I salotti di la digue

Seychelles 5 – 13 Aprile 2008 Come tutti i nostri amici sanno, non siamo amanti delle vacanze “comode”, tipo pacchetto all-inclusive, tipo spiaggia-sole-mare; preferiamo sempre prendere aerei, bus, risciò, tuk tuk ed altri mezzi locali, cambiare un albergo ogni due giorni, e raggiungere mete particolari con predilezione per il continente...
Scritto da: gnappetto68
i salotti di la digue
Partenza il: 05/04/2008
Ritorno il: 13/04/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Seychelles 5 – 13 Aprile 2008 Come tutti i nostri amici sanno, non siamo amanti delle vacanze “comode”, tipo pacchetto all-inclusive, tipo spiaggia-sole-mare; preferiamo sempre prendere aerei, bus, risciò, tuk tuk ed altri mezzi locali, cambiare un albergo ogni due giorni, e raggiungere mete particolari con predilezione per il continente asiatico. Lo stupore, quindi, è stato tanto quando abbiamo comunicato che il nostro prossimo viaggio sarebbe stato alle Seychelles, un paradiso incontaminato dove però non ci sono né templi né santuari nè mercati da vedere. Tutto è nato da una navigazione selvaggia su internet in cerca di un volo per Bangkok per l’estate con l’intenzione di fare il nostro long-trip in Laos. Stefano da giorni passava al setaccio tutte le compagnie note e meno note finchè non si è imbattuto nel sito di Meridiana dove ha scoperto che da febbraio due nuove mete erano state inserite: Mauritius e Seychelles. In realtà il volo era operato da Eurofly, ma la tariffa su Meridiana era notevolmente più vantaggiosa. E così si è messo a leggere decine di racconti sul sito di Turisti per Caso scoprendo che visitare le Seychelles da soli non era poi così difficile. Ne parliamo, ne discutiamo, elaboriamo questa vacanza e poi, finalmente, decidiamo di prenotare il volo. La prenotazione però si rivela un incubo: a causa di un inghippo con la mia carta di credito, perdiamo la tariffa più bassa e quindi, seppur a malincuore, abbandoniamo l’idea-sogno, anche se con parecchia irritazione; ma non ci diamo per vinti; durante tutta la giornata teniamo monitorato il sito ma niente, la tariffa non scende, oramai è stabile sui 780,00 euro a testa. Poi, verso le otto di sera, come per miracolo e durante l’ultimo check il volo torna alla sua tariffa più bassa e questa volta non perdiamo tempo ed in due e due quattro otteniamo i biglietti a 549,00 a testa, incluse le tasse. Il volo è prenotato, quindi fin lì arriveremo. Segue poi tutta la fase di programmazione (concluderemo per 2 giorni a Mahè, 3 a La Digue e 2 a Praslin), di prenotazione delle guesthouse (dopo centinaia di mail mandate, risposte attese per giorni, ne troviamo tre, una per isola, di cui siamo molto soddisfatti e ad un prezzo unico per tutte: 80,00 euro a camera colazione e taxes comprese!!!), di stipula dell’assicurazione (www.Viaggisicuri.Com ottimo rapporto qualità prezzo e soprattutto copre anche i giorni singoli cioè non va “a settimana” ma a giorni, 60,00 in due) e di acquisto di creme solari (questo sarà l’unico sbaglio: la protezione 30 si rivelerà infatti quasi insufficiente! Se volete un consiglio saggio, procuratevi la 50).

Il 5 aprile all’una partiamo da una Treviso che comincia ad essere riscaldata dal sole primaverile; arriviamo a Malpensa alle 17.00 e qui troviamo…Un botto di gente allucinante! Sembra che tutti abbiano deciso di partire oggi ed il terminal 2 è intasato di gente. Eurofly decide di aprire due banchi del check in, uno per l’economica e uno per la business: risultato, dopo cinque minuti e 10 passeggeri checchinati, l’addetta alla business si guarda intorno smarrita mentre di fronte a quella dell’economy c’è una fila di 200 persone che sembra non finire mai. Finalmente si decidono a “convertire” il primo sportello e ad aprirne un altro ma, nonostante questo, per la solita legge di Murphy (quando devi decidere tra due code, è “matematico” che sceglierai quella più lunga…) facciamo il check-in per ultimi! Varchiamo i controlli quando manca poco più di mezz’ora alla partenza ma ce la facciamo, anche se correndo come matti, a comprarci le sigarette al duty free e poi via al gate dove imbarchiamo quasi subito. Avendo fatto il check-in per ultimi siamo stati fortunati nel senso che abbiamo un’intera fila da 4 per noi; ma, da brave “volpi” dell’aria quando la hostess annuncia “boarding complete” subito ci giriamo indietro e scopriamo che anche la fila dietro la nostra è vuota, per cui mi ci fiondo di peso: il risultato sarà che durante l’estenuante volo avremo quasi dei letti veri sui quali dormire. Il volo, pur se lungo, va bene (a parte una rompiscatole tremenda che ha fatto impazzire tutto l’equipaggio: non aveva il joy stick che comandava il monitor personale e quindi pretendeva di essere … Spostata in business! Di gente pazza al mondo ce n’è a frotte!). Alle 8.00 del mattino atterriamo finalmente a Mauritius e…L’aereo si svuota, tanto che a bordo rimaniamo solo in 29! Dopo un’ora abbondante di attesa all’aeroporto ingannata con un nescafè ed un paio di sigarette fumate di nascosto nei bagni (manco fossimo a scuola!!!), fanno risalire noi seychellesi sul boeing e poi tutti i turisti di ritorno a Milano. Ma l’aereo rimane fermo sulla pista per un’altra ora per problemi di catering! Finalmente si decolla e dopo altre due ore e 40 di volo cominciamo a vedere scorrere sotto di noi sperduti atolli contornati da un mare assolutamente turchese. La pista di atterraggio dell’aeroporto di Mahè corre parallela al mare ed il colpo d’occhio è davvero impressionante. Ecco, ci siamo, finalmente atterrati! I funzionari della dogana sono gentili e veloci e appongono sui nostri passaporti il famoso (ed ambito) timbro a forma di coco de mer. Usciamo dall’aeroporto e, dopo un altro paio di sigarette, ci dirigiamo alla pensilina del south stop bus. Qui ci ricordiamo improvvisamente di non avere rupie e quindi, sotto il sole implacabile dell’una ed un cielo incredibilmente azzurro, Stefano torna all’aeroporto per cambiare una decina di euro, ma torna poco dopo senza successo visto che la banca…È chiusa! In pratica lo sportello apre solo in corrispondenza dell’arrivo dei voli intercontinentali e chiude subito dopo. Prepariamo quindi un euro (una corsa in bus costa 3 SR, equivalente di 20 centesimi di euro) e ci prepariamo a subire il rifiuto dell’autista. Invece va tutto bene ed il driver sembra non far caso a quella strana moneta che gli mettiamo in mano spiegandogli che la banca era chiusa! Dopo 10 minuti di corsa furiosa (impareremo presto che gli autisti dell’SPTC sono degli spericolati) l’autobus ci ferma proprio davanti alla nostra guesthouse, Le Chateau Bleu (Anse aux Pins, 80,00 Euro la doppia con colazione). Veniamo subito accolti calorosamente da Jean Claude che con il fratello Guy gestisce la g.H. Da parecchi anni. La nostra stanza è completamente arancione, dalle tende al copriletto, dagli asciugamani al pupazzo posto con “grazia” in mezzo al letto, dai kitchissimi tappetini di peluche del bagno al copriwater! Ci riposiamo un po’ e ci facciamo una bella doccia e dopo aver preso un caffè (non ci muoviamo mai senza il nostro mini bollitore da viaggio acquistato in saldo al Bazar de l’Hotel de Ville a Parigi), scendiamo alla mini-reception per registrarci e chiedere alcuni consigli a Jean Claude, il quale ci dice che a 10 minuti di bus si trova Anse Royale, una bella spiaggia. Ci avverte però che oggi, essendo domenica, sarà particolarmente affollata. Tra di noi pensiamo che il concetto di “affollamento” delle Seychelles deve essere abbastanza diverso dal nostro e quindi, inforcato lo zainetto pieno di accessori marini, ci dirigiamo verso il bus terminal di Anse aux Pins dove aspettiamo insieme ad una cinquantina di isolani. Finalmente lo scassato bus arriva e questa volta abbiamo le rupie, quindi…Nema problema. Il gentilissimo conducente ci chiama quando è l’ora di scendere e, dopo aver attraversato la strada affrontiamo la nostra prima delusione: la spiaggia praticamente non esiste visto che l’alta marea la copre quasi interamente e quella piccola striscia di sabbia che rimane è invasa da casalinghe con costumi vivacissimi, uomini indaffarati intorno ai barbecue, decine di bambini urlanti che sguazzano tra le onde, nonne sedute su poltroncine, pick up parcheggiati di sghimbescio con, sul cassone, montagne di cibo. Siamo quindi costretti a ricrederci: evidentemente il concetto di affollamento non è poi così diverso dal nostro! Cerchiamo quindi un buchetto per distendere i nostri asciugamani e ci mettiamo giù. Io decido di fare il bagno nonostante l’acqua non sia molto invitante, molto torbida, piena d’alghe e molto mossa. Dopo una ventina di minuti ci scassiamo di stare in mezzo a questa confusione e decidiamo di fare qualche passo nei dintorni, solo che ci accorgiamo che “i dintorni” sono … Il nulla! Non un ristorante, non un baretto, non un supermercato! Solo strada, scogliere, pick-up che passano ad una velocità incredibile sulla stretta strada con la radio che spara musica reggae a volume altissimo