Sicilia: Viaggio a casa di Montalbano!

Patrizio alla scoperta dei segreti della Sicilia, da Enna a Modica e Ragusa...
Patrizio Roversi, 28 Mag 2010
sicilia: viaggio a casa di montalbano!
All’aeroporto di Catania Fontanarossa non cercate i chioschi degli autonoleggi nella galleria degli arrivi: andate fuori, nello spiazzo antistante. E ne troverete tantissimi, e frequentati, con alle spalle un megaparcheggio pieno di macchine: siamo in Sicilia, dove si arriva in aereo, e siamo in particolare in uno dei due “ingressi” privilegiati all’Isola (l’altro ovviamente è Palermo) in cui arrivano – grazie a voli sempre più frequenti – turisti, viaggiatori, uomini d’affari. Quindi la macchina è meglio prenotarla… Dopodichè io e il mio amico-operatore-regista Anapì Stori, tenendo la sagoma dell’Etna mezzo coperto dalle nuvole alla nostra destra, proseguiamo lungo l’autostrada, verso Enna. Tutte le città hanno una loro periferia, un alone di semi-degrado estetico e urbano che le circonda così come un cane che invariabilmente si porta dietro il suo circondario di pulci, ma quello di Catania dura poco, che quasi non te ne accorgi. Ed è subito campagna, che evidentemente la vicinanza del vulcano rende fertilissima. E quando poi si arriva verso Enna il paesaggio diventa incredibilmente bello, con colline verde-Irlanda pettinate dal vento, dove l’erba va dallo smeraldo al grigio. Per stasera non andiamo in città, che sfioriamo soltanto: la nostra meta è Villa Gussio, a Leonforte.

A casa del Gattopardo

La vediamo subito, prima della Stazioncina ferroviaria: è l’emblema e contemporaneamente la storia della Sicilia. E’ una antica casa di campagna della nobiltà pre e post gattopardiana. Tra il sette e l’ottocento è stata il fulcro del latifondo, poi il teatro dei fasti di una nobiltà cosmopolita evoluta e molto meno decadente di quanto noi ce la immaginiamo (viaggi a Parigi, innovazioni tecnologiche agricole e nella produzione del vino). Quindi la decadenza, l’abbandono. E, da qualche anno a questa parte, decapitata del feudo e della terra che ha seguito tutto un altro sviluppo, la Villa è stata ristrutturata come albergo e centro benessere. Un restauro raffinatissimo: tanti capitali investiti, in attesa che anche queste zone sviluppino il turismo che si meritano. Una bella scommessa!

arriva anche ROCCO

Alla mattina andiamo a Enna. Siamo a Pasqua, e noi “nordici” diamo per scontato che in Sicilia ci sia il sole. Invece c’è una nebbia che ci fa sentire – nostro malgrado – a casa nostra, tra le valli padane. Ma non è strano: a Enna la nebbia la chiamano “la paesana”, nel senso che è di casa. E in effetti è il prezzo da pagare ad un clima umido che però consente il magnifico paesaggio verde che abbiamo visto al tramonto di ieri. Anche l’amico con cui abbiamo appuntamento ha un cognome nebbioso: si chiama Lombardo, anche se per fortuna di nome fa Rocco. Rocco non è di Enna, sarebbe di Milazzo, e qui si è trasferito anni fa per ragioni di lavoro. Ma proprio per questo si è innamorato della città, e l’ha scelta. Ed è diventato il massimo storico della zona. Ci porta a vedere i riti preparatori delle cerimonie del Venerdì Santo.

LE CONFRATERNITE

La Sicilia è come una torta multistrato, più alta che larga, perchè ha un incredibile spessore (storico, antropologico, sociale). E ha i sapori forti delle sue ricette, contaminate guarda caso da tradizioni gastro-culinarie differenti. Per uno come me andare in Sicilia è un po’ come andare su Marte, o in Giappone (che è lo stesso): tutto è strano, affascinante, imprevedibile. E niente è mai come sembra. In questo senso visitare Enna durante le cerimonie pasquali equivale ad entrare in un Mondo sconosciuto, lontano più dei mille e cinquecento chilometri che separano la Sicilia da casa mia. Nella nebbia del mattino Rocco mi porta nella Chiesa della Confraternita del Santissimo, dove un gruppo di Confrati in sagrestia sta preparando il Corpo del Cristo (a grandezza naturale, con le braccia e le gambe snodate) come se fosse il corpo di un vero defunto, per la sepoltura. Poi assistiamo al rito della preparazione della Madonna da parte dei Confrati di San Giuseppe: un’altra statua a grandezza naturale alla quale pettinano i lunghi capelli (veri). In un’altra Chiesa, della Confraternita delle Anime sante del Purgatorio, assistiamo alla vestizione di un Confratello che si prepara per la Processione, cappuccio compreso. Poi andiamo in casa di una signora, che appartiene ad una famiglia che da tempo immemorabile si occupa di “preparare” (cioè di stordire, con una bevanda segreta) il Gallo, che in Processione rappresenterà appunto uno dei simboli della Passione (il gallo che canta tre volte). Tutto “vero”, tutto profondamente sentito e partecipato: l’intera comunità è coinvolta. I cittadini che fanno parte delle Confraternite sono migliaia.

chi c’è sotto il cappuccio?

