Viaggio di Nozze negli States

1° giorno (22 giugno) Oggi è il gran giorno, partiamo per gli States. Sveglia alle 6 di mattina. Lasciamo casa alle 6:30 e alle 7 siamo al parcheggio “Park and Fly” nei pressi dell’aeroporto di Fiumicino. Ho già prenotato il posto auto alcuni giorni prima, per la modica cifra di 70 euro per 16 giorni (il più economico dei tanti in...
Scritto da: red9277
viaggio di nozze negli states
Partenza il: 22/06/2007
Ritorno il: 07/07/2007
Viaggiatori: in coppia
1° giorno (22 giugno) Oggi è il gran giorno, partiamo per gli States. Sveglia alle 6 di mattina. Lasciamo casa alle 6:30 e alle 7 siamo al parcheggio “Park and Fly” nei pressi dell’aeroporto di Fiumicino. Ho già prenotato il posto auto alcuni giorni prima, per la modica cifra di 70 euro per 16 giorni (il più economico dei tanti in zona), alcuni dei quali in alta stagione. La navetta del parcheggio, interamente a disposizione per noi, ci porta al “Teminal C” dell’aeroporto in pochi minuti. Imbarchiamo le nostre due valigie per il volo dell’Alitalia delle 10:30. Dopo un’ora di ritardo decolliamo, destinazione New York. Nonostante il ritardo arriviamo all’aeroporto di Newark (EWR) in perfetto orario, sono le 13:50, ora di New York. Abbiamo percorso 6800 km a 11.000 metri dal suolo e in circa 8 ore e 20 minuti L’aereo, un Boing 777, è stato molto confortevole. Ogni posto era dotato di uno schermo e di un telecomando tramite il quale era possibile selezionare il tipo di intrattenimento: musica, giochi, programmi tv o film. Le cuffie sono state distribuite dal personale di bordo. Io ho visto il film “Prestige”, mentre mia moglie si è dovuta accontentare di giocare a “Chi vuol essere milionario” in quanto la presa della sua cuffia era danneggiata. Inoltre i maxi schermi mostravano in tempo reale il percorso fatto dall’aereo con alcuni dati, come km percorsi, velocità, altitudine e tempo mancante all’arrivo. Il volo è stato tranquillo. Il personale di bordo, costituito prevalentemente da stuart, un pò scontroso. In volo ci sono stati serviti prima un pranzo (non male) e successivamente uno snack.

Dopo aver superato i controlli dell’ufficio immigrazione (impronte digitali, foto, modulo verde compilato in aereo), i controlli doganali (consegna del modulo bianco compilato in aereo) e dopo aver ritirato i bagagli, pervenuti entrambi anche se con graffi, macchie indelebili e ammaccature, ci incontriamo con la persona della “Soiree” incaricata del nostro trasferimento dall’aereoporto all’hotel. Sulla navetta troviamo una scritta che ci diventerà familiare almeno a New York. Il senso è “Ricordatevi di dare la mancia all’autista”. Ci aspettavamo un autista che parlasse l’italiano come indicato nel programma rilasciatoci da ViaggiIdea ma non è così. L’autista parla solo spagnolo e inglese. L’autista ci fa un po’ da cicerone e al momento opportuno ci comunica che stiamo entrando nella città di New York attraverso il Lincoln Tunnel, un tunnel sottomarino che collega il New Jersey all’isola di Manhattan. Alle 16 facciamo il check-in al “Jolly Madison Tower” (22 East 38th Street) dove pernotteremo per 4 notti. Subito ci accorgiamo che l’hotel è in una buona posizione. Infatti dalla finestra della nostra camera si può ammirare l’Empire State Building (ESB). Ci ristoriamo un po’, telefoniamo a casa per rassicurare i nostri e telefoniamo, da un telefono pubblico, alla Volatour per confermare l’escursione sulle Cascate del Niagara del giorno seguente (come suggeritoci nel programma rilasciatoci da ViaggiIdea). Per telefonare abbiamo utilizzato la scheda New Columbus della Telecom acquistata in Italia al prezzo di 12 euro. Ottima scheda, con operatori in Italiano, che consente di chiamare i telefoni fissi dell’Italia a soli 12cent/sec (1 ora e mezza di conversazione). Consiglio di comprarla in Italia in quanto ho avuto difficoltà a trovarla negli USA. Ci mettiamo in cammino verso l’ESB percorrendo la Madison Avenue. Le dimensioni degli edifici sono notevoli, la loro maestosità è ciò che colpisce al primo sguardo. Raggiungiamo l’ESB, facciamo un po’di fila per acquistare i biglietti (mi aspettavo una fila molto più lunga) e saliamo all’86° piano. La vista è spettacolare. Sono visibili la Statua della Libertà, Ellis Island, i ponti di Brooklyn e di Manhattan, Wall Street, il Crysler Building, Central Park, ecc. Peccato che, come segnalato all’ingresso dell’edificio, ci sia un vento forte e freddo che ci coglie alquanto impreparati e ci costringe a rifugiarci nel negozio di souvenir ubicato sulla terrazza stessa. Siamo stanchi, il fuso orario si fa sentire (e anche il freddo) e non ce la sentiamo di restare fino al tramonto, per cui scendiamo e cerchiamo un posto dove mettere qualcosa sotto i denti. Prima di partire avevo letto su un forum che nei dintorni c’era SBARRO, una catena di ristorazione diffusa negli USA in cui era possibile mangiare una buona pizza newyorkese. Noi l’abbiamo assaggiata e non ci è piaciuta affatto. Mia moglie ha scambiato una pizza con wrustel e ananas (inconcepibile per noi napoletani) per una pizza con wrustel e patatine fritte. Immaginate la sorpresa e soprattutto il disgusto che ha provato nel momento in cui la punta della sua lingua si è posata sull’ananas. Morale, la pizza con l’ananas l’ho mangiata io e lei ha mangiato la mia pizza con pomodoro e salame. Siamo ritornati in hotel e dopo aver dato l’ultima occhiata all’Empire, illuminato di lilla, dalla nostra finestra, ci mettiamo a letto, soddisfatti ed ancora emozionati per i bellissimi panorami visti poco prima. 2° giorno (23 giugno) Alle 6 ci incontriamo nella hall con Carlos, la persona della Volatour che ci accompagnerà all’aeroporto di La Guardia di New York. Infatti oggi ci attende l’escursione sulle Cascate del Niagara. Durante l’attesa noto un tombino fumante, proprio come si vedono nei film. Passiamo a prendere gli altri partecipanti vicino ai loro hotel, così abbiamo la possibilità di vedere altre strade di Manhattan. Siamo un gruppo di italiani tra i quali vi sono anche due coppie di Torre del Greco. Lasciamo Manhattan percorrendo la galleria sottomarina di Queens Tunnel la quale collega l’isola al distretto del Queens. Giungiamo all’aeroporto. Prendiamo il volo delle 8:10 della US Airway. L’aereo è piccolo ma confortevole. L’hostess è gentile ma parla un’inglese incomprensibile. Durante il volo di circa 50 minuti ci viene offerto uno snack. Bellissimo il colpo d’occhio su Manhattan durante la fase di decollo. Al nostro arrivo a Buffalo ci attende Marcello, la nostra guida di origini siciliane che mastica un anglo-italiano abbastanza comprensibile. Saliamo in autobus e partiamo alla volta delle Cascate. Attraversiamo la Grand Island circondata dal fiume Nicaragua (che alimenta le Cascate) e già da qui con un po’ di attenzione è possibile scorgere, alta nel cielo, l’acqua polverizzata delle Niagara Falls. Entriamo nel parco delle Cascate del Niagara situato nella città di Niagara Falls New York, sul versante americano della città di Niagara. Vediamo da lontano il Rainbow Bridge che si affaccia sulle cascate. Prendiamo un trenino molto caratteristico che ci porta all’ingresso delle Cascate. Prendiamo l’ascensore e ci dirigiamo verso il punto di imbarco per “Il Maid of the Mist”, il battello che trasporta passeggeri nel bacino alla base della cascate. Equipaggiati di keyway blu salpiamo verso la prima della tre cascate: la American Falls (Cascata Americana), seguita subito dalla piccola Bridal Veil Falls (Velo Nuziale , chiamata così per la sua forma) ed infine l’Horseshoe Falls (Ferro di cavallo, per la sua forma) o Canadian Fall, l’unica delle tre del versante canadese. Quest’ultima è quella che regala più emozioni. Il battello oscilla come se fosse in un mare in tempesta e ci si trova avvolti in una nebbiolina bianca fatta di acqua polverizzata. C’è tanta acqua, ma cerchiamo comunque di riprendere con la telecamera e di fare qualche foto. Ciò che stupisce di più delle Cascate non è la loro altezza ma la loro incredibile portata. Ritorniamo a terra dopo una mezz’oretta di crociera e risaliamo verso il parco dove riusciamo ad avvistare qualche timido scoiattolo. Riprendiamo il nostro autobus e attraverso il Whirlpool Bridge varchiamo il confine americano. Ora siamo in Canada, precisamente a Niagara Falls Ontario, la parte canadese della città di Niagara. Le tipiche casette canadesi di legno e mattoni sono molto carine. Ci fermiamo a Souvenir City per una piccola sosta e per l’acquisto dei primi souvenir. Si fa ora di pranzo e quindi Marcello come da programma ci porta al ristornate Penthouse dell’hotel Sheraton On the Falls. Il ristorante ha una bellissima vista sulle cascate. Il pranzo è a buffet, le cose più buone sono le torte al cioccolato. Continuiamo la nostra escursione in autobus. Mentre passiamo per il parco giochi di Niagara (peccato non potersi fermare un po’) Marcello ci propone un buon caffè espresso. La proposta è accettata da tutti con molto entusiasmo, così raggiungiamo il Robinson Bar & Cafè, locale gestito da un calabrese emigrato molti anni fa. Al prezzo di $2 americani (non avevamo dollari canadesi) sorseggiamo un buon caffè espresso. Lasciamo il versante canadese passando per il bellissimo Victoria Park da cui è possibile ammirare dall’alto e da vicino le Horseshoe Falls. Anche in questo caso è un peccato non potersi fermare, la vista è molto bella e c’è tanta gente che passeggia. Nel parco non mancano coppie di sposi novelli, con tanto di testimoni e fotografi a seguito. Riattraversiamo il confine e imbocchiamo la strada del ritorno percorrendo il Rainbow Bridge. Giunti all’aeroporto di Buffalo salutiamo il vivace Marcello con tanto di mancia ($10) e prendiamo il volo di ritorno per New York. A La Guardia ci attendono per riportarci ai nostri hotel. Noi scendiamo al Jolly Madison Tower , dove giungiamo verso le 19:30.

