Apoto mission in sierra leone

PREMESSA: Questo è il resoconto della mia personale esperienza in Africa nell’ambito del campo missionario organizzato dalla parrocchia di Poviglio (RE) insieme alle Suore Clarisse, che operano in Sierra Leone con due sedi a Lunsar e a Mile91. Il campo dell’estate 2006 ha avuto la durata di un mese, dal 27.07 al 27.08, ma per esigenze di...
Scritto da: bume
Partenza il: 31/07/2006
Ritorno il: 14/08/2006
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
PREMESSA: Questo è il resoconto della mia personale esperienza in Africa nell’ambito del campo missionario organizzato dalla parrocchia di Poviglio (RE) insieme alle Suore Clarisse, che operano in Sierra Leone con due sedi a Lunsar e a Mile91. Il campo dell’estate 2006 ha avuto la durata di un mese, dal 27.07 al 27.08, ma per esigenze di lavoro la mia permanenza nel continente nero si è limitata a due settimane. L’espierienza rispetto a chi ha partecipato all’intero campo è stata perciò parziale, ma dal punto di vista umano ugualmente molto intensa e forse indescrivibile. Voglio provare comunque a raccontarla…

31/07 LUNEDI L’impatto avvertito sbarcando dall’aereo la dice lunga sul clima locale: l’umidità si taglia con il coltello. Impossibile non sudare o per lo meno non sentirsi “appiccicosi”.

A Freetown airport scendono anche altri italiani di Vicenza che resteranno nella capitale ospiti presso il centro dei Padri Missionari Salesiani. Non ci sono problemi per il visto, ci mettono scadenza 29/08. Ritirati i bagagli (sembra un trasloco: siamo in 3 e abbiamo 6 valige, 3 zaini e 2 chitarre …) siamo assaliti da un orda di facchini locali che manca poco che facciano a botte tra loro per portare le nostre cose.

Ci accolgono Sister Elisa, responsabile del convento presso il quale siamo ospiti, e l’autista di fiducia delle Suore, “Mister Conteh”, che detta così mi sembra una marca di detersivo per piatti ma che in realtà è un simpatico signore di mezza età risiedente a Lunsar dalla risata facile e inconfondibile. Suor Elisa lascia una mancia ai facchini e loro se la contendendono come le galline con il becchime.

Comincia il trasferimento in auto per Lunsar: man mano che procediamo la strada lascia il posto a sentieri di terra rossastra pieni zeppi di buche e crepacci. Alcuni punti del percorso portano invece i segni di un vecchissimo asfalto ormai a brandelli che per la circolazione è ad oggi più un ostacolo che un beneficio.

Avere il fuoristrada qui è quasi indispensabile, infatti siamo su un imponente jeeppone di proprietà delle Suore. Ho scritto “quasi” perché si vedono anche vecchi e stracarichi pulmini locali, ma probabilmente per loro è già tanto avere quelli. Nel corso della nostra permanenza (è inevitabile) ne vedremo diversi in panne. Sempre ben segnalati però: tanti ciuffi d’erba strappati e lasciati in mezzo alla carreggiata fanno ottimamente le veci del nostro “triangolo”… Tra l’altro sul cofano di questi pulmini sono sempre scritti a caratteri cubitali degli epiteti religiosi tipo “God is great” oppure “Allah is one”, ma anche “God bless Islam” (??) facilmente leggibili da chiunque li incroci. Va specificato che qui la popolazione è in maggioranza musulmana, ma ci sono anche cattolici e animisti.

Solo dopo metà viaggio il percorso si fa un po’ più agevole: c’e’ una strada molto larga non asfaltata ma spianata che una impresa italiana dovrà rendere degna di questo nome e che attraverserà tutta la Sierra Leone da nord a sud. L’ultimo tratto per Lunsar è fortunatamente già asfaltato..

Quanto alle case, se nei pressi dell’aeroporto hanno un aspetto quasi “normale” per i nostri canoni, strada facendo ci si presentano quasi esclusivamente capanne o vecchie costruzioni trasandate, abitate da pochi adulti (che spesso osservano il nostro passaggio immobili davanti alla loro dimora) e tantissimi bambini, che ci salutano e ci corrono incontro gridando una parola che non dimenticheremo mai più: “Apoto! Apoto!” (che significa “uomo bianco”). Arriviamo a Lunsar col buio, scopriremo il villaggio solo il gg. Dopo.

Ci accolgono i nostri compagni di avventura, tutti residenti nella provincia di Reggio Emilia ad eccezione di Alberto, milanese, Valentina, de Roma, Suor Veronica e Suor Pilar che abitano rispettivamente a Poviglio e a Roma ma hanno origini messicane.

Il tour operator “CLARISSIAN MISSIONARY SISTERS” ci fa trovare la cena pronta e le stanze già preparate e assegnate. Ascoltiamo i primi racconti d’Africa dei nostri commilitoni giunti qui 4 giorni orsono e conosciamo le sorelle che abitano il convento (Sr.Elisa e sr.Angelina, messicane, Sr. Hellen, Tessie e Scola, nigeriane, e la simpatica Sr.Bernardette, una suorina giapponese di un metro e mezzo per 40 kg sempre in movimento).

Pianifichiamo poi il lavoro a scuola per il giorno dopo. Io e Nico siamo i “professori” di musica. Si va a nanna presto, sia perché il viaggio e la levataccia si fanno sentire, sia perche’ alle 21.30 c’è il “light off”: Sister Scola spegne il generatore (promotore per gli amici) che produce la corrente elettrica, quindi restando a lume di candela la sonno è molto favorita… Io sono in camera con Erio, il più anagraficamente esperto del gruppo, che mi avvisa subito che di notte ogni tanto russa…

01/08 MARTEDI Il riposo non è dei migliori, anche perché scopro mio malgrado che ad influire negativamente sul sonno ci sono oltre ad agenti “interni” alla camera anche agenti “esterni”, e precisamente: – Ore 5.00 circa: Al sorgere del sole cominciano delle urla strazianti: sono i musulmani che pregano in una moschea non lontana dal convento, dotata putroppo di potenti altoparlanti. Una bella mezz’oretta di tortura psicologica.