ed il cassone stracolmo di gente urlante. Dopo una salita faticosissima sbuchiamo nei pressi della famosa Fairyland Beach dove sorge l’altrettanto famoso Fairyland Hotel che sulle foto ci sembrava così carino anche se un po’ troppo costoso per le nostre tasche. In realtà la struttura è “strozzata” dall’alta marea e sul grande portico fervono i preparativi per il barbecue serale: un sacco di persone che vanno avanti e indietro con piatti e pentole in mano, un’orchestrina che strimpella una musichetta locale, la strettissima spiaggia piena di foglie e alghe. Altra delusione! Stefano comincia a scalpitare per la fame (Eurofly non è particolarmente abbondante per quanto riguarda i pasti in aereo, ed abbiamo mangiato davvero pochino…). Camminiamo ancora un po’ lungo la strada e finalmente troviamo un piccolo supermarket ma veniamo molestati da un isolano evidentemente fatto o ubriaco che ci si incolla e ci chiede con insistenza dove alloggiamo, proponendoci di cambiare e andare in una delle stanze che lui affitta ad un prezzo molto conveniente. Con questo peso attaccato alle costole entriamo ed usciamo a velocità supersonica dal piccolo market e ci dirigiamo verso la fermata del bus: non ci resta altro che tornare verso la nostra g.H. E vedere se c’è qualcosa nei dintorni. Altra pazza corsa in bus fino a Le Chateau Bleu e, finalmente, proprio a due passi troviamo un market aperto dove facciamo scorta di patatine tailandesi in sacchetto e coca cola fresca. Ci sediamo quindi fuori ad ammirare questa strana “fauna umana” che ci passa di fronte e che guarda stranita due turisti che si ingozzano di chips! Facciamo poi una lunga passeggiata verso nord, fra belle casette in legno tutte con veranda e con giardini deliziosi, finchè ci appare come in un sogno la Carefree Guesthouse con il suo ristorantino a piano terra: subito ci fiondiamo e chiediamo fino a che ora è aperto. La gentile (e grassoccia) cameriera ci fa vedere il menù e ci dice che sono aperti fino alle 20,30 (!!!!) e noi non possiamo fare a meno di riservare un tavolo per la sera. Felici di aver trovato un posticino dove potremo sfamarci, torniamo a Le Chateau per una, stavolta più lunga, doccia ed un po’ di relax sulle comode sedie poste sulla terrazza del primo piano ad ammirare i locali che si scolano bottiglie di birra appoggiati ai pick up con la solita musica reggae a volume altissimo con, dietro, il sole che piano piano sta morendo.

Armati di torcia (che ci servirà non solo a La Digue dove le strade non sono illuminate per niente, ma anche a Mahè e a Praslin dove di luce ce n’è un po’ di più…Nel senso di un lampione ogni chilometro!) ci avviamo per la buia strada di Anse aux Pins e dopo un po’ arriviamo al piccolo ristorantino della Carefree. Oltre a noi ci sono solo altre due mature turiste inglesi che subito attaccano bottone e con le quali scambiamo quattro chiacchiere. Zuppa di pesce, bistecca di squalo con salsa al pepe, filetto di tonno con salsa creola (pomodoro e cipolla “melangèè”) ed una freschissima papaia annaffiata da succo di lime, soddisfano ampiamente il nostro appetito: tutto delizioso! Alle 21.30 siamo già nella nostra orange room e crolliamo distrutti a letto.

La mattina successiva la sveglia suona alle 7.30 cogliendoci ancora addormentati: erano anni che non dormivamo così tanto (e così bene!). Scendiamo a piano terra per gustare la fantastica colazione che Jean Claude ci ha preparato nel portico che corre tutto intorno alla bellissima costruzione bianca e azzurra: banane, succo di pesca, tè, caffè (il “nostro” caffè, perché Jean Claude si è dimenticato di comprarlo: lo perdoniamo volentieri), toast ed una favolosa marmellata di datteri. Recuperiamo quindi i nostri bagagli, salutiamo il nostro padrone di casa dopo avergli raccomandato di farci trovare la macchina a noleggio per sabato al porto quando, al termine del nostro giro, visiteremo Mahè, e ci dirigiamo verso la fermata dell’autobus. Attendiamo cinque minuti e poi, come se fossi stato fulminato, mi ricordo improvvisamente che ho lasciato la preziosa busta con i passaporti ed i contanti da Jean Claude (è sempre meglio non lasciare nulla in camera e consegnare tutto alla reception…Più sicuro!). Quindi, di corsa, ritorno al Chateau dove trovo uno Jean Claude costernato per essersi scordato una cosa così importante. Fa niente, dico, l’importante è aver recuperato il tutto. Torno quindi alla fermata del bus, sudato ma sollevato. Dopo altri cinque minuti (l’autobus ancora non arriva) vedo all’orizzonte Jean Claude che corre come un pazzo verso di noi con in mano … La macchina fotografica!!! L’avevo dimenticata sopra il tavolo della colazione! Certo che, se la vacanza comincia così è il caso di riprendere l’aereo e tornarcene a casa… Invece, dopo qualche minuto si ferma davanti a noi il bus per Victoria: questa volta si tratta di un bus “luxury” cioè dotato di aria condizionata (5 SR a corsa) guidato da un serio donnone e noi, visto il caldo che già ci affligge, ci buttiamo dentro e ci sediamo godendoci il fresco, con tutte le nostre cose negli zaini (si spera!). Arriviamo quindi alla stazione degli autobus e prima di avviarci al mercato di Victoria che si tiene ogni mattina, facciamo un salto al main building dell’SPTC per salutare l’amica Aileen, funzionaria della compagnia dei trasporti che, via mail, ci ha dato un sacco di dritte sugli autobus: Aileen ci accoglie con la sua segretaria (scopriremo che è un pezzo grosso!!!) ed è felice di conoscerci di persona. Dopo le strette di mano convenzionali, i ringraziamenti e la promessa di continuare a scriverci, con i nostri trolley (questa volta, memori dei dinosauri che avevamo in Giappone, siamo partiti molto leggeri) ci avviamo a visitare il bel mercato coperto di Victoria, pieno di bancarelle che vendono frutta, verdura, pesce, parei e cianfrusaglie varie. Dopo aver fatto scorta di manghi (avevamo chiesto dei manghi maturi ma, nonostante le rassicurazioni del venditore, li mangeremo solo verso fine settimana!) visitiamo la più piccola capitale al mondo: bellissimi gli edifici coloniali, la piccola torre dell’orologio, una copia in miniatura del big ben londinese, che troneggia sull’incrocio principale della città, le strade fiancheggiate di palme. Ma il tempo scorre velocissimo e quindi, dopo aver fatto la spesa al supermercato (biscotti e succhi) ci dirigiamo al jetty, il porto principale di Victoria da dove partono i traghetti per le altre isole. Arriviamo sotto il sole a picco e subito vediamo la fantomatica Belle Seraphina, lo schooner che avevamo prenotato dall’Italia (scambiando mails con l’addetta Terry non propriamente simpatica…). La Belle Seraphina è l’unica barca che collega Mahè a La Digue ed è un mercantile che oltre alle merci trasporta anche passeggeri, quando c’è posto. Ai “piedi” della piccola barca è ammassato di tutto: frigoriferi, caschi di banane, bibite, pali di legno per impalcature, sacchi di cemento, lavatrici, ventilatori, viveri vari, un’enorme antenna parabolica, barattoli di vernice, rotoli di isolante. La merce viene stivata ovunque, sotto coperta, sopra il piccolo tetto del “lato passeggeri”, lungo le fiancate, addirittura sotto le panchine. Finalmente saliamo anche noi e insieme ad altri quattro turisti, una vecchia isolana con la grassa figlia con la gamba ingessata, una coppia mista tailandese-tedesca e tre amici del capitano, attendiamo la partenza. Purtroppo l’unica panca libera dove ci sediamo è occupata per tre quarti da un isolano disteso che dorme beatamente: siamo quindi costretti a stringerci e a stare scomodi, oltrechè ad annusare i suoi piedi non proprio profumati! Passa mezzora e ancora niente. Passa un’altra mezzora e nonostante i motori che rombano non si parte. Ma che stanno aspettando? Vediamo all’orizzonte arrivare un camioncino a tutta birra che si ferma con una frenata rumorosissima di fronte alla barca. Dal cassone vengono scaricati…Tre divani e due poltrone in velluto, nuovissime ed incellofanate, ma con una fantasia anni 70 di un orrendo che più orrendo non si può. E comincia il balletto del carico: non sanno dove mettere questi “salotti” destinati a qualche casa di La Digue: sotto non ci stanno, sopra pesano troppo, chiamano persino una mini gru che però non servirà a niente. Il capitano prende il coraggio a due mani e chiamati due ragazzotti, troverà il posto per questi ingombranti e brutti mobili (il velluto in un’isola dell’Oceano Indiano? Ma come si fa a sopportarlo?) che spariscono sotto coperta. Finalmente la barca si stacca dal molo con un’ora di ritardo. Dopo 10 minuti di navigazione comincia a diluviare ed il cielo, fino a poco prima di un azzurro incredibile, diventa completamente grigio: intorno a noi la pioggia crea un effetto nebbia incredibile, tanto che non si riesce a vedere al di là di qualche metro. Ma il tutto non dura più di un quarto d’ora, il cielo si squarcia ed esce il sole. La navigazione continua tranquilla tra qualche foto ed ammirando gli isolotti che ogni tanto appaiono all’orizzonte. Finalmente arriviamo