Ci rinfreschiamo e poi riscendiamo. Telefoniamo alla Volatour per confermare l’escursione del giorno seguente (come suggeritoci nel programma rilasciatoci da ViaggiIdea). Siamo stanchi e quindi decidiamo di non fare tanta strada. Percorriamo Park Avenue fino alla stazione Grand Central Terminal. Lungo la strada lo sguardo cade sul Crysler Building. Entriamo nella stazione per dare un’occhiata. E’ maestosa come ogni cosa in America e non mancano le bandiere a stelle e strisce. A questo punto decidiamo di cercare un posto dove mangiare lungo la 42nd Street. La scelta ricade sul McDonald’s. La nostra seconda giornata di viaggio si conclude con una passeggiata sulla 5th Avenue fino al nostro Hotel. 3° giorno (24 giugno) Colazione in Hotel. Alle 8:20 ci incontriamo con Marta, la guida che ci condurrà nel distretto di Harlem, in particolare nella parte afro-americana (l’altra parte invece è popolata da portoricani). Passiamo a prendere gli altri partecipanti nei pressi dei loro hotel ed in tal modo abbiamo la possibilità di vedere altre strade di Manhattan, come la 7th Avenue, Broadway e Time Square. Anche in questo caso siamo un gruppo di italiani. Ci dirigiamo con il nostro autobus verso Harlem passando per la piazza di Columbus Circle e per Central Park West, la strada che fiancheggia l’immenso giardino inglese progettato dall’americano Olmsted in collaborazione con gli architetti inglesi Vaux e Mould. Sulla Central Park West sorgono gli appartamenti più costosi di New York. Dall’esterno non si direbbe ma come ci spiega Marta all’interno gli appartamenti sono molto lussuosi e possono essere composti anche da 20 stanze. Facciamo una sosta sulla Martin Luther King Junior Boulevard per fare qualche foto e comprare qualche souvenir sulle bancarelle gestite da afroamericani che urlano in continuazione “one dollar ,one dollar” o “five dollars, five dollars” per una maglietta o per un cappello. C’è anche una bancarella che vende magliette e poster di un artista di colore noto come “Franco, il Picasso di Harlem”. Lui è in viaggio in Africa ma c’è la moglie che mostra le sue opere. Le saracinesche dei negozi ancora chiusi ci mostrano alcuni dipinti di Franco. Dall’altra parte della strada, invece, si erige il teatro Apollo, luogo in cui sono stati scoperti talenti come James Brown e Michael Jackson. Risaliamo nel bus e passando per il New York City College saliamo sui colli di Sugar Hill. Marta ci mostra le brownstone (case di pietra marrone) e le abitazioni in stile inglese. Ci fermiamo a visitare il giardino della Morris-Jumel Mansion, la casa più vecchia di Manhattan, in stile palladiano o Liberty del 1765, in cui soggiornò George Washington. La prossima tappa è la chiesa Battista di “La Gree Baptist Church” , in cui ci accomodiamo per ascoltare la messa gospel delle 11:00. Si entra nella chiesa battista (dove metà dello spazio è occupato da una gradinata di legno per i fedeli e i visitatori occasionali quali siamo noi). Il rito è officiato in modo decisamente informale tra suoni e canti gospel. I battisti hanno riti decisamente diversi dai cristiani, non credono nella verginità di Maria e non venerano i Santi. Nella chiesa, infatti, non vi sono né statue di santi, nè immagini sacre fatta eccezione per un dipinto di Franco che raffigura il battesimo di Gesù ad opera di Giovanni. Sull’altare si alternano il pastore e le sue due reverende collaboratrici. Parlano al pubblico con enfasi, invocano il Signore, esortano a pregare ed a cantare. Il coro, composto prevalentemente da voci femminili, accompagnato da batteria e organo, innalza canti al Signore. I fedeli di Harlem, di un’eleganza molto vistosa nella giornata festiva, cantano e muovono ritmicamente il corpo, le braccia, le mani, seguendo indicazioni non scritte che sono particolarmente adatte ad accompagnare questi canti appassionati e commoventi. Una fedele, si alza ed a braccia aperte si rivolge al Signore gridando “Alleluia, Alleluia”. L’organista come in trance inizia a piangere, smette di suonare, e solo dopo diversi minuti riesce a riprendere il controllo di se stesso. Anche noi siamo coinvolti emotivamente in questa suggestiva celebrazione anche se alla fine un dubbio, condiviso dalla nostra guida, si insinua: sarà realtà o spettacolo per turisti? Ad un certo punto noi usciamo, la messa per noi è finita ma continua per i fedeli di Harlem. La guida ci dice che verranno affrontati i problemi della comunità. L’escursione ad Harlem si conclude con il passaggio del nostro bus davanti allo Yankee Stadium e la Columbia University. Harlem è cambiata dopo il governo del sindaco Giuliani. E’ stata ripulita ed alucni angoli del quartiere sono molto carini. L’autobus ci riporta sulla 42th Street. Durante il tragitto Marta ci dice che oggi la 5th Avenue sarà chiusa in quanto è in programma la parata del Gay Pride. Ci racconta anche che per tale motivo l’Empire è illuminato di lilla, il colore associato a tale festa. Nel ritornare in hotel ci imbattiamo nella parata. C’è molta gente che assiste alla sfilata dei carri. Riusciamo a trovare un punto per attraversare la 5th Avenue. Ci ristoriamo, indossiamo qualcosa di più leggero, visto che fa più caldo rispetto a questa mattina, e usciamo con l’intenzione di fare un po’ di shopping. Entriamo prima in H&H. Poi mangiamo un gustoso hotdog acquistato in un chiosco sulla strada. Proseguiamo con un giro da Macy’s, il centro commerciale più grande del mondo (10 piani). Poi Footloker, American Eagle e qualche altro negozietto. Ripassiamo per l’hotel per posare i nostri acquisti e via di nuovo verso Grand Central Terminal. Acquistiamo due metrocard alle macchinette. Ci sono anche le istruzioni in italiano, a significare che New York ormai è meta di viaggio di parecchi connazionali. Prendiamo la linea 6 in direzione Uptown, fino alla 51st Street. La stazione della metro è invivibile. E’ bassa, sporca e si soffoca dal caldo. La metro, invece, non è male anche se sfigura rispetto alla nuovissima metro A di Roma. Molte persone ascoltano musica con l’ipod, altre sono intente a leggere il giornale o qualche libro. Dalla 51st Street raggiungiamo a piedi la Cattedrale di S.Patrick. E’ aperta e cogliamo l’occasione per dare un’occhiata. Il suo stile gotico affascina, rosoni e vetrate di colori accesi non bastano ad illuminare le alte navate. Sulle navate laterali si susseguono statue di santi, ve ne sono davvero molte. La solennità e la ricchezza della cattedrale mi fanno ripensare alle modeste chiese Battiste. Due modi di vivere la religione e la spiritualità così profondamente diversi. Proseguiamo la nostra passeggiata alla volta del Rockefeller Center. Giunti ai piedi del grattacielo troviamo ad accoglierci una enorme statua dorata di Prometeo in parte immersa in una fontana. Entriamo nell’edificio, facciamo i biglietti e prendiamo l’ascensore per il Top of the Rock, ossia per la terrazza panoramica a 360° posta in cima al grattacielo (l’ultimo piano, il 70°, si sviluppa poi su tre livelli). Il tetto dell’ascensore è trasparente e durante la salita è possibile vedere la tromba dell’ascensore illuminata e delle stelle proiettate proprio sul tetto. Lo spettacolo che si può ammirare dal 70° piano è da mozzare il fiato. A mio parere la visuale è migliore di quella dell’Empire, sia perché non si sono le grate di protezione (almeno sul terzo livello), sia perché ci sono meno edifici che ostacolano la vista sul Central Park. E poi è possibile vedere l’ESB in tutto il suo splendore. Abbiamo fatto anche meno fila. Questa volta non c’è vento e possiamo goderci il tramonto sul New York con tutta tranquillità. Tante piccole luci man mano illuminano la Grande Mela. Il Top of the Rock, inoltre, presenta anche una sala interna panoramica attrezzata con poltrone molto confortevoli. Insomma è un’esperienza da non perdere. Ormai notte, decidiamo di scendere e di continuare la nostra passeggiata. Percorriamo Broadway, con i suoi teatri, fino ad arrivare a Time Square, con le sue insegne luminose ed i suoi enormi schermi pubblicitari. Da Time Square riprendiamo la metro, linea 7 fino a Grand Central Terminal. E’ piuttosto tardi, sono circa le 22. Cerchiamo, a dir il vero con difficoltà, una steakhouse vicino all’hotel che sia ancora aperta. La troviamo. Io ordino una bella bistecca ben cotta con tanto di insalata e patate fritte, mentre mia moglie si butta su una buona fetta di torta al cioccolato. Anche oggi siamo esausti. Domani ci attende un’altra giornata interessante.