– Ore 6.30: Ti sei riaddormentato da poco, dopo aver detto senza rispetto umano ogni tipo di parola ai musulmani, ed ecco che il parroco di Lunsar suona la campana (che è, insieme alla chiesa, all’interno del complesso del centro missionario, quindi vicinissima) per richiamare i fedeli alla Messa del mattino. Naturalmente se si ha intenzione di partecipare alla celebrazione questo tipo di sveglia fa comodo, ma nel caso contrario… – Ore 6.55: Se per puro caso non hai sentito la prima scampanata perché dormivi di gusto, niente paura, il parroco di Lunsar si ripete, questa volta per annunciare che la Messa comincia… – Ore 7.10: Un “simpatico” uccello tropicale avrebbe tutta la Sierra Leone per sfogare la sua gioia mattutina e invece si mette a strillare di fianco alla nostra camera … (Oggi lo metto arrosto) – Ore 7.20: Si accende il generatore: sembra un trattore che ti entra in casa…

– Ore 7.30: Se pensavi di poter dormire l’ultima mezz’oretta sappi che appena finita la Messa nella cappella sotto le stanze degli uomini le suore cantano le lodi. (Essendo in un convento sai com’è…) – Ore 7.45: Alzata obbligata perché alle 8.00 c’è la colazione…

Orbene, fresco come una rosa mi arreco al primo pasto della giornata. Un buonissimo pane caldo e croccante ne è la base, ma ci sono anche marmellate, biscotti, thè, latte, caffè e altro ancora. Le banane, poi, sempre presenti in abbondanza, sono piccole e verdi ma soprattutto buonissime, e ne mangiamo in quantità industriale.

La scelta sul como’ sembra da self service d’albergo, altro che Africa. Queste sorelle ci viziano…

Alle 8.30 c’è il raduno dei bambini davanti alla scuola. Sono circa 300 tra i 6 e i 13 anni, ma sono dati indicativi perché in Sierra Leone l’anagrafe è lasciate alla fantasia delle persone.

Questo è uno dei momenti più coinvolgenti: Anna, l’insegnante coordinatrice, fa mettere gli alunni in fila divisi per classi (dopo aver gridato un bel po’ con il suo afro-inglese cose tipo “understà? Ah ah!”), fa dire loro il Padre Nostro, li fa cantare alcune canzoni tra cui “Good morning Jesus” e l’inno nazionale, presenta noi 3 nuovi arrivati e solo successivamente manda tutti nelle rispettive aule. I bambini cantano queste canzoni tutti i giorni, ma ogni volta ci vengono i brividi e la pelle d’oca… Anche noi le canteremo per tutto la durata del campo e oltre…

Alcune mattine è direttamente Sister Tessy, resposabile dell’organizzazione delle diverse scuole, a gestire il momento di inizio giornata. Credo che il sergente di TOP GUN abbia preso lezioni da Sister Tessy: La sua premessa al momento di presentare noi italiani ai bambini è stata “If you will be a trouble for italian boys and girls, I will be your trouble!!” (Il pronome “I” non a caso è in grassetto…). Intanto che li fa pregare, inoltre, gira tra di loro intimando di chiudere gli occhi e la bocca: “Close your eyes!! Close your mouth!! You must close your eyes!!!!” Le toccano anche compiti poco piacevoli, come controllare che gli scolari abbiano il talloncino d’iscrizione, in mancanza del quale li deve espellere. Per noi che la viviamo da spettatori è una scena angosciante vedere un bambino messo fuori dal cancello perché gli manca un pezzo di carta, e per di piu’ da una suora, ma putroppo è comprensibile: Essendoci un numero chiuso per preservarlo serve una buona disciplina, altrimenti ci sarebbe il caos più totale…

I bambini sono divisi in 10 classi, ciascuna delle quali è gestita da una insegnante locale (sono ragazze che durante l’anno accademico studiano presso le Suore nelle scuole secondarie e che fanno le insegnanti in Agosto per guadagnar qualcosa) più uno di noi. Uniche eccezioni siamo appunto io e Nico che facciamo musica aula per aula, Teresa che resta ad aiutare le suore in convento, Erio e Sr.Veronica che tengono le lezioni di ginnastica. Putroppo la preparazione scolastica dei bambini nonché di queste ragazze-insegnanti si rivelerà molto molto limitata… E’ difficile che un popolo progredisca se a far scuola non ci sono professori qualificati. Ci rendiamo presto conto che chi si laurea a Free Town e poi torna a Lunsar a fare l’insegnante non è assolutamente preparato. E’ altrettanto comprensibile anche che coloro che riescono a studiare all’estero non abbiano poi molta voglia di tornare in Sierra Leone… Comincia quindi la lezione di musica…La classe nr.1 è quella della Benny e dell’Elena (unica con 2 apoto) Che cosa facciamo fare ai bambini? Be’, per prima cosa bisogna farli divertire e cantare insieme, poi penseremo ad attività piu’ costruttive. Cominciamo con “If you’re happy and you know it clap your hands…Ecc..” Bene, la conoscono, e preso dall’entusiasmo, quando arriviamo a “turn around” giro su me stesso con la chitarra e con il manico rifilo una capocciata al bambino nel primo banco… lui, stordito ma senza versare una lacrima, mi guarda con gli occhioni spalancati, si frega la testa, e pian piano cambia posto sconsolato… Come dice Alberto, ecco il cuore che si spezza per la quarantaduesima volta… Proviamo anche la canzone della felicità tradotta in inglese…Mmh, poco efficace…, meglio la filastrocca “Head and Shoulders…” e soprattutto la vecchia fattoria che diventa “The old farm”. A fare i versi degli animali i bambini vanno a nozze…Si aggiugeranno la gettonatissima “1, 2, 3, 4, 5 once I caught a fish alive…”, il Fra’ Martino inglese, la Bamba, Kukaburra, il blues con le parti del corpo che si lavano (wash your hands… with coconut soap…) e altro ancora. Ho provato solo una volta ad accennare che esistono 7 note ma dopo essere stato guardato come un extra-terrestre ho rinunciato.