al pacioso porto di La Passe quando sono già le quattro. Ci avviamo verso la strada che porta a sud dell’isola, in cerca di due bici da noleggiare. A La Digue, infatti, ci sono solo cinque taxi e nessuna auto privata: praticamente tutti girano in bicicletta! Il primo rent a bike che si incontra (una casetta singola sulla destra) ci spara la bellezza di 30 euro per due giorni di noleggio. Rifiutiamo, neanche tanto educatamente, vista la sufficienza con cui ci guarda il giovane affittatore (o forse bisognerebbe dire approfittatore che, ovviamente, sconsigliamo vivamente) e tiriamo dritto. I pochi edifici lungo la strada si diradano sempre di più e cominciamo ad essere presi dal panico: senza bici è impossibile girare. Ma come, ci chiediamo, tutti i racconti che avevamo letto in Italia parlavano di un vero e proprio assalto di gente che voleva darti la bici e invece non ne troviamo nemmeno uno! Poi, quando la speranza sta svanendo quasi del tutto, troviamo un piccolo negozio con a fianco una grande “gabbia” piena di velocipedi; il tranquillo proprietario è seduto proprio davanti alla sua mercanzia. Dopo un po’ di contrattazione riusciamo a spuntare il noleggio per 200 rupie (al “nostro” cambio, nel senso di un cambio …Opposto al colore bianco, circa 13 euro) ma ci accorgiamo che ne abbiamo solo 88 perché la mattina avevamo fatto la spesa al supermercato. Troviamo però subito un accordo: ci terremo le bici dandogli una caparra e domani gli porteremo le 12 rupie di resto ed altre 100 per tenere i cicli un altro giorno. Tutto quello che ci chiede è dove alloggiamo, e, fidandosi, ci consegna due belle mountain bike con dei cestini colorati (tipo supermarket) fissati dietro, utilissimi per caricare i nostri trolley. Ci dirigiamo quindi, felici, verso la nostra guesthouse che però non abbiamo ben capito dove si trova. Arriviamo ad un incrocio (uno dei tre che c’è in tutta l’isola) e vediamo, in alto, affisso su un grande albero di takamaka un piccolo cartello verde con scritto “Hairdressing Saloon Agnès, Villa Mon Reve”. Si, è la nostra e, incuranti del fatto che il cartello indicava una parrucchiera, ci inerpichiamo per la bella stradina fiancheggiata da alberi altissimi ed arriviamo ad un altro bivio (il secondo che c’è sull’isola!). Vediamo un anziano signore che vende cocchi al lato della strada ed io, per la foga di scendere dalla bici per chiedere informazioni, mi sbilancio e faccio cadere il trolley in un profondo crepaccio, che però subito agilmente (??) recupero. Il vecchietto, con un sorriso stampato in faccia, ci indica la strada che stavolta percorriamo fino in fondo attraversando quello che io definirò “il viale dei banani”: uno stretto corridoio fiancheggiato da decine e decine di banani con i frutti ancora verdi appesi. Finalmente ecco Villa Mon Reve (consigliamo i bungalows, 80 Euro a notte compresa colazione) che, oltre ad essere una guesthouse, è anche negozio di parrucchiera e piccolo supermarket. Le tre sorelle Agnès, Dorothy e Monica, gestiscono insieme queste tre attività ed il sapore di matriarcato che si respira è veramente forte. Agnès è decisamente simpatica e ci accoglie con un sorriso e con un bicchierone di succo d’arancia fresco. Il nostro bungalow è bellissimo, pulitissimo e pieno di luce. Mettiamo giù i bagagli e, su consiglio di Agnès, raggiungiamo direttamente Anse Rèunion, una minuscola spiaggetta “vigilata” da tre esemplari di alberi di takamaka vecchi di centinaia d’anni. Caliamo gli asciugamani sulla striscia di sabbia bianca deserta e guardiamo il mare: altra delusione. Anche in questo caso l’acqua è mossa e piena di alghe! Ma dove cavolo sarà ‘sto splendido mare turchino delle Seychelles? Poco male, ci immergiamo immediatamente e la presenza delle alghe diventa secondaria perché si sta talmente bene che non vogliamo più uscire. Passiamo quindi un’oretta a rilassarci finchè il sole non comincia a calare; dopo uno spettacolare tramonto con Praslin sullo sfondo, inforchiamo di nuovo le nostre bici e facciamo un salto al porto con le strade già quasi buie, individuiamo il ristorantino per la sera e ce ne torniamo (senza torcia!) a Villa Mon Reve per una doccia veloce. Torniamo quindi giù per la cena: da Chez Martson si mangia davvero meravigliosamente. Stefano prende la (famosa) insalata di pesce affumicato io invece assaggio delle polpette di pesce in salsa creola, accompagnate da riso bianco. Tutto superlativo! Ascoltando musica creola che la simpatica cameriera canticchia sottovoce mentre passa per i tavoli e fumando qualche sigaretta si fanno le 21.30 ed è ora di…Andare a letto! Stavolta con la torcia ad illuminare il bordo sconnesso della strada ce ne torniamo da Agnès dove, alle 22.00 sprofonderemo in un sonno profondo, interrotto solo da un violento temporale: ma non facciamo in tempo a svegliarci ed a pensare “Dio, gli asciugamani sono fuori, si bagneranno tutti!” (4 secondi) che il sonno ci travolge di nuovo. La mattina presto ci svegliamo e dopo un’abbondante colazione con frutta fresca, omelette, pane burro e marmellata ed un forte caffè (stavolta fornitoci dalla g.H.), ci dirigiamo immediatamente verso Anse Source D’Argent, la spiaggia più famosa e più fotografata delle Seychelles e, oseremo dire, del mondo. Per raggiungerla bisogna entrare al parco dell’Union Estate e l’ingresso costa 4 euro; avevamo letto racconti di gente che aveva fatto un percorso “alternativo” passando dalle spiagge che precedono quella più famosa, ma non abbiamo voglia di sbatterci e camminare molto e quindi sborsiamo la cifra alla simpatica signora del baracchino posto all’ingresso. Non arriviamo fino alla spiaggia ma lasciamo le biciclette nei pressi di Anse Union e la percorriamo tutta a piedi finchè eccola, stupenda, bellissima e, soprattutto, deserta! Anse Source d’Argent si presenta illuminata di sole, con un mare calmo e azzurrissimo: eccolo il mare delle Seychelles di cui tanto abbiamo sentito parlare. I massi che circondano la spiaggia sono impressionanti e si stagliano contro l’azzurro del cielo vicino a palme verdissime e poggiati su una sabbia bianca e sottilissima. E’ un trionfo di colori e non riusciamo a contenere la nostra felicità! Prendiamo subito possesso di una piccola baia circondata da imponenti massi e non facciamo in tempo a stendere gli asciugamani che siamo già a mollo nell’acqua! Come descrivere questa meraviglia? Impossibile, a parole. Bisogna vederla di persona. Cazzeggiamo per un paio d’ore dentro e fuori dall’acqua fino a quando la bassa marea e gruppi di turisti vocianti, in gita giornaliera a La Digue, ci fanno scappare a gambe levate da questa meraviglia che abbiamo avuto il privilegio di vedere “incontaminata”, con la promessa comunque di tornarci la sera per vedere il tramonto (il biglietto è infatti valido per tutta la giornata). Pedaliamo tranquilli, passiamo dal nostro rent-a-bike Lionel (che raccomandiamo fortemente) per sostituire la bici di Stefano (la ruota è leggermente storta e fa fatica a pedalare) ed a saldare il nostro debito, e ci dirigiamo verso il nord dell’isola senza una mèta precisa. Superato il porto tralasciamo Anse Sèvere e facciamo una sosta ad Anse Patates dove ci godiamo il sole ed un bagno splendido nell’acqua turchese. E poi via ancora, sempre in sella alle nostre bici, percorrendo la strada costiera: ogni occasione è buona per fermarci una mezz’oretta su spiagge completamente deserte per fare un bagno in totale solitudine. E così facciamo delle brevi soste ad Anse Gaulettes e ad Anse Grosse Roche mentre ci fermiamo definitivamente e stabilmente ad Anse Banane dove, sotto una palma, facciamo una bella pennica che interrompiamo solo per trascinarci a fatica dentro all’acqua. La bellezza di queste spiagge nella parte nord est dell’isola, pur se non paragonabili ad Anse Source d’Argent, è davvero notevole: deserte, selvagge, piene di alberi morti lasciati a gemere sulla sabbia-borotalco alternati a svettanti alberi di takamaka e a palme di un verde brillante. La nostra prima, vera giornata di mare alle Seychelles si rivela indimenticabile. Sono le cinque e mezza quando, a fatica, ci alziamo dalla sabbia e riprendiamo la bici per tornare ad Anse Source d’Argent per vedere il tramonto. La spiaggia, ora, è totalmente irriconoscibile: l’alta marea ha praticamente mangiato quasi completamente la fetta di sabbia bianca del mattino, tanto che siamo costretti a passare da un sentiero che corre parallelo al mare verso l’interno. Ma, dopo un bagno rinfrescante (anche se la marea ha intorbidito l’acqua ed ha fatto arrivare molte alghe) vedere i grigi massi tingersi di rosso ci dà un’emozione fortissima. Lasciamo l’Union Estate che è già buio ma, fortunatamente, nello zaino avevamo messo la pila per cui arriviamo senza fatica a Villa Mon Reve. Bissiamo la cena da Chez Martson (filetto di pesce per me e riso fritto con pesce per Ste) e dopo due chiacchiere con la gentilissima proprietaria, ce ne torniamo sotto un cielo che più stellato di così non si può, a casa per trascorrere l’ultima notte a La Digue.

