CALIFORNIA ON THE ROAD: Il diario

17/06/2006 – MILANO – SAN FRANCISCO Ci siamo, il giorno della partenza più attesa e desiderata è arrivato. Ore 5.17 suona la sveglia, per fortuna ho trovato un volo, prenotato a marzo, che parte da Linate quindi la levataccia è relativa…nonostante le sole 3 ore di sonno! Ore 6.30 siamo in aeroporto, check in veloce, riusciamo anche a...
Scritto da: steff17
california on the road: il diario
Partenza il: 17/06/2006
Ritorno il: 27/06/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
17/06/2006 – MILANO – SAN FRANCISCO Ci siamo, il giorno della partenza più attesa e desiderata è arrivato.

Ore 5.17 suona la sveglia, per fortuna ho trovato un volo, prenotato a marzo, che parte da Linate quindi la levataccia è relativa…Nonostante le sole 3 ore di sonno! Ore 6.30 siamo in aeroporto, check in veloce, riusciamo anche a farci sgridare per i 5 minuti di ritardo all’imbarco…Ci è mancato poco che ci lasciassero a terra…Non avevo tenuto d’occhio l’orario.

Prima tratta Milano – Londra con la British Airways, mi aspettavo un aereo più confortevole ma in fondo sono solo due ore e il muffin che ci viene servito per colazione mi è sufficiente per non pensare ad altro.

Volo in perfetto orario…Ma al check in della Virgin Atlantic ci aspetta una “brutta sorpresa”: il volo per San Francisco che sarebbe dovuto partire alle 11.00 è in ritardo.

L’attesa è lunga siamo stanchi e affamati.

Capitoliamo di fronte a due panini di Starbucks dagli ingredienti non meglio identificati, stiamo ancora mangiando quando sul tabellone appare il numero del gate per l’imbarco…Finalmente.

Insomma partiamo alle 13.15 ora inglese.

Contavo di arrivare a San Francisco per le 14.00 ora americana per avere un po’ di tempo per cominciare un giro della città ma pazienza… L’aereo della Virgin è enorme, su due piani, molto colorato, la prima classe è imbarazzante…La nostra economy è decente, solo i sedili un po’ piccoli e molto attaccati, ma stiamo andando in America e tutto passa in secondo piano! Il monitor di cui è dotato ogni sedile con film/video e giochi ci distrae un po’ dalle interminabili ore di volo.

Quello che non manca è il cibo, ogni due ore ci propongono, oltre al pranzo, gelati, panini e stuzzichini vari.

Quando cominciamo ad intravedere la baia dagli oblò sale l’agitazione, ci siamo quasi, sono le 15.40.

Sbrigate le formalità di rito, più veloci del previsto, usciamo dall’aeroporto e ci facciamo portare in albergo da un Airport Shuttle per 15$ a testa più mancia, dovrò farmi entrare bene in testa il concetto di “tip” che mi sembra da subito fondamentale e neanche tanto celato.

L’albergo, il Grant Plaza Hotel, si trova all’ingresso di Chinatown, in ottima posizione nonostante sia un po’ squallido.

Il tempo di lasciare le valigie in camera e siamo già per strada.

Chinatown è colorata e caotica.

Attraversiamo North Beach il quartiere italiano, che celebra la propria festa proprio in questo week end, è pieno di gente, di tutti i tipi e di tutte le razze.

Una delle cose che da subito ci colpisce è la miscellanea di persone che si vedono per strada, le coppie miste sono numerosissime e anche le compagnie di amici sono costituite da persone di ogni razza…Altro che da noi dove tutto ciò purtroppo è ancora lontano.

In Washington Square è in corso un concerto rock, ne assaporiamo le ultime note.

Presi dalla voglia di vedere saliamo, ed è proprio il caso di dirlo, qui le pendenze sono incredibili, a Telegraph Hill e alla Coit Tower per ammirare qualche scorcio della città dall’alto.

E’ il primo impatto con le ripide strade che caratterizzano San Francisco, belle e mozzafiato, siamo distrutti ma felici.

Cerchiamo un posto dove mangiare e da bravi italiani ne scegliamo uno “nostrano” lo Steps of Rome dove pensavamo ci saremmo sentiti un po’ a casa. Il cibo ovviamente ha poco a che vedere con quello originale, visto che i proprietari sono italiani doc ma il personale in cucina è tutto sud americano, e il conto sarà il più salato di tutta la vacanza! Sono le 20.30 ma siamo in piedi dalle cinque del mattino italiano torniamo in albergo e crolliamo entrambi.

18/06/2006 SAN FRANCISCO Alle 6.00 siamo svegli e pronti per affrontare la nostra prima giornata americana.

Alle 7.30 siamo già per strada, ma l’impatto con una San Francisco ancora assonnata non è il massimo.

Ci dirigiamo verso Market Street per andare al Visitor Center a recuperare un po’ di materiale sulla città ma i personaggi che incontriamo lungo il cammino ci inducono a cambiare rotta.

Colazione da Starbucks con lamentele di Leo che si aspettava di assaggiare i pancackes, sarà per la prossima volta.

Ci dirigiamo a piedi verso Pacific Heights, quartiere bene della città.

In effetti ci rincuoriamo subito, il quartiere è tranquillo e ordinato.

Le case sono tutte caratteristiche e molto belle, ci soffermiamo sulla Octagon House e sulla Haas-Lilenthal House, sosta al Lafayette Park dove un caldo sole ci ritempra visto l’incessare di una brezza fredda che ci accompagna da ieri sera.