Le relazioni storiche dei quasi tremila confratelli che sfilano incappucciati, con i colori delle diverse Confraternite, sono evidenti: siamo nella Spagna del Seicento. La relazione con il paesaggio urbano delle stradine in salita di Enna, a livello di spettacolo e di emozione collettiva, con i “Fercoli” (cioè le portantine di Gesù e della Madonna) che ondeggiano sulle spalle di decine di portatori, è perfetta. Ma sono anche più interessanti le relazioni sociali che, da secoli, si intrecciano nel complesso sistema delle Confraternite stesse. Ognuna di esse ha una storia, e una identità, che ancora ispira un fortissimo senso di appartenenza. Ognuna di esse rappresenta una fascia sociale, un gruppo: quella dei contadini, quella dei commercianti, quella dei nobili, quella dei solfatari ecc. Eppure al loro interno c’è anche una sorta di spirito democratico e interclassista: sotto il cappuccio un ricco è uguale ad un povero, e l’anonimato caritatevole li accomuna. Ma le Confraternite non sono attive soltanto durante le cerimonie religiose, tengono vive relazioni e azioni sociali caritatevoli per tutto l’anno. E rappresentano il tessuto connettivo fortissimo di una intera Comunità. Le Confraternite certo sono figlie della Controriforma, ma si dice che addirittura durante il periodo antiborbonico abbiano coperto gruppi di filo-garibaldini.

UNO SPETTACOLO GLOCALE

Alla fin fine per un turista la Processione di Enna del venerdì Santo è prima di tutto uno spettacolo emozionante, una rappresentazione meravigliosamente teatrale, quindi un Rito che come tale non esclude nessuno: ti ci fanno sentire dentro. E la tecnologia della comunicazione globale ora aiuta ad allargare i confini della Comunità: una televisione trasmette, in diretta, via Satellite, la cerimonia a tutti gli Ennesi dispersi per il Mondo, e il “telecronista” è appunto il nostro amico Rocco. Comunque, per la cronaca, questa Pasqua è passata alla storia come la più piovosa del secolo: va bene che per il Venerdì Santo la tradizione vuole che il cielo pianga lacrime di pioggia, ma quest’anno è stato un vero disastro. Forse, chissà, per la presenza di un paio di miscredenti particolarmente irriducibili, quali eravamo noi. Miscredenti, eppure ben disposti a credere al miracolo di natura culturale che abbiamo visto. Nelle Università infatti da anni si disquisisce del concetto di “glocale”, cioè del locale che si fa globale, ma qui questo concetto è più che mai “incarnato”, quasi quanto il realismo-surreale delle statue di Gesù e di Maria, che ondeggiando sulle spalle dei penitenti incappucciati sembrano sia morti che vivi, e sono vissuti nel chiuso della città e contemporaneamente in diretta planetaria. E tradizioni vecchie di secoli tessono la trama di un tessuto sociale che tiene anche oggi. Anzi, oggi più che mai sembra una risorsa invidiabile a noi “nordici-metropolitani” post-religiosi, post-politici, con delle post-identità traballanti, che brancoliamo in mezzo ad un deserto di relazioni. A Enna ho capito anche perchè il mio (e vostro) amico Martino Ragusa (che mi accompagna anche qui) abbia deciso di tornare ad abitare in Sicilia, a casa sua, dopo 30 anni passati a Bologna.

CALASCIBETTA

Il giorno dopo lasciamo Enna, e partiamo verso Modica, lungo la Val di Noto (o “il” Val di Noto, come dicono qui). E subito incontriamo Calascibetta. Rosario Benvenuto ci aspetta al distributore, all’ingresso della città. Anche lui appartiene a quella schiera (che in Sicilia è davvero numerosa) di persone innamorate del luogo in cui vivono. Guardando la cittadina sopra di noi, arrampicata in cima alla montagna, non si fa fatica a immaginare perchè il suo nome arabo fosse Qualat-Sciabat, cioè castello sulla vetta. Gli abitanti si chiamano ancora Xibetani, che fa rima con Tibetani: certo qui non siamo a 4.000 metri come in Tibet, ma il senso di arroccamento è simile. E a proposito di eremitaggi, Rosario ci porta lì vicino, a vedere un vero gioiello archeologico, sconosciuto ai più: una collina traforata di grotte, una necropoli antichissima e preziosa (Realmese). Poi altre grotte, chiese e abitazioni più recenti, che ricordano da vicino la Cappadocia.