4° giorno (25 giugno) Oggi non abbiamo escursioni guidate, quindi ci siamo potuti svegliare più tardi. Colazione in hotel e poi via verso Grand Central Terminal. Facciamo due nuove metrocard pagandole con carta di credito e prendiamo la linea 4 della metro direzione Downtown. Scendiamo a Bowling Green. Infatti oggi abbiamo in programma di visitare la Statua della Libertà e Ellis Island. Appena entrati nel parco di Battery Park notiamo l’enorme sfera che una volta era posta nella piazza del World Trade Center. Sono ben visibili i segni della distruzione, lacerazioni che ricordano le ferite inferte ai cuori di migliaia di persone. La sfera ora è un monumento ai caduti e una fiamma eterna brucia in onore delle vittime dell’11 settembre. Ci inoltriamo nel parco per raggiungere Castel Clinton e mentre camminiamo avvistiamo qualche simpatico scoiattolo. Nella fortezza di Castel Clinton compriamo i biglietti del traghetto della Circle Line, il quale ci porterà prima sull’isola della Statua della Libertà e poi su Ellis Island. Non avendo una guida riteniamo opportuno acquistare anche un pass per l’Audio Tour. C’è un po’ di fila dovuta soprattutto ai controlli di sicurezza effettuati prima dell’imbarco. Salpiamo. Sul traghetto compriamo un Pretzel, il famoso pane bavarese molto diffuso sui chioschi di NY. L’aspetto è invitante ma il sapore è un po’ deludente. In circa venti minuti siamo su Liberty Island. Ritiriamo l’audio tour ed iniziamo a girare sull’isola seguendo il percorso indicatoci dalla nostra guida audio. Dall’isola è possibile vedere l’Empire, i grattacieli di Wall Street ed il ponte di Brooklyn. La Statua della Libertà donata dai francesi nel 1886 (doveva essere un dono in onore del centenario dell’indipendenza americana ma vi fu un ritardo di 10 anni), fatta di rame e progettata da Eiffel è imponente. L’ audio-guida ci rivela che il piedistallo fu realizzato grazie ad una campagna, mirata alla raccolta di fondi, indetta dal giornalista Pulitzer. In tal modo ogni cittadino americano poté contribuire al completamento dell’opera che altrimenti rischiava di restare incompiuta , in quanto il governo non aveva abbastanza fondi da investire. Purtroppo non riusciamo a salire sul piedistallo, in quanto sono necessari dei pass che, vista l’affluenza di gente, vanno prenotati alcuni giorni prima. Compriamo qualche souvenir e poi decidiamo di pranzare sull’isola, al Crown Cafè. Io prendo un Barbecue Pork Sandwich (maiale con salsa aromatizzata da barbecue, ottimo), con tanto di patate fritte mentre mia moglie ordina del Fish Fried con patate fritte. Le porzioni sono come sempre enormi. Dopo aver restituito l’apparecchio dell’audio-tour, salutiamo la Signore Libertà e riprendiamo il battello alla volta di Ellis Island. L’isola è una completa sorpresa. Ci sono gli edifici che una volta fungevano da centro di accoglienza degli immigrati, cioè di coloro che sognavano di entrare negli Stati Uniti., proprio come molti nostri connazionali di un tempo. Nell’edificio principale c’è un museo in cui sono raccolti gli oggetti, i bagagli e le esperienze di alcuni di quegli immigrati. L’audio-guida, ritirata sull’isola, rende la nostra visita molto suggestiva facendoci ascoltare alcune testimonianze di persone dell’epoca. Torniamo a Manhattan, usciamo da Battery Park e camminiamo tra i grattacieli di Wall Street. Telefoniamo alla Soiree per sapere l’ora del trasferimento in aeroporto previsto per domani mattina. Non risponde nessuno ma lasciamo un messaggio in segreteria. Per sicurezza chiamiamo anche il call center di ViaggIdea ma ci dicono che ci faranno sapere. Intanto proseguiamo la nostra passeggiata e giungiamo al Pier 17, il molo situato a South Street Seaport. Il posto è fantastico, da un lato i grattacieli del Financial District e dall’altro il molo con i velieri ed una vista spettacolare sui ponti di Brooklyn e di Manhattan. Molta gente viene qui a rilassarsi seduta sulle panchine oppure distese sul pavimento di legno del Pier 17. C’è anche un centro commerciale e visti gli ottimi prezzi facciamo qualche acquisto nel negozio City Streets. E’ ormai quasi notte e decidiamo di fare un ultima tappa: World Trade Center. Laddove sorgevano le torri gemelle ora c’è un cantiere per la costruzione di nuovi edifici. Cerchiamo il Memorial Monument ma non riusciamo a trovarlo. Chiediamo ad una ragazza asiatica e scopriamo che anche lei lo sta cercando. Così insieme ci mettiamo alla ricerca ed infine lo troviamo. Era sotto i nostri occhi ma era coperto dalle impalcature. Il monumento è una lastra di bronzo attaccata ad un palazzo situato nei pressi del cantiere. Sono raffigurati le torri in fiamme ed i coraggiosi pompieri che tentavano di spegnere il fuoco. Sono elencati i nomi di coloro che hanno perso la vita in quel tragico giorno. Per cena mangiamo pizza e un steak burrito da Charlys, nei pressi di Trinity Pl. Il mio burrito è enorme: la tortilla è ripiena di manzo, fagioli, cipolla, riso e formaggio fuso. Non lo trovo eccezionale. Prendiamo la metro linea 5 in Fulton Street e da Central Station Terminal ritorniamo in hotel. Siamo troppo stanchi e purtroppo non riusciamo a vedere le altre cose in programma, come Little Italy, Chinatown, Soho e Greenwich Village. In camera troviamo due messaggi sulla nostra segreteria. La Soiree ci fa sapere che l’appuntamento è fissato per le 7:15. Che efficienza! 5° giorno (26 giugno) Sveglia molto presto. Alle 7:15 ci vengono a prendere con una limousine bianca. E’ stata una sorpresa. Raggiungiamo il JFK lasciandoci alle spalle l’affascinante New York. In aeroporto facciamo colazione in uno Starbucks Coffee, una catena presente praticamente ovunque negli Stati Uniti. Assaggio il mio prima caffè (si fa per dire) americano e assaporo un mega Muffin. Alle 11 decolliamo verso Los Angeles. Voliamo con America Airline. Durante le quasi 6 ore di volo ci offrono solo un drink. Tutto il resto è a pagamento. Arriviamo all’aeroporto di Los Angeles (LAX) verso le 13:45. Al ritiro bagagli trovo solo una delle due valigie. Per fortuna mentre ci mettiamo in coda per ufficializzare lo smarrimento mia moglie vede l’altra valigia parcheggiata insieme ad altre in un angolo fuori dall’ufficio reclami. Chiamiamo subito un addetto e la recuperiamo. Fuori dal Terminal, sotto il segno rosso, attendiamo e prendiamo la navetta gratuita messa a disposizione dal nostro hotel: l’Hilton Los Angeles Airport. La camera, con vista sull’aeroporto, non è male. Il clima è molto fresco e quindi decidiamo di non andare in piscina ma di riposarci un po’. Il letto è una favola. La sera ceniamo al ristorante italiano “Andiamo” situato all’interno dell’hotel. Ordiniamo due antipasti e due primi. Le penne ricotta e spinaci e le fettuccine al cervo sono molto buone. 6° giorno (27 giugno) Oggi è prevista la partenza del Tour “Triangle West”. Ci incontriamo alle 7, nella hall, con Fabiana, una francese che mastica un italiano appena sufficiente. Fabiana sarà la nostra guida solo per oggi. Ci presenta l’autista dall’aspetto orientale il cui nome si pronuncia ‘O’. Si parte. Passiamo per Downtown (il centro di Los Angeles) per prendere altri partecipanti nei pressi dei loro hotel. Sostiamo anche al Westin Bonaventure, l’hotel con 5 torri in cui hanno girato il film “True Lies”. In autobus siamo tutti italiani. Imbocchiamo l’autostrada su cui hanno girato il film “Speed” e ci dirigiamo verso la nostra prima meta. Dovremo percorrere 430 Km per raggiungere la sgargiante Las Vegas. Dopo un paio d’ore di viaggio facciamo una sosta di 1 ora e mezza in un Outlet. Appena scesi dall’autobus avvertiamo un clima molto diverso da quello di Los Angeles: caldo secco. L’Outlet ha prezzi molto convenienti. Mangiamo una pizzetta prima di ripartire. Durante il tragitto ci imbattiamo in un paesaggio lunare, un lago salato ormai asciutto nei pressi dell’uscita per la Zzyzx Road (California). Poco dopo vediamo dei piccoli mulinelli di sabbia, la nostra guida ci dice che li chiamano “la polvere del diavolo”. Fabiana distribuisce la cartina stradale della parte Centro-Occidentale degli Stati Uniti, il programma e le escursioni opzionali dell’intero tour. Noi prenotiamo due escursioni: “Las Vegas:Serata in Città” ed il “Grand Celebration Tour”, un giro in elicottero sul Grand Canyon (solo quest’ultimo è costato $748, pagamento con carta di credito). Varchiamo il Nevada e dopo un po’ entriamo a Las Vegas e iniziamo a vedere i maestosi Hotel