Qualche volta faccio provare la chitarra ai bambini che me lo chiedono, e nel giro di pochi secondi me ne trovo addosso una trentina che si gasano tantissimo quando sentono suonare le corde da loro toccate … A metà mattina nello spazioso cortile della scuola c’è una “breve” ricreazione (1 ora!) dalle 10.30 alle 11.30, durante la quale i bambini si divertono a formare un grande cerchio per poi cantare le loro canzoni e mettere noi apoto al centro. Ovviamente ridono e si godono la nostra incapacità a ballare come loro! Alcuni, più spesso bambine anche molto piccole, ci mostrano le loro danze tradizionali. Hanno dei movimenti di mani, di spalle, di bacino molto innaturali per noi, difficili da fare, e sempre molto ritmati.

Quando poi Alberto e Peter, un ragazzo del posto, arrivano con i bonghi, orde di bambini entusiasti si posizionano intorno a loro e cominciano a cantare e ballare.

Alcuni giocano a calcio con i palloni che abbiam portato noi, in campi improvvisati e senza limiti precisi, usando le loro ciabatte per delimitare le porte. Altri giocano per conto loro, altri vengono intorno a noi, ci prendono le mani, le braccia, ci tirano i peli e ci fanno i pizzicotti, ci “studiano”, ci chiedono dolci, palloncini, o ci tengono semplicemente per mano; E in questo caso basta veramente un piccolo gesto di amicizia, di affetto, una piccola attenzione come insegnargli un gioco o dirgli due parole, per far felice il bimbo che hai vicino.

La prima macroscopica differenza con la nostra “civiltà” europea che ti salta all’occhio è proprio la loro capacità di divertirsi con nulla, di essere felici per qualcosa che a noi sembra una sciocchezza, di sorridere sempre pur avendo un tenore di vita che confrontato al nostro fa rabbrividire, al contrario dei nostri bambini occidentali straviziati e mai soddisfatti di tutto quello che hanno.

Dalle 11.15 alle 11.30 facciamo la nostra pausa APOTO dalle suore per bere e sedersi un attimo in tranquillità. Bere è vitale, perché si suda tantissimo (come temperature sarebbero vivibili, siamo sui 30°, ma l’umidità ti stende..). Durante questi minuti ci contendiamo una meravigliosa bimba di circa 2 anni figlia di una ragazza che lavora presso le suore. La bimba, di nome Rosalilia, diventerà la nostra “mascotte”, nonché la più fotografata.

La fine delle lezioni è per le ore 13.00, e una volta o due alla settimana le insegnanti fanno pulire aule e cortile ai bambini (più che altro alle bambine, dato che le donne godono di minor considerazione rispetto agli uomini…) con degli scopini fatti con rametti di paglia. E pur essendo piccoli, e pur essendo i mezzi a loro disposizione abbastanza inefficaci, l’impegno e il risultato sono impeccabili! Alle 13.00 salutiamo le orde di bambini che ci saltano addosso da ogni parte e andiamo a pranzo. Presso la cucina delle suore lavora un signore di Lunsar, Sylvester, che ci prepara ogni giorno una minestra o una pasta, carne, verdura, frutta, pane caldo, e altro ancora… considerato sempre che siamo in Africa, veramente troppa grazia! Va sottolineata la professionalità che Sylvester mette in cucina: puoi vederlo mescolare la minestra sul fornello oppure ridurre a brandelli una vacca con un macete che avrà sempre la stessa espressione, come se stesse tranquillamente sfogliando un libro.

Prima di tutti i pasti servono 10 minuti per decidere il canto di ringraziamento… ma poi si mangia. Si lavano i piatti a turni e poi si è liberi fino alle 16.00. C’è chi si riposa, chi prepara qualcosa per la scuola, chi fa un giro al mercato (meglio sempre non da soli o ancora meglio accompagnati da qualcuno del posto), chi legge, ecc… Alle 16.00 circa andiamo in 5 o 6 a fare un giro a piedi, guidati dalla Benny che è alla terza esperienza in Sierra Leone, quindi conosce bene il villaggio. Camminando per Lunsar i bambini ci fanno festa (“Apoto, Apoto”, come sempre), tutti ci salutano e ci chiamano se conoscono il nome, la gente ti sorride… Tutti modi di porsi lontanissimi dalla freddezza occidentale… Ci dirigiamo al centro missionario dei padri Giuseppini, sempre a Lunsar. Una volta arrivati troviamo padre Gianni che gentilmente ci accompagna in una visita di tutta il complesso, veramente ben attrezzato. Se dalle suore ci sono le scuole primarie (le nostre “elementari”) e le secondarie per ragazze qui ci sono varie specializzazioni di scuole secondarie per i ragazzi. Uno dei capannoni è attrezzato con diverse macchine utensili che gli allievi imparano ad utilizzare. L’elettricità è sempre garantita da potenti generatori. I padri, a differenza delle suore, dispongono anche del collegamento internet.

A dare una mano ai padri nelle attività estive con i bambini ci sono alcuni volontari anche loro vicentini che staranno qui per 3 settimane. Ne conosciamo qualcuno e ci beviamo un po’ d’acqua insieme. (Si faccia attenzione che qui offrire acqua potabile non è poco…). Nel frattempo arriva anche Padre Mario, volontario in Sierra Leone da 25 anni, che tra una chiacchera e l’altra comincia a raccontarci degli anni della guerra. Sono parole che bisognerebbe registrare e trascrivere pari pari su un libro perché si tratta di avvenimenti semi-sconosciuti al mondo, visto il poco risalto che l’Africa nera trova nei media occidentali. Restiamo un’oretta circa attoniti in silenzio ad ascoltare, e pur sentendoci molto colpiti dalle sue parole, ci rendiamo conto che solo chi l’ha vissuta in prima persona puo’ capire cosa vuol dire trovarsi in mezzo ad una guerra.

