Utile e dilettevole vacanza lavoro nel cuore della Tanzania

Ci hanno invitato ad andare ad installare dei pannelli fotovoltaici sul tetto dell'ospedale di Kwediboma in Tanzania, dopo il lavoro abbiamo visitato i parchi Ngorongoro e Serengeti. Esperienza interessantissima
Scritto da: ziorico45
utile e dilettevole vacanza lavoro nel cuore della tanzania
Partenza il: 01/02/2019
Ritorno il: 23/02/2019
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €

ESPERIENZA DI VACANZA LAVORO a KWEDIBOMA

TANZANIA febbraio 2019

Ho conosciuto Giovanni Cecchini e sua moglie Daniela nel 1981 in occasione della mia prima vacanza lavoro, in Uganda, in seguito allorché Giovanni si trasferì a Sant’Arcangelo di Romagna fu il pediatra dei miei figli. I Cecchini hanno passato parecchi anni in Africa, li seguii 4 volte in Etiopia. Quando qualche mese fa Giovanni mi chiese se fossi disponibile ad andare a montare dei pannelli fotovoltaici sul tetto dell’ospedale di Kwediboma in Tanzania, la risposta affermativa era pronta ancor prima che finisse di formulare la domanda. In questo ospedale succede che l’energia elettrica erogata dalla compagnia statale, spesso manchi, quindi mentre si stanno eseguendo delle ecografie o radiografie il lavoro viene interrotto improvvisamente. Questa situazione ha fatto nascere l’esigenza di installare dei pannelli fotovoltaici, che generino corrente da immagazzinare in batterie, per garantire continuità d’uso alle apparecchiature cliniche. La Organizzazione svizzera Kammea ha offerto l’impianto. Ho trovato un compagno di missione in Giuseppe e insieme ci siamo recati a Bologna presso il fornitore dell’impianto per farci spiegare l’installazione. Nessuno di noi è competente in materia, quindi prima di partire abbiamo consultato anche altri installatori di questo tipo di impianti. Abbiamo preso appunti, foto e mentre Mario il fornitore ci istruiva ho ripreso la lezione con telecamera. Ci siamo attrezzati, ed ora siamo in viaggio con la speranza di non deludere chi ha riposto fiducia in noi e nelle nostre capacità.

Nel 1956 giunsero a Kwediboma un gruppo di suore Rosminiane italiane ed irlandesi, aprirono un piccolo dispensario con 6 posti letto, adibito alla cura prenatale delle donne, in seguito fu ampliato e nel 1993 il governo tanzaniano contribuì ad elevarlo a “centro di salute completo”. Oggi la struttura si compone di vari reparti: Pediatria, Ostetricia, Chirurgia, Vaccinazioni, Centro trasfusionale, Prevenzione della malaria, Test HIV. Dispone di una settantina di posti letto. A breve verrà attivata la Radiologia. Vi è un progetto per l’ampliamento con la costruzione di nuovi padiglioni.

Venerdì 1 e Sabato 2 febbraio 2019

Volo Ethiopian via Addis Abeba su Dar Es Salam. Non ci siamo premuniti del visto dato che pagando 50 US$ si può ottenere all’arrivo all’aeroporto di Dar Es Salam. Male! Molto male! Impieghiamo 2 ore per ottenere questo benedetto visto, passiamo da una postazione della polizia doganale ad un’altra (4 in tutto!!!). Giuseppe vorrebbe capire, avrebbe mille consigli da dare per ovviare a questa incredibile sequela di passaggi, lo convinco alla fine che in Africa non c’è nulla da capire o da spiegare. All’uscita troviamo un ragazzo con un cartello col mio nome, è Egidio, l’autista della “Consolata Missionaries Procura” è venuto a prenderci in aeroporto. Preleviamo al Bancomat 400000 scellini = a € 155. Ci conducono alla Procure dove ci accoglie Father Tesha, il Padre che dirige questo centro e che si occupa della soluzione di tutte le procedure o problemi dei Missionari della Consolata in Tanzania. Ci mostra le camere dove alloggeremo la prossima notte. Siccome domani dovremo ripartire di buon’ora decidiamo di uscire e fare una passeggiata. Fa caldo e umidità ragguardevole. Camminiamo per un paio di km, raggiungiamo il mare, troviamo una bella spiaggia contornata da piante, all’ombra delle quali ci sono dei tavoli dove la gente beve, i giovani fanno il bagno nella caldissima acqua dell’Oceano Indiano. Ci togliamo le scarpe e passeggiamo con i piedi nell’acqua, alcuni ragazzi dei bar vengono ad offrirci dei cocco, (quelli interi da bere e mangiare la polpa col cucchiaio) ma li tengono al sole, saranno bollenti. Rientriamo. Come succede sempre nelle zone prossime all’Equatore, poco dopo le 19 arriva velocemente il buio. Ceniamo con F. Tesha ed un altro ragazzo, ottima cenetta. Nel giardino c’è un grazioso gazebo di piante, si starebbe divinamente con la brezza della sera, ma arrivano subito nugoli di zanzare. Non ci rimane che ritirarci nelle nostre stanze. Confortevolissima doccia. In camera ci sono zanzariere e ventola a pale sul soffitto.