La mattina successiva ci alziamo prestissimo e dopo aver fatto colazione e preparato i bagagli (Agnès ce li custodirà alla reception e ci permetterà, nel pomeriggio, di usufruire della doccia) ci dirigiamo verso la parte sud est dell’isola. La strada che percorriamo, quasi “di montagna”, è davvero spettacolare: una natura rigogliosa, alberi secolari, piantagioni di banane, piante e fiori mai visti prima (nemmeno in Costa Rica, il che è tutto dire!) ed ogni tanto una casetta persa nel nulla dove, sulla terrazza, giovani donne oziano tranquillamente con un bambino in braccio. Arriviamo a Grand Anse, una strepitosa ed immensa spiaggia di sabbia bianca dove il mare è particolarmente mosso ma l’acqua limpidissima e senza alghe e decidiamo di proseguire per visitare Petit Anse e Anse Coco. Ci inoltriamo quindi in una sorta di foresta primordiale lungo un sentiero in salita che scavalca le alte rocce che dividono le due spiagge. Dopo 20 minuti il sentiero finisce bruscamente in un prato verde e non c’è traccia di una sua ripresa. Potremmo continuare ma ci guardiamo in faccia e ci diciamo “Siamo in vacanza, lasciamo fare gli esploratori agli altri” e, sudatissimi, torniamo indietro e ci schiaffiamo sulla sabbia calda a crogiolarci al sole. Scopriremo poi, parlando con altri viaggiatori, che raggiungere Petit Anse era facilissimo: bastava NON seguire il sentiero ma girare “subito” a destra. ?????. Scopriremo anche che c’è chi c’è riuscito e chi no. Un po’ ci dispiace, ovvio, ma il clima ci sta rendendo sempre più rilassati e anche la minima fatica ci costa un botto!! Dopo una mattinata in totale relax, quando il sole si fa insopportabile, decidiamo di tornare sui nostri passi e, dopo una sosta per la spesa da Gregoire’s (l’unico supermercato di La Digue, non proprio economico e strapieno di prodotti “occidentali” tipo pasta Barilla e biscotti del Mulino Bianco) dove prendiamo dei buonissimi e freschissimi panini dolci appena sfornati e due bibite ghiacciate, ci dirigiamo oltre il porto e fino ad una desolata Anse Sèvere dove, sotto un imponente albero di takamaka, consumiamo il nostro pasto. Ragioniamo, tra noi, sulla semplicità della vita e come si possa essere felici con un panino allo zucchero ed una bibita fresca, seduti sulla spiaggia a guardare il mare! Passiamo un sacco di tempo a mollo nell’acqua bassa e caldissima (sembra di essere in vasca da bagno) e distesi al sole un po’ meno forte. Unico inconveniente (che scopriremo più tardi) i mosquitos: piano piano, zitti zitti, stanno divorando Stefano che si porterà dietro i segni per moltissimi giorni. Oramai è tempo di andare perché alle 17.45 abbiamo il traghetto per Praslin. Sulle nostre bici facciamo quindi l’ultima pedalata fino a Villa Mon Reve; Agnès, gentilissima, ci ridà la stanza permettendoci di fare una bella doccia rinfrescante. Ritiriamo quindi i bagagli (ed i passaporti!!!), diamo un ultimo sguardo a quella che, per tre giorni, è stata la nostra casa, salutiamo la nostra cara Agnès e torniamo verso il porto dove riconsegniamo le biciclette al sonnolento padre di Lionel. Poi, a piedi, al porto di La Passe dove attendiamo il traghetto che arriva puntuale: la traversata è deliziosa con il sole che comincia a scendere ed il cielo che si tinge di arancione. Praslin sullo sfondo da piccola diventa sempre più grande, verde ed invitante. Sappiamo che l’ultimo autobus per la Cote d’Or, dove abbiamo prenotato la g.H., parte dal jetty (così vengono chiamati i porti da dove partono i traghetti) alle 18.25 e sappiamo anche che notoriamente gli autobus delle Seychelles sono sempre…In anticipo. Dopo aver attraccato, sbarchiamo e percorriamo il ponte che collega il molo alla terra ferma; vediamo un primo autobus che alla velocità della luce arriva, si gira e riparte e speriamo fortemente che non sia il nostro. Siamo quasi arrivati alla fine del ponte quando ne arriva un altro e, tallonati da un taxista che ci dice che quello “is not the right bus, the right bus is already departed and there are not any buses…” (come facesse a sapere dove fossimo diretti, resta un mistero), ci dirigiamo di corsa verso la fermata dove saliamo al volo sul bus che invece è proprio giusto! La corsa è bellissima ed il paesaggio che ci scorre accanto è davvero strepitoso: alberi di frangipani, palme altissime, fiori di ogni colore, la luce sempre più fioca che rende i colori più morbidi. Poi cade il buio, improvviso, e quando l’autista ci fa cenno che siamo arrivati, scendiamo e ci dirigiamo verso quella che crediamo essere la direzione giusta. I pochi negozi sono quasi tutti chiusi, c’è poca illuminazione e quindi andiamo un po’ a caso, anche se la strada è unica e quindi non c’è affatto pericolo di perdersi. Quasi in fondo alla via troviamo il nero cancello della Rosemary (anche questa 80,00 Euro a notte, compresa la colazione), apriamo il catenaccio incuranti dei quattro cani dei quali avevamo letto essere pacifici e tranquilli, e, seduta su una poltroncina ci aspetta la signora Rosemary, madre di Herbert, che ci accoglie con un bel sorriso dicendoci che oramai pensava non arrivassimo più. Purtroppo la camera al primo piano con vista mare è già stata presa (“Tout le monde veut ce chambre là!” ci dice Rosemary), ma la camera di fronte è altrettanto bella, anche se molto spartana: pavimento in legno scricchiolante, un bel letto con lenzuola profumate di pulito, una zanzariera rossa, un armadio, un tavolino e due lampade sui comodini costituiscono tutto l’arredamento. Una porticina si apre su una mini scaletta a chiocciola che conduce al piccolo bagno, anch’esso pulito e con tre finestre di cui una si affaccia sulla spiaggia. Io vado giù a conoscere Herbert e a fare la registrazione mentre Stefano svuota i nostri trolley e poi ci ritroviamo giù per andare a cena. La scelta, quasi obbligatoria, cade sulla super-nominata Gelateria Da Luca menzionata in tutti i racconti di viaggio che abbiamo letto, l’unica gelateria di tutte le Seychelles, gestita da un ragazzo italiano che vive qui da molti anni e che si è sposato un’isolana. Il buio è davvero pesto, forse un po’ meno che a La Digue ma neanche poi tanto, e così percorriamo la strada un po’ a tentoni (abbiamo lasciato la torcia in camera!) finchè vediamo l’insegna: un piccolo cortile con una decina di tavolini di ferro non molto invitanti. Ma è tardi (qui “tardi” significa le sette e mezza di sera!), siamo un po’ stanchi ed abbiamo fame. Quindi ordiniamo pizza e club sandwich che divoriamo un due e due quattro. Poi facciamo un giretto per la strada e…Ci meravigliamo: questa infatti è Anse Volbert conosciuta anche come Cote D’Or, ed è la zona più vivace di Praslin…In realtà per strada non c’è nessuno, ci sono quattro ristoranti in tutto, i due negozi di souvenir sono chiusi da un bel po’ ed il supermercatino anche. Meno male che siamo nella zona più vivace, figurarsi se eravamo altrove! Insomma, per farla breve, dopo la solita camomilla consumata sulle poltroncine della lunga terrazza che condividiamo con l’altra camera con in sottofondo solo il rumore del mare, ce ne andiamo di corsa a nanna, e ci addormentiamo pure subito. Welcome to Pralsin! Il mattino successivo io mi sveglio prestissimo a causa di un caos pazzesco…No, niente macchine, nè gente vociante, solo stormi di migliaia di uccelli che hanno evidentemente nidificato sugli alberi che ricoprono la Cote D’Or. Ma resto comunque a letto a crogiolarmi finchè è ora di alzarsi per andare a colazione. Herbert ha preparato i quattro tavolini sotto un gazebo attaccato alla spiaggia e quindi facciamo colazione guardando il mare e con il solito (e molto apprezzato) rumore delle onde: un piatto di frutta freschissimo, caffè forte, croissant alla francese, pane, burro e marmellata! Questa è vita! Con noi fanno colazione altre due coppie di ragazzi italiani che già si conoscono e quindi parlottano fra di loro. Riconosco due che hanno fatto il check-in con noi a Milano e carpisco la frase “Ci hanno cambiato l’orario del volo…”. Subito mi intrometto nella conversazione chiedendo spiegazioni e mi dicono che Eurofly li ha chiamati comunicando loro che la partenza è stata posticipata di due ore. In effetti, la sera prima, avevo trovato sul cellulare (sempre spento!) una chiamata da un numero privato, ma non avevo immaginato che fosse la compagnia aerea. Bene, il caso ci ha dato una mano. Ringrazio i ragazzi e, al termine della colazione, saliamo per metterci i costumi e prendere i nostri asciugamani: oggi andremo a visitare due delle più belle spiagge di Praslin, Anse Lazio ed Anse Georgette. Mentre ci stiamo preparando sento gli altri due ragazzi salire ed esco dalla camera per chiedere se sanno dov’è la fermata