e ci dicono che c’è stato un overbooking. Carlo giustamente si arrabbia anche perché noi eravamo già passati in prima mattina ed il problema non c’era. Giungiamo ad un accordo, ci trovano una camera in un altro albergo li vicino, avremmo fatto la colazione da loro e ci avrebbero rimborsato completamente le spese dell’albergo (era l’unico che avevo dovuto pagare in anticipo!). Una volta giunti nel nuovo albergo non poteva mancare il tuffo in piscina e ci siamo accorti che molte persone erano quelle in attesa alla reception dall’altra parte! Alla sera siamo andati fuori a cena in un ristorante italiano ed abbiamo mangiato bene.

11 agosto Page – Flagstaff con visita del Gran Canyon miglia percorse: 226 Con il fuso orario a nostro favore ci alziamo presto, facciamo un’abbondante colazione e ci mettiamo in viaggio per il Gran Canyon. Lo raggiungiamo con facilità ed in breve tempo. All’ingresso del parco presentiamo il nostro pass, prendiamo le cartine ed il giornalino che ci danno e chiediamo indicazioni sulla strada. Il ranger in un americano molto rapido dal forte accento ci dice “left at the staap”; io e Carlo ci guardiamo un po’ perplessi, ma ci mettiamo subito in viaggio… Arriviamo allo “staap” che poi abbiamo scoperto essere uno stOp e giriamo a sinistra come detto. Non immaginavo il Grand Canyon così verde, invece ci sono fitti boschi di pini lungo tutto il “rim” (del resto siamo a 2100 metri di altezza). Si prosegue per una strada per un paio di miglia e si arriva all’overlook.

Lo spettacolo che il Canyon offre è sublime: la profondità, il Colorado dalle acque marroni di fango così piccolo in fondo al Canyon, i vari strati orizzontali visibili sulle pareti che testimoniano le diverse sedimentazioni avvenute nel corso dei millenni, la folta vegetazione, i grandissimi corvi sui bordi del canyon e i piccolissimi scoiattoli che saltano da un sasso all’altro, il labirinto all’interno del Canyon formato dalle rocce erose dai fenomeni atmosferici e dell’acqua, il senso di vertigini all’affacciarsi da alcuni punti e quello di infinito quando la vista spazia a 180° e più sul Canyon. E’ sicuramente un’esperienza indimenticabile. I “numeri” di questo canyon lo rendono effettivamente “gran” è profondo più di 1,5 km in alcuni punti arriva sino a 2; è largo in media 16 km; nel punto più stretto è largo 1 km mentre i quello più largo arriva sino a 21km; e sul suo fondovalle si snoda per 445km il Colorado River.

Risaliamo in auto e proseguiamo la strada che lo costeggia sino ad arrivare al visitor center. C’è una gran folla, come era prevedibile, ma del resto lo spettacolo merita. Parcheggiamo e prendiamo un percorso a piedi per godere di altre viste panoramiche, anche se alla fine, seppur con nomi diversi, sono tutte molto simili. Nel pomeriggio lasciamo il Parco Nazionale diretti a Flagstaff, una cittadina veramente carina, ordinata, pulita, senza grattacieli e circondata da foreste di pini “ponderosa” che sono una benedizione per gli occhi dopo giorni e giorni di deserto e di panorami piatti e aridi. Per arrivare facciamo una strada di montagna sull’Humphreys Peak, con i suoi 3.850 metri (12.633 ft.) che è il punto più alto dell’Arizona.

Check-in veloce e per fortuna senza intoppi, un tuffo in piscina e poi fuori per fare un giro nella downtown. Flagstaff è attraversata dalla mitica Route 66 ed è la più grande cittadina del nord dell’Arizona. E’ veramente carina, giriamo a piedi per il centro e la temperatura è più fresca di quella trovata ultimamente. Siamo a 7000 ft ovvero a 2135 mt ed il clima è montano. Entriamo in un tipico locale americano e ci mangiamo un ottimo hot dog con patatine. Tutti lo apprezziamo moltissimo. Nella guida ho letto che qui a Flagstaff si trova uno dei locali più particolari della Route 66 il “Museum Club”. Sarebbe un popolare luogo di ritrovo simile ad un fienile, dove si suona e si balla a ritmo di melodie country. E’ soprannominato “The Zoo” per la sua collezione unica di animali imbalsamati. Lo troviamo facilmente ed entriamo nel locale. Abbiamo chiacchierato con il padrone del locale, un tipo molto particolare, che mi ha ricordato l’attore del film “Crocodile Dundee”. Purtroppo poco prima delle 9 la cameriera ci ha detto che i bambini, anche se con gli adulti, non possono stare nel locale, così non ci è restato altro da fare che salutare e rientrare in albergo.