Questa guerra, iniziata nel 1991 e finita nel 2002, ha devastato anche quel poco che di buono c’era prima. Fu voluta dai ribelli liberiani che la scatenarono principalmente per il controllo delle miniere di diamanti. Fortunatamente ad oggi la situazione sotto questo punto di vista è assolutamente tranquilla, e questo permette ai vari gruppi missionari di organizzare campi come il nostro senza far correre rischi ai volontari.

Facciamo ritorno dalle nostre Suore verso le 18.30. Di solito il tardo pomeriggio, fino alle 19.30, è dedicato alla preparazione della cena, alla doccia e anche al ferro da stiro: Non è che ci teniamo più di tanto ad essere vestiti a puntino (siamo in Africa, ci mancherebbe…) ma stirare gli abiti appena lavati è necessario per uccidere le eventuali larve intanate nei tessuti. Ci sono leggende metropolitane che sostengono che queste larve possono entrare sotto la pelle e lì muoversi senza che l’interessato se ne accorga. Se dovessero arrivare agli occhi potrebbero danneggiare la retina e rendere cieco il malcapitato. Non si sa bene se questa sia la trama di un film americano oppure storia vera, fatto sta che nessuno rischia e tutti (anche gli uomini) si stirano bravi bravi i loro vestiti. Tanto più che ci sono delle ragazze del posto stipendiate dalle suore che al mattino lavano e stendono, quindi buona parte del lavoro è già fatta.

La preparazione della cena è affidata a noi e si fa a turni, 3 persone per sera. Spesso sarà arricchita grazie all’abilità pasticcera di Erio che sfornerà nel corso del campo ottime pizze e focacce, coadiuvato da Teresa che essendo la mamma/moglie più esperta in cucina se ne intende più di tutti.

Finita la cena, ci sono gli eventuali avvisi di Suor Elisa (sempre molto sintetici ma efficaci) e Suor Veronica, lavaggio piatti e riordino della sala. Dopodiche’ c’è il solito spazio serale per la preparazione delle lezioni a scuola, per cantare e suonare, chiaccherare, per la preghiera, … e anche per una riflessione personale su tutto quello che la giornata ti ha offerto…E non è certo poco.

02-03-04/08 MERCOLEDI, GIOVEDI, VENERDI La giornate si dividono tra le mattine a scuola, per tutti, e le diverse attività del pomeriggio: Alla “Secondary school” alcune di noi sistemano i registri e le schede delle allieve, un lavoro noioso ma necessario. Altri inseriscono a computer i dati per le adozioni a distanza dei bambini della “Primary school” (versando 50 euro annuali il bambino adottato oltre a frequentare la scuola ha l’assistenza sanitaria e 2 pasti al giorno). Io, Tommy e Massimo invece ci rechiamo in un’altra scuola gestita dalle suore, la “Vocational school”, una sorta di istituto professionale: Qui le ragazze imparano un mestiere, in particolare nella lavorazione, preparazione e cucitura della stoffa, ma anche ad usare il computer.

Il nostro compito pomeridiano è proprio quello di insegnare un po’ di informatica di base ad alcune allieve e anche a 2 insegnanti (Uno dei quali proprio professore di informatica…!) Illustriamo loro qualche accenno di microsoft office, word, excel, outlook express, internet (solo teorico, mancando il collegamento), publisher, ecc… ma notiamo subito che dato il loro scarso o nullo utilizzo del computer la cosa di cui avrebbero più bisogno è un corso di dattilografia. Tommy chiede con beata ingenuità ad una allieva se ha il computer a casa per allenarsi: Non avendo la maggioranza di loro neanche gli occhi per piangere questa si mette a ridere e ovviamente risponde di no. Ci sono 2 percorsi per arrivare alla Vocational School. Il primo, più corto, ce lo insegna Sister Hellen il mercoledi mentre diluvia: Praticamente è un sentiero che con la pioggia diventa un torrente da noi “guadato” dopo qualche attimo di esitazione con l’acqua fino alle caviglie …”But we are in Africa.. Everything is possible!” ci fa presente la Sister. Questo sarà un ritornello che ci ripeteremo per tutto il campo… I giorni successivi segliamo sempre il percorso più lungo ma un po’ meno “selvaggio” e così facendo passiamo sempre davanti alla “DISCO PAULINA”, una baracca di 3 X 3 metri che è uno dei loro ritrovi serali, e al “WORLD SOCCER COMPLEX”, uno stabile in legno costruito abbastanza bene rispetto al resto presso il quale i locali che se lo possono permettere (visto che si paga) guardano le partite di calcio europeo e qualche altro evento sportivo. Chi non ha i soldi per entrare ascolta da fuori. Lungo questo percorso sentiamo sempre un bambino che quando ci vede chiama l’Elisabetta indipendentemente da chi passa (“Elisabeth!!!”.. E magari ci siamo io e tommy…Vabbe’…) 05-06/08 SABATO E DOMENICA Arriva il week end! Alla mattina del sabato si prepara lo zaino, si caricano le jeep e si va a Mile91, dove c’è l’altro convento delle Suore Clarisse, distante 2 ore di (fuori)strada da Lunsar. Qui le “Sisters”, anche loro gentilissime, gestiscono un piccolo ma ben organizzato ospedale, spesso coadiuvate da medici spagnoli volontari. Assisto poi al rifornimento alle jeep presso un benzinaio dotato di una pompa che dalle nostre parti si usava credo almeno 50 anni fa… Ci sono 4 benzinai che ti servono tutti in una volta.

Qui tutto riporta indietro nel tempo rispetto a noi, …Tutto tranne i cellulari, diffusi più dei beni primari, che hanno sempre segnale grazie a enormi ricevitori piazzati ovunque che spiccano nel verde africano come cattedrali nel deserto. Allo stesso modo della coca cola, pubblicizzata e venduta ovunque. In una nazione dove la forte carenza di istruzione e cultura la fanno da padrone, è molto più facile aver influenza sulla popolazione. Dove non arriva lo spirito umanitario dell’uomo, arriva il suo senso degli affari…Sono particolari macroscopici che fanno capire, semmai ce ne fosse bisogno, che l’unica logica che muove chi governa è quella economica…

Dopo pranzo facciamo una camminata fino alla chiesa del paese, guadando a piedi nudi un torrentello formatosi sulla strada a seguito della pioggia. Appena arrivati alla chiesa, dopo una camminata di diversi km, si abbatte un temporale di rara intensità, che schiviamo per pochi minuti.