dell’autobus. Mi dicono che loro hanno noleggiato una macchina e che quindi non hanno mai preso l’autobus; comunque, se ci fa piacere, visto che anche loro vanno ad Anse Lazio, ci possono dare uno strappo volentieri. Accettiamo di buon grado e così, con Alessandro, un simpatico e sempre sorridente ragazzo milanese e Maria Grazia, una bella pediatra campana, a bordo della loro fiammante macchina rossa, ci dirigiamo all’estremo nord dell’isola passando per i soliti bellissimi paesaggi di vegetazione tropicale. Arriviamo ad Anse Lazio ancora deserta e rimaniamo… a bocca aperta: pur non essendo scenografica come Anse Source D’Argent ha un mare incredibile e, forse, molto molto più bello della spiaggia di La Digue: turchese, blu, azzurro, calmo e freschissimo. Ci separiamo da Ale e Maria Grazia (ci sembra giusto lasciare loro un po’ di privacy) non prima che ci abbiano invitato ad andare con loro ad Anse Georgette verso mezzogiorno e, dopo aver steso i nostri asciugamani sotto il solito albero di takamaka (molto più “ombreggiante” delle palme) ci fiondiamo in acqua come dei bambini! L’acqua è davvero deliziosa e non vogliamo più uscire. La mattinata trascorre pigra e tra una pennica e un bagno, arrivano gli altri quattro ragazzi che dormono alla Rosemary: Gianluca e Stefania (quelli ai quali avevo chiesto informazioni sul volo) tanto scatenata lei quanto tranquillo lui, ed Elena e Claudio simpaticissimi e vivacissimi emiliani, che ci salutano e si sistemano anche loro sulla bella spiaggia. Verso mezzogiorno riprendiamo quindi l’auto (a dire il vero ci sentiamo un po’ imbarazzati dalla gentilezza di Ale e Maria Grazia…) e scorrazziamo per Praslin passando per spiagge fantastiche e totalmente deserte finchè arriviamo ai cancelli del Lemurià, uno dei resort più lussuosi delle Seychelles: Anse Georgette, infatti, è racchiusa nella proprietà del resort e per visitarla bisogna o scrivere una mail a loro per farsi autorizzare (come abbiamo fatto noi) oppure farsi annunciare dal proprietario della g.H. Dove si dorme (come hanno fatto Ale e Maria Grazia). Mostriamo la nostra mail, parlottiamo con il guardiano che fa una telefonata e poi, avuto l’ok dalla direzione, ci spalanca i cancelli di questo ritiro per ricconi. Parcheggiamo e ci avviamo in mezzo al fantastico campo da golf per la stradina che porta alla spiaggia: è quasi l’una, il sole picchia in maniera impressionante ed il sentiero è in salita. Siamo tutti concentrati nel nostro “trekking” quando, alle nostre spalle, sentiamo arrivare un veicolo elettrico: ci giriamo e vediamo un minuscolo camioncino con un cartello sul parabrezza con scritto “Anse Georgette”. Il conducente ci fa cenno di salire dietro, sul cassone, e noi non ce lo facciamo ripetere due volte! Che servizio! Percorriamo, motorizzati, il campo da golf tenuto in maniera maniacale e finalmente arriviamo alla fitta boscaglia che nasconde la spiaggia. Quando sbuchiamo dall’altra parte ci manca ancora una volta il respiro: più bella, raccolta ed intima di Anse Lazio, Anse Georgette è veramente una perla. In spiaggia saremo in dieci persone, fra l’altro tutte ritirate sotto gli alberi ad evitare il solleone per cui sembra davvero deserta. L’acqua è strepitosa e dopo qualche bagno concordiamo tutti e quattro per assegnare la palma d’oro delle spiagge ad Anse Georgette. Non c’è dubbio che non esista nessun’altra spiaggia al mondo bella come Anse Sorge D’Argent, con le sue alte rocce scolpite dal vento e dall’acqua, ma Anse Georgette ha un’arma in più: il mare perfetto per nuotare, azzurrissimo e freschissimo. Condividiamo con i nostri gentilissimi compagni di viaggio i panini dolci acquistati il giorno prima a La Digue (che si sono conservati perfettamente) e trascorriamo le ore che ci separano dal tramonto nell’ozio più assoluto, raggiunti nel frattempo da Gianluca e Stefania. Alle sei un tramonto rosso e oro infiamma la spiaggia: lo ricorderemo a lungo, una volta a casa, come una delle più belle cose mai viste! Quando ci avviamo per far ritorno alla macchina fa quasi buio, ma passeggiare in mezzo ai prati ed ai boschi del Lemurià con la luce tenue della sera è un’esperienza davvero deliziosa. La strada costiera, al tramonto, è veramente spettacolare e la spiaggia di Grand Anse, tutta illuminata di rosso, è di un bello da far paura. Arriviamo alla Rosemary dopo mille peripezie (Alessandro ha deciso di “tagliare” per la strada di montagna che passa per la Vallè de Mai e fra il buio e la guida a sinistra deve, giustamente, procedere con cautela) e stanchissimi: una doccia rinfrescante è l’ideale per riprenderci giusto il tempo per andare a cena. Ale e Maria Grazia stasera andranno al buffet che tengono alla Laurier Guesthouse mentre noi optiamo per il ristorante La Goulue dove troviamo anche il resto del gruppo Rosemary (com’è stato battezzato il nostro “ottetto”): fish & chips per me e fish burger per Stefano, davvero deliziosi. Ci riuniamo quindi al tavolo degli altri e rimaniamo lì a chiacchierare piacevolmente fino a quando le cameriere minacciano di cacciarci via, ma un evento atmosferico ci blocca tutti sotto al gazebo: si scatena un temporale incredibile che quindi ci dà modo di godere della compagnia dei ragazzi ancora per una mezzora. Sono quasi le 11 quando andiamo a letto, ed è un vero record! Mai prima d’ora avevamo fatto così tardi. Così tardi? Il tempo sembra veramente diverso in questo paradiso…

La mattina successiva siamo tutti eccitati perché abbiamo organizzato un’escursione all’isolotto di St. Pierre e a Curieuse Island: noi due, Alessandro e Maria Grazia direttamente con Herbert della g.H. Mentre gli altri quattro “membri” del gruppo Rosemary con un ragazzo che avevano incontrato sulla spiaggia. Il prezzo concordato è lo stesso (20 Euro) ma scopriamo che loro, compreso nel prezzo, hanno anche un pranzo a base di frutta e sandwiches: quindi vi diamo un consiglio se volete fare questa escursione, contattate Tony che si aggira sulla spiaggia di Anse Volbert, perché il prezzo è uguale, ma Herbert non vi dà il pranzo! A bordo di due barche (la nostra è pilotata da un rasta-boy biondissimo, amico di Herbert) arriviamo tutti insieme a St. Pierre, più che un isolotto un vero e proprio scoglio tutto rocce e palme, dove ci lasceranno per un’oretta per fare snorkeling. Qui l’acqua è davvero stupenda e una volta immersi con pinne e maschera il mondo sommerso è spettacolare: centinaia di pesci di tutti i tipi, forme e colori ci nuotano accanto e se non fosse per la quantità industriale di plancton che c’è nell’acqua e che ci provoca una fastidiosissima irritazione alla pelle, non usciremmo più! Sfiniti dalle lunghe nuotate, mentre siamo intenti a cacciare con le pinne le decine di lucertole giganti che cercano di intrufolarsi nei nostri zaini, arrivano i nostri boys con le loro sgangherate (ma velocissime) barchette, sulle quali carichiamo armi e bagagli e con una corsa di dieci minuti sbarchiamo sulla bianchissima spiaggia di Curieuse Island. Fino al 1965 quest’isola era adibita a lebbrosario e qui venivano confinati i malati ma, dismessa questa destinazione, l’isola è divenuta un centro di riproduzione delle tartarughe giganti di Aldabra. Appena messi i piedi sulla soffice e candida sabbia, diretti (come al solito) verso l’ombra delle palme, due di questi mostri preistorici (lo sono davvero!) ci vengono incontro con tutta la loro imponente mole ed i loro circa 200 anni di età! Non sono impaurito perché ho visto tantissimi documentari e so che questi animali amano moltissimo farsi accarezzare il ruvido e lungo collo spesso “popolato” di parassiti che provocano loro un fastidioso prurito. Per cui mi siedo accanto ad una di loro e la accarezzo: immediatamente si immobilizza e non si muove più finchè non smetto! Una sensazione bellissima, così come particolare è toccare il durissimo carapace. Nel frattempo il buon Tony (il barcaiolo dell’”altra metà del gruppo”) comincia ad imbandire una tavola con foglie di banana e ci poggia sopra fette di mango, papaia, cocco, ananas, melone bianco, sandwich con tonno in scatola e maionese, samosa ancora tiepide e dolcetti al burro. C’è una tale quantità di roba che basta a soddisfare abbondantemente tutti noi otto (molto gentilmente, gli altri “quattro” del gruppo Rosemary si sono offerti di dividere il pranzo) che però siamo costretti a mangiare in piedi per tenere a bada i giganteschi mostri che, avendo sentito odore di cibo, travolgono tutto ciò che trovano sul loro cammino. Siamo quindi costretti tra una fetta di papaia e una di mango a spostare continuamente zaini, maschere, pinne ed asciugamani, se non vogliamo ritrovarci con le cose sparse per tutta la spiaggia o, peggio