12 agosto Flagstaff – Phonix – Scottsdale miglia percorse: 214 Come di consueto ci alziamo presto e partiamo verso Phoenix. Facciamo una tappa a Sedona. E’ una bella cittadina che richiama moltissimi turisti ed è anche la patria della medicina alternativa e della new age. Ripartiamo per Phoenix. Lungo la strada le belle foreste di pini ed il fresco clima di Flagstaff lasciano pian piano il passo a un terreno sempre più arido, fino a quando, a pochi chilometri dalla città compaiono i caratteristici cactus del Coccobill, quelli verdi e spinosi con due o più bracci che partono dal grosso tronco: ho da poco scoperto che il loro nome è saguaro e che in Arizona c’è addirittura un parco nazionale con questo nome proprio perché ne ospita una quantità sorprendente. Percorriamo la circonvallazione di Phoenix, senza addentrarci nel centro, e seguiamo scrupolosamente le indicazioni per arrivare a Scottsdale in albergo. Non appena mettiamo il naso fuori dall’auto veniamo aggrediti da un caldo infernale ci sono 46°! Entriamo immediatamente nella hall dell’albergo ed andiamo in camera. La camera è la migliore di tutto il viaggio. I classici due letti king size, il bagno, il frigo, il microonde, la stanzetta per le valigie etc. Decidiamo di andare in piscina che si trova in un bellismo piccolo parco pieno di piante; c’è persino una grande gabbia di pappagallini. La piscina ci aiuta a trovare un po’ di frescura, l’acqua è riscaldata. Decidiamo di uscire per la città solo per ora di cena e quindi ci rinchiudiamo in camera al fresco dell’aria condizionata e ci riposiamo un po’.

Alle 19 usciamo per andare a fare un po’ di spesa al supermercato. La temperatura è ancora alta siamo solo a 43/44°. Al supermercato troviamo un ottimo pollo arrosto delle classiche dimensioni americane e decidiamo di cenare in camera. Usciamo fuori ed andiamo nella Old Town, che però non è molto old. Andiamo a mangiarci il gelato più caro mangiato in vista nostra! Quattro palline 12$. Per fortuna è ottimo. Torniamo fuori per le strade i vari locali per attrarre le persone vaporizzano dell’acqua lungo i marciapiedi. Nemmeno nella Death Valley abbiamo avuto queste temperature. Rentriamo in albergo e ci concediamo un altro bagno in piscina sotto un cielo stellato.

13 agosto Scottsdale – 29 Palms attraverso il Joshua Tree Park miglia percorse: 286 Siamo quasi al termine del viaggio. Partiamo presto perché vogliamo viaggiare freschi, scopriamo però che alle 7 di mattina ci sono già 39°. Facciamo colazione, carichiamo la macchina e via lungo la I 10. La strada è grande e dritta ed in relativamente breve tempo arriviamo all’ingresso sud del parco. Ll Joshua Tree National Park è la prova che il deserto vive. La sua superficie comprende parzialmente due deserti: il Mojave Deser e il Colorado Desert, entrambi caratterizzati da condizioni desertiche più severe. L’attrazione principale di questo parco sono i Joshua Tree, rare piante simili a cactus che si formano dalla pianta della yucca. Il loro nome deriva dai mormoni che vedendo i rami contorti pensarono al personaggio biblico Giosuè che con le braccia alzate indicava loro la via per il paradiso. Si possono incontrare anche un’ampia varietà di animali: il ratto canguro che ricava acqua e cibo soltanto dai semi, il roadrunner, lepri, linci rosse, tarantole, serpenti a sonagli, aquile e coyotes. Il Roadrunner è quello che noi conosciamo come “Bip Bip” nei cartoni animati di Willy Coyote. Esiste veramente, è l’uccello che non vola ma corre. Speravamo di incontrarlo, ma i ranger ci hanno detto che è veramente difficile… peccato! Il misterioso fascino di questo paesaggio desertico disseminato di grandi massi tondeggianti ha inspirato diversi artisti fra qui gli U2 che intitolarono l loro album “The Joshua Tree”. All’interno del parco abbiamo fatto la conoscenza dei Cholla Cactus è un cactus irritante, una varietà della famiglia Opuntia cacti. Si distingue per il tronco scuro e la massa di spine molto sottili. Quando si attaccano alla pelle, queste spine sono molto irritanti e molto difficili da togliere. Con estrema cautela sono riuscita a prenere un pezzo che era caduto per terra. Non so se riusciremo a portarlo in Italia, ma intanto ci proviamo. Incontriamo anche gli Ocotillo che sebbene assomigli ad un cactus, non fa parte delle Cactacee. E’ pianta decidua per aridità: i suoi steli alti sino a 3mt e mezzo perdono le foglie quando c’è siccità, e le rimettono solo in tempi migliori. In serata raggiungiamo 29 Palms ed arriviamo al più assurdo albergo in cui abbiamo pernottato. La bandiera americana era ovunque; in qualsiasi stanza e di qualsiasi forma (striscioni, gagliardetti, bandierine). Quello di oggi era l’ultimo parco da visitare, domani si va a Los Angeles e più precisamente a Hollywood.