IL CIOCCOLATO DI MODICA

Arriviamo a Modica verso sera, giusto in tempo per accorgerci che lungo Corso Umberto le insegne che parlano di cioccolata sono troppe per essere un caso. E infatti –me lo ricordavo da una corrispondenza gastronomica di Martino – Modica è famosa per il cioccolato. E se Syusy si diverte a seguire le tracce dei misteri archeologici, a me piace di più indagare nei misteri gastronomici, che poi tanto misteriosi non sono. La Sicilia ha subìto tutte le dominazioni e quindi tutte le influenze, dirette e di rimbalzo, e quindi non è strano che in Sicilia si trovino contaminazioni (culturali e gastronomiche) col mondo intero. Ma cosa ci fa qui il cioccolato cucinato secondo la tradizione… Maya?? Nel senso del cioccolato “puro”, tostato a basse temperature, senza burro aggiunto, che quando lo assaggi è amaro, o meglio senti chiaramente che non si è amalgamato allo zucchero, col quale si è accompagnato ma non mescolato. Quando poi però ti servono una vera e propria empanadas all’argentina, con dentro carne e cioccolata che ha la funzione tra l’altro di conservante, il tragitto storico-culturale è chiarissimo: Maya-Spagnoli-Siciliani… Nell’Antica Dolceria Bonajuto, aperta qui a Modica quasi 130 anni fa, padre e figlio mi fanno vedere con orgoglio uno spot televisivo, che loro hanno ideato e girato da soli: si vede un soldato americano, che durante la guerra viene paracadutato qui a Modica ma si impiglia sui rami di un carrubo. Passa una bimba, l’americano chiede a gesti il suo aiuto per scendere e le offre della cioccolata, ovviamente americana. Ma la bimba fa no con la testa, e poi tira fuori la sua cioccolata di Modica, e lascia il soldato offeso e appeso.

LA MADONNA VASA VASA

La mattina dopo è Pasqua, secondo la tradizione oggi dovrebbe splendere il sole ma nemmeno in Sicilia la tradizione è più quella di una volta: piove. Ma questo non impedisce lo svolgimento della cerimonia pasquale, che più che una processione, è uno spettacolo a percorso, roba da far invidia al regista Luca Ronconi. Infatti, da due chiese diverse, spuntano due statue, una di Gesù-Risorto e l’altra della Madonna-Vasavasa (che vuol dire bacia-bacia). Gesù è accompagnato e preceduto dalla Banda. Le statue portate ovviamente a braccia si inseguono per i vicoli della città, intersecano i loro percorsi. E poi finalmente si incontrano in piazza: è un classico ricongiungimento, da film, al rallentatore. Le due statue, con le rispettive musiche e processioni, si puntano da lontano e si avvicinano. E poi si arriva al contatto fra Mdre e Figlio, e la Madonna (che è una specie di grande marionetta) apre le braccia e abbraccia il Figlio Risorto, fra il giubilo dei fedeli. Da qui bacia-bacia. E’ una cerimonia allegra, vicace, molto spettacolare e anche toccante, per la concentrazione e il sano entusiasmo dei presenti e per la musica della banda. Ma in Sicilia, dove il sacro e il profano, il drammatico e l’ironico si mescolano (ma non troppo, come lo zucchero e il cioccoato), “Vasavasa” è diventato anche il soprannome assegnato ad un noto politico, che bacia un po’ tutti, anche quelli che sarebbe meglio non baciare…

SI FA PRESTO A DIRE BAROCCO…

Modica sembra un teatro dell’ottocento, con una buca in mezzo (la cava, in fondo alla quale scorreva il fiume che poi è stato sepolto sotto alla via principale) e tutte attorno ci sono le case, che si guardano fra loro come i palchi appunto del teatro. Di sera l’effetto-Presepio è meraviglioso. Vado sul belvedere assieme ad una guida molto particolare, l’architetto Mario Giorgianni, che sembra il fratello minore di Andrea Camilleri l’autore di Montalbano, e invece è semplicemente fratello della sua editrice, Elvira Sellerio Giorgianni. Mario è profondo, affascinante, con un eloquio seduttivo come solo gli intellettuali siciliani sanno fare. Ovviamente parliamo di Barocco, e lui salta continuamente dalla descrizione di Modica a quella di Ragusa Ibla, qui vicino. Ma perchè una città tutta barocca, così meravigliosamente omogenea (a parte qualche brutto palazzone anni ’70 che però non riesce a rovinare l’incanto)? Perchè quasi tutto è stato ricostruito dopo il terremoto del 1693. Ma come mai così tanti Palazzi, e Chiese? Perchè la Corona di Sicilia a quei tempi aveva deciso di emarginare i grandissimi latifondisti, che lasciavano la terra incolta, a favore di una nuova classe di piccoli borghesi agricoltori, che in cambio della terra dovevano garantire manutenzione e innovazione. Una classe media che pian piano si è arricchita, e ha arricchito il territorio, e quando si è trattato di ricostruire dopo il terremoto, si è autocelebrata con lo splendore del Barocco Siciliano.