Casinò. Ci sono anche molti hotel in costruzione. Fabiana ci dice che gli abitanti di Las Vegas o lavorano nei casinò o nelle imprese edili. Arriviamo verso le 15:30 al nostro hotel: il Sahara, situato all’angolo tra Sahara Avenue e Las Vegas Boulevard (detta anche Strip). Posiamo i bagagli in camera e come suggeritoci dalla guida ceniamo al Buffet dell’hotel. Ogni hotel propone un buffet, così che ci si può rimpinzare ad un prezzo modico (intorno a 12 dollari). Facciamo un giro dell’hotel, del suo casinò e della sua piscina all’aperto. Fuori fa veramente caldo. Ci saranno più di 40° gradi. Nell’hotel, invece, l’aria condizionata è molto alta tanto che si sente quasi freddo. Alle 18:30 ci incontriamo con Fabiana per la prima escursione prenotata. Percorrendo la famosa “Strip” giungiamo al Treasure Island per assistere allo spettacolo proposto dall’hotel: una battaglia tra un galeone di pirati ed un galeone di sirene molto sexy, le quali hanno fatto prigioniero uno dei loro compagni. I colpi di cannone dei pirati non possono nulla contro la magia delle sirene, le quali finiscono con l’affondare la nave nemica. La nostra guida ci porta poi al Caesars Palace, un hotel imponente in cui è riprodotta l’antica Roma, con tanto di Colosseo (un teatro in cui si esibisce Celin Dion), fontana di Trevi, Cavallo di Troia e tante statue, fontane, dipinti e colonnati. Nel Forum Shop annesso all’hotel vi sono moltissimi negozi eleganti e costosi ed è qui che assistiamo all’attrazione dell’hotel: la caduta di Atlantis. Il re Atlas deve decidere a chi dei due figliastri (un maschio che domina il fuoco ed una femmina che domina l’acqua) deve lasciare il suo regno. L’ingordigia dei due figli, in continua lotta tra loro, avvelena il regno. Infine i dei decidono di porre fine alla disputa condannando il regno alla caduta. Una bestia alata spunta dietro il trono di Atlas ed osserva la distruzione di Atlantis ad opera prima del fuoco e poi dell’acqua. Ciò che colpisce sono i tre personaggi, tre enormi robot dai movimenti molto fluidi tanto da poter ingannare l’occhio umano in alcuni casi. In tutto il Forum shop, il soffitto riproduce il cielo, così anche se si è al coperto sembra di stare all’aperto e non ci si rende conto delle condizioni del tempo fuori dall’hotel. La tappa successiva è il Venetian con tanto di ponte di Rialto sopra il Canal Grande, Piazza San Marco e gondolieri canterini. Il canale si sviluppa anche all’interno dell’hotel in cui è riprodotta Venezia. Una meraviglia!Poco distante dal Venetian c’è l’elegante Bellagio, che si affaccia su uno specchio d’acqua che dovrebbe riprodurre il lago di Como. Qui assistiamo ad uno spettacolo molto romantico. Sul lago prima appare la nebbia e poi sulle note di “My heart will go on” ed a tempo di musica tante fontane che fuoriescono dal lago iniziano a danzare. Nella breve passeggiata lungo la Strip vediamo anche altri hotel famosi, come il Paris, il New York New York, il Wynn, il Mirage (che da solo consuma tanta energia quanta la capitale del Nevada, Carson City) ed il Luxor (che emette dalla cima della piramide un fascio di luce visibile anche dallo spazio). Lasciamo la Strip e in autobus ci dirigiamo a downtown, sulla Main Street. Passeggiamo per Fremont Street, la strada più scintillante di Las Vegas, in particolare nella parte coperta da un soffitto (alto 100 metri) detta anche Fremont Street Experience, lunga circa 500 metri. Lungo tutta Fremont Street Experience c’è l’aria condizionata. Incredibile!All’inizio della strada pedonale c’è un tir tipicamente americano sul cui rimorchio è posto un piano a coda. Il pianista sembra bravo. Lungo la Fremont Street vi è anche il primo cowboy fatto di neon, con tanto di sigaro in movimento. Ad un certo punto le luci si spengono e tutto il soffitto si illumina diventando un enorme e lunghissimo schermo. E’ il Viva Vision ed è lo schermo più grande del pianeta. Parte la musica e sullo schermo viene mandato in onda una specie di carosello americano degli anni 70. Lungo la Fremont Street non mancano i casinò, i ristoranti ed i negozi. Durante il ritorno in hotel, Fabiana ci fa notare un cartello pubblicitario: un’ agenzia offre dei prestiti per pagare la cauzione nel caso in cui si finisca in prigione. Pazza Las Vegas. Salutiamo Fabiana e l’autista con tanto di mancia.

7° giorno (28 giugno) Oggi da programma del Tour è prevista una giornata libera ma noi abbiamo prenotato un’escursione in elicottero sul Grand Canyon. Alle 10 ci vengono a prendere con pulmino e ci portano ad un eliporto ad una ventina di minuti da Las Vegas. Facciamo il check-in, ci pesano su una bilancia, e dopo qualche minuto di attesa ci chiamano per il nostro volo. Che emozione! La compagnia è la Papillon. Dopo la foto di rito con il nostro pilota saliamo sul piccolo elicottero. Siamo in sette, una coppia di francesi, due coppie di italiani e il pilota. Allacciamo le cinture, indossiamo le cuffie e via si parte per il maestoso Grand Canyon. Man mano che sorvoliamo i punti di interesse, una audio-guida (in italiano ed in francese) ci descrive il paesaggio, alternando voce a musica in modo da rendere ancor più suggestivo il panorama. Passiamo sopra il Lago Mead, la diga Hoover, il fiume Colorado fino ad avvistare il Grand Canyon. Dopo poco più di un’ora di volo scendiamo a 4000 piedi (circa 1200 metri) nelle profondità del Canyon, un tempo terra dei nativi americani Hualapai. Qui atterriamo e ci viene offerto un piccolo rinfresco servito sotto una autentica capanna degli indiani Hualapai, chiamata Ramada: sandwich con insalata e formaggio, bustina di patatine, un biscotto, bevande varie e champagne californiano. Fa molto caldo. Il termometro sotto la Ramada segna 42° C. Scattiamo qualche foto e facciamo qualche ripresa in questo luogo stupendo: le alture del Grand Canyon e il fiume Colorado ci fanno da cornice. Dopo una mezz’oretta ripartiamo, continuiamo il nostro tour sul Grand Canyon, passando per il torreggiante Grand Wash Cliffs e poi proseguiamo fino all’eliporto. Dopo un’oretta siamo a terra e al prezzo di $15 decidiamo di comprare la foto scattata con il pilota. Ritorniamo in hotel e dopo un breve riposino decidiamo di continuare da soli il nostro tour degli hotel-casinò di Las Vegas. Dopo l’acquisto di qualche souvenir nello shop di fronte al Sahara, prendiamo il Deuce, un autobus a due piani, rigorosamente con aria condizionata, che percorre tutta la Strip. Con $10 facciamo due biglietti giornalieri. Per avere un’ idea delle distanze tra i vari hotel, decidiamo di scendere alla fermata vicina al penultimo hotel presente sulla Strip (provenendo da Nord) e cioè il Luxor. Considerando che il Sahara è il secondo hotel provenendo da Nord, possiamo dire di aver visto tutta la Strip ed i suoi hotel. Iniziamo il nostro tour a piedi. Il “Luxor” all’esterno è spettacolare. E’ una piramide di vetro. All’ingresso superato l’obelisco si erge una sfinge enorme. L’interno, invece, è un po’deludente se confrontato con quanto visto la sera prima al “Caesars Palace” o al “Venetian”. Ne approfitto per giocare alle slot machine. Perdo un dollaro in 3 secondi (ogni giocata 25 cent) e mi basta. E’ stata un pò una delusione visto che le leve ormai ci sono solo per estetica mentre si gioca con i pulsanti. Dal Luxor accediamo poi direttamente all’”Exalibur” che riproduce un castello fiabesco. Poi continuiamo con il “New York New York” molto carino con le sue riproduzioni interne di Little Italy e Greenwich Villane e con quelle esterne dell’Empire, della Statua della Libertà e del Ponte di Brooklyn. Al “NY NY” ceniamo con un gelatone acquistato presso una delle gelaterie della catena “Häagen-Dazs”. Proseguiamo con il “Montecarlo” e poi il “Bellagio” dove assistiamo ad un altro spettacolare gioco di fontane,musica e luci. Poi il Paris, con la sua riproduzione della Tour Eiffel e dell’Arco di Trionfo (anche l’interno è carino), di nuovo il “Caesars Palace” (in cui facciamo qualche ripresa, visto che la sera prima la batteria della telecamera si era scaricata sul più bello, e qualche foto, tra cui una foto con Cleopatra, Antonio e alcuni centurioni) ed infine di nuovo il “Venetian” da cui riusciamo ad ammirare l’eruzione del vulcano offerta dal “Mirage”. Durante il ritorno in hotel vediamo anche lo Strosphere illuminato, non molto distante dal Sahara. Ciò che ci colpisce è il piccolo luna park in cima alla torre; ci sono delle attrazioni che si affacciano sul vuoto.