ancora, schiacciate! Con la panza piena affrontiamo quindi il sentiero che, dopo un chilometro e mezzo, ci porterà all’incontaminata spiaggia di Anse St. Josè. Il percorso passa attraverso l’isola e per la maggior parte si snoda su passerelle di legno: si attraversa infatti una palude di mangrovie che con l’alta marea si riempie e quindi ti impedisce di camminare. Intorno a noi c’è un silenzio incredibile rotto solo dai nostri passi: alberi giganteschi, mangrovie dalle radici impressionanti, palmeti a perdita d’occhio, massi di granito imponenti. Arriviamo sudatissimi alla spiaggia quasi deserta e molto selvaggia, tanto che sulla sabbia sono sparsi rami d’albero, foglie e frutti di takamaka. Il mare è di un turchese quasi abbagliante e quindi, dopo aver trovato il solito albero che ci ripara dal sole, andiamo tutti e otto a fare un bagno ristoratore nell’acqua freschissima: sembra di stare in una piscina, tanto l’acqua è trasparente e limpida. Dopo un po’ di riposo sulla spiaggia ci lanciamo con pinne e maschere in una battuta di snorkeling vicino ad imponenti massi di granito che sprofondano nell’acqua. Stefania, capo spedizione, avvista prima una manta (che però noi non vediamo), poi una fantastica tartaruga di mare (vedere nuotare queste creature è un’esperienza emozionate: sembrano leggerissime!) ed infine un branco di nove enormi pesci napoleone, azzurri e bianchi con la classica protuberanza sulla fronte che si stendono sul fianco per mangiare piccoli e quasi invisibili pescetti. Nonostante Stefano, per la foga di avvistare incredibili animali, abbia rischiato di affogare (bevendosi mezzo mare delle Seychelles per colpa della sua maschera che “imbarca” acqua!) la “battuta” si rivela fantastica. Sfiniti e senza fiato, crolliamo sulla sabbia calda e lì rimaniamo fino alle cinque e mezza quando arriva il nostro rasta-boy a prelevarci per sbarcarci dopo una ventina di minuti sulla spiaggia di Anse Volbert proprio di fronte alla nostra g.H. Portiamo tutto di sopra in camera e con i soli asciugamani ed una coca fresca ci godiamo la nostra bella spiaggia, fino ad ora trascurata. L’acqua è bassissima e caldissima quindi molto molto rilassante. Nel frattempo arrivano anche gli altri quattro per cui tutto il gruppo Rosemary si ritrova a mollo in questa immensa vasca da bagno e nulla riesce a farci uscire dall’acqua, nemmeno il buio che oramai è calato su Praslin dopo l’ennesimo spettacolare tramonto che ha tinto di arancione e poi di rosso tutta la spiaggia. Giocando con l’acqua bassa, siamo un po’ tristi perché il gruppo Rosemary si sfalderà: solo Eleonora e Claudio si fermeranno ancora a Praslin; Alessandro e Maria Grazia, Stefania e Gianluca, io e Stefano, invece, torneremo a Mahè. Ma i più tristi sono proprio la coppia milanese-campana perché domani torneranno a casa. Decidiamo di trascorrere l’ultima sera a cena insieme al ristorante sulla spiaggia del Berjaya Resort (tranne Ale e M.Grazia che ci raggiungeranno più tardi) e quindi, dopo la doccia, ci ritroviamo tutti in gran spolvero (ossia, pantaloncini, maglietta ed infradito!!). Il ristorante è davvero carino, con il pavimento ricoperto interamente di sabbia e fiori di ibiscus che pendono dalle travi di legno. Mangiamo divinamente (filetti di pesce con salsa creola appena pescati) e chiacchieriamo fino a quando le cameriere, gentilmente, ci chiedono di abbandonare il nostro tavolo visto che stanno chiudendo (sono le 22.00, è tardissimo!!!!). Così finiamo la serata a chiacchierare nel portico della Rosemary, finchè non ci ritiriamo nelle rispettive camere per l’ultima notte a Praslin.

La mattina successiva la sveglia suona all’alba. Per raggiungere il porto di St. Anne da dove partirà l’aliscafo per Mahè, bisogna prendere o l’autobus delle 6.55 o quello delle 7.10 perché poi non ce ne sono più fino alle 8.40. Per cui, dopo aver salutato la bella spiaggia di Anse Volbert e la nostra guesthouse, ci avviamo con i nostri trolley per la strada deserta della Cote d’Or. L’autobus arriva come sempre in anticipo ed il risultato è che arriviamo al porto oltre un’ora prima che parta l’aliscafo e sotto una leggera pioggerellina che lascia, poco dopo, il posto ad un fantastico arcobaleno ad incorniciare le verdi colline di Praslin. L’aliscafo parte in perfetto orario e prendiamo posto sul ponte superiore all’aperto: la traversata è molto piacevole e dopo una cinquantina di minuti arriviamo puntuali al porto di Mahè che avevamo lasciato 6 giorni fa. Eravamo rimasti d’accordo con Jean Claude che ci avrebbe fatto trovare la macchina al porto, in modo da poter raggiungere in autonomia la g.H. Ed infatti, tra le atre auto, vediamo una Kia Picanto bianco latte con un mega cartello sul parabrezza con scritto “Mr. Luka”. Il simpatico addetto del noleggio, ci carica a bordo e ci porta in un parcheggio al centro di Victoria dove compiliamo i documenti necessari al noleggio. Dopodiché, iniziamo la nostra “avventura” motorizzata. Alle Seychelles, infatti, la guida è a sinistra e questo è solo uno dei “pericoli”: occorre poi considerare gli autisti degli autobus, veri pirati della strada, e soprattutto le scarpate poste ai margini delle strade; soprattutto a Mahè, infatti, il bordo della strada finisce nel 90% dei casi in uno strapiombo e quindi bisogna prestare particolare attenzione quando si guida. Lascio l’arduo compito a Stefano (già io ho problemi a guidare qui, figurarsi a rovescio!) e la prima difficoltà la troviamo immediatamente: la rotonda! Stefano la affronta piano piano e ne usciamo indenni, ma dopo altri 200 metri ne troviamo un’altra. Anche questa non ci crea problemi. Alla terza (ma quante rotonde potrà avere la più piccola capitale del mondo???) invece, non capiamo quale uscita dobbiamo prendere e quindi ci facciamo due volte il giro completo fino a quando riusciamo ad imboccare la strada per l’aeroporto. La strada costiera è davvero bella e corre parallela al mare turchese; passato l’aeroporto, riconosciamo la “nostra” strada e quindi, dopo salite e discese in mezzo alla vegetazione lussureggiante, arriviamo finalmente allo Chateau Bleu. Jean Claude ci accoglie con il solito sorriso e ci dice di andare pure di sopra senza problemi, visto che la camera è la stessa. Ritroviamo le nostre tende arancione ed il solito pupazzo sopra il letto e dopo una doccia veloce riempiamo lo zaino con le cose “da mare” e, salutato Jean Claude, partiamo alla scoperta di Mahè. Facciamo una piccola sosta al Craft Village, poco distante dalla g.H., un grazioso villaggetto in stile creolo dove ci sono una decina di negozi di souvenir. Cerchiamo, invano, di contrattare l’acquisto di un coco de mer con un’anziana venditrice che però non molla l’osso e pretende di farcela pagare al cambio ufficiale: il costo è di circa 180 Euro, il che ci sembra un po’ esagerato e lasciamo perdere accontentandoci di una calamita a forma del prezioso frutto, che andrà ad aggiungersi alle altre appiccicate sul frigorifero a testimonianza dei nostri viaggi. Proseguiamo quindi lungo la strada costiera puntando dritti dritti verso l’estremo sud di Mahè, passando per Anse Baleine, Anse Bouganville ed Anse Forbans. Poi, tagliando per lo Chemin Quatre Bornes arriviamo direttamente ad Anse Takamaka, dove facciamo un lunga sosta per un bagno ed un po’ di sole. Sulla spiaggia, quasi deserta, troviamo una poliziotta in borghese seduta all’ombra di un albero che ci raccomanda di fare attenzione alle borse perché recentemente si sono verificati dei furti ad opera di locali. Dopo un po’ riprendiamo la macchina e decidiamo di visitare Anse Soleil, descritta come una delle più belle spiagge di Mahè. Ci addentriamo, quindi, sempre a bordo della nostra “polentina” (così abbiamo battezzato la Kia Picanto) lungo la stretta strada che dopo un bel po’ di sali-scendi e di soste forzate per far passare numerosi camion (?), sfocia dritta dritta nel cantiere del nuovissimo Four Seasons Resort, che verrà ultimato il prossimo anno. Qui abbandoniamo la macchina e iniziamo a percorrere lo stretto sentiero che scende alla spiaggia ma dopo 10 minuti di cammino durante i quali veniamo sorpassati da un paio di macchine, ci rendiamo conto che forse forse era meglio venirci in macchina. Anche perché, dal rumore delle onde che ci giunge in lontananza, la spiaggia non pare essere proprio vicina. Stefano quindi mi abbandona con i bagagli e risale a piedi tornando dopo un quarto d’ora strombazzando a più non posso (suonare il clacson, per noi che non conosciamo le strade nè siamo pratici della guida a sx, è fondamentale)! Raggiungiamo la spiaggia sulla quale sorge un minuscolo albergo ed un delizioso ristorantino. In effetti Anse Soleil è davvero un piccolo paradiso con un