Proseguiamo il giro per il quartiere tra case colorate e lussuose, interamente costruite in legno.

Decidiamo di affrontare Filbert Street, la strada più ripida della città (32% di pendenza) – e le nostre gambe lo possono confermare! – che ci porta nei pressi della famosa Lombard Street.

La “strada più tortuosa del mondo” si mostra come poche centinaia di metri tutte curve decorate da coloratissime aiuole fiorite.

Dev’essere una meta molto ambita visto l’incredibile numero di auto che la percorrono nei pochi minuti in cui ci fermiamo.

Proseguiamo sempre rigorosamente a piedi verso la Saint Paul & Patrick Church in Washington Square e poi ancora attraverso North Beach fino al nostro albergo dove dobbiamo mettere in carica la telecamera, fedele compagna di Leo.

Infatti i filmati saranno tutti opera sua mentre delle foto me ne occuperò io.

La fame si fa insistente, scendiamo in Market Street, stavolta senza nessun tentennamento e ci fermiamo da Lori’s Diners (locale consigliato dalla guida Routard e a questo punto anche da noi), locale anni 50 molto carino con ottima musica “a tema” in sottofondo.

Io prendo un’omelette al formaggio e french fries (cucinate con la buccia) e Leo finalmente può gustare un enorme hamburger con una notevole quantità di onion rings.

Finito il pranzo torniamo in albergo a prendere la telecamera e decidiamo di spostarci verso Castro (quartiere gay), Haight Asbury (quartiere hippy) e Alamo Square.

Prendiamo un tram della linea F, e non un tram qualsiasi ma uno dismesso dalle linee di Milano, il nostro classico tram arancione, che strano! Castro è il quartiere gay con negozi a tema e bandiere arcobaleno appese ad ogni angolo di strada. Persino la pubblicità sui cartelloni è a tema omosessuale.

Haight Asbury invece è il quartiere hippy, quello che ha visto nascere la Beat Generation.

Negozi di abiti vintage, di musica di seconda mano e di accessori per “fumatori”, di tatoo e piercing. Se avessimo più tempo immortaleremmo sicuramente questi momenti indimenticabili sulla nostra pelle.

Costeggiano una piccola parte del Golden Gate Park andiamo verso Alamo Square per ammirare le Seven Painted Ladies, sette celebri case dai colori pastello che ci regalano un eccezionale panorama sulla città al tramonto.

Prendiamo il filobus 21 e torniamo in Market Street e poi in albergo.

E’ un po’ tardi e le salite di oggi si fanno sentire, ceniamo a Latino Grill appena fuori Chinatown dove mangiamo due ottimi ed enormi burrito, dovremo abituarci alle porzioni decisamente abbondanti.

Torniamo in albergo dove crolliamo alle 22.30.

19/06/2006 – SAN FRANCISCO Ci svegliamo ancora una volta alle 6.00 pronti ad affrontare la nostra ultima giornata a San Francisco.

Usciamo verso le 8.00 e torniamo da Lori’s, stavolta per la colazione, sperando che Leo possa mangiare i tanto desiderati pancackes con lo sciroppo d’acero…Missione compiuta!, io invece mi gusto un’ottima supercalorica apple pie con panna.

Ci dirigiamo al capolinea del Cable Car in direzione Fisherman’s Wharf per la visita all’ex carcere di Alcatraz ora trasformato in museo.

Con molto dispiacere scopriamo però che a causa di un guasto sulla linea i tram per il momento non sono in funzione, pazienza riproveremo stasera al ritorno.

Prendiamo allora per la seconda volta la linea F e per la seconda volta ci capita di prendere il tram italiano, si perché la linea F ha recuperato vecchi tram dismessi da tutto il mondo.

Scendiamo al Pier 41 dove ci aspetta il traghetto prenotato dall’Italia sul sito www.Blueandgoldfleet.Com (prenotazione vivamente consigliata, si evita una lunga coda e di non trovare posto come sarebbe successo a noi se non lo avessimo fatto).

Dopo una breve navigazione eccoci sull’isola dell’ex carcere di massima sicurezza denominato “The Rock”.

Da qui la vista sulla città è bellissima e il cielo limpido che ci ha accompagnato sin dal nostro arrivo rende tutto ancora più bello, dall’isola si possono vedere le colline sulle quali è costruita la città e si distinguono almeno quattro delle vie parallele che salgono dalla costa.

Dal sito abbiamo prenotato la visita con audioguida in italiano (consigliata), è interessante e ben fatta, senza ci saremmo dovuti affidare ai cartelli in lingua inglese che segnano il percorso rischiando di perdere il significato di qualche episodio.

Dopo poco più di 2 ore facciamo ritorno sulla terra ferma e ci addentriamo tra i colorati negozi e ristoranti del Pier 39, dove ad una bancarella di frutta compro, per una cifra esagerata, delle enormi ciliegie e delle dolcissime albicocche che non hanno l’aria di essere molto naturali.

Stiamo per dirigerci verso “il simbolo” di San Francisco, il Golden Gate Bridge, ma ci facciamo, o meglio Leo si fa tentare dalla visita all’”Aquarium of the Bay” che la nostra guida Routard cita come molto interessante…Beh noi lo abbiamo trovato un po’ deludente, poche specie di pesci in vasche spacciate per i fondali di San Francisco.

Insomma se non avete molto tempo a disposizione è una visita che si può anche evitare.