8° giorno (29 giugno) Alle 10 ci incontriamo con la guida David e l’autista Burt che ci accompagneranno per il resto del tour. Il gruppo del giorno precedente è stato diviso in due autobus. Nel nostro autobus ci sono italiani, spagnoli, una cilena e un brasiliano. Lasciamo la caldissima e scintillante Las Vegas. Oggi sono previsti 666 Km per raggiungere la nostra prossima meta: il villaggio di Oakhurst, nei pressi del Parco Naturale di Yosemite. Attraversiamo il deserto di Moyale e facciamo una sosta in un Outlet Center di Barstow (California). Pranziamo con un cheeseburger da Inn-N-Out Burger e poi facciamo un po’ di shopping da Levi’s. I prezzi sono veramente bassi. Compro un paio di jeans a 26 dollari (con le tasse sono poco più di 20 euro). Continuiamo il nostro viaggio. Passiamo per Joshua Tree, un punto in cui si possono ammirare le omonime piante, tra il cactus e l’albero, con le foglie rivolte verso il cielo, proprio come era solito fare Joshua con le mani. Pochi metri e il paesaggio muta completamente. Il deserto arido e caldo, lascia il passo ai prati rigogliosi, alle verdi colline e ai pascoli. Nel frattempo la guida ci dice che è di San Francisco e ci anticipa che quando saremo lì ci farà vedere dei posti magnifici, modificando il programma previsto nelle escursioni facoltative. Piccola sosta dopo circa 2 ore nella area di servizio Flyng J Travel Plaza di Bakersfield. Sfioriamo Fresno, la più grande città vicino Yosemite. Fresno è molto importante per il commercio agricolo. Dopo le praterie americane inizia la salita verso le colline su cui si trova il villaggio di Oakhurst. Sullo sfondo è possibile vedere i monti della Sierra Nevada. Intanto David ci comunica che all’hotel Shilo Inn avremo anche la colazione gratis. Giungiamo all’hotel verso le 20. Ci sistemiamo nella ampia e confortevole camera. Anche qui, come in tutti gli alberghi in cui siamo stati fino ad ora manca il bidè. Insieme ad alcuni ragazzi del nostro gruppo andiamo a cena all’Old Mexico Taqueria a circa 1 Km dal nostro hotel. Ordiniamo una fetta di manzo alla griglia con crema di fagioli, lattuga, pomodoro e riso. La carne è buona. Il villaggio di Oakhurst è carino, vicino ai negozi o ai ristoranti molto spesso sorgono simpatici orsi di legno o di erba. 9° giorno (30 giugno) La partenza per il Parco di Yosemite (nome indiano che significa “grandi ammazzatori di orsi grizzly”) è prevista per le 9, quindi abbiamo tutto il tempo per fare una tranquilla colazione con burro di arachidi, donuts (se queste sono le ciambelle sono una vera delusione) e i Waffle con lo sciroppo. Quattro strade principali conducono allo Yosemite, ma la più spettacolare e suggestiva è quella che abbiamo percorso e che arriva da sud e dal piede dei monti fa salire fino ad incontrare la galleria Wawona. Dopo questo tunnel ci siamo fermati un momento per contemplare il paesaggio e lasciarci riempire di stupore dalla Valle dello Yosemite. Alla sinistra si può ammirare la parete verticale di granito di El Capitàn (900 metri), che si alza vertiginosa e solenne, mentre a destra dai picchi delle Three Brothers (Tre Fratelli) scintilla la sottile Cascata del Velo Nuziale (Bridalveil Fall), che sembra davvero un nastro bianco. Ad una certa ora i suoi spruzzi riflettono i raggi del sole in modo da formare un arcobaleno spettacolare. Purtroppo noi non abbiamo molto tempo ed inoltre in questo periodo la portata della cascata non è molto cospicua, quindi l’effetto è ridotto. David ci dice che siamo stati molto fortunati perché lui dubitava che vi fosse acqua. Un ultimo sguardo alla Valle sul cui sfondo si erge l’Half Dome, una roccia granitica di 2700 metri e poi proseguiamo la nostra escursione. Ci imbattiamo in un incendio controllato, necessario affinché le sequoie si possano riprodurre. Infatti, questi alberi secolari hanno bisogno di un suolo pulito per potersi moltiplicare. Giungiamo alla Yosemite Lodge, punto di sosta e ristoro. David ci dà due ore e mezzo per poter visitare la zona e per pranzare. Decidiamo di dirigerci prima verso le Yosemite Falls, le cascate più alte del Parco. Sfociano in un salto di 436 metri, ribolle sulla roccia per poi tuffarsi nuovamente nel vuoto per un totale di 739 metri. Sono divise in tre parti, derivanti dalla altezza in cui si trovano: Upper Falls (sono la parte da 440 metri fino ad arrivare alla sorgente), The Cascades o Middle Falls (la parte in cui l’acqua compie il salto più alto e che si trova fra i 440 e i 90 metri) e Lower Falls (sono il punto più basso, da circa 90 metri fino al suolo). Ci sono due sentieri uno per le Upper Falls ed uno per le Lower Falls. Visto il tempo a nostra disposizione optiamo per le Lower Falls. Vi sono molte persone che attraverso grossi massi bianchi posti nel fiume Merced si dirigono proprio sotto le cascate. Vi tentiamo anche noi ma il percorso è lungo, tortuoso e fa molto caldo. Giunti a metà strada desistiamo e decidiamo di refrigerarci mettendo a bagno i piedi nelle gelide acque del fiume. Più tardi scopriamo che c’era un sentiero molto più agevole per raggiungere il laghetto sotto le Lower Falls. Pazienza! Dalle Lower Falls è possibile ammirare più da vicino El Capitain e i picchi dei Three Brothers. Ritorniamo al punto di partenza e pranziamo nel self-service di Yosemite Lodge: panino con salumi, banana e torta al cioccolato. Durante il pranzo vediamo alcuni scoiattoli a pochi metri da noi. Facciamo una breve passeggiata lungo il fiume in cui sfociamo tutte le cascate dello Yosemite. Molte famiglie americane amano passare la giornata lungo le rive del fiume. C’è anche chi si fa il bagno, nonostante l’acqua gelida. Purtroppo sono passate le due ore e mezza ed è ora di lasciare questo paradiso. Con il nostro autobus ci dirigiamo verso Mariposa Grovee, una località all’interno del Parco nell’area di Wawona. In questo bosco ci sono più di 200 sequoie ed è qui che vi sono quelle più grandi. Ad un certo punto lasciamo l’autobus e David e proseguiamo con lo Yosemite Shuttle, un bus più piccolo e più adatto per il tragitto da affrontare fino a Wawona. Imbocchiamo un sentiero lungo il quale si ergono imponenti le sequoie, gli alberi più grandi del mondo. Ad un certo punto ci imbattiamo nel Fallen Monarch, ossia il Re Caduto, una sequoia di 70 metri caduta 300 anni fa in seguito ad una frana, che oggi mostra le sue radici dal diametro di 70 cm l’una. Le sequoie sono dette anche “alberi immortali” (Almost Immortal), in quanto anche dopo essere caduti restano lì intatti per secoli e secoli. Proseguiamo la nostra escursione fino alla principale attrazione del Mariposa Groove : il Grizzly Giant, la più grande sequoia del Parco (diametro di 8 metri e altezza di 65 metri) e la più vecchia sequoia vivente con i suoi circa 2700 anni. E’ davvero maestoso, i suoi rami sono enormi. Poco distante c’è il California Tunnel Tree, l’unica sequoia vivente (dopo la caduta della Wawona Tunnel Tree del 1969) con una cavità artificiale creata come attrazione per turisti i quali potevano attraversarla con la carrozza. Percorriamo a ritroso il sentiero fino al punto di partenza e tramite lo Shuttle ritorniamo al nostro autobus. Sulla strada del ritorno all’improvviso il nostro autista Burt inchioda. Un cervo ha attraversato la strada. Ne vediamo subito un altro nel bosco. Ci guarda con sospetto e fierezza. Ad Oakhurst ci accompagnano al supermarket e ne approfittiamo per comprarci la cena da consumare in camera: pollo allo spiedo a limone, patatine al formaggio e pesche californiane (più dolci rispetto alle nostre).