mare stupendo. Decidiamo, quindi, di fermarci qui sotto la solita palma per trascorrere le ore centrali del giorno, visto che il sole picchia parecchio. L’unica cosa che stona, nel senso che non eravamo abituati a trovarlo, è il piccolo ristorantino: ciò, ovviamente, fa sì che la spiaggia sia particolarmente affollata…Se per affollata intendiamo una quindicina di persone tutte rigorosamente riparate all’ombra delle palme. Dopo un po’ di relax riprendiamo la macchina e la strada costiera. Ci fermiamo velocemente ad Anse à la Mouche ed alla bella Anse Louis da dove ammiriamo (a dir la verità con un po’ di invidia…) le splendide ville del Maia Luxury Resort, arroccate sulla collina fitta di vegetazione. Forse il più esclusivo resort di Mahè è composto da una trentina di ville di (udite udite) 250 metri quadri ciascuna e tutte con una piscina privata! Certo, non può essere confrontata con lo Chateau Bleu, ma noi ci accontentiamo della nostra orange room anche perché non potremmo di certo permetterci una notte in questo lussuoso complesso (ci costerebbe molto più della nostra intera vacanza!). Passiamo quindi per Anse Boileau dove vediamo il famosissimo Chez Plume, noto più che per la sua g.H. Per il ristorante che dicono essere uno dei più rinomati dell’isola e poi ancora su verso Grande Anse. Una volta giunti in questo piccolo centro, decidiamo di “tagliare” l’isola per lo Chemin de la Misère, una strada di montagna che ci farà giungere direttamente sull’altro versante di Mahè. La strada, nonostante i tornanti e gli strapiombi è bella da far paura: ovunque immensi alberi ad ombrello, tipici dell’Africa, che svettano imponenti bucando il cielo assolutamente blu. E poi silenzio, totale, rotto solo dal passaggio di qualche automobile o dal grido di uccelli selvatici. Proprio sulla sommità della strada sorge il minuscolo paesino di La Misère…Oddio, forse chiamarlo paesino è un po’ esagerato, visto che si tratta di una decina di casupole che sorgono sul bordo della strada, ma l’atmosfera è davvero particolare. Cominciamo, con prudenza, la discesa finchè arriviamo a metà strada dove una piccola piazzola annuncia un “belvedere”. La sosta è d’obbligo anche per sgranchirci un po’ le gambe (non siamo più abituati a stare seduti in macchina…). Il panorama che si gode dalla piazzola è davvero bello: il porto di Victoria, la piccola cittadina, il mare azzurro e, sullo sfondo l’esclusiva isola di Cerf Island dove sorge un unico, costosissimo resort celato agli sguardi indiscreti da una fitta foresta. Stiamo chiacchierando del più e del meno di fronte a questo paesaggio, gustandoci una sigaretta, quando il mio occhio cade quasi fosse “richiamato”, sulla ruota posteriore della polentina: rimango assolutamente attonito nel notare che è completamente sgonfia! Porca zozza abbiamo bucato!!! E giù a mandare improperi ed a ringraziare il cielo per aver scampato un brutale incidente sui tornanti di La Misère! Alziamo il portellone ed estraiamo tutto ciò che serve per la sostituzione della ruota con il famigerato “ruotino”. E qui abbiamo la prima sorpresa, manca un pezzo di crick (la manovella) sicchè è quasi impossibile alzare l’auto. Nel frattempo si sono fermati vicino a noi una coppia di ragazzi ai quali chiediamo di prelevare il loro kit di sostituzione per vedere se sono dotati della “scomparsa” manovella. Ma nemmeno loro ce l’hanno e quindi, dopo aver rimuginato sul da farsi, non possiamo far altro che ruotare il perno del crick con …Un cacciavite! Fatica immane, ma nel giro di 10 minuti riusciamo a fare tutto, non senza un po’ di incazzatura. Archiviata la foratura riprendiamo il viaggio puntando direttamente a nord, passando prima per Mont Fleuri e poi per il centro di Victoria che lasciamo però subito. Notiamo immediatamente che la costa nord est è completamente diversa dal sud dell’isola: le spiagge sono meno spettacolari, più piccole ed anche un po’ trascurate. Passiamo Anse Etoile, Anse Nord d’Est, il North Point (situato all’estremità più a nord dell’isola) ed arriviamo a Glacis quando il sole sta cominciando a scendere. Parcheggiamo la polentina in un parcheggio provvisorio e precario e scendiamo alla bella spiaggia (diversa da quelle fin qui viste). Dopo una passeggiata decidiamo di fermarci qui per goderci il tramonto visto che il sole ci preannuncia che scenderà direttamente sul mare. Troviamo un piccolo supermercato dove acquistiamo due favolose pizzette indiane totalmente ricoperte di formaggio ed una fresca Fanta e ci sediamo sui massi in riva al mare. Qui dei ragazzini locali ci premiano con uno spettacolo rigorosamente immortalato in decine di foto: salgono sui massi più alti e da qui si buttano in mare. La particolarità è lo sfondo: il cielo rossastro, le nuvole basse, il sole che scende e loro, in controluce, quasi fossero delle figure immaginarie. Foto pazzesche! Quando il sole definitivamente sprofonda, ritorniamo a prelevare la polentina per riprendere la strada verso la nostra g.H. Eravamo infatti d’accordo con il proprietario dell’auto che avrebbe dovuto “collettarla” alle 19.30 direttamente da Jean Claude. Così partiamo in direzione sud che fa già buio (cosa che francamente io avrei voluto evitare assolutamente, vista già la difficoltà della guida a sinistra …). Stefano armeggia con la leva delle luci ma pare che non esistano anabbaglianti: si passa dalle posizioni agli abbaglianti, per cui siamo costretti a procedere con i fanali sparati con conseguenti e comprensibili improperi da parte degli automobilisti che incrociamo. Alla famigerata terza rotonda di Victoria sbagliamo uscita e quindi, invece di prendere quella che viene chiamata “highway” che corre dritta dritta lungo il mare e che in un battibaleno ci avrebbe condotti a destinazione, prendiamo la strada semi montagnosa che passa per Cascade e che ci sembra interminabile. Sappiamo che la strada si ricongiungerà con la highway in prossimità dell’aeroporto ma sembra che non si arrivi mai, con i maledetti abbaglianti che provocano le ire degli altri conducenti. In più, da una decina di minuti abbiamo alle costole un autobus con il guidatore inviperito dalla nostra bassa velocità! Finalmente avvistiamo il piccolo aeroporto di Mahè e da qui in un battibaleno (oramai Stefano affronta le curve montagnose con una destrezza da pilota di formula uno!) arriviamo di fronte allo Chateau Bleu immerso nella quasi oscurità, visto che sono le sette e mezza passate. Jean Claude ci accoglie con il solito sorriso e la solita disponibilità: dopo aver atteso una ventina di minuti senza avvistare l’omino dell’auto, ci consiglia di andare di sopra a farci la doccia per poi andare cena alla Carefree (già dal mattino avevamo deciso di ritornare lì, visto che ci era piaciuto moltissimo il cibo, l’ambiente e la cortesia). Dico a Jean Claude che vogliamo attendere sia per ricevere indietro il tagliandino della carta di credito firmato con un’autorizzazione al prelievo di 1.000 euro, sia per spiegare il discorso della ruota ed eventualmente pagare quel che c’è da pagare. Ma il simpatico proprietario non vuole sentir ragioni: è già tardi, si occuperà lui di tutto, tagliandino e ruota, e telefonerà alla Carefree per annunciare il nostro arrivo e dire che…Ci aspettino, visto che chiudono alle 20.30. Impossibile controbattere, per cui ci dirigiamo verso i piani alti dello Chateau e facciamo una bella doccia rinfrescante. Stefano che ha finito prima di me, scende perché è arrivato l’uomo dell’auto il quale non fa nessun problema per la ruota, strappa e gli consegna il tagliandino (avevo letto un racconto di una ragazza che ha dovuto chiamare la polizia visto che nessuno si era presentato a riprendere l’auto e, men che meno, a consegnare il famigerato tagliandino!). Scendo anch’io e Jean Claude mi strizza l’occhio e mi dice “All right, the wheel is ok, credit card is ok, the restaurant wait you!”. Che dire di più? Con torcia alla mano ci dirigiamo quindi alla nostra ultima cena in questo paradiso e, sorpresa delle sorprese, troviamo nuovamente sedute allo stesso tavolo della Carefree, le due turiste inglesi con le quali facciamo un bilancio della vacanza. Ma arrivano finalmente i piatti: io faccio il bis di bistecca di squalo mentre per Stefano portano dei fantastici spiedini di pesce con riso bianco e patate! Immancabile la papaia fresca condita con abbondante lime. Tutto strepitoso, anche il prezzo visto che spendiamo solo 220 rupie (circa 15 Euro al solito “nostro” cambio)! Torniamo quindi allo Chateau dove, dopo aver dato la buona notte a Jean Claude, ci spaparanziamo sulle poltrone del terrazzo ad ascoltare il rumori della notte di Mahè. Prepariamo quindi i nostri bagagli e ce ne andiamo a letto.