Eccoci di nuovo in pista verso “il ponte”, è un po’ tardi e non ho ancora studiato la strada per raggiungerlo, pensavo fosse più vicino, ma non possiamo lasciare la città senza averlo visto da vicino.

Dopo una bella camminata, che però è sempre una buona scusa per fare belle foto e qualche ripresa con la telecamera, e qualche fermata con il bus n. 28 ecco che ci appare maestoso.

A darci il benvenuto un forte e freddo vento del quale approfittano i surfisti che si cimentano poco lontano.

Lo affrontiamo comunque con entusiasmo fino a raggiungere la seconda campata, poi l’orario e la stanchezza ci inducono a ritornare.

La vista è però impareggiabile sulla città, un ricordo che resterà nella nostra memoria a lungo.

Prendiamo un paio di autobus ed eccoci di nuovo al colorato Fisherman’s Wharf dove ci fermiamo a cena visto che Leo non vuole farsi sfuggire il famoso granchio.

Ma manca ancora qualcosa a questa giornata…Il Cable Car! Andiamo al capolinea poco distante, saliamo dopo una breve attesa ma circa metà del viaggio la vettura si ferma e ci fanno scendere per un guasto!…Peccato è stato breve ma almeno ci abbiamo provato.

20/06/2006 – SAN FRANCISCO – YOSEMITE NATIONAL PARK – OAKHURTS Oggi dobbiamo lasciare San Francisco, siamo molto tristi, la città ci ha letteralmente conquistati, ha qualcosa di magico che resterà a lungo nei nostri cuori.

Un ruolo importantissimo sicuramente è stato giocato dal clima che ci ha regalato tre giornate limpide e molto calde per quelle che sono le temperature medie in città, della famigerata nebbia estiva di San Francisco non ne abbiamo visto neanche l’ombra.

I miei programmi prevedevano per oggi la partenza in auto alle 8.00…Ma niente va come previsto.

Leo vuole fare le ultime riprese a Chinatown e North Beach, poi la colazione in un locale molto caratteristico, il Mama’s, gli ultimi acquisti, qualche inconveniente di troppo e tra una cosa e l’altra riusciamo a ritirare l’auto solo alle 10.30 presso l’ufficio della Alamo in Bush Street.

Ci consegnano una Chevrolet Impala bordeaux nuova di zecca con sole 2.000 miglia sul contachilometri.

Dopo il primo impaccio con il cambio automatico passiamo dall’hotel a prendere le valigie e comincia il nostro vero viaggio “on the road” in direzione Yosemite National Park.

Un paio di indecisioni stradali in uscita da San Francisco ci fanno perdere un po’ di tempo ma devo dire che una volta capite le indicazioni sono molto chiare e di facile lettura, basta prenderci la mano.

Usciamo attraversando il Bay Bridge, un enorme ponte ad Est della città, e ci imbattiamo nei primi enormi e curatissimi truck che incontreremo in questo viaggio.

Un’indicazione stradale ambigua ci porta ad imbatterci in un anonimo chiosco messicano che non promette niente di buono…Ma l’apparenza si sa inganna; con soli 8$ pranziamo con ottimi burrito e tacos.

Siamo appena usciti dalla città ma il caldo già intenso e il paesaggio semi desertico ci annunciano che ci stiamo dirigendo verso l’arido interno della California, intervallato però dagli splendidi e verdeggianti parchi che visiteremo nei prossimi giorni.

Infatti una volta ripresa la strada e percorse alcune miglia la vegetazione cambia nuovamente e si fa sempre più verdeggiante.

I numerosi paesaggi che vedremo nel corso di questo viaggio sono una delle cose più sorprendenti della California: la costa assolata ma sempre ventilata di San Francisco, il verde a perdita d’occhio di Yosemite e del Sequoia, il deserto caldo e arido della Death Valley e la costa allegra e colorata di Los Angeles.

All’ingresso del parco acquistiamo il National Park Pass che per soli 50$ consente l’ingresso in centinaia di parchi americani per un anno intero…Un buon motivo per tornare! Lungo la strada ci sono molti punti panoramici dai quali facciamo foto e riprese, i più belli sono quelli che ci permettono di ammirare spettacoli della natura quali le Bridalveil Falls (cascate del “velo della sposa” così chiamate per l’effetto che il vento produce sull’acqua che in questo periodo dell’anno cade ancora copiosa), e El Capitan il più grosso monolito di roccia d’America che richiama ogni anno arditi scalatori che affrontano la sua ripida parete.

Raggiungiamo la Yosemite Valley dove si trovano, oltre al Visitor Center, dove fare scorta di cartine e informazioni sulle escursioni tutte gratuite, alcuni campeggi e alberghi dove proviamo a cercare un posto per dormire ma senza successo, le uniche camere rimaste hanno prezzi proibitivi.

Siamo nei pressi delle Yosemite Falls, le quinte cascate più alte del mondo, e decidiamo di percorrere un breve trail che porta ai piedi delle cascate, alle Lower Yosemite Falls.

Sono maestose e il getto d’acqua è possente e ci rinfresca un po’.

Purtroppo si è fatto tardi e dobbiamo ancora trovare l’hotel, la destinazione è Mariposa ma con rammarico scopriamo che una frana ha interrotto la strada dopo El Portal (il motivo veramente lo scopriremo solo al ritorno in Italia consultando il sito ufficiale dei parchi www.Nps.Gov al quale erroneamente non avevo dato un’occhiata prima di partire).