14 agosto 29 Palms – Hollywood miglia percorse: 146 Partiamo presto come di consueto e ci immettiamo sulla I 10 l’interstatale che ci porterà dritti dritti a Hollywood. Los Angeles è la più grande città della California ed insieme a New York e Chicago è una delle tre metropoli più importanti degli States. Nel 2004 venne stimata una popolazione di 3.845.541 persone. Los Angeles ha una superficie di oltre 1.200 chilometri quadrati. Ha un’estensione territoriale per noi quasi inimmaginabile! L’abbiamo attraversata dal lato “corto” ovvero da est ad ovest ed è più lunga che arrivare da Tolmezzo all’aeroporto di Venezia! Serpenti di asfalto anche a dieci corsie, vitali per milioni di persone quasi come l’aria, che inscenano giorno e notte uno spettacolo di circolazione automobilistica tra i più incomparabili in una città disumana che dell’auto ne ha fatto un miracolo ma anche una prigione. Questa è Los Angeles l’impatto con la città, con questo tipo di città, dopo la natura meravigliosa è fortissimo.

Districarsi per le strade di LA è meno complicato di quanto ci si aspetti, anche se le strade si intersecano ad angolo retto in una infinita rete in cui le macchine restano intrappolate. Però la segnaletica è ineccepibile ed il traffico scorrevolissimo e raggiungiamo l’albergo con facilità. Scarichiamo tutto il bagaglio per la prima volta, in quanto ci fermiamo in albergo sino all’ultimo giorno. Alla reception ci hanno dato la cartina di Hollywood quindi usciamo tranquillamente a piedi in quanto siamo in pieno centro…Già ma di fronte all’albergo c’è una strada a 6 corsie! Seguiamo la cartina ed in pochi minuti ci troviamo sulla Hollywood Walk of Fame. La percorriamo soffermandoci a leggere i nomi in ottone sulle stelle del marciapiede. Passiamo davanti al Kodak Theatre dove si svolge la cerimonia degli Oscar. Troviamo il teatro cinese davanti al quale ci sono le impronte di divi famosi, andiamo alla ricerca di quelle di Marilyn Monroe, troviamo quelle di Sofia Loren, Marcello Mastroianni, Clint Estwood, Jonny Depp. Continuiamo la nostra passeggiata calpestando i vari nomi sul marciapiede e notiamo che Hollywood è una città carica di contrasti tra ricchi e poveri, tra gente normale e persone stranissime.

Per il pomeriggio prenotiamo un giro in pullman che ci ha portato lungo la Walk of Fame, Sunset strip i vari luoghi delle riprese cinematografiche come per esempio la casa di Pretty Woman. Rientriamo in albergo e ci tuffiamo in piscina. Siamo stanchi e decidiamo di mangiare al ristorante dell’albergo. La cena è ottima e piace a tutti e quattro. Decidiamo di fare una passeggiata serale in centro prima di andare a letto per scoprire la Hollywood notturna e per acquistare in anticipo i biglietti per gli Universal Studio.

15 agosto Hollywood – Universal Studio City Anche oggi ci alziamo presto, facciamo colazione ed andiamo a prendere la metropolitana per arrivare agli Universal Studios.

La nostra Gardaland messa a confronto, è un chiosco dei panini! Attrattive allucinanti, tecnologia pazzesca, si piomba in un secondo nei film che hanno fatto la storia. Prima ci buttiamo nella casa degli orrori di Dracula Van Helsing, con truccacci e rumori da horror già sentiti, ci sono comparse che vestiti da mostri ti fanno paura spuntando da dietro gli angoli, Davide e Luca sono terrorizzati.

Alla fine del percorso, c’è un licantropo che tenta di afferrarti ma per fortuna si sono accorti della paura dei bambini e ci lasciano tranquilli.

Successivamente andiamo sulla navetta che ci porta in un tour per gli studios, le città ricostruite di tutti i tipi, già viste e riviste in tanti film. In alcune occasioni ci fanno entrare in alcuni studios (gli studios sono degli enormi capannoni all’interno dei quali costruiscono i set per i film) e rivediamo King Kong, una inondazione di una metropolitana con crollo del soffitto, entriamo nel tunnel della Mummia con finta invasione di insetti, invece erano gocce d’acqua ma nel buio ed i monitor che mandavano il rumore, la sensazione era reale.