Il mattino successivo ci svegliamo con relativa calma (7.45!!!!) e scendiamo nel fresco portico a gustare la prelibata colazione di Jean Claude che, visto il mio entusiasmo per la marmellata di datteri, me ne ha preparato una bella ciotola! Banane, papaia, toast caldi ed il nostro Nescafè. Questa volta Jean Claude ci dice che il caffè non ce l’ha perché…È troppo costoso! Questa è stata l’unica cosa un po’ strana di tutta la vacanza (lunedì scorso non ce l’aveva perché si era dimenticato di comprarlo, oggi ci dice che costa troppo…Boh!), ma di fronte alla ingenuità con cui ce lo dice, non possiamo far altro che lasciargli le ultime due bustine di Nescafè perché se lo beva alla nostra salute! Portiamo quindi giù i bagagli che riprenderemo più tardi (abbiamo il volo alle 15.00) e ci avviamo al terminal dei bus di Anse aux Pins per andare a passare le nostre ultime ore alla spiaggia di Anse Royale. La spiaggia ci appare completamente diversa dal primo giorno: mare turchese e trasparente, due o tre persone già sotto agli alberi nonostante siano appena le nove di mattina, rocce levigate, palme e alberi di takamaka di un verde abbagliante, insomma, nulla da invidiare alle altre che abbiamo visto fino ad oggi. Ci crogioliamo sotto il sole e dentro all’acqua fino a mezzogiorno quando riprendiamo l’autobus per lo Chateau. Qui salutiamo con una calorosa e vigorosa stretta di mano l’amico Jean Claude, prendiamo i nostri trolley e ci avviamo alla fermata dell’autobus. Quando arriva l’autista ci guarda un po’ storto perché abbiamo i bagagli (di solito, se i bagagli sono grandi, tipo valigia per intenderci, non si può salire sull’autobus perché non c’è molto posto) ma io gli pianto addosso i miei occhioni blu e gli dico “They are small!!”. Allora mi sorride e mi fa cenno di salire. Paghiamo, per l’ultima volta, le nostre tre rupie a testa per la veloce corsa che ci porta direttamente in aeroporto. Il check-in avviene senza troppe formalità in capannelli di paglia e qui ritroviamo Eleonora e Claudio, arrivati da poco da Praslin con un volo interno che ci raccontano la loro avventura di “infiltrati” al Lemurià dove, spacciandosi per ospiti, hanno trascorso una giornata memorabile. Al baracchino dei libri, di fronte al ristorante, acquisto la bellissima e minuscola guida “Seychelles in your poket” che avevo visto allo Chateau e qui ho l’ennesima sorpresa: voglio pagare in euro e la signora mi fa un cambio a…10! Io gli rispondo che deve essersi sbagliata perché, quantomeno, dovrebbe farmi il cambio ufficiale a 11,80. Ma lei non vuole sentir ragioni e così io la frego pagando con la carta di credito! Il cambio ufficiale sarà così assicurato e pagherò la guida 18.76 contro i 22,50 da lei chiesti! E’ ora di andare perché ci chiamano dal piccolo altoparlante. Il gruppo “Seychelles” (siamo scesi e ripartiamo in 29!) si riforma dopo aver sbrigato le formalità. Dall’aereo fanno scendere i “mauriziani”, circa 180 persone che hanno preferito Mauritius al nostro paradiso (buon per noi!!!) e poi, in batteria, risaliamo sull’aeromobile nuovissimo di Eurofly. Il volo va bene e le nove ore passano abbastanza veloci tra un film ed un pranzo abbastanza scarso (penne all’amatriciana, cracker, formaggio philadelphia ed un dolcetto alle mandorle, oltre al solito bacio perugina che all’andata avevo dimenticato sui sedili prima di mettermi a dormire: risultato, il cioccolato spalmato sulla tappezzeria dei sedili azzurra e rosa firmata Fiorucci!). Arriviamo a Milano con una pioggia fitta che non ci abbandonerà più per tutto il tragitto fino a Treviso dove arriviamo alle tre di mattina stanchi e già nostalgici del nostro paradiso. E così finisce anche questo viaggio, nato quasi per scommessa ma rivelatosi davvero incredibile ed indimenticabile. Lasciamo giusto due o tre di consigli, prima delle considerazioni finali: 1) visitate le spiagge al mattino, quando la marea è bassa e l’acqua tranquilla; nel pomeriggio a partire dalle 16.00 le spiagge vengono quasi cancellate dall’alta marea. 2) portatevi, ovunque, una torcia, assolutamente indispensabile non solo a La Digue. 3) Non limitatevi a visitare La Digue e Praslin in giornata, vivetele! 4) Non trascurate Mahè, bellissima quanto le altre. 5) Limitate al massimo il vostro bagaglio: ciò che serve è qualche maglietta, un costume ed un infradito. Evitate gli asciugamani, meglio un pareo: si asciuga prima (i nostri asciugamani si sono bagnati il primo giorno e sono rimasti così fino alla fine della vacanza!). Il resto, sperimentatelo da voi! Alla fin fine possiamo dire che le Seychelles ti lasciano dentro qualcosa di inspiegabile e, pur non avendo moltissima esperienza in merito (di solito facciamo vacanze più avventurose, su e giù per i paesi asiatici), non crediamo che questa sia la solita “vacanza di mare” nel senso più puro del termine. L’esserci costruiti il viaggio come meglio credevamo; non essere rimasti fermi in un’isola come fa la maggior parte delle persone che vengono qui; avere incontrato sulla nostra strada i cari e simpatici amici del gruppo Rosemary; l’aver privilegiato (anche, ovviamente, per una questione economica, ma non solo…) le piccole guesthouses ai resorts di lusso dove, come ci ha detto una nostra amica qualche giorno fa che ha provato l’ebbrezza del Lemurià, potresti essere dovunque, alle Maldive come in Messico o in Repubblica Dominicana. Ecco, tutto questo, e molto altro, forse, ha reso questa vacanza davvero unica.

Ricordo ancora l’ultimo giorno a La Digue quando eravamo un po’ giù per dover lasciare la piccola isola, senza nessuna voglia di andare a Praslin: “A saperlo che qui si stava così bene – ci dicevamo – avremmo prenotato tutta la settimana in quest’isola”. Ma poi anche Praslin ci ha riservato sorprese incredibili, con le spiagge meravigliose (magari meno scenografiche di quelle di La Digue) ed il mare incredibile (questo sì più bello di quello di La Digue). Così come altrettante sorprese ce le ha riservate Mahè che troppi forse trascurano: non perdetevi la zona di Glacis, assolutamente fantastica e selvaggia! Unico rimpianto, non aver potuto fare un giorno in più per poter visitare le isole di Coco e Felicitè, al largo di La Digue.

Però forse questo non è proprio un male perchè ci darà l’occasione per tornare in questo paradiso. Quindi…Au revoir, Seychelles.



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