Tutto da rifare! Pensiamo e ripensiamo ma la soluzione più economica rimane quella di dirigerci verso Sud a Oakhurst, prima cittadina dopo l’uscita dal parco, purtroppo il nostro stesso pensiero lo hanno avuto le centinaia di persone che si sono riversate in questo piccolo paese.

I motel sono tutti pieni, l’unico posto che riusciamo a trovare è allo Sky Sierra Ranch per 118$ a notte, un po’ caro ma sono le 21.00 e siamo sfiniti e l’unica alternativa è di dirigerci verso Mariposa facendo il giro da Sud…Non ci pensiamo neanche…Affare fatto! L’hotel è carino, meglio l’esterno che l’interno, ma è pulito e questo basta.

Usciamo a mangiare un boccone veloce da Mc Donald’s; scopriamo con gioia che i prezzi sono più bassi che in Italia e che il free refill (la possibilità di riempire il bicchiere della bibita che vuoi e per quante volte vuoi) è una bella trovata.

Finita la cena di corsa a nanna.

21/06/2006 OAKHURST – YOSEMITE NATIONAL PARK – FRESNO Si torna allo Yosemite.

L’idea iniziale era di tornare nella Yosemite Valley ma la strada è troppo lunga e dirottiamo direttamente su Glacier Point.

Scelta azzeccata, il posto è meraviglioso e si gode di un panorama privilegiato sull’intera valle. Da non perdere! Poi il tempo continua ad essere bellissimo, caldo e senza una nuvola in cielo.

Il “taglio” al nostro itinerario ci permette di muoverci con calma.

Col senno di poi forse sarei tornata nella valle magari per avvicinare le Vernal e Nevada Falls che dall’alto offrono uno spettacolo notevole.

Lasciato Glacier Point facciamo una puntatina alla Mariposa Grove dove abbiamo un assaggio delle magnifiche sequoie che vedremo domani. (Un appunto: se il vostro itinerario prevede la visita al Sequoia NP tralasciate la visita alla Mariposa Grove ed approfondite quella alla Yosemite Valley, non vorrei sembrare banale ma le sequoie seppur particolari e uniche sono un po’ tutte uguali.) Lungo tutto il percorso la nostra attenzione viene spesso attratta dal rumore provocato dalle enormi pigne che cadono da questi giganti della natura.

Di buon ora ci dirigiamo poi verso Fresno, tappa intermedia verso il Sequoia National Park.

Decidiamo di pernottare al Days Inn Motel per 65$ comprese le tasse e la colazione.

Il caldo è veramente incredibile, sembra di essere sotto il getto di un phon e anche noi che non amiamo l’aria condizionata non possiamo farne a meno anche in camera.

Avevamo sempre letto nei racconti di viaggio del caldo torrido del deserto, ma fino a quando non lo abbiamo provato non avevamo capito quanto fosse intenso.

Lasciamo le valigie e ci tuffiamo nella piscina del motel, ci voleva un bel bagno rigenerante.

La città a prima vista non offre granché ma decidiamo di fare un giro di perlustrazione in auto per cercare la steak house consigliataci dalla receptionist.

La nostra prima impressione viene confermata, la cittadina appare anonima ed offre, come tutte quelle viste finora, solo un’infilata incredibile di fast food di tutte le nazionalità, interi quartiere del mangiare mordi e fuggi.

Trovato il ristorante per la sera torniamo in albergo, ci laviamo e affamati torniamo verso il “Tahoe Joe’s”, il locale è molto bello e caratteristico ma l’aria condizionata è micidiale e non ci siamo portati neanche una felpa.

Mark, la nostra “guida” per la cena, come si è lui stesso definito, è molto gentile e disponibile e viene incontro alle nostre difficoltà linguistiche.

Ordiniamo due Joe’s Steak da 6 once per me e da 10 per Leo, con patate fritte e purè, cucinati entrambi con la buccia. Ottimi! La prima vera cena dal nostro arrivo negli USA.

Leo beve un paio di birre e tornando preferisco guidare io, la prima volta in America e la prima volta con il cambio automatico: esame superato brillantemente! 22/06/2006 FRESNO – SEQUOIA NATIONAL PARK – RIDGECREST Ci svegliamo in una già calda Fresno e per la prima volta approfittiamo della colazione offertaci dal Motel a base di caffè slavato e donuts dai più svariati gusti.

Partiamo in direzione del Sequoia National Park, il clima è torrido e intorno a noi la vegetazione langue, ma avvicinandoci al parco, come ci era già successo ieri, l’aria si fa più sopportabile e siamo circondati da verdi foreste.

Dopo un paio d’ore raggiungiamo l’ingresso del Parco al quale esibiamo orgogliosamente il nostro Pass.

La prima tappa è la Giant Grove, in direzione del Kings Canyon National Park dove enormi sequoie si innalzano davanti a noi facendoci sentire piccoli piccoli, lo spettacolo è notevole ed è impossibile fotografarle nella loro interezza.

La più maestosa è la Generale Grant.

Il trail che ci permette di raggiungerla dura circa 30 minuti e viene allietato dalla presenza di numerosi scoiattoli e da un piccolo cerbiatto che si avvicina quasi per darci il tempo di fotografarlo.

Lungo il percorso incontriamo anche la Fallen Monarch (una sequoia caduta decine di anni fa che mostra le sue maestose radici), la Monarch Sequoia (il cui tronco svuotato consente di poterla attraversare in tutta la sua lunghezza) e la California Tree alla cui base è stato scavato un passaggio di circa 2 metri d’altezza.

Riprendiamo l’auto e imboccando la Generals Highway ci dirigiamo verso il Visitor Center dove ci aspetta il Generale Sherman Tree.

Il sentiero per raggiungerlo dura circa 15 minuti passati i quali ci troviamo di fronte ad un’enorme e fiera sequoia, l’essere vivente più vecchio esistente sulla Terra.

Se devo essere sincera forse se l’avessimo vista per prima ci avrebbe fatto un’impressione diversa ma è comunque molto bella.

Non essendo partiti tanto presto ed essendoci un po’ dilungati non riusciamo a fermarci a Moro Rock e a percorrere la Crescent Meadows, ma visto che dobbiamo viaggiare fino a Ridgecrest con rammarico rinunciamo.

La scelta si rivelerà quanto mai azzeccata visto che la strada, che passa per la bella zona turistica di Lake Isabella, è interminabile ma ci ripaga regalandoci un impareggiabile tramonto sul lago che ci godiamo sulle note di “Hotel California” degli Eagles trasmessa ad hoc dalla radio.

Arrivati a Ridgecrest alle 22 passate, dopo quasi 6 ore ininterrotte di auto, ci fermiamo al primo motel che incontriamo lungo la strada.

Siamo veramente stanchi e dopo la doccia ci addormentiamo come due bambini…Domani Death Valley! WOW!!! 23/06/2006 RIDGECREST – DEATH VALLEY Ieri sera ho puntato la sveglia prima delle sette ma, sarà la voglia di rimettermi in viaggio o il caldo che al mattino è già torrido, mi sveglio mezz’ora prima.

Lasciamo l’Econo Lodge che ci ha ospitato e ci fermiamo per la colazione da Nicoletti’s un posto molto carino gestito da due ragazze che ci preparano due ottime uova al bacon.

Facciamo rifornimento di acqua e ghiaccio e partiamo alla volta dell’estremo deserto californiano.

Il panorama ci rapisce sin dall’inizio per la sua asprezza ma anche per il suo fascino, sembra di essere sulla luna.

La temperatura sale vertiginosamente e quando raggiungiamo lo Stove Pipe Wells Village abbiamo superato i 40°C e sono solo le 10.30 del mattino.

Ci troviamo nel primo punto di ristoro della valle provenendo da Nord, è un piccolissimo agglomerato con l’hotel, un saloon, il classico store di souvenir e una pompa di benzina della quale approfittiamo per fare il pieno alla nostra auto, tutt’intorno solo deserto.

Durante il percorso ci fermiamo ad ammirare le Sand Dunes, un angolo di Sahara nel deserto americano. Le dune sono veramente vicine e ci piacerebbe fare una passeggiata fino a raggiungerle ma il caldo che ci investe non appena apriamo le portiere ci fa subito cambiare idea.

Raccogliamo in una bottiglietta vuota un po’ di sabbia incandescente e ripartiamo.

Il Furnace Creek Ranch, dove alloggeremo per la notte, ci appare come una vera e propria oasi, sono solo le 13.00 ma ci danno ugualmente la nostra camera posizionata in una piccola casetta alla destra dell’ingresso del villaggio.

La temperatura è insostenibile, le parole non sono sufficienti a darne un’idea, solo chi ha provato questo caldo può capire, così ci regaliamo un paio d’ore di relax in camera nel frattempo aspettiamo che alle 16.00 apra il ristorante per mangiare qualcosa.

Leo prende un gazpacho, zuppa di pomodoro fredda, ed io una bella insalata poi facciamo un salto allo store per acquistare i souvenir di rito e poi via verso il vero deserto.

Passiamo da Zabriskie Point dove però ci fermeremo al ritorno per ammirare il tramonto.

Dopo una ripida salita raggiungiamo Dantes View un punto panoramico che lascia a bocca aperta: ai nostri occhi appare l’intera vallata ricoperta da un’incredibile distesa di sale che il sole fa brillare e rende quasi accecante; domani percorreremo la strada che stiamo vedendo dall’alto.

Torniamo con calma verso Zabriskie Point, al tramonto manca ancora un’ora ma aspettiamo ugualmente.

La luce calda della sera fa risaltare i colori delle rocce che spaziano dal verde al rosa all’azzurro, un vero spettacolo della natura.

Mentre aspettiamo in compagnia della nostra inseparabile bottiglia d’acqua per frequenti docce ristoratrici si uniscono a noi una coppia di pensionati parigini in viaggio da più di venti giorni, con loro scambiamo qualche impressione sulle meraviglie viste fin’ora, Chiacchierando si fanno le otto passate è ora di cena, rientriamo in hotel, doccia e ottima cena alla SteakHouse del villaggio con due enormi bistecche di carne tenerissima.

Finiamo di cenare che sono le 22.00 passate ma il caldo, che contrasta sempre di più con l’aria condizionata sparata al massimo in qualsiasi posto chiuso incontrato fino ad oggi, rende ancora più irreale la situazione.

Alziamo gli occhi e ammiriamo uno splendido cielo stellato che ci regala lo spettacolo della via lattea che a Milano ci possiamo solo sognare.

Domani sveglia alle 6.30 e partenza alla volta di Las Vegas.

24/06/2006 DEATH VALLEY – LAS VEGAS Colazione a buffet nell’hotel con le solite uova pallide cucinate in 100 modi diversi, credo che passerà molto tempo prima che riusciremo a mangiarne ancora una volta rientrati in Italia.

Pronti via! Si prosegue la visita della valle.

Ieri al Visitor Center mi sono fatta dare una copia con 4 percorsi alternativi per uscire dal Parco, scegliamo, o meglio scelgo visto che Leo ha delegato a me tutta la parte organizzativa del viaggio, la “Most Scenic Drive” più lunga delle altre ma che include i punti di interesse previsti per oggi.

Passiamo prima per la Artist Drive facendo un piccolo dietro front essendo una strada percorribile a senso unico provenendo da Sud…Incredibile! Nonostante il sole sia già alto le rocce hanno un colore irreale, un percorso incantevole.

Riprendiamo la strada e giriamo a destra percorrendo un sentiero sterrato che ci porta a quello che viene chiamato Devils Golf Course che da lontano appare come una distesa di sale ma che avvicinandosi rivela le sue tipiche formazioni simili a “buche da golf” create dal vento.

L’ultimo punto di osservazione è Badwater una depressione, la più bassa degli Stati Uniti, a 85,5 metri sotto il livello del mare, testimoniata da un cartello “sea level” posizionato su una roccia sopra le nostre teste.

In questo punto credo di aver provato il caldo più insopportabile dell’intero viaggio, sono solo le 10.00 del mattino ma l’afa rende faticoso qualsiasi movimento.

Una piccola pozza d’acqua con una concentrazione di sale altissima resiste alla siccità del posto, si intravede però qualche minuscola forma di vita che resiste grazie a chissà quale legge della natura.

Tutt’intorno enormi distese di sale che assomigliano ad un’enorme pista di pattinaggio sul ghiaccio.

Facciamo le foto di rito e cotti a puntino rientriamo in auto pronti per partire.

Il percorso si snoda in mezzo a montagne brulle e terre sconfinate intervallate da piccoli agglomerati di case o roulotte con l’immancabile chiesa appartenente ai culti più disparati.

Una caratteristica che ci ha accompagnato per tutto il viaggio è stata proprio quella delle decine di differenti professioni religiose testimoniate dalla presenza di numerosi luoghi di preghiera.

Ci fermiamo a Shoshone per fare benzina ma quando ripartiamo la macchina inizia a fare uno strano rumore, la prima cosa che ci viene in mente è di aver fatto il pieno di gasolio al posto della benzina ma per fortuna il fatto che l’auto continui ad andare ci fa accantonare questo presentimento.

Io sono un po’ preoccupata e non lo nascondo un granché, siamo in mezzo al deserto, i cellulari sono isolati e non passa anima viva, per fortuna all’aeroporto di Las Vegas c’è un ufficio della Alamo dove speriamo di arrivare indenni per farci cambiare l’auto.

Passiamo il confine con il Nevada quasi senza accorgercene, oggi il controllo delle derrate alimentari sulle auto è sospeso.

Quando iniziano ad apparire le prime case vediamo in lontananza la silouhette dello Stratosphire Tower e via via ci appaiono sempre più vicini anche gli altri alberghi della Strip, ci siamo quasi.

La strada che ci porta a Las Vegas è piena di cantieri, alla periferia della città stanno infatti sorgendo interi nuovi quartieri di case costruite in legno.

Deviamo per l’aeroporto dove in circa mezz’ora ci sostituiscono il veicolo, nel frattempo il rumore si era fatto più evidente e scopriamo che con tutta probabilità era legato all’impianto dell’aria condizionata messo a dura prova dal caldo del deserto.

Salutiamo con dispiacere la Chevrolet che ci ha degnamente guidato in questi bellissimi giorni.

La nostra nuova auto è una Pontiac Grand Prix blu, più sportiva rispetto alla precedente ma meno nuova.

Durante il cambio dell’auto ho dovuto correre da un punto all’altro dell’autonoleggio sotto un sole cocente, siamo a quasi 50°C, e comincio a risentirne con un fortissimo mal di tesa che non mi lascia respiro…E purtroppo dobbiamo ancora trovare l’albergo per la notte! Proviamo da Hooters e al Tropicana ma 200 e passa dollari per una notte ci sembrano veramente troppi, purtroppo capitando a Las Vegas il sabato i prezzi degli alberghi triplicano, la stessa stanza che oggi ci offrono a 250$ lunedì l’avremmo pagata solo 89! Alla fine scegliamo il Travelodge South che non sembra molto ben frequentato ma si trova in ottima posizione accanto al Paris e di fronte al Monte Carlo e costa in tutto 107$ posto auto incluso.

Il mio mal di testa è diventato più forte, sono le 3 del pomeriggio dico a Leo di uscire in perlustrazione mentre io mi concedo un paio d’ore di relax.

Dopo una bella dormita e una doccia mi sento meglio e sono pronta per affrontare le mille luci di Las Vegas.

La città è molto caotica ma di giorno gli hotel non rendono molto.

Iniziamo a spostarci da un albergo all’altro attraverso comode passatoie che ne collegano alcuni direttamente.

Visitiamo il Luxor, il Tropicana, il New York New York ed il Circus Circus, ma i più belli sono quelli legati all’architettura italiana: il Bellagio, riproduzione della cittadina sul Lago di Como, con i suoi splendidi giochi d’acqua, il Venetian, che riproduce fin nel più piccolo dettaglio la città di Venezia con i suoi canali e le sue gondole e il Caesars Palace ambientato nell’antica Roma.

Camminiamo fino quasi alle due di notte senza però riuscire a percorrere tutta la Strip, la nostra attenzione viene spesso catturata da personaggi o architetture bizzarre.

Da segnalare lo Store della Coca Cola dove si può trovare veramente di tutto, dal portachiavi al set di piatti o asciugamani dedicati alla bibita più famosa del mondo.

Las Vegas ci ha lasciati combattuti: da una parte pensiamo che una notte da passare tra un hotel e l’altro sia più che sufficiente, dall’altra però ci dispiace non aver vissuto a pieno le attrazioni che la città mette a disposizione, chissà magari nel prossimo viaggio ci torneremo.

25/06/2006 LAS VEGAS – LOS ANGELES Ci svegliamo con l’intento di terminare il giro della Strip interrotto la notte precedente ma il caldo è già forte e come già detto in precedenza gli hotel di giorno appaiono molto anonimi, in giro c’è poca gente (dopo i bagordi della notte appena passata!) e quella poca è già alienata dai tavoli da gioco…Che visione deprimente.

Riprendiamo il viaggio oggi ci aspetta Los Angeles.

La strada è lunga e dritta, piuttosto noiosa a dire il vero, ma il traffico, praticamente assente fino ad oggi, ci permette di constatare che la guida americana è pessima, e noi ci lamentiamo degli automobilisti italiani.

Devo infatti smentire chi ci aveva messo in guardia dal non superare per nessun motivo i limiti di velocità, che peraltro continuiamo comunque a rispettare, a causa della severità della Polizia: qui ognuno fa quello che vuole, vanno veloci, superano costantemente sulla destra, si vedono sbucare auto da ogni parte considerando che la strada nei pressi della città diventa a 6 corsie! Facciamo una sosta vicino a Barstow con l’intenzione di fare un giro all’outlet ma poi cambiamo idea e convinco Leo ad una piccola deviazione per vedere il luogo dove è stato girato un film che mi è molto piaciuto “Bagdad Café”.

E’ una casupola rossa dove ha sede un bar in mezzo al deserto con una proprietaria molto simpatica che ci ha fatto firmare il guest book del locale e ci ha voluto far fare una foto dietro al bancone.

Ripartiamo e do a Leo il cambio alla guida e quando intravediamo i primi cartelli con la scritta Los Angeles pensiamo “è fatta!”, ma non abbiamo fatto i conti con l’immensità di questa città.

Noi arriviamo da Nord Est e per andare a Venice Beach dove ho prenotato l’hotel ci impieghiamo più di un’ora.

Solo una perplessità lungo il percorso e arriviamo all’albergo.

Il Cadillac Hotel è ottimamente posizionato direttamente sulla Ocean Front Walk con un piccolo parcheggio riservato, assolutamente indispensabile in questa zona di LA, ma la struttura sia esternamente e soprattutto internamente, è paragonabile ad un qualsiasi ostello solo che costa molto di più (e qui devo fare un rimprovero alla mia fidata guida Routard che lo aveva descritto come delizioso e anche al sito stesso dell’hotel assolutamente ingannevole).

Pazienza sono solo due notti e poi la vista dell’oceano e delle palme al tramonto è impagabile.

Facciamo due passi sul lungo mare e ne vediamo di tutti i colori, gente che va sullo skate trainata dai propri cani, biciclette dalle forme particolari, spettacoli musicali improvvisati, chiromanti e, come sempre purtroppo, una miriade di homeless che si preparano per affrontare l’ennesima notte all’aperto.

Mangiamo qualcosa nel locale proprio sotto l’albergo il “Candle Bar” e poi a nanna.

26/06/2006 LOS ANGELES Oggi giornata dedicata allo svago e al divertimento con la visita degli Universal Studios, per raggiungerli percorriamo la Freeway 405, lungo il tragitto vediamo i cartelli con le uscite per Wilshire Blvd, Sunset Blvd e Hollywood che visiteremo domani.

Siamo passati dal sentire questi nomi nei film e nei programmi televisivi e adesso ce li troviamo davanti, fa sempre uno strano effetto.

Arriviamo alle 9.30 e c’è già molta gente, per chi avesse intenzione di visitare gli Studios consiglio di acquistare i biglietti sul sito (www.Universalstudios.Com), noi li abbiamo trovati con uno sconto di 10$ a persona e poi consentono l’ingresso senza fare la fila alla biglietteria, cosa che però ho scoperto solo dopo averla fatta! Come consigliato dalla nostra fidata Routard iniziamo la visita dalla parte bassa “lower lot” dove ci sono le attrazioni tratte dai film Jurassic Park, la Mummia, Fuoco Assassino con la riproduzione di un incendio “cinematografico” e un percorso che illustra l’utilizzo degli effetti speciali nei film.

La prossima attrazione è il giro degli studi con un trenino a quattro vagoni che ci catapulta nei set di alcuni film: lo Squalo, la Signora in Giallo, il prossimo Fast & Furious, ed tanti altri, da segnalare la casa del proprietario del Motel Bates di Psyco con tanto di vecchina affacciata alla finestra.

Il giro è stato carino ed interessante forse un po’ troppo lungo.

Pranzo veloce a base di pollo e poi via verso l’ultima parte, la “upper lot” con le attrazioni tratte da Shrek in 4D, molto carino, il cinema dinamico di Ritorno al Futuro e Terminator in 3D, un mezzo film.

Mancherebbe solo Water World ma l’attesa è di 20 minuti e visto che domani abbiamo il volo che ci riporterà a Milano vogliamo approfittare degli ultimi momenti per vedere quanto più possibile.

Torniamo all’albergo e percorriamo la passeggiata in direzione di Venice: è un susseguirsi di negozi colorati, laboratori di tatoo e piercing e case dall’architettura bizzarra.

Vorrei fotografare tutto ma mi si scaricano le batterie e non ho con me quelle di scorta, che rabbia! Mi perdo le immagini di un bellissimo tramonto sull’oceano, per fortuna che almeno Leo ha la telecamera e riprende anche per me.

Arriviamo fino al molo poi torniamo verso l’albergo sotto il quale in un bellissimo negozio di cappelli conosciamo Pietro un ragazzo italiano che dopo un’esperienza di 3 anni a Londra si è da poco trasferito qui a Los Angeles dove lavora come commesso in questo negozio.

Ci diamo appuntamento al Candle Bar per una birra con due suoi amici italiani con i quali divide l’appartamento.

Ci facciamo una bella doccia, preparo le valigie per l’ultima volta e scendiamo per la cena.

Dopo 10 minuti ci raggiunge Pietro con Stefania e Teo due fidanzati milanesi che ha conosciuto appena arrivato a Venice 3 mesi fa e con i quali appunto divide l’appartamento.

Finalmente si chiacchiera un po’! Noi chiediamo loro perché hanno lasciato l’Italia e loro chiedono a noi degli aggiornamenti sugli ultimi avvenimenti di casa e così trascorriamo la serata, peccato sia l’ultima.

Ci scambiamo gli indirizzi…Non si sa mai.

27/06/2006 LOS ANGELES – MILANO Ultimo giorno! Svegli alle sette e passeggiata sul lungo oceano in direzione Santa Monica. Incontriamo tantissime persone che si allenano in modi diversi: coi roller, in bicicletta, chi fa tai chi o corpo libero, con gli attrezzi e chi addirittura si prepara per cavalcare le fredde onde dell’oceano con la tavola da surf, effettivamente l’aria di mare e il panorama sono un bello stimolo per l’attività fisica.

Ci dilunghiamo un po’ e arriviamo fino al Pier di Santa Monica, non sembra ma ne abbiamo fatta di strada, e quando torniamo all’albergo per prendere la macchina è un po’ tardi e ci manca ancora tutta la parte di Hollywood e Beverly Hills da vedere.

Partiamo da Hollywood che però ci delude un po’, la troviamo trascurata e non ci trasmette nessuna emozione particolare.

La Walk of Fame, la passeggiata con le stelle con i nomi dei divi, non è altro che due grigi e lunghi marciapiedi con un’infilata di nomi a noi più o meno noti.

Ci avviciniamo poi al Grauman’s Chinese Theatre per vedere le impronte delle star che si concentrano sul piazzale antistante il teatro, ne filmiamo e ne fotografiamo qualcuna tra le quali quelle minuscole di Shirley Temple (che risalgono al 1935) e persino quelle di Donald Duck! La scritta! Me ne stavo dimenticando, tra l’altro non l’abbiamo ancora avvistata nemmeno da lontano…Ma eccola quando meno ce lo aspettiamo spunta in lontananza, proviamo a seguire un paio di strade per avvicinarla ma è tardi e mi accontento di una foto con lo zoom al massimo.

Ci avviamo verso i quartieri di lusso di Los Angeles: Beverly Hills e Bel Air e l’atmosfera si trasforma. Squadre di giardinieri sono al lavoro per tenere in ordine i magnifici giardini che circondano queste vere e proprie regge.

Della maggior parte si vede solo l’imponente cancello di ingresso, di altre si intravedono le maestose fattezze e di una addirittura vediamo il campo da golf! Tra auto di lusso e limousine lunghissime decidiamo di terminare qui la visita, alla fine non si vede niente e dopo un po’ le belle vie sembrano tutte uguali.

E’ tardi, non c’è tempo per vedere altro, sono molto dispiaciuta, Los Angeles probabilmente meriterebbe una visita più approfondita il poco tempo dedicatole non ha lasciato trasparire il fascino che forse nasconde, mi riprometto di dedicarle più tempo in una prossima visita che spero avverrà prima possibile.

Ci avviamo verso l’aeroporto se dovessimo trovare qualche imprevisto rischieremmo di perdere il volo.

La strada è molto ben segnalata e in un batter d’occhio siamo agli uffici della Alamo per consegnare la nostra seconda compagna di viaggio, non riesco a trattenere le lacrime, la nostra avventura sta veramente volgendo al termine.

Saliamo sul bus che collega gli uffici Alamo con il terminal dove ci aspetta il volo della Virgin Atlantic per Londra.

Sbrigate le pratiche al check in e passati i vari controlli al metal detector, che ci impongono di togliere oltre agli oggetti metallici anche le scarpe, facciamo un giro nel terminal in attesa che ci chiamino per l’imbarco, con relativi ultimi acquisti di gadget da portare ad amici e parenti.

All’andata l’attesa per i voli preludeva all’avverarsi di un sogno, mentre adesso che il viaggio è finito non vediamo l’ora di tornare a casa.

La tratta Los Angeles – Londra è piuttosto tranquilla, tra un fuso orario e l’altro per la maggior parte del volo dormiamo.

Mentre il volo Londra – Milano Linate sarà un po’ turbolento a causa dei frequenti vuoti d’aria, soprattutto in corrispondenza delle Alpi, che ci hanno fatto un po’ spaventare.

Durante l’atterraggio già intravediamo il grigio cielo milanese e appena scesi dall’aereo ci avvolge la classica afa estiva che per dieci giorni avevamo dimenticato grazie al secco clima californiano.

Pazienza! I ricordi e le emozioni che porteremo per sempre con noi ci fanno sopportare qualsiasi disagio.

A presto America!



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