TUTTO VIENE DALLA TERRA

Da allora il Ragusano è un territorio fertile, dove l’agricoltura è sempre stata all’avanguardia: dalle stalle modello dell’800 fino alle attuali coltivazioni intensive sotto le serre. E a questo punto Giorgianni mi racconta un episodio che accende la mia fantasia. Racconta che da piccolo ha assistito ad una manifestazione di braccianti. C’erano due cortei, che arrivavano da lontano, da direzioni opposte. Uno veniva dalla costa, e portava bandiere enormi, l’altro veniva dall’interno e portava bandiere molto più piccole. Ma quando i due cortei sono arrivati, Mario s’è accorto che le bandiere erano perfettamente uguali, erano i braccianti ad essere molto diversi: alti e robusti quelli dell’interno, che venivano da una zona più ricca dove potevano mangiare, e piccoli e mingherlini gli altri, che in pratica pativano la fame. A questo punto, se tutto viene dalla terra, decido di andare a vederla, questa terra. E il mio amico Ivan Tagliavia mi accompagna prima a fare un salto nel Centro studi del Consorzio del formaggio Ragusano DOP, (di cui vi parlerà certo meglio di me Martino) dove appunto la ricerca si sposa con la tradizione: un posto strano per un turista, lo ammetto, ma solo apparentemente. Infatti, poco dopo, il cerchio si chiude: Ivan mi porta da un suo amico, un giovane coltivatore diretto che alleva mucche da latte. Mi spiega che fin che durano le quote latte tutti gli allevatori della zona riescono a tirare avanti. Ma fra qualche anno le quote (che assicurano almeno una fetta di mercato) spariranno, e allora la concorrenza di altri Paesi, soprattutto dell’est, metterà in ginocchio tutti. Che fare? Secondo lui resisteranno soltanto quelli che conferiscono il latte al Consorzio per il Ragusano DOP, e l’unica salvezza per il territorio sarà appunto la tipicità dei prodotti e il turismo. Per questo lui si sta battendo per salvare il territorio, per questo ha già trasformato una parte della sua bellissima casa siciliana in un agriturismo. Storia, territorio, agricoltura, prodotti, paesaggio, turismo: tutto si lega assieme, ma il turismo resta l’ultimo anello della catena, l’ultima speranza.

LA CASA DI MONTALBANO

Il mio itinerario lungo la Val di Noto finisce sul mare, a sud. A Marina di Ragusa, a Punta Secca, dove c’è la casa (in realtà anche questo un agriturismo) in cui hanno girato le scene della Villetta di Marinella, l’abitazione del Commissario Salvo Montalbano, il personaggio di Camilleri interpretato da Zingaretti. E’ un omaggio dovuto ad una serie di libri, e soprattutto ad una serie televisiva che ha nella bellezza dei panorami e dei borghi che fanno da scenografia uno dei suoi punti di forza. Quasi tutte le puntate le hanno girate da queste parti, ed ora la Val di Noto è ancora più… Nota, in tutto il mondo. La casa è bella, proprio come nello sceneggiato, e anche se la spiaggia della piccola baia è un bel po’ più antropizzata di come risulta nelle inquadrature, resta comunque un piccolo borgo dove ci verrei in vacanza. Preoccupano un po’ le costruzioni che incombono più sopra, nel centro del paese, e magari preoccupano anche le tantissime serre, da cui pare derivi l’inquinamento della terra e della costa. Ma il pesce che mangiamo al ristorante è squisito, piacerebbe anche all’esigentissimo Commissario Montalbano. Gli operai che stanno facendo un muretto a secco in una nuova rotonda stradale sono stranieri, ma il muretto è perfetto, fatto secondo la tradizione, a regola d’arte. Nonostante tutto la Sicilia (almeno questa parte della Sicilia) c’è, è lei: riconoscibile e bellissima. Mentre io facevo la strada da Catania a Enna, e poi a Modica e a Ragusa, Syusy e Zoe facevano un altro tragitto parallelo, da Sanfratello a Pietraperzia e Piazza Armerina, ma questa è un’altra storia, e ve la racconterà lei un’altra volta.

Patrizio