10° giorno (1° luglio) Colazione in hotel. Partenza per alle 7:30 per San Francisco. Oggi percorreremo 450 Km. David, la nostra guida, in genere poco presente durante le escursioni, durante il viaggio dà il meglio di sé, raccontando storie vere e storie di pura fantasia. Ci narra così del periodo della caccia all’oro iniziata in California nel 1848. Ci racconta che un certo Levi Strauss inventò dei pantaloni molto resistenti adatti per la caccia all’oro. Per farsi pubblicità e per dimostrare la qualità dei suoi capi legò un paio di pantaloni a due cavalli e li fece tirare in direzioni opposte. I pantaloni resistettero al test e per questo che dal 1886 i jeans Levi’s portano sulla cintura l’etichetta con i due cavalli. Dopo un paio d’ore di viaggio facciamo una sosta nell’area di servizio Flyng J di Ripon. Nella seconda parte del viaggio prenotiamo 3 escursioni facoltative: “Crociera nella baia di S. Francisco”, “San Francisco:Giro Notturno” e “San Francisco:Golden Gate Bridge e Sausalito” (per un totale di 144$ a coppia). Sfioriamo Berkeley e Oakland e poi imbocchiamo il Bay Bridge. A fianco notiamo che stanno costruendo un altro ponte. La guida ci dice che si chiamerà Arnold Schwarzenegger Bridge. Su le note della colonna sonora del film “2001:Odissea nello spazio” finalmente vediamo la città di San Francisco. Attraversiamo la città passando per Chinatown, Union Square, Little Italy, JapanTown fino al Fisherman’s Wharf, al Pier 39. David distribuisce i biglietti della crociera e così insieme al resto del gruppo ci mettiamo in fila per salire sul battello. Il tempo è bello anche se c’è un po’ di vento fresco. Salpiamo. Passiamo non molto distante dall’isola di Alcatraz e ci dirigiamo verso il Golden Gate, uno dei ponti più famosi al mondo. E’ uno spettacolo! Man mano ci avviciniamo al ponte. Un elicottero turistico vi passa addirittura sotto. Il battello ci porta proprio sotto il ponte per poi invertire la rotta. Il cielo è limpido ma il vento è freddo. Ci aspettavamo un clima più fresco ma non così. In pochi minuti siamo nei pressi dell’isola di Alcatraz detta anche “The Rock”, possiamo vedere il faro ed il vecchio carcere chiuso nel ’62 perché costoso e che ora è diventato un museo. E’ domenica e nella baia vi sono molte barche a vela che sfruttano il vento freddo che ci costringe più volte ad andare sotto coperta. Dopo un’ora circa rientriamo nel molo e vediamo un gruppo di leoni marini su una zattera. Le acque della baia sono molto fredde (7/8 °C) e non sono adatte per fare il bagno. Facciamo un giro per il Pier 39 su cui vi sono molti negozi e locali. Il freddo pungente costringe mia moglie a comprarsi una felpa. Le specialità culinarie del posto sono pesce fritto, panini con il granchio e panino con zuppa di vongole. A pranzo mangiamo gamberi e pesce fritto con patate. Verso le 15 inizia la visita guidata della città prevista dal Tour. David ci porta vicino all’ estremità del Golden Gate da cui è possibile ammirare il ponte molto da vicino. Il panorama è molto suggestivo. Poi ci rechiamo nel punto più alto di San Francisco, Twin Peaks (due picchi) che offre una vista spettacolare su tutta la città. Dopo una breve sosta riscendiamo per le strade di San Francisco. E’ impensabile percorrere a piedi la città, ci sono discese e salite molto ripide che renderebbero la passeggiata molto faticosa. Con il nostro bus passiamo per il quartiere Hippy dei “figli dei fiori”, per il quartiere gay con le sue bandiere arcobaleno, per il quartiere della Missione dei Francescani, per il Golden Gate Park con il giardino cinese e il giardino botanico (peccato che non c’è tempo per poterli visitare), per il municipio del Civic Center che con il suo cupolone ricorda un po’ la Basilica di San Pietro, fino al nostro hotel, l’Holiday Inn Civic Center. Ci sistemiamo in camera e verso le 19 ci incontriamo con David per il giro turistico notturno della città. David vuole farci provare l’emozione di prendere il Cable Car, lo storico mezzo di trasporto di San Francisco (oggi vi sono solo tre linee). Per evitare le lunghe file (tempi di attesa anche di 2 ore) prendiamo la linea meno affollata dai turisti e cioè la ‘C’ (California Street). E’ emozionante stare il piedi sullo scalino che sporge lateralmente, mantenendosi solo con una mano mentre con l’altra si lancia un saluto ai passanti. Il Cable Car attraverso le caratteristiche strade in salita ed in discesa della città ci porta fino al capolinea. Di fronte alla fermata c’è l’hotel Hyatt Regency, un ‘opera d’arte dell’architettura moderna. Ciò che colpisce di più al suo interno è la fontana: l’acqua che fuoriesce dalla vasca sembra immobile tanto da scambiarla per una sottile lastra di vetro. Il nostro autobus ora ci porta a Chinatown attraverso la Porta del Dragone. Facciamo quattro passi per il quartiere, David ci racconta un po’ la storia di Chinatown ed infine di offre degli ottimi biscotti della fortuna comprati un negozio della zona. Chinatown è quasi deserta, forse perchè è domenica. La prossima tappa è il Fischerman’s Wharf molto meno affollato rispetto alla mattina. Il Pier 39 è in pratica deserto ed i negozi sono chiusi. Ci sono però non molto distante dal molo diversi chioschi (molti gestiti da cinesi) presso cui è possibile assaggiare il famoso panino con il granchio, la zuppa di vongole e il pesce fritto. Il panino col granchio contiene un ripieno di granchio freddo tritato condito con della maionese. Sinceramente pensavo a qualcosa di meglio. Giriamo un po’ ma il vento freddo ci costringe a riparaci in un caffè. Dopo un po’ riprendiamo l’autobus per la prossima tappa. Sulle note di San Francisco di Scott McKenzie e di San Francisco Night degli Animals passiamo per l’Embarcadero, il Ferry Plaza, il Bay Bridge illuminato con collane di luci (a differenza del Golden Gate, il quale di notte è appena illuminato) fino ad un punto panoramico sulla sponda opposta del ponte. Da qui è possibile vedere tutta San Francisco illuminata, compreso il suo Skyline. Ultima tappa il Municipio del Civic Center, nei pressi del quale c’è una strana opera d’arte moderna in movimento alternato.