Sono cominciati nel frattempo gli imprevisti: qualcuno si scotta con acqua bollente in cucina, qualcuna altro ha un calo di pressione, io invece divento verde (o almeno cosi’ mi dicono…) ma siamo in Africa, tutto è possibile: E’ inevitabile che clima, cibo, lariam (la medicina per la malaria), e la carenza di sonno notturno creino qualche difficoltà, ma lo spirito di gruppo supera tutto.

A cena sperimentiamo l’avocado, frutto mai mangiato finora, ma ne’ questo ne’ la papaia riscuotono grande successo. Per la serata ci si dedica a una mega partita di “TABU’”, non prima di aver cacciato dalla stanza un grazioso ragnetto di 2,8 kg circa per placare le urla di terrore della Nico.

Per la notte non ci sono materassi a sufficienza, quindi qualcuno si deve adattare a dormire per terra usando i materassini (o moduli), mentre qualcun altro tenta di dormire in improbabili posizioni sui divani dei 2 salottini rimediando torcicolli e malanni vari.

La domenica mattina si presenta con un bel sole! Partiamo (Suor Veronica mi mette imprudentemente alla guida di una delle jeep!) di buon ora per la Messa, che ha un orario di inizio “indicativo” per le 8.30, ma che in realtà comincia quando arriva la gente… Infatti si fanno le 9.30.

La cerimonia è intermezzata da svariati canti al ritmo di bonghi e percussioni varie. Un po’ lunga (1h e 45 minuti) ma molto caratteristica. Un particolare che si nota subito è che nelle raffigurazioni della Via Crucis e dell’ultima cena Gesù e i discepoli sono neri di pelle. Effettivamente nelle zone della Terra Santa gli uomini sono di colore, e questo secondo me ci dovrebbe far riflettere che a volte (o spesso…) abbiamo una visione un po’ troppo occidentalizzata del mondo… Dopo la Messa chiacchere e tante foto ricordo con la gente del posto, che nei giorni di festa indossa dei vestiti bellissimi. Erio immancabile riprende tutto con la telecamera. (La domenica prima, quando io, Nico e Massimo non eravamo ancora arrivati, aveva ripreso anche tutta la cerimonia..). A fine campo le ore di filmato diventeranno 12…

Segue ritorno al convento, pranzo, un po’ di relax nel primo pomeriggio e ritorno a Lunsar. Suor Elisa decide di far trasferire Teresa, la moglie di Erio, nella nostra stanza, mentre io inserisco il mio letto in mezzo a quelli di Alberto, Massimo e Tommy e mi sistemo nella loro. Il bagno della mia nuova camera è dotato di doccia calda, l’unico del convento in quanto normalmente questa è la stanza dei malati… E’ vero che la doccia fredda fa molto Africa, ma da occidentale viziato la cosa non mi dispiace affatto…

Da qui però si sentono ancora meglio i musulmani alle 5 di mattino e le lodi delle Suore… ma tutto ciò alla fine diventa un motivo per ridere. Solo il previdente Tommy si è portato i tappi per le orecchie… 1,30 euro: i soldi meglio spesi della sua vita!

07-08/08 LUNEDI E MARTEDI Riprende la settimana con scuola e attività pomeridiane varie. Lunedi sera arriva Don Giovanni che ha viaggiato da solo in quanto nei giorni precedenti è stato impegnato in un campo estivo con i ragazzi di Poviglio.

Il martedi dopo pranzo ci spostiamo con le jeep per visitare le ex-miniere del ferro, distanti pochi km dal ns.Villaggio. Per arrivare a destinazione percorriamo una delle solite strade sterrate che a differenza delle precedenti non ha delle buche, ma degli autentici crateri. Avendo tutti appena mangiato (alcuni di noi, me compreso, hanno preso anche il lariam) il viaggio è corto ma molto sofferto… Dal centro operativo della miniera, ormai diroccato e in parte distrutto, ci spostiamo a piedi attraversando la fitta vegetazione circostante per arrivare a due laghetti poco distanti. Mentre camminiamo cerchiamo di fare molto rumore per tenere lontano eventuali serpenti nei paraggi. Il dubbio che mi sorge è: Questa è una ottima tecnica per le nostre viperette di montagna, ma i cobra, i pitoni e i mamba verdi si spaventeranno con qualche schiamazzo?!? La domanda resta per fortuna senza risposta… Queste miniere erano sfruttate dagli inglesi fino a circa 30 anni fa, poi sono rimaste completamente abbandonate (salvo alcune persone del posto che utilizzano i vecchi edifici come abitazione…) ma restano delle imponenti attrezzature che una volta rimesse in sesto avrebbero ancora un valore economico consistente. L’estrazione del ferro è proseguita per circa un decennio dopo la fine del colonialismo, avvenuta negli anni ’60, e si è interrotta solo quando il governo locale ha imposto agli inglesi una “provvigione” molto pesante per continuare l’attività, e questo li ha indotti ad interromperla definitivamente.

Uno degli aspetti più gravi dell’occupazione britannica è stato che oltre ad aver sfruttato questa nazione finchè hanno potuto (come tutti i colonizzatori d’Africa, Italia compresa…) essi hanno abbandonato questo popolo a se stesso innescando un regresso generale al quale la guerra ha dato il colpo di grazia. Basti pensare che fino a quando le miniere erano operative in buona parte della Sierra Leone c’era la corrente elettrica (indispensabile per il loro funzionamento) e il treno, che serviva per il trasporto del ferro estratto. Oggi possiamo vedere solo vecchi pali della luce di legno marcio e qualche tratto di ferrovia ormai semi-coperto dalla vegetazione. Osservando le tante abitazioni in rovina la decadenza è ancora più evidente… Facciamo ritorno alla base per le ore 16.00, giusto in tempo per le iniziare le attività pomeridiane.