I set dove siamo passati tra vecchi e recenti sono vari tra cui Psycho, Jurassic Park, Lo Squalo, Ritorno al Futuro, Terminator, Shreck Terzo e l’ultimo film di Spielberg “La guerra dei Mondi”.

Finito questo cerchiamo di mangiare degli hot dog! Facciamo prima però il giro nei battelli di Jurassic Park (una fila mostruosa!) ma ne valeva la pena.

Vediamo anche lo spettacolo di Waterworld, con attori, molto bello. Abbiamo visto tutte le attrazioni ed oramai è sera. Come promesso ai ragazzi acquistiamo un regalo a testa e tutti contenti della giornata passata riprendiamo la metropolitana per Hollywood. Decidiamo di cenare e poi di andare a letto. Ci infiliamo così nella prima pizzeria che troviamo e poi via di corsa a nanna. Io prima di addormentarmi inizio ad organizzare le valigie. Tutto è pronto, domani si va alla spiaggia di Santa Monica poi non resta che restituire l’auto e raggiungere il terminal.
Dal letto guardo i bagagli chiusi e scorro nella mente tutti gli avvenimenti di questi ultimi giorni: mi sembra di aver viaggiato in questo paese per mesi, tanti e così vari sono i luoghi che abbiamo visitato, gli alberghi che abbiamo cambiato, i chilometri che abbiamo percorso.

16 agosto Los Angeles – Santa Monica ed aeroporto miglia percorse: 32 ore di viaggio: 11h 20min Oggi è l’ultimo giorno in America e lo stato d’animo è quello solito della fine del viaggio, un misto di stanchezza, appagamento, tristezza e un vago desiderio di tornare a casa. Finiamo di preparare le valigie, riesco a mettere dentro anche il Cholla cactus chiuso all’interno di una bottiglia di plastica; i sassi, i vari campioni di terra e sabbia che abbiamo raccolto lungo il viaggio e spero che in dogana non mi facciano problemi! Saliamo in auto, facciamo un ultimo giro per Hollywood, tento di acquistare il nuovo computer della Apple, ma devo desistere in quanto non è possibile farlo stare in valigia. PECCATO! Riprendiamo a I 10 che ci porta dritti sino a Santa Monica ed è proprio come nel telefilm di Baywatch. Ci sono circa 20° e si sta molto bene, scendiamo dalla macchina ed andiamo sino all’oceano. Volevamo mettere solo i piedi in acqua in quanto è gelida, ma le onde ci travolgono, finiamo così per fare il bagno. Intorno alle 15 dobbiamo andare in aeroporto. L’aereo decolla alle 20:00. Raggiungiamo velocemente la Dollar per lasciare la macchina, scarichiamo tutto e saliamo sul bus che ci porta sino all’ingresso delle partenze della Swiss. La fila per il check-in non è particolarmente lunga. Consegnamo i passaporti, le valigie superano il check-in ed a noi non resta altro che spostarci al gate. Fra poco meno di un’ora l’aereo parte.

Le hostess ci chiamano e con nostra sorpresa ci hanno spostati tutti e quattro in business. Non crediamo ai nostri occhi e siamo felici perché sicuramente il volo sarà molto più comodo.

Nella cabina siamo solo in 10 di cui 4 noi, le poltrone sono molto larghe e si sta veramente comodi. I bambini sono euforici. Ognuno di loro ha un’enorme tv, le cuffie, il sedile che si alza, si abbassa, si allunga semplicemente schiacciando un pulsante. L’aereo decolla, arrivederci America.

Lo steward li prende in simpatia e gli porta una bottiglia di coca cola esclusivamente per loro. Scegliamo nel menù la cena e poi i bambini si addormentano quasi immediatamente. Oltre dieci ore di volo per inseguire l’Europa, ma alla fine la notte non sarà durata che quattro ore appena, lacerata dalla velocità dell’aereo, raggirata dai fusi orari.

La strada del ritorno ha sempre qualcosa di malinconico. Una leggera tristezza.

17 agosto Zurigo – Venezia ore di viaggio: 1h 5min Arriviamo a Zurigo quasi senza accorgerci, Davide si è svegliato quando hanno portato la colazione, Luca praticamente ha fatto tutto un tiro e lo abbiamo dovuto svegliare. Il tempo di scendere, dare uno squillo a casa per avvisare che siamo in perfetto orario, cambiamo aereo ed in poco più di un’ora siamo a Venezia.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche