Florida: un viaggio tutto speciale

Venerdì 21 Aprile: Legati ad uno strano destino ancora una volta (la quarta negli ultimi cinque anni!) il 21 di aprile partiamo per una vacanza … … La sveglia suona prestissimo, poco dopo le 4:00, e sarebbe un problema alzarsi … se non fosse per la partenza di un viaggio. L’adrenalina corre in nostro aiuto e, sistemate le ultime cose,...
Scritto da: LucaGiramondo
florida: un viaggio tutto speciale
Partenza il: 21/04/2006
Ritorno il: 07/05/2006
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
Venerdì 21 Aprile: Legati ad uno strano destino ancora una volta (la quarta negli ultimi cinque anni!) il 21 di aprile partiamo per una vacanza … … La sveglia suona prestissimo, poco dopo le 4:00, e sarebbe un problema alzarsi … se non fosse per la partenza di un viaggio. L’adrenalina corre in nostro aiuto e, sistemate le ultime cose, dopo un’insolita colazione col buio a farla ancora da padrone oltre la finestra, arrivano puntuali i nonni a prenderci per accompagnarci all’aeroporto.

Alle 4:58 lasciamo casa con destinazione Miami e quindi Florida! … Per noi è un gradito ritorno negli States, dopo il fantastico “Tour dell’Ovest” di due anni fa, con negl’occhi ancora quei fantastici scenari di rocce che, sappiamo, questa volta non incontreremo, ma, ne siamo certi, gli Stati Uniti riusciranno ancora una volta a stupirci … In qualche modo, poi, è un ritorno anche a Miami, visto lo scalo dell’anno scorso che ci portò, dopo travagliate vicende, nelle Isole Vergini Americane.

La Florida, però, è ancora lontana quando, un quarto d’ora dopo la partenza, imbocchiamo l’autostrada a Faenza, seguendo spediti il nastro d’asfalto in direzione nord … e, visto l’orario, fila via tutto liscio, così alle 5:52 siamo di fronte all’aeroporto Marconi di Bologna, valigie alla mano, pronti ad affrontare questa nuova avventura.

Salutati i nostri accompagnatori varchiamo sicuri le porte dello scalo felsineo e, imbarcati i bagagli direttamente per Miami, oltrepassiamo il metal-detector e ci mettiamo ad aspettare di fronte alla porta numero 15, per poi accorgerci quasi subito di un errore sui nostri biglietti perché il volo, in realtà, è in partenza alla 21.

L’attesa è breve e, nonostante un piccolo ritardo che non dovrebbe crearci problemi, circa mezzora dopo l’orario previsto c’imbarchiamo sul volo AF 2329 che alle 8:00 in punto stacca da terra alla volta di Parigi.

L’Airbus A318 dell’Air France sale rapidamente di quota e di lì a poco sfila via le alpi innevate affrontando le immense lande francesi, così, circa un’ora dopo la partenza, avvistiamo sotto di noi la capitale transalpina con, nitidissima, la Torre Eiffel che svetta a breve distanza dal tortuoso corso della Senna. Quasi contemporaneamente scende il carrello e ci ritroviamo a rallentare la nostra corsa su di una delle tante piste del Charles de Gaulle.

Sbarcati al Terminal “F” ci trasferiamo rapidamente al “C”, mettendo in pratica tutta la nostra esperienza riguardo questo aeroporto (che non mi risparmia però una rovinosa e maldestra caduta dalla navetta … e la conseguente figuraccia!). Oltrepassiamo la dogana e, nuovamente, il metal-detector giungendo, senza tempo da buttare, alla porta C87, proprio mentre stanno iniziando le operazioni d’imbarco.

Ci mettiamo in fila e, pazientando alcuni istanti, saliamo sul gigantesco Boeing 747 dell’Air France che, in leggerissimo ritardo, alle 11:29, prende quota, identificato come volo AF 090, con destinazione Miami.

Siamo posizionati, purtroppo, nelle file centrali e non potremo guardar fuori dal finestrino, col risultato di rendere il viaggio un po’ più noioso … Intanto sistemo le lancette dell’orologio sul fuso della Florida (sei ore indietro) e in un attimo ci ritroviamo, nuovamente, all’alba di questa lunga giornata.

Il viaggio è interminabile: secondo il navigatore di bordo sorvoliamo prima le Isole Azzorre e molto più tardi le famigerate Bermuda … mentre Federico, spazientito, chiede sempre più spesso quanto manchi ancora all’arrivo. Sfioriamo le Bahamas, con ben visibile, oltre il finestrino in coda all’aereo, la filiforme sagoma di Eleuthera e poco dopo, alle 14:36 locali, atterriamo felicemente al M.I.A. (il Miami International Airport).

Affrontiamo tutte le formalità doganali con un po’ di timore, visti i problemi insorti poco più di un anno fa proprio di fronte a questi banconi, che ci portarono a perdere la coincidenza per le Isole Vergini, ma tutto va per il meglio e, ritrovate sane e salve anche le nostre valigie, con la navetta della Alamo ci rechiamo a ritirare l’auto prenotata fin da casa.

Risolto, senza discussioni, un piccolo inconveniente circa la tariffa partiamo, finalmente, a bordo di uno stupendo e colossale Suv Envoy GMC color oro (targato U75 1FF) verso il centro di Miami … Ancora non ci crediamo: siamo veramente sulle strade della Florida … è solo uno dei 51 stati che compongono quell’enorme paese che sono gli Stati Uniti d’America, ma per questa vacanza ci sarà sufficiente.

Ancora spaesati sbagliamo direzione e perdiamo un po’ di tempo, mentre il sole se ne va dietro ad un grosso nuvolone, così, oltrepassato il ponte che scavalca la laguna costiera, giungiamo a Miami Beach che sono quasi le 19:00.

Stanno calando le prime luci della sera e per fortuna non impieghiamo molto a trovare il Rodeway Inn South Beach, che ci ospiterà per le prime due notti di questo viaggio … Prendiamo possesso nella nostra camera, lasciamo l’auto in un parcheggio multipiano nelle vicinanze e usciamo: il luogo a prima vista appare accattivante, anche se molto trafficato. Facciamo una breve passeggiata nella pedonale Española Way, ceniamo con un gelato e poi corriamo a letto … sono quasi ventiquattrore che siamo in piedi e Sabrina, ma soprattutto Federico cominciano ad accusare il colpo … visiteremo domani Miami Beach, forti della lucidità che il sonno vorrà restituirci.

Sabato 22 Aprile: Grazie alla stanchezza accumulata ieri il fuso orario si può dire, ormai, già completamente digerito: ci alziamo poco dopo le 7:00 col suono della sveglia e, consumata la prima colazione americana a base di muffin, alcuni minuti dopo le 8:00, possiamo dare ufficialmente il via all’esplorazione della Florida.

Per prima cosa cominciamo a guardarci intorno: siamo a Miami Beach, un’isola situata circa tre miglia al largo della linea principale di costa, il luogo più noto e rappresentativo della città … e pensare che meno di cent’anni fa era solo una zona insalubre e poco ospitale, fin quando il proprietario, tale John Collins, ottenuti i giusti finanziamenti, decise di bonificarla ed avviarla in qualche modo al turismo. Fu infine “grazie” ad un uragano, che nel 1926 distrusse tutte le costruzioni in legno, il motivo per cui si cominciarono ad erigere case con struttura in cemento armato e nello stile allora di moda: la cosiddetta art déco. L’Art Déco District, che comprende una cinquantina di isolati nella parte meridionale di Miami Beach, è un susseguirsi di palazzi (circa 1200), più o meno interessanti, caratterizzati dai tipici colori pastello, che hanno contribuito a creare alcune fra le più note e ricorrenti immagini della città … e noi ce li godiamo nella pace quasi irreale delle prime ore mattutine, quando la zona sonnecchia ancora, dopo aver consumato l’ennesima nottata a ritmi frenatici.

Percorriamo Washington Avenue, osservando fra l’altro l’originale palazzotto circolare del Miami Post Office, e giunti in fondo risaliamo lungo la celebre Ocean Drive, tempestata di locali alla moda che molto lentamente vanno risvegliandosi dal torpore nel quale ancora si trovano.

Parcheggiamo di fronte ad uno degli edifici più famosi: la Versace Mansion, palazzo stranamente non art déco, acquistato nel 1992 dal celebre stilista italiano Gianni Versace che lo abitò per cinque anni, fino alla data del suo assassinio, avvenuto proprio sulla bianca scalinata che dà accesso alla villa … e dopo le foto d’obbligo ci avviamo a piedi verso la spiaggia.

Passiamo accanto alla Beach Patrol Station, altra costruzione caratteristica, soprattutto se vista dal lato a mare, e passeggiando tranquillamente giungiamo fino in riva all’oceano: oggi piuttosto mosso e non certo invitante, anzi nulla di speciale se non fosse per l’ambientazione, con la sfilata di grattacieli in lontananza e la più classica e coloratissima delle postazioni per bagnini in primo piano a dare un tocco tutto americano al panorama, impreziosito fra l’altro da un cielo più terso che mai … Si sta divinamente: c’è un bel sole ed una gradevole ventilazione che mitiga la temperatura, inoltre siamo in vacanza e tutto questo contribuisce a metterci decisamente di buon umore.

Torniamo all’auto e puntiamo, questa volta, al continente: lasciamo Miami Beach, passiamo accanto all’American Airlines Arena, dove gioca la squadra di basket NBA dei Miami Heats (ne è testimone una gigantografia del noto cestista Shaquille O’Neil che occupa gran parte della facciata) e approdiamo a Downtown: caratterizzata da altissimi grattacieli (e numerosi altri in costruzione).

Parcheggiamo nei pressi di Bayfront Park e da qui saliamo sul metromover: una sorta di metropolitana sopraelevata. Seguendo la linea Downtown Loop percorriamo così suggestivamente tutto il centro di Miami ad una certa altezza, godendo di arditi scorci … un modo comodo e originale di gustarsi Downtown, fra l’altro completamente gratuito! Facciamo due giri completi e dopo una passeggiata per Bayfront Park, un rilassante e curato giardino in riva alla laguna, torniamo a salire sull’auto così da continuare nelle visite previste per oggi.

Andiamo poco più a sud e, oltrepassando il ponte di Rikenbaker, approdiamo sull’isola di Key Byscane. Percorrendo quindi tutta la strada che l’attraversa giungiamo, nell’estrema punta meridionale, al Bill Baggs Cape Florida State Park per passare un po’ di tempo nella sua spiaggia, caratterizzata dal bianco Cape Florida Lighthouse (storico faro eretto nel 1845).

L’arenile, con qualche alga di troppo, non è eccezionale e anche l’acqua non è quanto di meglio si possa desiderare ma almeno ha una temperatura gradevole e ci possiamo godere un refrigerante bagno.

Per pranzo ci spostiamo all’ombra degl’alberi situati alle spalle della spiaggia e lì oziamo per un po’: tutto sta andando per il meglio e c’è solo un briciolo di apprensione causa un guaio ad un piede di Sabrina … e non è una cosa da poco visto il nostro stile di vacanza, tutt’altro che sedentario.

Fatti i dovuti scongiuri, per il pomeriggio, ci spostiamo di pochi chilometri più a nord al Crandon Beach Park, sul quale avevo buone indicazioni fin da casa … infatti la spiaggia, disseminata di palme, è splendida. Non si può dire la stessa cosa però dell’acqua, torbida e gremita di alghe … ma non siamo venuti in Florida per il mare bello! Passiamo all’ombra degl’alberi tutto il pomeriggio, cercando più che altro, lontani dalla stressante routine quotidiana e nella tranquillità del luogo, la giusta dimensione vacanziera, fino a poco dopo le 18:00 quando, senza fretta, raccogliamo tutte le nostre cose e cominciamo a rientrare verso Miami Beach.

Ripassiamo di fronte all’American Airlines Arena proprio mentre vi stanno accedendo numerosi tifosi … sarà in programma una partita. Infatti, giunti al Rodeway Inn accendiamo il televisore e vediamo che sta per iniziare l’incontro di play-off Miami Heats–Chicago Bull … è passato solo un giorno dal nostro arrivo ma ci sentiamo già un po’ come adottati … forza Miami! Per cena mangiamo una pizza nello spartano locale situato sotto all’hotel, poi ci concediamo quattro passi nella pedonale Lincoln Road, che negli anni cinquanta era considerata la via di negozi più elegante d’America dopo New York … oggi non lo è più, ma è comunque rimasta una zona interessante e piena di vita.

Dopo un’oretta di cammino, ormai stanchi, ci trasciniamo in camera. E’ stata una bella giornata, ricca di spunti interessanti, il clima in questo periodo dell’anno è delizioso come ce lo aspettavamo, in più Miami ha vinto 111 a 106 … e se il buon giorno si vede dal mattino la Florida sarà, crediamo, una piacevolissima esperienza.

Domenica 23 Aprile: Ci svegliamo in una Miami semideserta, visto il giorno festivo. Facciamo colazione, sistemiamo i bagagli e partiamo per il nostro tour “on the road”della Florida.

Ci lasciamo alle spalle Miami Beach e passando nuovamente per Downtown prendiamo a seguire la Interstate numero 1 verso sud. Oltrepassiamo la deviazione, sulla sinistra, che porta a Key Byscane e, attraversando l’immensa periferia meridionale di Miami, giungiamo in vista prima di Florida City e poi delle vaste paludi che sono il preludio alle Keys.

Le Florida Keys sono una catena di oltre diecimila piccole isole (di cui solo circa cinquanta abitate) che si protendono dalla punta più meridionale dello stato, verso sud-ovest, per oltre cento miglia (160 chilometri), arrivando a distare soltanto novanta miglia da Cuba.

Attraversata la laguna di Barnes Sound, la Interstate numero 1 arriva sulla prima isola, una delle più grandi: Key Largo … e qui ci mettiamo alla ricerca del John Pennekamp State Park, il parco statale che si può considerare come il naturale trampolino di lancio per il Florida Reef, una vasta barriera corallina situata poche miglia al largo della costa.

Trovato l’ingresso acquistiamo il biglietto e subito ci dirigiamo al centro visitatori, così da prendere informazioni circa le escursioni organizzate della giornata: c’è posto per il tour di snorkelling delle 12:30, quindi paghiamo la salatissima partecipazione (compreso l’affitto delle pinne) e, dopo una rapida occhiata agli acquari del piccolo e attiguo museo, ci mettiamo in attesa dell’orario nella vicina spiaggetta (decisamente brutta!) … Giusto il tempo di fare uno spuntino e poi ci avviamo verso il punto d’imbarco per salire, alcuni minuti più tardi, su El Capitan, il natante che ci accompagnerà sulla barriera.

Attraversiamo dapprima canali fiancheggiati da fitte mangrovie, quindi un bel tratto di mare ed arriviamo, dopo quasi un’ora di navigazione, nel punto previsto, dove l’acqua, a distanza di qualche miglio dalla costa paludosa, risulta bella e trasparente. Non ci facciamo pregare e indossata l’attrezzatura scendiamo dalla barca per poi raggiungere il reef con una breve nuotata … Incontriamo numerose conformazioni coralline e tanti bei pesci colorati, oltre ad un enorme barracuda che se ne sta immobile vicino ad una roccia, pronto a far scattare la sua trappola mortale: veramente un bel fondale, ricco di vita … non tanto quello del Mar Rosso, ma comunque di buon livello per l’area caraibica. Torniamo così soddisfatti a bordo dopo mezzora abbondante di snorkelling e intorno alle 15:00 attracchiamo al punto di partenza, concludendo un’escursione dall’esito più che positivo.

Pranziamo, anche se l’orario è un po’ insolito, e poi riprendiamo strada: percorriamo tutta Key Largo, incontrando i classici “School Bus” gialli che stanno ritirando i bimbi da scuola, quindi Islamorada e le minuscole Matecumbe, Fiesta e Long Key, col nastro d’asfalto che, saltando da un isolotto all’altro, a tratti si fa suggestivo. Oltrepassiamo infine Layton e giungiamo sull’isola di Marathon, dove prendiamo alloggio all’Holiday Inn Marina … Sono da poco passate le 17:00: non ci sono spiagge interessanti nei paraggi e decidiamo di trascorrere un po’ di tempo nella piscina dell’hotel, per la gioia di Federico che può così soddisfare la sua irrefrenabile voglia di bagno.

Più tardi usciamo per cena a mangiare Conch Frittes, un’appetitosa specialità delle Keys, in un ristorantino in riva al mare (che, stando ad alcune foto esposte, non più di otto mesi fa è stato semidistrutto da un uragano) e poi ce ne torniamo in camera a riposare, meditando su quanto di bello abbiamo visto anche oggi.

Lunedì 24 Aprile: In previsione c’è una giornata tutt’altro che difficoltosa, quindi ci alziamo con calma e, dopo una buona colazione all’Holiday Inn, riprendiamo la strada verso l’estremità meridionale delle Keys e quindi verso Key West, la sua capitale.

Attraversiamo tutta l’isola di Marathon e percorriamo l’incredibile Seven Mile Bridge, il ponte più lungo delle Keys, inaugurato nei primi anni ottanta … suggestivo, ma non quanto il vecchio che, inaccessibile per la maggior parte, corre parallelamente al nuovo: la sua costruzione, infatti, avvenuta fra il 1908 ed il 1912, fu per quei tempi un’impresa titanica e costò la vita a circa settecento operai! Il Seven Mile Bridge ci fa ritrovare terra sulla piccola isola di Bahia Honda e qui, nell’omonimo State Park, ci fermiamo per passare qualche ora in quella che viene considerata la miglior spiaggia della Keys e una delle più belle degli Stati Uniti, anche se quest’immenso paese non va certo famoso per la qualità dei suoi lidi.

Situato fra il vecchio ed il nuovo ponte della Intestate numero 1, l’arenile è sicuramente scenografico ed il mare sufficientemente invitante … certo non è un sogno ad occhi aperti, ma è bello quanto basta per meritarsi la mezza giornata che abbiamo voluto dedicargli.

Ormai non è più alta stagione per questi luoghi e si vede perché intorno a noi ci saranno non più di venti persone … il tutto, naturalmente, a vantaggio della tranquillità, che unita al delizioso clima di fine aprile ci consentono di passare attimi di completo e sano relax, conditi da qualche piacevole bagno … Così, durante la permanenza a Bahia Honda, conosciamo anche due ragazzi italiani che lavorano a Disney World e quindi ad Orlando, nostra prossima meta, ma sono piuttosto antipatici e non ci elargiscono né di consigli né tanto meno di eventuali e graditi sconti.

Il tempo trascorre veloce e superato abbondantemente mezzogiorno ci concediamo il nostro solito “succulento” pranzo a base di sandwich, quindi, dopo una breve passeggiata lungo il vecchio ponte della numero 1, riprendiamo il nastro d’asfalto verso il punto più meridionale di questo viaggio.

In breve arriviamo sull’isola di Big Pine e da qui, seguendo una deviazione, a No Name Key (è inquietante l’Isola Senza Nome!), dove si trova il No Name Pub, un locale che ha una particolarità: alle pareti e sul soffitto sono appese, una accanto all’altra, un’infinità di banconote da un dollaro, lasciate nel tempo dai clienti che lo hanno frequentato … da un recente conteggio pare ce ne siano circa sessantamila! … Solo sfiorati dall’idea di staccare tutto e portarlo in banca, sorseggiamo un rinfrescante drink mentre ci godiamo l’insolito panorama, quindi torniamo a macinare miglia in direzione di Key West.

Intorno alle 17:00 arriviamo nella capitale di quella che in seguito a strani fatti, nei primi anni ottanta, per un breve lasso di tempo, si autoproclamò Conch Republic … poi tutto si sgonfiò ed il luogo divenne una delle località più turistiche degli States. Raggiungiamo, a breve distanza dal centro, il Best Western Hibiscus, che ci ospiterà per questa notte, e con Federico mi precipito subito in piscina a consumare un refrigerante bagno, prima di tornare in camera a prepararci per la serata.

Usciamo mentre si stanno accendendo i caldi colori che preannunciano il crepuscolo … e qui l’atmosfera, ormai di tipo caraibico, non fa altro che esaltarli. Percorriamo tutta Duval Street, la vivacissima strada principale, fiancheggiata da caratteristici edifici in stile coloniale e da un gran numero di locali e negozietti, fino a giungere in perfetto orario, a Mallory Square … E’ in questa piazza e sui moli prospicienti che si consuma la celebrazione del tramonto, una sorta di rito iniziato dagli hippy negl’anni sessanta, che si ripete puntualmente ogni sera.

Mangiatori di fuoco e saltimbanchi danno spettacolo fino a quando non entra in scena il protagonista: tutto si ferma e in un silenzio quasi irreale il disco solare si tuffa in mare infuocando l’ideale sipario … sono attimi di grande suggestione, fino a quando l’ultimo spicchio non sparisce sotto alla linea dell’orizzonte, scatenando un fragoroso applauso che mette i brividi … I giocolieri riprendono poi la loro attività, che attira soprattutto i bambini … e Federico non fa eccezione.

A fatica riusciamo a distogliere il piccolo dai vari intrattenimenti, ma dobbiamo farlo perché si sta facendo tardi … Ceniamo in maniera molto spartana ma, personalmente, gradita con hot dog e patatine in Duval Street, quindi ci fermiamo ad acquistare la tipica Key Lime (la torta al limone di Key West), che assaporiamo più tardi in hotel, al termine della lunga scarpinata, mettendo la parola fine ad un’indimenticabile giornata, trascorsa in un luogo ai confini del mondo reale, sospeso fra l’Oceano Atlantico ed il Golfo del Messico.

Martedì 25 Aprile: E’ dolce svegliarsi a Key West … facciamo colazione sui bordi della piscina del Best Western e poi partiamo (questa volta in auto, viste le dimensioni della cittadina) per completare la visita della capitale della Conch Republic.

Per cominciare andiamo a fotografare la casa più a sud della Florida ed il punto più meridionale degli Stati Uniti … da qui è molto più vicina Cuba di Miami! Facciamo un veloce giro del Bahamian Village, disseminato di vecchie case e di polli che razzolano liberamente (orgogliosi discendenti dei galli da combattimento d’epoca coloniale … protagonisti di un passato relativamente recente), quindi andiamo a vedere il miglio zero della Interstate numero 1 (significativo riferimento cartografico) e subito dopo ci fermiamo di fronte a quella che fu, per un lungo periodo, la casa di Ernest Hemingway: indiscusso ambasciatore della letteratura d’oltreoceano.

Visitiamo la dimora che, acquistata da Hemingway nel 1931, presenta ancora il mobilio originale e l’atmosfera nella quale lo scrittore concepì alcuni dei suoi romanzi più famosi (in testa a tutti “Il vecchio e il mare”) … Osserviamo il suo studio, al quale si arrivava tramite un ponte di corda che oggi non c’è più, ed il giardino, dove risalta la piscina, la prima realizzata a Key West, per amore di Pauline, l’ultima delle sue quattro mogli … Tutt’intorno scorazzano una cinquantina di gatti, discendenti degli originali allevati dal noto personaggio, fra i quali ne spiccano alcuni dotati di sei artigli per zampa, caratteristica distinzione genetica, testimone dell’epoca in cui i felini, capostipiti di questa particolarità, vivevano al fianco dello scrittore.

Usciti dalla casa osserviamo, sull’altro lato della strada, il vecchio faro di Key West, uno dei primi realizzati in Florida (nel 1847) e tuttora funzionante, quindi seguendo caratteristiche vie nelle quali, vista l’ora, stanno cominciando a circolare i tipici autobus turistici, facciamo lentamente ritorno all’hotel.

Arriviamo al Best Western in tempo utile per il check-out delle 11:00 e, una volta fatto carburante e qualche spesa di routine, è quasi mezzogiorno quando ci lasciamo alle spalle la stravagante e magica Key West, che resterà indiscutibilmente il punto più a sud del nostro viaggio, oltre che un indelebile ricordo.

Le Keys sono davvero lunghe da percorrere tutte d’un fiato: oltrepassiamo Big Pine e, lasciandoci sulla destra il Bahia Honda State Park, affrontiamo la sbalorditiva palificata del Seven Mile Bridge. Attraversata per intero anche Marathon ci fermiamo poco più tardi a pranzare, in riva al mare, ad Islamorada e una volta ripartiti, nel pomeriggio, superiamo anche Key Largo e riguadagniamo il continente giungendo a Florida City intorno alle 15:30.

Ci mettiamo alla ricerca del Travelodge, che ci ospiterà per la notte, e brighiamo non poco per trovarlo, perdendo una buona mezzora, quindi, lasciati i bagagli in camera, partiamo con sollecitudine verso nord.

Sfioriamo la periferia di Miami ed imbocchiamo la strada numero 41 (il Tamiami Trail) in direzione ovest: il nastro d’asfalto corre sul limite settentrionale del Parco Nazionale delle Everglades, una delle zone umide più interessanti d’America, ed è proprio da qui che partono la maggior parte delle escursioni in Airboat, quelle strane imbarcazioni dotate per muoversi di un’enorme elica esterna all’acqua, viste fino ad oggi solo in televisione.

Percorriamo poche miglia e ci fermiamo al Coopertown Airboat, mentre purtroppo il sole sparisce dietro ad improvvisi e grossi nuvoloni. Mi reco a chiedere informazioni e vengo energicamente apostrofato dal folcloristico personaggio che si trova al banco quando mi sincero sulla presenza o meno dei coccodrilli … «No crocodile … alligator!», mi risponde lui quasi offeso … ma questo basta a convincermi.

Fotografato un triste alligatore che si trova in gabbia nelle vicinanze del parcheggio, prendiamo parte al tour con quello strano mezzo di trasporto e, navigando in un piccolo canale, incontriamo subito qualche rettile, questa volta libero, con gl’inquietanti occhi ed il profilo del muso che emergono dal pelo dell’acqua … Con i tappi alle orecchie (visto l’assordante frastuono) ci scateniamo poi nell’emozionante corsa attraverso la Shark Valley, detta anche “River of glass” (il fiume d’erba), qualcosa che nell’aspetto ricorda un’immensa risaia. Quindi, percorrendo stretti canali, incontriamo numerosi volatili di palude ed altri alligatori e, dopo circa mezzora, facciamo ritorno al punto di partenza, certi di aver vissuto, per molti versi, un’irripetibile esperienza.

Alla fine di tutto “Mister Alligator” ci dà la possibilità di tenere in mano un cucciolo di quei famigerati rettili … prima Federico (coraggiosissimo) lo prende in braccio, poi io, ma non Sabrina, particolarmente intimorita.

Soddisfatti della giornata torniamo in tutta tranquillità a Florida City, mentre il sole non ne vuole proprio sapere di tornare allo scoperto.

In serata ceniamo da Pizza Hut con la formula tutta americana “All you can eat” (prezzo fisso e si mangia tutto ciò che si vuole!), poi ce ne andiamo a dormire: domani cercheremo di alzarci presto, in previsione della tappa più lunga del viaggio.

Mercoledì 26 Aprile: Per fortuna è tornato a splendere un bel sole, così di buon ora ci alziamo e fatta colazione lasciamo il Travelodge, con tutti i bagagli, diretti verso l’interno della regione.

Percorriamo una decina di miglia e poi entriamo nell’Everglades National Park, istituito dopo travagliate vicende, nel 1947, dal presidente Truman, allo scopo di preservare almeno una parte delle vaste aree paludose nel sud della Florida, caratterizzate da un delicato ecosistema e da una straordinaria ricchezza biologica.

E’ sempre una bella emozione entrare in un grande parco naturale americano: subito si percepisce l’ordine e l’estremo rispetto per l’ambiente, mentre la sensazione è che nulla, veramente nulla, sia lasciato al caso.

Una sola strada asfaltata corre all’interno dell’Everglades National Park, la numero 9336, percorrendo la quale in breve giungiamo in vista del Royal Palm Visitor Center: da lì partono un paio di sentieri fra cui l’Anhinga Trail, quello che dovrebbe essere il migliore in assoluto.

Visto l’orario (sono da poco passate le 8:00) non ci sono altri turisti oltre a noi e solo alcuni bird watchers se ne stanno silenziosamente appostati, con in mano i loro spropositati teleobbiettivi … così appena intrapreso il cammino incontriamo numerosissimi volatili che, per nulla intimoriti, si lasciano avvicinare e fotografare, mentre in acqua, a pochi metri di distanza, diversi alligatori nuotano indisturbati.

Più avanti il tracciato si dipana su alcune passerelle di legno che si inoltrano nella palude e lo spettacolo messo in scena dalla natura è straordinario … sembra di vivere dentro ad un documentario, mancano solo la musichetta distensiva di sottofondo ed il commento pacato di Piero Angela. Le acque stagnanti intorno a noi sono tutto un brulicare di vita, con i pesci che saltano e le inquietanti sagome degli alligatori che avanzano silenziosamente … una grossa tartaruga arranca faticosamente sulla riva, mentre fra la vegetazione circostante svolazzano centinaia d’uccelli, a volte intenti nell’accudire i piccoli, che pigolanti fanno teneramente capolino dal loro nido.

Ci soffermiamo a lungo e a giusta ragione nell’Anhinga Trail, che da solo può valere un viaggio nelle Everglades, quindi ci avventuriamo anche nel vicino Gumbo Limbo Trail. Il sentiero questa volta s’insinua fra la fitta vegetazione (il Gumbo Limbo è un albero tipico del parco) e scenograficamente non è paragonabile al suo vicino, ma riusciamo a vedere un serpente che scivola via pochi metri davanti ai nostri passi e questo basta a rendere l’esperienza positiva.

Risaliamo in auto e, osservati alcuni cartelli che mettono in guardia circa la presenza del puma, percorriamo la strada principale del parco fino alla piccola deviazione che porta al Pay-Hay Okee Overlook, in pratica un’altana che spazia sull’immenso mare d’erba delle Everglades: un’affascinante veduta, peccato solo che, vista la stagione secca, gran parte degli acquitrini siano ormai completamente prosciugati, a scapito naturalmente della presenza di fauna.

Ci spostiamo ancora più avanti, mentre sono apparse parecchie nuvole ed ora il sole va e viene, ed arriviamo al Mahogani Hammock Trail … Gli hammock, caratteristici delle Everglades, si formano laddove il terreno è solo di qualche centimetro più alto del pelo dell’acqua e sono una sorta di isole ricoperte da una fitta vegetazione … Questo sentiero, abbastanza suggestivo, s’inoltra con alcune passerelle proprio all’interno di un hammock per esplorarlo completamente, ma anche qui la mancanza d’acqua si rivela probabilmente fondamentale perché non incontriamo animale alcuno, neppure i ragni per i quali il luogo va famoso.

Percorrendo tutto il nastro d’asfalto giungiamo infine a Flamingo, nel punto in cui questo termina: qui si trova solo il centro visitatori ed un piccolo porto turistico, così nulla ci trattiene di più oltre al tempo necessario per fare una rapida inversione e riprendere la marcia.

Risalendo verso l’ingresso del parco ci fermiamo a West Lake, uno specchio d’acqua color del fango contornato da vasti mangrovieti, nei quali ci avventuriamo per mezzo di un breve trail, quindi in riva al lago ci fermiamo a pranzare, immersi in un silenzio e in una pace quasi irreali … l’alta stagione è veramente finita e intorno a noi non c’è anima viva … fantastico! Completamente liberi dallo stress, poco prima delle 13:00, dobbiamo però riprendere la strada perché mancano ancora quasi cinquecento chilometri alla fine della tappa … Lasciamo soddisfatissimi le Everglades, con non più di tre punture di zanzara (un vero successo vista la fama del luogo), e puntiamo decisamente a nord. Aggiriamo e superiamo Miami, che ritroveremo di nuovo all’ultimo giorno della vacanza, e andiamo nella località di Fort Lauderdale, poco oltre, lungo la costa.

Di rango altolocato la “Venezia d’America” (così qualcuno la chiama) non si smentisce e la fitta rete di canali, realizzata negli anni venti dove c’era una palude di mangrovie, è oggi disseminata di eleganti ville, di fronte alle quali stanno ormeggiati milionari yacht: una visione impreziosita da lunghi e scenografici viali di palme.

Dedicato qualche attimo di attenzione (più che dovuto) a Fort Lauderdale torniamo subito in autostrada e proseguiamo verso nord, per uscire poco dopo nella località di Lake Worth … Da qui raggiungiamo la costa e prendiamo a seguirla, incontrando sempre più spesso ville che sono un vero e proprio schiaffo alla miseria, fino a giungere nell’aristocratica cittadina di Palm Beach, eletta, fin dalla fine del XIX secolo, a rifugio prediletto delle personalità più ricche d’America … L’abitato, infatti, è un salotto costruito su misura per i suoi esclusivi abitanti e noi, per dir la verità, non ci sentiamo proprio a nostro agio, così scattiamo alcune foto, giusto in tempo prima che se ne vada il sole, e poi “scappiamo”, anche perché si sta facendo tardi.

Mezzora dopo, mentre procediamo lungo la Highway numero 95, si scatena il “diluvio universale” … niente di male, perché la giornata, in pratica, è finita: percorriamo ancora oltre duecento chilometri e arriviamo per la sera nel paese di Cocoa, dove prendiamo alloggio nel locale Best Western.

Ci rassettiamo rapidamente e poi usciamo per cena da Denny’s (un’ottima catena di fast-food), quindi stanchi, ma estremamente felici delle straordinarie esperienze vissute in questo lunghissimo mercoledì d’aprile, ce ne andiamo a riposar le membra … mai paghi delle meraviglie che quotidianamente ci offre la Florida.

Giovedì 27 Aprile: Come preannunciato dai notiziari televisivi in cielo questa mattina naviga qualche nuvola di troppo, ma non disperiamo perché, col passare delle ore, dovrebbe solo migliorare e a testimonianza di questo in lontananza risaltano già ampi sprazzi di sereno.

Ci alziamo con calma: facciamo spesa e carburante poi, fiancheggiando una folcloristica torre dell’acquedotto tutta dipinta con i colori della bandiera americana e seguendo la Interstate numero 1 verso nord, ci imbattiamo in una scena piuttosto singolare, almeno per noi europei. Ai bordi della carreggiata lo sceriffo sorveglia due carcerati, riconoscibili dagl’indumenti con le classiche righe bianche e azzurre, che, palla al piede e badile in mano, svolgono alcuni lavori di manutenzione … più avanti tre carcerate raccolgono i rifiuti ai margini della strada … un atteggiamento nei confronti di chi, a giusta ragione, deve scontare una pena che faremmo bene ad importare! Percorse una manciata di miglia sulla numero 1, più tardi svoltiamo a destra lungo il ponte che conduce a Cape Canaveral e al Kennedy Space Center … è un ponte levatoio e si sta alzando per far passare alcune barche a vela, così ci fermiamo e durante l’attesa Sabrina individua alcuni delfini che nuotano liberamente nella laguna … Un’attesa che però inaspettatamente si prolunga perché scende solo il ponte della corsia opposta e non il nostro … è incredibile: stiamo andando nel luogo più tecnologico del mondo e siamo bloccati da un semplice ponte levatoio che non ne vuole proprio sapere di chiudersi! … Dopo 45 minuti deve intervenire la polizia: con ordine fa defluire il traffico sulla corsia transitabile e noi possiamo finalmente raggiungere il Kennedy Space Center … Che emozione! Da questo luogo, universalmente noto, sono partite tutte le più importanti missioni spaziali americane, inclusa quella che, nel 1968, portò l’uomo sulla luna, e lo stemma della NASA unito alla bandiera a stelle e strisce, che ci accolgono all’ingresso del Visitor Complex, sono due indelebili icone nella storia dell’astronautica mondiale.

Acquistato il biglietto Maximum Access e varcata la porta principale andiamo subito a visitare lo Space Shuttle … non sembra vero, sembra solo una fedele ricostruzione e invece è l’originale! … Ci rechiamo quindi a vedere un bel filmato in tre dimensioni riguardante la stazione spaziale internazionale e all’uscita, dopo un veloce pranzo, passiamo in rassegna tutti i pezzi del suggestivo Rocket Garden, fra i quali, oltre a tanti epici vettori, spicca la passerella attraverso cui camminarono Armstrong, Collins e Aldrin prima di imbarcarsi sul volo che li fece sbarcare sulla luna.

Nel primo pomeriggio affrontiamo il tour in pullman che porta alla scoperta della base: passiamo accanto al colossale Vehicle Assembly Building, uno dei più grandi edifici al mondo (dalle sue porte esce lo Space Shuttle già in posizione verticale, pronto per la partenza!) … Vediamo le smisurate piattaforme meccaniche cingolate e le piste su cui queste viaggiano quando trasportano i veicoli spaziali verso le zone di lancio e più in lontananza le rampe, dalle quali, con enormi boati, l’uomo da quasi mezzo secolo parte regolarmente alla conquista del cosmo.

Ci fermiamo alla sezione dedicata al Saturn V e alle missioni Apollo … sono impressionanti le dimensioni del missile che portò l’uomo sulla luna: esattamente il doppio in altezza di uno Space Shuttle, tanto che vien da chiedersi come possa un tale ammasso di ferro volare! Sulla via del ritorno al Visitor Complex incontriamo anche un alligatore (i rettili sono di casa al Kennedy Space Center e non sono difficili da vedere), quindi ci resta ancora il tempo per un altro filmato in tre dimensioni (inerente lo sbarco sulla luna) e per un piccolo spettacolo dedicato ai bambini (Mad Mission to Mars): simpatico, ma ci aspettavamo tutt’altra cosa.

Alle 18:00 in punto (sfruttando tutto il tempo a nostra disposizione) usciamo dal Visitor Complex, quindi, ripresa la strada del mattino, superiamo il ponte levatoio (che nel frattempo hanno riparato) e ci fermiamo all’Astronaut Hall of Fame, compresa nel prezzo del biglietto, che chiude alle 19:00. Qui sono conservati alcuni cimeli e qualche interessante gioco di simulazione.

Un’ora passa in fretta: lasciamo anche la Hall of Fame e prendiamo a seguire la strada che corre in direzione di Orlando, mentre in lontananza si nota un grosso incendio che oscura buona parte del cielo … Per fortuna non è sulla nostra via e dopo qualche miglio ce lo lasciamo sinistramente alle spalle proseguendo verso la meta.

Giungiamo nella località di Kissimee, a sud di Orlando, quasi col buio e prendiamo alloggio al Rodeway Inn Main Gate, che ci vedrà suoi ospiti per le prossime tre notti … Ci troviamo a breve distanza da Walt Disney World, che vedremo domani, e se Federico è già al settimo cielo tutti insieme per ora ci godiamo l’indimenticabile giornata appena conclusa e usciamo per cena che son quasi le 22:00 da Ihop, un’altra buona catena che offre discreti piatti ad ottimi prezzi.

Venerdì 28 Aprile: Ad una settimana esatta dalla partenza di questo viaggio ci svegliamo sotto il cielo azzurro più che mai della Florida e dopo una provvidenziale colazione in hotel ci catapultiamo verso Disney World … Per un giorno torneremo bambini, ma, soprattutto, accontenteremo Federico (il nostro bambino a tutti gli effetti), che non sta più nella pelle dalla gioia e non vede l’ora di varcare i cancelli del suo mondo dei sogni.

Walt Disney World è grandissimo, infatti si estende su di un’area di 11.200 chilometri quadrati (una piccola contea) e annovera al suo interno ben quattro parchi tematici principali (Magic Kingdome, Epcot, MGM Studios e Animal Kingdome), oltre ad un paio minori e a numerosi resort … Noi decidiamo di vedere Magic Kingdome, il primo storico parco realizzato in Florida (nel 1971) ed il secondo in assoluto dopo quello di Los Angeles in California: crediamo sia quello più genuino, ma soprattutto lo scegliamo perché pensiamo sia quello più adatto alle nostre caratteristiche … Una cosa è certa: non si possono assolutamente visitare tutti, a patto di non essere dei maniaci del genere, ma più che altro se non si vuole spendere un piccolo capitale nel giro di qualche giorno, perché sono tutt’altro che economici, nonostante alcune offerte cumulative.

Pochi minuti dopo le 9:00 varchiamo il cancello, anzi il casello (tipo autostradale) d’ingresso … I parcheggi sono vastissimi e per fortuna, a giudicare dall’attuale flusso di veicoli, oggi pare non si riempiranno, ciononostante lo sciame di gente all’ingresso del parco è impressionante.

Percorsa una monorotaia e pagati i “soli” 63 dollari (a testa) del biglietto ci ritroviamo, con grande emozione, all’imbocco di Main Street, la fiabesca strada principale del Magic Kingdome, in fondo alla quale spicca l’inconfondibile Castello di Cenerentola, visto tante volte in fotografia o in televisione.

Una breve passeggiata lungo la via ci porta, nel cuore del parco, in vista delle attrazioni, che decidiamo di affrontare, su consiglio della guida, in senso antiorario, allo scopo di evitare quanto più possibile le lunghe attese … Non so se grazie al suggerimento o per puro caso ma le prime file che affrontiamo sono davvero brevi. Vediamo nell’ordine: la “Swiss Family Tree House” (una fantasiosa casa sugli alberi), la “Jungle Cruise” (una simpatica escursione in barca nella giungla) e “Pirate of the Caribbean” (la ricostruzione, veramente ben fatta, del leggendario mondo dei pirati), questo per quanto riguarda la zona del parco chiamata Adventureland.

Accediamo quindi a Frontierland e, affrontata da solo la “Splash Mountain” (Sabrina e Federico non se la sono sentita, ma tolta l’ultima discesa è una passeggiata e si esce solo un po’ bagnati), convinco il piccolo a seguirmi, non prima di una velocissima visita all’intrigante “Isola di Tom Sawyer”, sulla “Big Thunder Mountain Rail Road” … è il battesimo delle montagne russe per lui! … e alla fine dice si essersi divertito, ma in volto non lo vedo convinto! Ci spostiamo a Liberty Square e vediamo la “Hunted Mansion” (la casa degli spiriti): sotto molti aspetti avvincente, ma Federico non ha gradito ed in parte l’ha affrontata ad occhi chiusi.

Eccoci a Fantasyland: ci dedichiamo prima di tutto a “It’s a Small World” (una delle prime storiche attrazioni, semplicissima ma veramente spassosa), quindi prenotiamo col Fast Pass il “Peter Pan Flight” e andiamo a vedere il cartone animato in 3D “Mickey’s Phillarmagic” … a dir poco fantastico! … Infine usciamo e pranziamo, in armonia con l’ambiente, con hot dog, coca cola e gelato (una cosa che farebbe inorridire un no-global!).

Rifocillati a dovere ci rimettiamo in moto e raggiunta Tomorrowland prendiamo parte al “Buzzy Lightyear’s Space Ranger Spin” (un percorso a punti che piace da matti a Federico) e all’uscita corriamo in Main Street, perché son quasi le 15:00 ed è tempo della tradizionale sfilata “Share a Dream Come True Parade” … molto bella! Sfilano uno dopo l’altro tutti i più famosi personaggi Disney: da Topolino ad Alice, da Aladdin ai Sette Nani, e poi Pippo, Pluto, Paperino, Pinocchio, Crudelia Demon, Cenerentola, la Bella e, naturalmente, la Bestia … una festa per i bambini (più o meno cresciuti) di tutto il mondo! Dopo la sfilata ci concediamo, finalmente, il “Peter Pan Flight”, prenotato in mattinata … nulla di speciale, poi lo “Snow White’s Scary Adventure” (un tranquillo viaggio nella fiaba di Biancaneve e i Sette Nani).

Lasciata definitivamente Fantasyland andiamo a “Mickey’s Toontown Fair”, la città di Topolino, a vedere la simpatica casa del roditore più famoso del mondo e quella della sua fidanzata Minnie … ed è proprio qui che Federico riesce a strappare un autografo ed una foto in compagnia del mitico Pluto! Rimane ancora tempo per completare la visita di Tomorrowland, così accompagno il piccolo prima nell’ “Indy Speedway” (sono sempre graditi ai bambini i bolidi in miniatura), quindi sul “Tomorrow Transit Autority” (un banale trenino futuristico) e nello “Stitch’s Great Escape” (un’attrazione della quale abbiamo capito poco o nulla), infine, mentre mi godo due giri mozzafiato sulle “Space Mountain” (montagne russe che schizzano a tutta velocità nel buio quasi completo), Sabrina e Federico fanno il bis sul “Buzzy Lightyear’s Space Ranger Spin”.

Al termine di tutto non potremo purtroppo vedere i famosi fuochi d’artificio esplosi sullo sfondo del Castello di Cenerentola, infatti alle 19:00, dopo dieci ore intensissime, dobbiamo giocoforza uscire dal Magic Kingdome, perché chiude i battenti … ed il bimbo, instancabile, commenta con una sola parola: «Già?!…», noi invece siamo sfiniti, ma soddisfatti della giornata, che concludiamo, poco più tardi, da Pizza Hut, di fronte ad un “colloso” piatto di pasta al pomodoro … una piccola bestemmia culinaria, ma efficace a placare i morsi della fame.

Sabato 29 Aprile: Ci concediamo una levata senza eccessiva fretta, infatti il parco di Sea World, che visiteremo oggi, non apre i battenti prima delle 9:00 e si trova a poche miglia di distanza dal nostro hotel.

Alcuni minuti dopo il sopraccitato orario giungiamo così nell’enorme parcheggio antistante il complesso di attrazioni più famoso di Orlando, dopo Disney World, e, pagato anche qui il salatissimo biglietto (62 dollari a testa), varchiamo immediatamente il cancello d’ingresso.

Sfioriamo il lago dei fenicotteri e quello delle tartarughe e arriviamo, seguendo lo sciame di gente, al Sea Lion & Otter Stadium, dove prendiamo posto per vedere il primo degli spettacoli in programma … Il “Clyde & Seamore Take Pirate Island” è un simpatico show che ruota intorno ad alcuni leoni marini e diverse otarie, che vediamo, successivamente, anche nel “Pacific Point Preserve”, la ricostruzione del loro ambiente naturale.

Senza perder tempo corriamo poi al Whale & Dolphin Theater così da assistere al “Blue Horizon”, uno stupendo spettacolo con gl’inimitabili delfini, la cui intelligenza e simpatia supera di gran lunga gli altri abitanti del mare, anche quando, poco dopo, li osserviamo mentre mangiamo a “Dolphin Cove” e, giocando, ci schizzano abbondantemente.

Dopo una personale rinfrescata nel grande scivolo dell’attrazione denominata “Journey to Atlantis” andiamo tutti insieme al Seaport Theatre a vedere “Pets Ahoi!”, un divertente spettacolo di animali ammaestrati (soprattutto cani e gatti) e alla fine, mentre Sabrina e Federico pranzano con un bel gelato, mi scateno su “Kraken”: montagne russe mozzafiato.

Cosa ci fanno dei pinguini in Florida? … E’ quello che ci chiediamo quando, nel primo pomeriggio, visitiamo il “Penguin Encounter”, prima di fare una passeggiata nel parco in attesa del successivo spettacolo al Nautilus Theater (carino ma un po’ noioso).

Mentre il cielo si va lentamente incupendo esploriamo lo “Shark Encounter” (sempre affascinanti gli squali), quindi, dopo una sosta nel bar ai piedi della Sky Tower (uno dei simboli del parco, oggi chiusa causa il fastidioso vento, non proprio caldo, che soffia da nord), ci avviamo in direzione dell’Atlantis Bayside Stadium, dove prendiamo visione, poco più tardi, dell’accattivante spettacolo chiamato “Fusion”, con tuffatori, sci acrobatico e spericolate evoluzioni con moto d’acqua.

Terminato anche questo show visitiamo il bel padiglione di “Wild Artic”, con orsi bianchi ed enormi trichechi, oltre al rarissimo beluga (un cetaceo albino) e all’uscita, quando sono ormai le 18:00 ci resta da vedere una sola esibizione, allo Shamu Stadium, la più rappresentativa: quella delle orche … Grandiosa! … Anche se, complici forse le prime ombre della sera e le aspettative troppo alte, in fondo, in fondo ci ha un po’ deluso … Oppure sarà la stanchezza: due parchi in due giorni! … Siamo un po’ provati … Chissà come faranno tanti americani a passare una settimana intera ad Orlando! … Noi lasceremo domani la zona, per carità, soddisfatti, ma è ora di cambiar musica! … Rientriamo al Rodeway Inn e più tardi usciamo per una pizza (naturalmente da Pizza Hut), quindi, trovata finalmente la targa automobilistica della Florida, che aggiungeremo alla nostra collezione, torniamo in camera a riposare, perché domani ci attendono parecchie miglia da percorrere, e, speriamo un’altra bella giornata.

Domenica 30 Aprile: Con sollecitudine ci prepariamo a riprendere strada, perché ci aspetta una delle tappe più lunghe del viaggio … a quanto pare, però, non ci assisteranno splendide condizioni meteorologiche: il cielo è completamente ricoperto da un’antipatica velatura e soffia anche un vento piuttosto freddo.

Lasciamo l’hotel verso nord lungo la Highway numero 4, oltrepassiamo il centro di Orlando, che solo quarant’anni fa era una tranquilla cittadina di campagna ed oggi, grazie al turismo, è diventata una metropoli, e proseguiamo fin sulle sponde dell’Oceano Atlantico, per arrivare, poco più a sud di Daytona Beach, a Ponce Inlet.

Percorriamo la strada costiera, fiancheggiata da case-vacanza nelle quali spiccano grandi verande avvolte in fitte zanzariere (ci devono essere periodi dell’anno in cui gli odiati insetti sono davvero numerosi in questa zona e la vicinanza della Mosquito Lagoon è tutto un programma) e alla fine arriviamo in vista del rosso Ponce Inlet Lighthouse, lo storico faro (il più alto della Florida) attivo dalla fine dell’Ottocento agl’anni settanta.

Si potrebbe anche salire in vetta alla costruzione, ma le cattive condizioni del tempo ci scoraggiano dal farlo. Torniamo quindi verso nord lungo la litoranea, sempre accompagnati da un odioso grigiore, e giunti nel centro di Daytona Beach vorremmo percorrere in auto la celebre spiaggia carrabile, ma non è possibile farlo: l’oceano è arrabbiatissimo e grandi onde la invadono quasi completamente.

Scatto una triste foto ed abbandonata inevitabilmente l’idea lasciamo Daytona Beach, passiamo accanto al famoso Daytona International Speedway, tempio della velocità capace di 150.000 spettatori e teatro, dal 1959, di importanti gare automobilistiche, ed entriamo sulla Highway numero 95 procedendo, spediti, ancora più a nord.

Quando è da poco passato mezzogiorno arriviamo nella località di St. Augustine, il più antico insediamento abitato permanente degli Stati Uniti.

Lo spagnolo Ponce de Leon, che diede nome alla Florida, sbarcò in questo luogo nel 1513, ma fu solo nel giorno di Sant’Agostino del 1565 che venne fondata ufficialmente la cittadina … Dopo numerose battaglie e alterne dominazioni, succedutesi nel corso dei secoli, il centro storico è giunto a noi quasi intatto e poi sapientemente restaurato, una vera eccezione per il patrimonio storico degli States.

Parcheggiamo nei pressi del castello e, visto il vento freddo che continua a soffiare incessantemente, pranziamo rintanati all’interno dell’auto, quindi partiamo a piedi per un piccolo giro turistico delle vie centrali, mentre, per fortuna, le nuvole si diradano e lasciano uscire qualche beneaugurante raggio di sole.

Oltrepassata l’antica City Gate entriamo nella pedonale St. George Street, fiancheggiata da vecchie e caratteristiche case, fra le quali anche la Oldest Wooden Schoolhouse, come dice il nome la più attempata scuola in legno … di tutti gli Stati Uniti però! Proseguendo fra begli scorci approdiamo nella centrale Plaza de la Constituciones, risalente al 1598 e dominata sul lato settentrionale dall’imponente mole della cattedrale. Risaliamo quindi brevemente King Street e giungiamo al cospetto del scenografico Flagler College, oggi sede di una scuola, ma cent’anni fa il lussuoso Ponce de Leon Hotel, rifugio invernale per i personaggi più ricchi e potenti della nazione.

Con ampi e graditi squarci di cielo azzurro sulla testa percorriamo a ritroso il percorso alla ricerca di intriganti prospettive dal sapore europeo, infine, usciti dalla City Gate, andiamo ad osservare da vicino le mura del sorprendente Castillo de San Marcos, molto ben conservate, che non dimostrano le loro 400 primavere d’età.

Con il vento teso dell’oceano che ci sferza il viso torniamo all’auto e mettiamo la parola fine sulla visita di St. Augustine, così, ripresa la strada, ci dedichiamo alla seconda parte della tappa, che è di solo trasferimento.

Salutiamo l’Atlantico e la “Route Number One”, che ci ha in pratica accompagnati da Key West fino a qui, per tagliare la Florida da est a ovest ed arrivare nel Golfo del Messico. Attraversiamo paesaggi bucolici, leggermente collinari, accompagnati dall’estrema variabilità del tempo, con il cielo che, a più riprese, si ripulisce e poi s’incupisce, e arriviamo, in anticipo su quanto previsto, nella cittadina di Crystal River, dove prendiamo alloggio nel locale Days Inn. Da qui domattina prenderemo il via per un’escursione in barca (prenotata fin da casa) alla scoperta dei lamantini nel fiume che porta lo stesso nome della località … speriamo solo la buona sorte ci assista ed il sole torni a splendere incontrastato.

In serata ceniamo nel vicino Denny’s e poi torniamo in camera, in previsione della levataccia per prender parte all’escursione che partirà alle 7:30 … intanto chiudiamo la peggior giornata da quando siamo partiti … e speriamo arditamente che resti tale! Lunedì 1 Maggio: Al via di una nuova settimana e di un nuovo mese la sveglia suona poco dopo le 6:30: ci aspetta un’originale escursione in barca sulle acque del Crystal River. Non facciamo neppure colazione e ci presentiamo, entusiasti, all’imbarcadero, dove ci consegnano l’attrezzatura necessaria: maschera, pinne, giubbotto di salvataggio e muta … Procediamo quindi con la vestizione e, dopo un video informativo sui lamantini (cetacei esclusivamente erbivori, parenti dei comuni delfini) salpiamo, percorrendo angusti canali fiancheggiati da una rigogliosa vegetazione.

Soffia sempre un odioso vento freddo da nord, anche se oggi il cielo è completamente sereno, anzi limpido, e la temperatura dell’aria non invita certo a fare un bagno.

Dopo circa quaranta minuti di navigazione, fra scenari palustri a tratti affascinanti, giungiamo in prossimità di un isolotto e veniamo invitati a scendere in acqua. La prima sensazione, a contatto con la temperatura del fiume, non è delle migliori, la seconda, una volta messa la testa sotto, è decisamente peggio: l’acqua è torbida e non si vede ad un palmo dal naso … Nelle vicinanze, però, emerge una pinna e di lì a poco veniamo sfiorati da due grossi lamantini … è una splendida emozione, ma subito dopo spariscono nel paludoso e tutt’altro che “Crystal” River.

Impossibile scattare foto subacquee: rinuncio, mentre un altro lamantino mi passa accanto e gli accarezzo l’enorme coda … Sono completamente innocui e paciocconi, ma non è tanto piacevole vedersi sbucare dal nulla esseri della stazza di diversi quintali, seppur bene intenzionati … Ne incrociamo ancora qualcuno e poi, complice anche il freddo, torniamo sulla barca.

Un po’ delusi, soprattutto per le caratteristiche dell’acqua, chiedo delucidazioni alla guida, perché nei video ed in fotografia l’avevamo vista molto più limpida … Ci spiega che la nitidezza c’è solo nei mesi invernali e che si perde quasi completamente nella stagione più calda … Gli crediamo e ci mettiamo a vedere quei simpatici animali che ogni tanto riemergono ai lati dell’imbarcazione emettendo strani versi, simili a muggiti.

Poco più tardi affrontiamo, tutto sommato soddisfatti e un po’ infreddoliti, il viaggio di rientro e lungo il tragitto vediamo anche un grosso alligatore appostato sulle rive del fiume … ed il pensiero corre inevitabilmente a quando eravamo in acqua … certo, se lo avessimo incontrato all’andata … ma tutto è bene ciò che finisce bene, come si usa dire in questi casi.

Passato da una manciata di minuti il mezzogiorno pranziamo da Denny’s (ma per noi è anche una colazione un po’ tardiva) e poi lasciamo il Days Inn e Crystal River diretti a sud.

Lungo la strada osserviamo cartelli che mettono in guardia circa la presenza di orsi (in Florida?! … non credevo ci fossero) e dopo alcune decine di miglia raggiungiamo la cittadina di Tarpon Spring, nota per la sua numerosa comunità greca, un tempo impegnata nella pesca delle spugne. Passiamo così accanto alla più classica delle chiese ortodosse e proseguiamo per svoltare, più avanti, in direzione del mare, sul ponte che porta a Clearwater Beach.

Percorriamo tutta la via principale di una delle località turistiche più interessanti del Golfo del Messico e, oltrepassato un altro ponte, ci andiamo a fermare nell’isolotto quasi completamente occupato dal Sandy Key Beach Park … E’ ormai pomeriggio inoltrato e decidiamo di trascorrere un paio d’ore nella spiaggia del parco, che non è certo da urlo, ma neanche male, peccato solo per il fastidioso vento che continua a soffiare.

Giochiamo un po’ con i gabbiani e ci concediamo una buona dose di sano relax, prima di tornare in direzione del centro di Clearwater Beach e prendere alloggio nel vicino Travelodge.

Portati i bagagli in camera, ci prepariamo in fretta e furia e usciamo in tempo utile per raggiungere il centralissimo Pier 60 … dove va in scena, in un piacevole ambiente, che ricorda, nelle dovute proporzioni, lo spettacolo di Key West, uno straordinario tramonto, caratterizzato dall’intrigante profilo del molo sul cielo infuocato … e poi ceniamo in un locale sul lungomare, concludendo questo primo maggio nel migliore dei modi.

Martedì 2 Maggio: Ci prepariamo pacatamente a lasciare Clearwater Beach, mentre si preannuncia una splendida giornata, con il cielo completamente sgombro da nubi e la temperatura destinata a crescere.

Oltrepassato il ponte che ci divideva dal continente, percorriamo tutta la vasta periferia di St. Petersbourgh, facciamo una veloce spesa, e arriviamo poco dopo le 10:00, a breve distanza dal centro cittadino, al Salvador Dalì Museum.

Per quanto curioso possa sembrare a St. Petersbourgh si trova la più grande raccolta al mondo di opere dello straordinario artista catalano, e questo grazie alla vasta collezione di un imprenditore di Cleveland che negl’anni quaranta, forte di una salda amicizia con Dalì, acquistò un gran numero di tele, esposte poi in questo museo a partire da 1982.

C’immergiamo così nella visita culturale, affascinati dal cubismo e dalle pitture surrealiste, con i famosi orologi ectoplasmici … e inizialmente ci riteniamo anche fortunati per l’inatteso sconto, del cinquanta per cento, praticato sul prezzo del biglietto … una riduzione alla quale, però, avremmo volentieri rinunciato perché, lo scopriamo passo dopo passo, parecchi quadri si trovano purtroppo racchiusi in grandi casse di legno, ammucchiate un po’ ovunque nel museo, di ritorno probabilmente da una mostra internazionale. Stanno lavorando alacremente per ricollocarli al loro posto, ma noi dovremo accontentarci di vedere solo quelli attualmente presenti, seppur bellissimi e meritevoli del tempo che abbiamo voluto dedicargli … In definitiva, però, è stata una piccola delusione, che alla fine lasciamo anche espressa educatamente, nero su bianco, nell’apposita cassetta con su scritto “Comment”, poco prima dell’uscita.

Per mezzogiorno ci spostiamo a pranzare sulla costa del Golfo del Messico, nell’isola sulla quale si trova il Fort de Soto Park, un piccolo parco statale ben tenuto e colmo di tranquillità, che si sviluppa intorno ad un forte di fine Ottocento ed alcune discrete spiagge, nelle quali vale la pena trascorrere un po’ di tempo.

Esplorate velocemente, nel primo pomeriggio, le vecchie mura delle postazioni difensive, riprendiamo la strada oltrepassando l’impressionante Sunshine Skyway Bridge, notevole opera di ingegneria che scavalca la Baia di Tampa risparmiandoci parecchie miglia, e giunti nella località di Bradenton deviamo nuovamente in direzione del mare per raggiungere Annamaria Island.

L’isola, stretta e lunga, si sviluppa da nord a sud e, percorrendola quasi tutta, ci andiamo a fermare, quasi all’estremità meridionale, nell’ampia Coquina Beach … davvero una bella spiaggia: sabbia bianchissima e fine come il borotalco, lambita da acque azzurre e trasparenti … senza ombra di dubbio la migliore vista fino ad ora in Florida. Peccato solo che la gradevole brezza che soffiava, nel giro di neanche un’ora si trasformi in un fastidioso vento teso e pungente, che finisce per guastarci un po’ la festa … Con Federico, comunque, mi godo un piacevole bagno nelle calde ed invitanti acque di Coquina Beach e poi restiamo a passare un po’ di tempo nell’arenile, dominato da un’enorme altana in legno della Guardia Costiera, sotto alla quale sta parcheggiato il più classico dei mezzi di soccorso americani.

Intorno alle 18:00 concludiamo il nostro relax balneare e riprendiamo l’itinerario seguendo la strada che conquista, una dopo l’altra, le isole che si sviluppano parallelamente alla costa, fin davanti la cittadina di Sarasota. Qui torniamo, con l’ennesimo ponte, sulla Florida continentale e proprio a Sarasota ci fermiamo per la notte, in un hotel della catena Super 8.

In serata non troviamo altro da mangiare che una pizza d’asporto, ma ci accontentiamo e in questo modo chiudiamo una giornata per certi versi non fortunatissima, ma in ogni caso positiva.

Mercoledì 3 Maggio: E’ la mattinata più tranquilla da quando siamo partiti … la sveglia suona quasi alle 8:00 e questo perché il Ringling Museum che dovremo visitare, posto a meno di un miglio di distanza dal nostro hotel, aprirà i battenti non prima delle 10:00.

Il multimilionario John Ringling, magnate del circo a stelle e strisce, uno dei proprietari del Ringling Brother Circus, famosissimo negli States all’inizio del secolo scorso, accumulò grandi ricchezze e negl’anni venti possedeva già un capitale stimato in circa duecento milioni di dollari. A Sarasota stabilì la sede invernale del circo e costruì la sua sontuosa dimora … Distrutto poi dal dolore per la morte della moglie nel 1927 e impoverito, due anni più tardi, dal crollo della borsa, morì nel 1936, pare con soli trecento dollari in tasca … Lasciò però ai posteri, in quel di Sarasota, le testimonianze della sua incredibile vita.

Fatta colazione e lasciato il Super 8 ci presentiamo alcuni minuti prima dell’apertura nel parcheggio di fronte alla tenuta e cronometricamente varchiamo, poco più tardi, il cancello d’ingresso.

Cominciamo la visita da un nuovissimo padiglione, recentemente inaugurato, che ospita una meravigliosa ricostruzione in miniatura del Ringling Circus, quindi passiamo all’attiguo ed interessante Circus Museum, con variopinti carri utilizzati per trasportare animali, un grosso cannone che sparava proiettili umani e numerosi cimeli che ricordano un vecchio e famoso film di Hollywood: “Il più grande spettacolo del mondo”, con Chalstone Heston … ed il riferimento non è casuale visto che c’è anche un angolo dedicato alla famosa pellicola.

Una volta tornati all’aria aperta passiamo a vedere il “Giardino delle rose” e poi andiamo a visitare la “Ca’ d’Zan”: letteralmente, in dialetto veneto, la casa di Giovanni … John Ringling. E’ un palazzotto in stile “Venetian-Gotic”, costruito scenograficamente e con grandissimo gusto sulle rive della laguna, meravigliosamente inserito nell’ambiente che lo circonda e tutt’altro che pacchiano, conoscendo l’inclinazione americana per l’eccesso.

Sono molto belli anche gli interni che, sapientemente arredati, si possono vedere per intero solo con visita guidata, alla quale ovviamente prendiamo parte … Ne emergiamo, ben impressionati, dopo circa mezzora e subito dopo saliamo su di un mezzo elettrico che ci accompagna all’Art Museum.

John Ringling amava l’arte e nel giro di pochi anni acquistò oltre cinquecento opere di grandi maestri … una collezione che oggi è considerata una delle migliori del paese nel suo genere: in particolare spiccano diversi quadri di Rubens, ma anche numerosi dipinti del barocco italiano, con Tintoretto e Veronese in testa.

Completiamo la visita del sorprendente Ringling Museum quando è già passato mezzogiorno e, saliti in auto, andiamo in direzione del mare, alla ricerca di una spiaggia dove passare il resto della giornata … Attraversiamo così un ponte che supera la laguna e arriviamo a Siesta Key, quindi, nella sua parte più meridionale, a Turtle Beach, che è un bell’arenile, bagnato da uno splendido mare e sicuramente meritevole di una sosta.

Pranziamo in un’area attrezzata per pic-nic e poi, dando retta alla guida e a Federico (particolarmente incuriosito), decidiamo di spostarci circa dieci miglia più a sud, a Venice Beach, dove pare si trovino lungo il bagnasciuga denti di squalo a volontà … Risultato: forse non sarà stagione, ma denti di squalo trovati zero e spiaggia cento volte meno bella di Turtle Beach, con acqua torbida e piena di alghe! … Non tutte le ciambelle riescono col buco, anzi questa è venuta fuori rigonfia al centro e un po’ bruciaticcia! Ormai è tardi: inutile tornare verso nord e poco più a sud non sembrano esserci alternative valide. Ci rassegniamo a passare un po’ di tempo a Venice Beach, che in comune con la città lagunare sembra avere solo qualche maleodorante alga e nessuna caratteristica positiva … Per lo meno oggi la temperatura è ottimale e la brezza gradevole.

Restiamo in spiaggia fino a poco dopo le 17:00 e poi, seguendo la Intestate numero 75, un’ora e mezzo più tardi, giungiamo al Days Inn di Fort Myers dove passeremo la notte.

Per cena usciamo a piedi, oltre la strada, da Pizza Hut alla ricerca di un piatto di pasta e poi torniamo in hotel a riposare, mentre, ahinoi, i giorni restanti di questa piacevole vacanza stanno drasticamente scemando.

Giovedì 4 Maggio: Dopo una corposa colazione proposta dal Days Inn prendiamo strada e andiamo verso il centro di Fort Myers, importante località situata nella parte sud-occidentale della Florida.

In Mc Gregor Boulevard ci rechiamo a vedere quelle che furono le case di Thomas Alva Edison ed Henry Ford … L’inventore della lampadina ed il mitico fondatore della notissima casa automobilistica erano intimi amici all’inizio del Novecento e a suo tempo acquistarono le loro residenze invernali, una accanto all’altra, proprio qui a Fort Myers.

Parcheggiamo l’auto nel piazzale antistante il sito storico, dove si trova, fra l’altro, il più grande baniano della Florida e di tutti gli Stati Uniti, con una circonferenza della chioma di oltre 400 piedi (circa 120 metri) e osservate brevemente, solo dall’esterno, le due abitazioni, interamente realizzate in legno in uno stile tipico della regione agl’albori del secolo scorso, ripartiamo subito in direzione del mare e delle isole prospicienti questo tratto di costa del Golfo del Messico.

Attraversiamo un ponte a pedaggio e arriviamo sull’Isola di Sanibel, presentata come un paradiso tropicale da numerosi tour operator statunitensi. La percorriamo tutta a passo di lumaca, visti gli assurdi limiti di velocità (e i diligentissimi americani che li rispettano) e andiamo oltre scavalcando anche il ponte che porta all’adiacente Captiva Island … Ci rechiamo così nel nord di quest’ultima, alla Captiva Cruises, per prenotare l’escursione in barca che salperà alle 16:00 in punto, alla ricerca dei delfini, molto diffusi in questa zona.

Sistemati i programmi del pomeriggio, torniamo a Sanibel e raggiungiamo quella che dovrebbe essere la sua spiaggia migliore: Bowman’s Beach. Paghiamo il salatissimo parcheggio (due dollari l’ora!) e a piedi raggiungiamo l’arenile, molto ampio, di sabbia chiara e piacevole al tatto … ma l’acqua è torbida e invasa dalle alghe.

Sistemiamo le nostre cose e andiamo a bagnarci, senza eccessivo entusiasmo, mentre continuo a ripetermi di non essere venuto in Florida per il mare bello … Anche le conchiglie, per cui la spiaggia va famosa, sono scarsine e dopo una breve passeggiata mettiamo la parola fine alle ricerche.

Passiamo a Bownam’s Beach tutte le ore più calde della giornata e, nonostante l’acqua bruttina, ogni tanto corriamo fra le onde così da ottenere un po’ di refrigerio.

Poco dopo le 15:00 facciamo fagotto e lasciamo la spiaggia diretti nuovamente a Captiva Island, sul cui molo giungiamo in perfetto orario per prendere parte all’escursione prenotata in mattinata … La nostra imbarcazione salpa così mentre nelle vicine acque basse s’intravedono due lamantini, che ogni tanto emergono sbuffando fragorosamente, e appena preso il largo incontriamo numerosi pellicani ed eleganti rapaci che hanno fatto il loro nido sui segnali marini utilizzati per la navigazione … Ancora pochi istanti e un bellissimo delfino salta, fra gli applausi, seguendo la scia della motonave … poi il nulla: per oltre un’ora navighiamo inutilmente per la laguna ed il fallimento della “missione” sembra ormai prossimo quando, quasi al traguardo, in una veloce passata in direzione della costa, due stupendi delfini saltano di nuovo in prossimità della barca, poi un altro, e un altro ancora … e per un po’ ci seguono, per fortuna, dando quasi l’impressione di volerci salutare.

Torniamo così, tutto sommato, soddisfatti a Captiva e da lì ci trasferiamo ancora una volta a Sanibel dove, visto l’orario, decidiamo di visitare anche il J.N. Ding Darling National Wildlife Refuge, una piccola riserva situata nella parte settentrionale dell’isola, percorsa da una strada di quattro miglia, la Wildlife Road, che si dipana nel più classico degli ambienti palustri.

Paghiamo i cinque dollari per l’ingresso e a bassa velocità seguiamo l’angusto nastro d’asfalto senza fare, però, clamorosi avvistamenti … ma anche qui, ormai alla fine, salviamo la spedizione: ai margini della carreggiata incontriamo un simpatico procione. Ci fermiamo e cerchiamo di far silenzio per non spaventarlo, lui ci guarda ma non scappa: è carinissimo e gli scattiamo doverosamente un’indimenticabile foto.

La visita, non prevista, della riserva ha fatto correre le lancette dell’orologio ed ora si è fatto tardi: sono quasi le 19:00 e siamo ancora a Sanibel. Torniamo così sulla Florida continentale e ci catapultiamo verso la Highway numero 75, quindi, andando spediti verso sud, giungiamo, poco prima delle 20:00, al Best Western Naples Plaza, dove trascorreremo le ultime due notti di questo magnifico viaggio.

Per cena usciamo da Hiop e con dieci dollari a testa mangiamo da scoppiare, quindi, lontani dal centro abitato, ci ritiriamo in camera a riposare.

Venerdì 5 Maggio: E’ l’ultimo giorno intero da passare in Florida e le intenzioni sono quelle di trascorrerlo al mare, in completo relax.

Ci troviamo a Naples, elegantissima località situata all’estremità meridionale del Golfo del Messico e in spiaggia andiamo a Lowdermilk Beach Park, un minuscolo parco semi-attrezzato che si trova a nord dell’abitato … L’arenile, bordato di palme è accattivante, mentre l’acqua, come al solito, è un po’ torbida e giallognola, ma almeno ci sono poche alghe.

La mattinata è particolarmente calda e, nonostante il mare non sia proprio invitante, spesso andiamo a cercare un po’ di frescura fra le onde e questo, in pratica, è il nostro unico impegno fino alle 13:30, quando lasciamo la spiaggia e ci spostiamo a pranzare, comodamente seduti all’ombra, nei vicini tavoli per pic-nic … Lì restiamo ad oziare nelle ore più roventi della giornata, in compagnia di alcune voraci oche che starnazzano liberamente in giro per il parco.

Intorno alle 15:00 riprendiamo strada, percorrendo magnifici viali fiancheggiati da una serie ininterrotta di palme, per raggiungere il Pier di Naples e nella sua spiaggia ci sistemiamo per passare la seconda parte di questo tranquillo venerdì.

Distesi i teli e appoggiati gli zaini, con Federico, vado in perlustrazione sul molo … Fantastico! Il mare tutto intorno pulsa di vita, gremito di pesci, e poche decine di metri più al largo saltano in continuazione alcuni delfini. I pellicani sono numerosi e lo stridire dei gabbiani incessante, così come il gesto dei pescatori che tirano fuori dall’acqua, uno dopo l’altro, grosse prede che poi (all’apparenza senza ragione … ma una ci sarà) rigettano subito in mare. Avvistiamo anche una razza che, elegante, sembra volare in ambiente liquido … siamo entusiasti: il Pier di Naples vale da solo una tappa in questa località (è meglio della gita di ieri a Captiva e per di più completamente gratuito).

Al ritorno invitiamo Sabrina ad andare a sua volta … non si fa pregare e dopo un po’ eccola arrivare anche lei estremamente soddisfatta … Rimaniamo così nei pressi del Pier fino alle 18:00, poi c’avviamo rapidamente in direzione dell’hotel perché vogliamo tornare, prima di cena, a goderci l’ultimo tramonto sul Golfo del Messico di questa bella vacanza.

Giungiamo di nuovo al cospetto del molo giusto, giusto dieci minuti prima che il sole scenda sotto la linea dell’orizzonte … un bel tramonto, non c’è che dire, ma non quanto quelli visti a Key West e Clearwater: in effetti il disco solare questa sera ha trovato qualche nuvola di troppo sulla sua strada, ma ha comunque chiuso degnamente il sipario su questo mirabile viaggio in Florida.

Tornando verso l’hotel chiediamo a Federico dove intenda consumare l’ultima cena in terra americana e scelta, ovviamente, Pizza Hut lì ci fermiamo … poi andiamo in camera a sistemare le valigie per la partenza e a goderci una bella dormita, perché domani sera, in aereo, sacrificati in quegli scomodi sedili, sarà certamente meno piacevole.

Sabato 6 Maggio: Prende il via l’operazione rientro e, per evitare inutili complicazioni, questa mattina non andremo in spiaggia, ma ci trascineremo con calma verso Miami. Così, dopo un’abbondante colazione al Best Western, sistemiamo tutti i bagagli in macchina e partiamo.

Imbocchiamo la Highway numero 75 verso sud per uscire subito dopo in direzione del mare, seguendo le indicazioni per Marco’s Island, che è un’isola semi-artificiale nata esclusivamente per il turismo a carattere residenziale … infatti ci sono belle case e curatissimi giardini, ma il mare è praticamente inaccessibile.

Dopo una veloce passata lasciamo la località e anche il Golfo del Messico, avviandoci lungo la strada numero 41, che si avventura nelle Everglades verso Miami.

Il nastro d’asfalto corre rettilineo, come tracciato da un enorme righello, fra due ali di vegetazione palustre e ha un suo particolare fascino, che finisce per alimentare la nostra voglia di viaggiare, nonostante sia l’ultimo giorno … Non abbiamo assolutamente voglia di partire e le studiamo tutte per allungare la tappa. Così facciamo una piccola deviazione per vedere anche Everglades City: un luogo ai confini della realtà, quasi spettrale in vista dell’imminente stagione … delle zanzare.

Ripresa la strada principale giungiamo anche nel remoto villaggio di Ochopee e lì ci fermiamo per vedere l’ufficio postale più piccolo d’America: un casottino bianco due metri per due costruito provvisoriamente dopo che, nel 1953, un incendio distrusse il fabbricato originario … il seguito sembra una storia italiana, con il provvisorio che è diventato definitivo e, appunto, il più piccolo Post Office degli States. Pare quasi uno scherzo e invece da vicino si sente andare una vecchia stampante ad aghi … quindi c’è anche un addetto al suo interno (speriamo non due!).

Scattiamo una foto ricordo e poi riprendiamo a percorrere gl’interminabili rettilinei della numero 41, con ai fianchi lo sconfinato mare d’erba delle Everglades … Lungo questa strada si trova anche una riserva indiana: i discendenti dell’antica tribù Seminole sono stati naturalmente confinati in una delle zone più inospitali del paese, ed il pessimo trattamento riservato ai nativi è purtroppo un grande neo della società americana.

Ci fermiamo a pranzare nella riserva, davanti ad un Gift Shop, nel Miccosukee Indian Village, attorniati da varie specie d’uccelli esotici, che ci saltellano intorno alla ricerca di briciole, e intorno alle 13:30 torniamo a macinar chilometri … Di lì a poco passiamo di fronte al Coopertown Airboat, da dove salpammo dieci giorni fa per l’escursione in palude, e chiudiamo così il cerchio lasciandoci alle spalle anche le Everglades.

Entriamo nella periferia di Miami e quando son quasi le 14:00 siamo alla Alamo a riconsegnare l’auto, con la quale in Florida abbiamo percorso 1890 miglia (3024 chilometri), quindi già prima delle 15:00, con la navetta dell’autonoleggio, siamo di fronte al Miami International Airport (M.I.A.). Varchiamo le porte dello scalo e, affrontata una lunga fila, facciamo il check-in al banco Air France, dopodiché oltrepassiamo (senza scarpe per motivi di sicurezza) il metal-detector e ci mettiamo in attesa alla porta F13.

Spendiamo al duty-free gli ultimi spiccioli di dollaro e poi c’imbarchiamo sul volo AF 095 … Un quarto d’ora dopo l’orario previsto, alle 17:52, l’enorme Boeing 747 della compagnia di bandiera francese stacca da terra con destinazione Europa, mentre sotto di noi scorrono i grattacieli di Miami … ciao America … anzi, arrivederci.

Cresce il rombo dei motori mentre saliamo di quota, poi corriamo incontro alla notte e questa arriva rapidamente, così come rapidamente, spostando le lancette dell’orologio sul fuso orario francese ed italiano, arriva anche … … Domenica 7 Maggio: Le ore buie sull’Atlantico passano lentamente, fra un pisolino e l’altro, poi, finalmente, ci affacciamo sull’Europa con le prime luci dell’alba e alle 8:03 atterriamo a Parigi, dove troviamo ad attenderci, con soli dodici gradi, una giornata fredda e grigia.

Ci spostiamo dal Terminal “C” al Terminal “D”, oltrepassiamo nuovamente il metal-detector e poco più tardi, dalla porta numero 53, c’imbarchiamo sul volo AF 1628, un Airbus A318 dell’Air France che alle 10:59 prende quota, con la prua rivolta verso la cara vecchia Italia e verso Bologna.

Saliamo sopra ad una fitta coltre di nubi, che si estende a perdita d’occhio e che si dirada solo una volta oltrepassate le Alpi, allora cominciamo a planare in direzione del capoluogo felsineo ed atterriamo all’aeroporto Marconi alle 11:27 … Missione Florida compiuta! Ci mettiamo in attesa dei bagagli che tardano ad arrivare, poi ne arriva uno, ma solo quello … manca una valigia: non ci era mai successo e prima o poi doveva capitare … meglio in questa occasione che in un’altra, magari alla partenza quando è molto peggio … Facciamo la denuncia e veniamo a sapere che il pezzo mancante è rimasto erroneamente a Parigi e che forse arriverà in giornata.

Più sollevati usciamo e troviamo ad aspettarci i nonni, così intorno alle 12:00 ci avviamo a percorrere l’ultimo tratto di strada che ci divide dalla nostra abitazione … Un’ora più tardi siamo a Faenza e alle 13:12 concludiamo felicemente anche questo viaggio di fronte al cancello di casa.

Un altro pezzetto degli States l’abbiamo conquistato: la Florida, immensa pianura che ha saputo stupirci sotto innumerevoli aspetti … e dire che non è facile conquistare con piatti paesaggi abitanti padani purosangue come noi, ma la sua prorompente natura, i suoi tramonti, la sua voglia di vivere e divertirsi, la sua irrefrenabile smania di salire ben oltre le montagne che non ha … nello spazio infinito, ci hanno coinvolto dal primo all’ultimo istante, regalandoci un viaggio che, vissuto e consumato nella dovuta maniera, resterà per sempre nella hit-parade dei nostri ricordi.

P.S.: Valigia recuperata nel primo pomeriggio … Tutto è bene ciò che finisce bene!

 Dal 21 Aprile al 7 Maggio 2006  Da Miami a Miami km. 3024



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