09/08 MERCOLEDI Si va a Freetown. Per questioni logistiche metà del gruppo va adesso, l’altra metà andrà la settimana prossima. Partenza di buon ora per arrivare nella sede dei padri Giuseppini della capitale alle 08.00 –08.30 circa, dai quali scrocchiamo la colazione e udite udite la nutella! La città riporta alla realtà e ci propone le scene più dure di tutto il campo: è una bolgia di persone ammassate tra rifiuti, baracche e bancarelle sporche e maleodoranti; E’ una fusione di miseria e degrado che ci lascia quasi senza parole. Con la jeep procediamo a passo d’uomo incolonnati nell’unica strada che porta in centro. Guida Mister Conteh, che ci consiglia caldamente di non scattare foto perché qui la gente ti aggredisce se la fotografi. Ed è bene stare molto attenti anche ai nostri oggetti di valore, come zaini, marsupi e macchine fotografiche. Anche solo tenere i finestrini della jeep abbassati non ci lascia tranquilli, ma è una necessità vitale in quanto siamo in tanti in auto e fa molto caldo…

Facciamo tappa in un mercatino coperto di artigianato e stoffe. I commercianti ci assalgono, e Mister Conte ci aiuta nelle trattative visto che qui si contratta qualsiasi cosa. Ognuno si porta a casa qualche oggetto come ricordo o regalo. Tutti oggetti di dimensioni tascabili o poco più, tranne Tommy che addocchia un rinoceronte gigante in legno che la settimana successiva acquisterà. Il ritorno a casa di “Rino” (per gli amici) sarà molto sofferto…

Suor Elisa sbriga alcune formalità burocratiche in città (compresa, aimè, la conferma del mio biglietto di ritorno per il lunedi successivo, unico dei campisti a rimanere solo 2 settimane anziché un mese), dopodichè facciamo sosta in un supermercato per alcuni acquisti. Notiamo che i prezzi e la cura nella pulizia e nell’esposizione dei prodotti (quasi tutti di marche internazionali) sono simili ai nostri in Italia. In effetti ci sono alcuni “apoto” che hanno tutta l’aria di essere i gestori del negozio.

L’impressione non è sbagliata perché, suor Elisa ci spiegherà in seguito, le persone più benestanti di Freetown sono bianchi (molti libanesi, anche se tutt’ora non so spiegarmi cosa ci fanno i libanesi in Sierra Leone…), e soprattutto sono bianchi coloro che ricoprono le più importanti cariche statali. Questo la dice lunga sul perché il governo non si impegni più di tanto per far progredire il paese: hanno tutto i motivi economico-politici di lasciare la gente nell’ignoranza, per poter farsi più tranquillamente i loro interessi.

Fortunatamente in Sierra Leone, oltre alle missioni e alle organizzazioni umanitarie che offrono un sostegno importantissimo, qualcosa sembra muoversi, seppur a rilento: ci sono nuove strade in costruzione (finanziate dalla Comunità Europea) e una gigantesca diga gestita da italiani che dovrebbe “presto” entrare in funzione e dare corrente elettrica a buona parte della nazione. Tutto con il benestare del governo, naturalmente, perché personaggi che hanno provato in passato a cambiare le cose di loro iniziativa sono morti in circostanze mai chiarite… Il city tour prosegue costeggiando una bella baia con spiaggia deserta. Ci fermiamo nei pressi di un negozio dal quale Mister Conte esce con 3 bei bonghi giganti per chi li voleva acquistare. Spesa: circa 20 euro a bongo. In Italia li pagheresti almeno 5 volte tanto. Nel mercatino c’erano ma costavano di più. Ne approfittiamo anche per qualche foto veloce sulla spiaggia.

Tappa successiva è l’imponente fortezza dell’ambasciata britannica. Suor Elisa dovrebbe solo ritirare del materiale, ma la gentilissima moglie dell’Ambasciatore ci offre di utilizzare il bagno e la sua terrazza per consumare il nostro pranzo al sacco. Naturalmente accettiamo, ma essendo cominciato a piovere ci trasferiamo in una elegantissima stanza su un tavolo in ebano. Nel giro di pochi minuti passiamo così dalla miseria più nera delle strade di Freetown al lusso sfrenato di questo posto surreale, dotato di piscina e muri altissimi che lo isolano completamente dall’ambiente esterno. Due mondi opposti uno accanto all’altro… Dopo aver mangiato e unto per bene il tavolo in ebano dell’Ambasciatore, ringraziamo la signora e ripartiamo in direzione Lunsar, con nuova sosta dai padri Giuseppini per uso toilette.

Durante la cena si festeggia il compleanno di Suor Elisa con due ottime torte preparate da chi non è venuto a Freetown.

L’esperienza di questa giornata non può lasciare indifferenti e lo spazio serale è dedicato a riflessione e condivisione in merito, favoriti dal lume di candela al quale ci siamo abituati e che al ritorno in Italia ci mancherà molto…

10 – 11/08 GIOVEDI E VENERDI Il giovedi si torna alla “routine” settimanale mentre venerdi lo spazio dopo la ricreazione è dedicato ad una mini festa con i bambini radunati in cortile per cantare tutti insieme le canzoni suonate fino a adesso nelle ore di musica, e per darmi la possibilità di salutarli, visto che questo è il mio ultimo giorno di scuola. Abbiamo anche la pessima idea di lanciare palloncini gonfi ai bambini e questo scatena il caos totale e mette fine alla festa.

A pranzo si festeggia il compleanno di Sister Hellen con un’altra buonissima torta. Prendo la mia fetta, l’avvicino alla bocca, e vedo tre bambini che una volta finite le lezioni sono rimasti a guardarci fuori dalla finestra. Ho giocato con loro, ho cantato con loro, e adesso io mangio in abbondanza mentre loro mi vedono e stanno sicuramente pensando “Perche’ non ne dai anche a noi?” e non sanno se e quando avranno qualcosa da metter sotto i denti. Ma le regole dettateci sono di non dare niente da mangiare ai bambini, altrimenti nel giro di poco ce ne troveremmo trecento invece di tre.

Mi sento letteralmente una … E quegli sguardi mi resteranno scolpiti in mente.