11° giorno (2 luglio) Partiamo alle 9 per l’ultima delle tre escursioni acquistate. Il nostro bus ci porta sulla Lombard Street, la strada più sinuosa degli USA. Per raggiungere il tratto più pittoresco, però, dobbiamo fare una salita molto ripida a piedi. Sono uscito con il giubbotto ma mi tocca toglierlo perché la strada è impegnativa ed inizio a sentire caldo. Il tratto tra Hyde Street e Leavenworth Street, è una strada a senso unico con otto tornanti in discesa molto colorata grazie ai fiori che la adornano. Le auto la percorrono procedendo con lentezza e cautela per non finire nei garage delle abitazioni che sorgono ai lati della strada. In cima a questo tratto di strada c’è la fermata del cable-car Power-Hyde che con il suo tipico campanellino segna la propria ripartenza. Prossima tappa il Golden Gate. Percorriamo a piedi i 2 km del ponte. Lungo il passaggio pedonale sfrecciano pericolosamente molti ciclisti. Bisogna stare attenti per non essere travolti. Comunque, la passeggiata è piacevole così come la vista della città e dell’isola di Alcatraz. Dall’altra parte del ponte ci attende il nostro bus, che ci porta a Sausalito, una piccola località, detta “la Portofino di San Francisco”, abitata dai ricchi di San Francisco. Anche da qui il panorama sulla città di San Francisco è molto bello. Facciamo una breve passeggiata, compriamo qualche souvenir da portare a casa e poi ripartiamo per la città. L’escursione è terminata ed il bus ci ferma a Union Square, meta preferita dai turisti, soprattutto per lo shopping. Insieme ad altri ragazzi decidiamo di andare sul Pier 39 con il tram (da non confondere con il cable-car). Qui ci dividiamo. Io e mia moglie abbiamo voglia di un po’ di pasta, così, attratti dal menù posto all’ingresso entriamo nel ristorante Fog Harbor. Ordiniamo delle linguine con pomodori e gamberi. E’ stata una sorpresa quando assaggiandoli abbiamo scoperto che c’era un altro ingrediente, sfuggito ai nostro occhi: vodka o qualcosa di simile. Troppo dolci per i nostri palati mediterranei. Poco dopo avvistiamo un locale in cui vendono le crepes. Decidiamo di rifarci la bocca con una buona crepes con la nutella. Sul Pier 39 c’è un negozio che attira la nostra attenzione: Pearl Factory. Il cliente sceglie un‘ostrica su cui viene fatto un breve e simpatico rito hawaiano o simile. Poi l’ostrica viene aperta e ne viene estratta la perla, che una volta pulita e lucidata può essere anche forata pronta per essere montata su una collana o su un anello. Molto affascinante!Ci rincontriamo con il gruppo e riprendiamo il tram per tornare in hotel. Il tram è italiano, è un vecchio tram arancione di Milano. Per la sera organizziamo una cena fuori. Andiamo al Cheesecake Factory, ristorante situato all’interno del Macy’s di Union Square. Il locale è molto elegante ed ha una bella vista sulla piazza. Prendiamo un tavolo fuori. Fà freddo ma ci sono le stufe a gas che un po’ ci riscaldano. Prendiamo una bistecca ben cotta con patate fritte. Molto buona. Al ritorno lungo la Market Street (una delle strade principali delle città) ci colpisce la presenza di molti barboni. David, ieri, ci ha detto che anni fa molti manicomi sono stati chiusi per ridurre le spese pubbliche. Molta gente, così, è stata dichiarate sana di mente (anche se in realtà non lo era) ed è stata messa in mezzo alla strada. San Francisco dà l’impressione di non essere una città molto sicura, soprattutto di notte.

12° giorno (3 luglio) Questa mattina vogliamo fare una colazione all’americana. Verso le 7 scendiamo in cerca di un posto in cui fare colazione. Oggi San Francisco è avvolta nella nebbia. In questi due giorni siamo stati fortunati, perché a San Francisco sono rare le giornate limpide. Nei pressi dell’hotel scopriamo l’Allstar Cafè, un piccolo caffè semideserto (vista l’ora). Io prendo due pancake (frittelle) con sciroppo ed una ciambella con glassa al cioccolato che mangerò più tardi (squisita, molto simile alle nostre ciambelle, nulla a che vedere con le donuts mangiate a Yosemite). Le frittelle non sono male. Verso le 8 partiamo per Santa Maria. Oggi sono previsti 467 Km. David chiede a Burt, il nostro autista, di fare una piccola deviazione perché vuole farci vedere qualcosa in più. Così passiamo per Half Moon Bay, una tipica cittadina americana con le tipiche case di legno che si vedono anche in tv. Poi sostiamo sulla spiaggia di San Gregorio, una località sull’Oceano Pacifico. Purtroppo c’è la nebbia che ci nasconde la bellezza dell’oceano. Dopo qualche chilometro, però, la nebbia si dirada ed il sole ci mostra il mare con i suoi bellissimi colori. Giungiamo a Santa Cruz e facciamo una sosta. Ci sono molte case sulla costa e decine e decine di surfisti nell’oceano ricoperto da kelp, un’ alga ricca di sostanze nutritive che dà vita a tanti organismi e che viene usata anche per curare alcune patologie dell’uomo. Ecco un surfista che cavalca la sua onda e che riesce a dominarla passandoci dentro. Proseguiamo poi per la spiaggia tipicamente californiana con tanto di parco giochi. Lasciamo questo piccolo paradiso alla volta di Monterey situata nell’omonima baia. Monterey è stata la prima capitale della California sotto il dominio spagnolo e poi messicano. La nostra passeggiata parte dal Fisherman’s Wharf. Questa città è famosa soprattutto per il ricco habitat marino e per il suo Acquario (uno dei più grandi del Nord America). Oggi è addobbata con tante bandiere a stelle e strisce in vista della festa dell’indipendenza di domani. La nostra passeggiata ci porta davanti alla “Colton Hall” (1849), una scuola pubblica nonché luogo d’incontro del governo ora divenuta un museo. Anche il museo è tutto decorato per la festa del 4° luglio. Nel prato antistante il museo, c’è mamma orsa che vigila sui suoi due cuccioli di bronzo. Passiamo anche per la “Friendly Plaza” e il “Golden State Theatre” . A pranzo mia moglie prende una bagel con prosciutto, mentre io un California Reuben, un sandwitch con tacchino, verza e formaggio (lo sconsiglio). Ultima tappa della nostra passeggiata per la graziosa Monterey è la “Pacific House Museum” (1847) una costruzione utilizzata dall’esercito americano come hotel, ufficio, taverna e magazzino ora però adibita ad un museo in cui viene raccontata la storia di Monterey durante il dominio Spagnolo e Messicano. Risaliamo sul nostro bus e continuiamo il nostro viaggio lungo la costa della baia di Monterey. Giunti nella città di Pacific Grove imbocchiamo la “17-Mile Drive”, una strada panoramica (a pagamento) sull’Oceano Pacifico che attraversa famosi campi da golf, tra cui anche il più famoso del mondo su cui disputano spesso gli US Open, e le “Mansion”, delle ville molto grandi davvero meravigliose. Facciamo una breve sosta per ammirare la fauna e la flora marina. C’è un po’ di nebbia, l’Oceano è ricoperto da kelp e sulla spiaggia e sulle scogliere si possono ammirare uccelli vari e simpatici scoiattoli che si lasciano avvicinare se gli si offre una patatina. Verso l’interno, invece, sui campi da golf , si possono avvistare diversi cerbiatti. Lasciamo la “17-Mile Drive” alla volta di Carmel-By-The-Sea (o semplicemente Carmel), cittadina molto singolare. Infatti, originariamente questa colonia di artisti vietava l’illuminazione delle strade e la numerazione delle case (non ci sono numeri civici), e queste regole non sono cambiate. Alcuni anni fa l’attore Clint Eastwood è stato il sindaco di questa città. Carmel è una città ricca di storia artistica ma la nostra guida si limita a portarci nel centro commerciale “Carmel Plaza”, molto carino con i suoi negozi in legno ed i suoi giardini fioriti. Purtroppo c’è tempo solo per una breve passeggiata per il centro della cittadina. Continuiamo il nostro tour verso la cittadina di Santa Maria dove alloggeremo questa notte. Giungiamo all’hotel Santa Maria Inn verso sera. L’hotel in legno è molto bello ed antico. In passato qui hanno soggiornato personaggi famosi come John Wayne, Marylin Monroe, Rodolfo Valentino e Gary Cooper. La camera è molto ampia (la più grande in cui siamo stati fino ad ora) ed accogliente. Decidiamo di andare a cena con alcuni ragazzi del gruppo. Ci fermiamo a mangiare in una steakhouse non molto lontano dall’hotel. Bistecca con insalata e patata al forno con formaggio fuso. Tutto squisito. La bistecca è la migliore che abbia mangiato durante il soggiorno negli States. 