Nel pomeriggio si parte per un altro convento di Padri Giuseppini a MANGE BUREH, paese a 90 km a nord di Lunsar, presso i quali saremo ospiti fino a domenica.

Il viaggio è meno agevole di quello verso Freetown, in quanto la strada è asfaltata solo nella prima parte del percorso; Per il resto, terra rossa e buche a non finire. Ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, e poi, come si dice, fa molto Africa! Durante il viaggio Teresa, dal sedile anteriore della jeep, mi dà i suoi occhiali perché ha paura che lì davanti cadano. “Te li tengo io, non ti preoccupare”, le rispondo io dal sedile posteriore. Li appoggio al mio fianco, e ovviamente me ne dimentico subito. A fine viaggio, alzandomi, mi accorgo di aver qualcosa sotto il fondoschiena…Gli occhiali!! Dopo un veloce controllo della loro integrità, li ridò a Teresa: “Ecco i tuoi occhiali perfettamente conservati!”, e mi ringrazia pure. Una volta arrivati a destinazione il panorama dal cortile della missione ci fa dimenticare subito i malanni del viaggio: Siamo su una collinetta che presenta una visuale mozzafiato della foresta e del fiume che scorre poco lontano. Il colpo d’occhio è degno del film “La mia Africa”… L’edificio è immerso nel verde e questo da un lato è bellissimo, dall’altro ci fa rendere presto conto che la compagnia (zanzare e bestie varie) non mancherà … Poco dopo, infatti, notiamo e uccidiamo (va bene l’amore per la natura, il cantico delle creature e tutto il resto, ma questo è pericoloso!!) uno scorpione che se ne passeggiava beato davanti a noi. Noi ragazzi dormiamo in una stanza al piano superiore e siamo abbastanza tranquilli, mentre le ragazze e le suore avendo le stanze al piano terra sono terrorizzate per la fauna locale che potrebbe far loro visita… Mi preoccupo per queste povere donne indifese e una volta sistemato vado ad accertarmi della situazione pensando di trovarle in preda al panico e alla disperazione: Da lontano sento invece delle risate e del gran casino. In cortile vedo poi la Betta già in pigiama che rincorre una rana, l’agguanta, e torna verso le stanze gridando trionfante “l’ho presa, l’ho presa!”; Poi si ferma di colpo, pensa a quello che sta facendo, e la lascia andare da stare in piedi. La povera bestia se ne va mezza stordita dopo un salto di più di un metro.

Resto un attimo fermo a pensare alla scena surreale che ho visto…Sarà l’effetto del lariam…Mah… La stanza dove si mangia non permette a tutti di sedersi, quindi facciamo una cena a buffet e serata soft con qualche chiacchera e un po’ di stanchezza. Dopo la preghiera si va a letto presto anche in previsione della giornata intensa che ci aspetta.

12/08 SABATO La sveglia è di buon ora per la prevista escursione in barca! Ci spostiamo con le jeep sulla riva del maestoso fiume che scorre poco lontano dal villaggio, ospiti di un locale amico dei Padri. La casa di Justine Bangura, questo il suo nome, per lo standard africano è bellissima, con tanto di gazebo costruito proprio sulla riva. In effetti, come spiegatoci da Suor Elisa la sera prima, il tipo è un dipendente del governo della Sierra Leone; Non si sa quale sia esattamente il suo ruolo, ma si sa che è molto molto benestante. Da queste parti chi è ricco prende con se anche i parenti (fratelli, sorelle, ecc…) e divide con loro il suo “benessere”. A fianco dell’abitazione principale infatti ce ne sono altre 3 o 4 da lui probabilmente donate ai famigliari.

Essendo stato fortemente aiutato in passato da un italiano che lo ha adottato a distanza permettendogli di studiare, Justine “pretende” dai Giuseppini che quando degli italiani alloggiano da loro siano anche suoi ospiti per un pranzo e un giro sul fiume.

Appena arrivati ci viene offerto da bere sotto il gazebo (fanta, coca e sprite, che hanno un sapore diverso da quello che conosciamo ma che possiamo bere essendo sigillate in lattina), dopodiche’ volenti o nolenti superiamo i dubbi sull’affidabilità della barca in legno e salpiamo! Il giro è suggestivo, ci fa immergere in pieno nella natura africana (per fortuna ci immergiamo solo in quella), tra lo scorrere lento di prati, foreste e piccoli villaggi sulla riva.

Due orette dopo circa ci ritroviamo al punto di partenza, per pranzare tutti insieme sotto il gazebo di Justine. Il menu è vario e abbondante. Suor Elisa ci aveva avvisato che possiamo mangiare tutto quello che è stato scaldato e bere solo quello che è imbottigliato, evitando verdure crude e simili. Forse ci concediamo qualche sgarro a queste salutari regole, ma tutto fila liscio. L’ottima sangria offertaci rende alcuni di noi particolarmente allegri. A fine pranzo ci sono i ringraziamenti del caso: noi a Justine, lui a noi, oltre ad alcuni parrocchiani di Mange Bureh anch’essi ospiti dei cui discorsi ci ho capito poco o niente.

A metà pomeriggio torniamo alla missione dei Padri. Lungo il percorso incrociamo un locale contento come una pasqua mentre ci mostra orgoglioso una preda da lui catturata, che diverrà presumibilmente la sua cena: Un topone di 30 cm mezzo spelacchiato. Anche questa è Africa.

Già da qualche giorno si parla di una sfida a calcio e adesso c’è il tempo per una partitella che organizziamo in un campetto improvvisato in cortile con la partecipazione di alcuni ragazzi del posto. Ne esce un Italia femminile+Tommy+Erio in porta contro Italia maschile+Sierra Leone. Questi aspiranti Kallon corrono molto ma hanno evidenti carenze tecnico-tattiche unite a molta ingenuità che favoriscono la vittoria del primo team. Ma va dato merito alle nostre giocatrici di un ottima prestazione. Da sottolineare Erio-saracinesca in porta con le ragazze, Tommy-Materazzi che non passa neanche l’aria e un poco efficace Don Giovanni-Inzaghi che sottoporta non trova il guizzo vincente per i ragazzi.

A partitella finita sudati fradici ci cambiamo e saliamo in fretta sulle Jeep (un po’ questo, un po’ il cibo mangiato da Justine possono essere stati la causa delle forme influenzali sopraggiunte a quasi tutti la settimana successiva) per accompagnare i Padri a dir Messa in un villaggio dimenticato dal mondo distante circa un’ora di auto. Viaggiamo in sei o sette sul cassone di una delle jeep, percorrendo stradine strette e sterrate immerse nella natura. Se non fosse tutto vero avrei detto di essere a Gardaland… Attraversiamo foreste, risaie e villaggi sperduti ed in questo contesto la sensazione è di essere calati al massimo in quella che comunemente chiamiamo “Africa nera”. Questo trasferimento, sia andata che ritorno, mi resterà come uno dei ricordi più intensi del campo.

La Messa viene celebrata in un’aula delle scuole che sono l’unica traccia di aiuti data a questa popolazione…Ci sono 5 o 6 aule, tutte ancora da completare ma già utilizzabili. Tanti abitanti del villaggio partecipano alla celebrazione e siamo stipati come sardine. Noto 3 bei ragnotti appesi al muro e posizionati sopra la mia testa. Li fotografo mettendo la mia mano vicina affinchè dalla foto si possa avere l’idea delle loro dimensioni.

Memorabile è l’uscita da Messa: Ci ritroviamo immersi in un mare di testine nere che ti guardano con curiosità mista ad un rispettoso timore. Risalendo sul cassone della jeep mi si presenta una immagine “dall’alto” che mi lascia senza fiato: sembra di essere ad un concerto nel quale noi siamo le rockstars e loro il pubblico. Non so cosa si aspettassero da noi tutti questi bambini, ma certamente abbiamo calamitato la loro attenzione…Mi sono chiesto cosa avremmo potuto fare per loro in quel momento, visto che sembrava pendessero dalle nostre labbra, ma a tutt’oggi non so darmi una risposta…Prima di ripartire cantiamo tutti insieme una canzone africana imparata qui.

Cena “a buffet” come al solito, poi ci posizioniamo in cortile con alcune sedie (nell’aia però, non nell’erba, con tutti i serpenti che ci sono…Cobra, mamba verde, pitoni, …Meglio non farne la conoscenza…) per vedere le stelle e cantare un po’. La serata si conclude abbastanza presto perché dopo una giornata di questa intensità si ha decisamente voglia di dormire…

13/08 DOMENICA La domenica mattina si va a Messa nella chiesa di Mange Bureh.. Alcune difficoltà “logistiche” non mi permettono di uscire dal bagno in tempo e la jeep parte senza di me…Questi contrattempi sono molto diffusi qui (vuoi per il mangiare, vuoi per i colpi d’aria visto che si è sempre sudati, e altro…) e chi più chi meno, chi prima chi dopo, ci cadiamo un po’ tutti… Solo una di noi ha il problema contrario e prosegue la sua esperienza contando i giorni di “blocco”, ma va anche detto che le 18 banane al giorno e tutte le benagol ingoiate come se fossero tic-tac non l’aiutavano di certo… Resto quindi da solo nello stabile e per giunta chiuso dentro. Quando arriva uno dei Padri ad aprirmi mi avvio a piedi; Tutti i bambini sono abituati che gli apoto che vedono girar per il paese sono religiosi e di conseguenza al mio passaggio in tanti gridano “Father! Father!”… Mi calo nel ruolo e saluto un po’ con fare da Papa… A Messa finita (durata 2 ore circa…) facciamo diverse foto con alcuni cattolici locali e tornando indietro notiamo un camaleonte che attira l’attenzione di tutti. Passo felpato e cambio di colore continuo…Curioso e soprattutto assolutamente innocuo! I bambini all’uscita dalla chiesa ci seguono prendendoci per mano. Diversi di loro arrivano al centro missionario e si radunano lì. Ne approfittiamo quindi per cantare ancora insieme a loro le canzoni eseguite a scuola come la Vecchia fattoria, la bamba, ecc…Segue pranzo e piccola siesta, con i ragazzi del posto che ci chiedono entusiasti di fare un’altra partitella di calcio come ieri, ma putroppo non c’è il tempo perché si parte a metà pomeriggio.

Tornati dalle nostre Suore comincio mio malgrado a prepararmi per la partenza, stiro i miei abiti asciutti, perparo la valigia, ecc…

Alla sera dopo cena programmiamo un momento di condivisione nel quale ciascuno di noi traccia un bilancio del campo fino ad oggi e fa le proprie scuse e i propri ringraziamenti a chi vuole. Riflettere di fronte a esperienze di questa intensità, come lo è stato questo week end, è una esigenza fisiologica! 14/08 LUNEDI Al lunedi mattina mi sveglio con qualche linea di febbre e malanni vari… ma mi riprendo sufficentemente per poter partire. Facciamo una foto di gruppo e dopo aver salutato tutti (credo) purtroppo in modo sbrigativo a causa della mia scarsa lucidità in quel momento, vado con mister Conteh e Suor Veronica all’aerporto. Trasferimento in auto da panico, tutto una buca.

Arrivato all’aeroporto saluto Suor Veronica che mi fa bere un po’ di sprite con il limone spremuto per alleviare i problemi di stomaco/intestino. Ottimo mix.

Dalla sala d’attesa guardo l’aereo della Bruxelles Airlines appena atterrato: In tutta la sua lucentezza e tecnologia stona molto rispetto al contesto. Salendo gli scalini mi giro, lancio un’ultima occhiata, deglutisco, e saluto la Sierra Leone.

Arrivederci Africa, a presto.

Una esperienza del genere muove qualcosa dentro che è difficile da descrivere. Anche dopo aver ripreso la routine “occidentale” i ricordi si fanno spazio nella mente ad ogni ora della giornata. Ci si può dimenticare di una bellissima città o di un paesaggio mozzafiato, ma non di un viaggio come questo. Cosa ci ha insegnato e cosa può cambiare della nostra vita, sarà il tempo a dirlo…



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