13° giorno (4 luglio) Questa mattina sono previsti 270 Km per raggiungere Los Angeles. Facciamo colazione in hotel e verso le 8 ripartiamo. La prima tappa prevista per oggi è Santa Barbara. Ci fermiamo sulla lunghissima spiaggia alle spalle della quale sorgono altissime palme. Sulla spiaggia facciamo una foto di tutto il gruppo, David e spagnoli compresi. Oggi è la festa dell’indipendenza e la città è in festa. Tante bandiere americane, tante famiglie accampate sotto le palme. Ognuno delimita il proprio spazio con del nastro giallo simile a quello usato dalla polizia sulla scena di un crimine. Di fronte alla spiaggia c’è una bandiera a stelle e strisce e tanto stivali messi infila, ogni paio con una etichetta, un nome in memoria di chi a perso la vita nella guerra in Iraq. Visitiamo il centro della città percorrendo la State Street. L’architettura è diversa da quella delle altre città. Qui sono più evidenti le origini spagnole. Visitiamo anche il piccolo centro commerciale “Paseo Nuevo” dove mangiamo qualcosa (trancio di pizza e cornetto rustico) prima di riprendere il nostro viaggio. Stiamo quasi per arrivare alla meta. David consegna ad ogni coppia due buste nominative per la mancia, una per lui e una per l’autista. Uno spagnolo del gruppo propone di fare due sole buste (in modo da mantenere l’anonimato). L’idea è piaciuta subito anche agli italiani ma meno a David che un pò si arrabbia per l’accaduto. Giungiamo a Los Angeles verso le 14. Il tour per alcuni si conclude qui. Noi, invece, abbiamo acquistato il tour della città e così proseguiamo verso Santa Monica, città balneare adiacente al quartiere losangelino di Venice. La spiaggia di Santa Monica è molto grande ed è stata resa celebre dalla serie televisiva “Baywatch”. Sulla spiaggia si possono vedere i tipici punti di avvistamento dei “guardaspiaggia”. Sul Santa Monica Pier (il molo), su cui sorge un parco giochi, vi è molta gente. Passeggiamo per la “3rd Street Promenade”. Ci sono tanti negozi, fontane a forma di dinosauri, e poliziotti in bici che vigilano sui cittadini. Riprendiamo il nostro autobus ed entriamo nel quartiere di “Beverly Hills”. Le case sono proprio come quelle che si vedono nell’omonimo telefilm. Ci fermiamo a “Rodeo Drive”, la strada su cui ci sono i negozi più costosi e prestigiosi del mondo, da Versace a Valentino, da Armani a D&G. La passeggiata per la graziosa Rodeo Drive è molto piacevole. Di fronte ad essa c’è il Beverly Hills Hotel, diventato famoso grazie al film “Pretty Woman”. Proseguiamo per “Sunset Boulevard” su cui vi sono molti locali in cui si suona musica rock. In questi locali sono stati lanciati molti artisti, tra cui Jim Morrison e John Belushi. Proprio qui, nell’ hotel “Chateau Marmont” di “Sunset Blvd” fu trovato morto di overdose John Belushi. Giungiamo, finalmente, a “Hollywood Boulevard” lungo la quale si può ammirare la “Walk of Fame”, il famoso pavimento su cui sono disegnate più di 2000 stelle su sui sono scritti i nomi di attori, registi e cantanti di successo. Altra attrazione di questa zona è il “Mann’s Chinese Theatre” (Teatro Cinese di Mann, dal nome dell’ultimo proprietario), uno dei teatri più famosi del mondo, fuori dal quale si possono ammirare le impronte delle mani e dei piedi degli attori e registi più famosi di Hollywood: Steven Spielberg, Tom Hanks, John Travolta, Sharon Stone, Sofia Loren, Marcello Mastroianni e tanti altri. Nel centro commerciale adiacente al teatro, invece, c’è un punto da cui è possibile vedere la scritta “Hollywood” posta sulla collina. L’ ultima tappa è “downtown”, il centro della città, in cui sorgono molti grattacieli. Sostiamo nei pressi del nuovo teatro, purtroppo chiuso a causa della festività del 4 luglio. Ci accompagnano al nostro hotel, l’Hilton Los Angeles Airport. Salutiamo David e Burt. David più che una guida è stato un accompagnatore, visto che in diverse escursioni ci ha lasciato soli. Insomma poteva fare meglio il proprio mestiere. Ci sistemiamo nella stanza, anche questa volta spaziosa e confortevole. Ceniamo in camera. E’ stata una lunga giornata, siamo esausti.

14° giorno (5 luglio) Oggi ci attende una giornata agli “Universal Studios”, organizzata dall’Italia tramite la nostra agenzia di viaggi. Verso le 8:30 ci vengono a prendere. Questa mattina appena svegli c’era nebbia ma ora si è quasi diradata. Ci lasciano all’ingresso del Parco e ci comunicano che ci verranno a prendere verso le 20. Ci procuriamo una mappa del Parco e delle attrazioni ed iniziamo il nostro tour. La prima attrazione è lo “Studio Tour”, un giro su un trenino per gli stage ed i set in cui girano i film. Vediamo i set di “C.S.I”, “Desperate Housewives”, “La guerra dei mondi”, “Lo squalo” ed altri. Vediamo alcuni reperti come l’auto di “Magnum PI”, di “Ritorno al Futuro” e di “Fast e Fourius”. La teleguida ci spiega cosa girano negli stage e ci rivela alcuni effetti speciali. In alcuni punti del percorso poi ci ritroviamo all’interno di un film, prima siamo attaccati da King Kong, poi dallo Squalo, poi ci ritroviamo nel bel mezzo di un’ alluvione e poi in un incidente metropolitano. Tutto molto divertente ma mi aspettavo qualcosa di più realistico. Proseguiamo con le altre attrazioni: “Back To The Future” (durato molto poco), “Revenge of the Mummy” (una folle corsa nel buio, molto emozionante), “Jurassic Park” (una delusione, si finisce solo con ritrovarsi molto bagnati), “Backdraft” (si assiste ad un incendio all’interno di una fabbrica), “Special Effect” (simpatiche spiegazioni e dimostrazioni di alcuni effetti speciali). Facciamo una pausa per il pranzo al Jurassic Cafè dove mangiamo un buon cheeseburger con bacon. Continuiamo poi con il futuristico “Terminator 2:3D”, uno spettacolo coinvolgente che miscela attori sul palco, effetti speciali (sparatorie ed altro) e filmati 3D. Peccato che a fine spettacolo perdo il mio cappello comprato sulla Statua della Libertà. Assistiamo allo show “Fear Factor Live”, in cui persone del pubblico vengono chiamate per affrontare prove schifose come toccare un millepiedi o un serpente. Altre persone, invece, che si sono iscritte allo show giorni prima, si sfidano. Vince chi supera le tre prove previste. Una di queste consiste nel preparare e bere un frullato di insetti. Che stomaco! Assistiamo poi al simpatico show “Animal Actor” in cui sono protagonisti gli animali con le loro performance e allo spettacolare “WaterWorld” recitato da bravi stuntman, ricco di effetti speciali e per le prime file molto ma molto bagnato (prima dai fucili ad acqua degli stuntman e poi dagli acquascooter). Le ultime attrazioni sono “House of Horror” con mostri viventi e “Shrek 4D” filmato in 3D con l’aggiunta di poltrone dotate di vibrazione, getti d’aria e spruzzi d’acqua per rendere gli effetti più realistici (come lo starnuto di ciuchino). Abbiamo visto tutte le attrazioni e ci resta ancora un po’ di tempo per acquistare qualche souvenir da portare a casa. Abbiamo trascorso una piacevole giornata in compagnia di personaggi fantastici ma è ora di tornare alla realtà e di lasciare gli “Studios”. Concludiamo la giornata con una cena a buffet al ristorante “The Cafè” situato all’interno dell’hotel. Domani si torna a casa ed è ora di preparare i bagagli.

15°/16° giorno (6/7 luglio) La vacanza purtroppo è finita. Alle 7 prendiamo lo shuttle per l’aeroporto, messo a disposizione dall’hotel. Ci attende il volo della Delta delle 9:30 per il JFK di New York. Dopo le brutte storie sentite durante il tour, di valige distrutte e perse proprio dalla Delta, siamo un po’ preoccupati per i nostri bagagli. Al check-in ci assicuriamo che abbiano capito che il volo è in code-sharing e che le nostre valige devono essere ritirate a Fiumicino. Gli operatori di terra della Delta sono molto gentili. Si parte. In volo ci vengono offerti solo due snack (salatini e biscotti), un po’ poco per un viaggio di quasi 6 ore nella fascia oraria del pranzo. L’aereo è dotato di monitor personali ma è tutto a pagamento. L’unica cosa che possiamo vedere è il percorso in tempo reale. I sedili sono scomodi e non ci sono coperte a bordo (l’hostess così ci ha detto). Il volo ci regala un ultimo spettacolo. Una vista sul Grand Canyon e sul Colorado. Arriviamo a New York con anticipo ma a causa del traffico a terra non possiamo scendere. L’attesa è snervante. Attendiamo un’ora prima che ci diano l’ok. Il volo per Fiumicino parte da un altro terminal, così a piedi lo raggiungiamo. Rifacciamo il check-in con Alitalia (ci rilasciano una nuova carta di imbarco e ci ritirano il visto) e raggiungiamo il nostro gate. E’ ancora presto così ne approfitto fare qualche acquisto in modo da consumare gli ultimi 30 dollari che mi sono rimasti. Decolliamo alle 21:40 con mezz’ora di ritardo. L’aereo è un boeing 777 come quello dell’andata. Molto confortevole. Ci servono la cena. Alcuni stuart dell’Alitalia sono poco gentili. Scelgo di vedermi il film “Vero come la finzione” (molto carino). Ci servono la colazione e alle 11 del 7 luglio, dopo 7 ore e 10 minuti di volo, atterriamo a Fiumicino (in perfetto orario). Ritiriamo i bagagli, che per fortuna sono giunti a destinazione e ci facciamo venire a prendere dalla navetta del parcheggio “Park and Fly”.

By Stefano e Iole



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