Domenica 3-2-2019

Sveglia alle 5, ci accompagnano nell’incasinatissima stazione dei bus, prendiamo quello per Handeni, costo 10000 shellini a testa (=4 €). Prima della partenza innumerevoli venditori salgono sul bus per offrire: bottigliette d’acqua, banane, pannocchie bollite, giornali, biscotti ed altro. Alle 6 si parte, il bus è confortevole, pieno di tanzaniani, le donne indossano abiti sgargianti, molto belli. Gli odori africani ci avvolgono, non mi stanco di mirare il caldo colore della bellissima terra rossa. Peccato che durante l’intero percorso, ci torturino le orecchie con video musicali trasmessi sui monitor a volume elevatissimo. Ci dirigiamo verso nord, attraversando una zona verde, piccoli villaggi di casette di fango e tetti in lamiera, fino a Korogwe, poi verso sud ovest fino a Handeni dove giungiamo verso le 12. Ci sono ad attenderci Giovanni Cecchini con sister Zenobìa e l’autista. Prendiamo la strada sterrata verso ovest e percorriamo i 50 km che ci portano a Kwediboma, la cittadina dove ha sede l’ospedale.

Un bel recinto di muro e ferramenta contorna la struttura, i padiglioni moderni sono dipinti di verde e beige, il padiglione della maternità più vecchio è in mattoni, ma sarà presto ricostruito ed ampliato. Raggiungiamo la casa degli ospiti. La casa è molto accogliente, una cucina, una sala da pranzo e soggiorno, 6 camere da letto doppie o con letti a castello. Tutti gli ospiti sono a tavola, ci uniamo a loro: Giovanni e Daniela, la famiglia inglese del dottor Paddy O’Neal e sua moglie Jan (avevamo conosciuto i genitori di Paddy anni fa), ci sono anche Tiziana di Torino, Anya, Fabio e Mathias di Bolzano, questi ultimi 4 fanno parte di una Onlus chiamata “Asante” che in swahili significa “grazie”. Questa organizzazione ha offerto una consistente donazione per il reparto di radiologia, inoltre stanno finanziando un piccolo Helt center (ambulatorio) presso un villaggio masai. Mathias è un ragazzone altoatesino, grande lavoratore, si è messo in una grande impresa, costruire una grotta di Lourdes con pietre a secco, sta preparando le sagome in legno per creare la volta e la cupola sul fondo. Fortunatamente Giovanni lo ha attivato per montare una grande e solida impalcatura, usando le tavole in legno disponibili. Senza questa struttura non saremmo in grado di montare i pannelli sul tetto. Pranziamo con tutti gli altri ospiti. Nel pomeriggio cominciamo a prendere visione del lavoro che ci attende, con qualche difficoltà reperiamo tutto il materiale ed attrezzature, fortunatamente sembra ci sia tutto. Mathias ci sconsiglia di montare i pannelli come da progetto su 5 colonne da 3 pannelli sovrapposti ciascuna, in quanto la copertura del tetto in lamiera ondulata poggia su delle piccole travi in legno che al calpestio potrebbero cedere. Questo eventuale cambio di strategia ci pone qualche imprevisto. Cena tutti insieme alle 19,30. Anya e Fabio ieri sera erano andati nel villaggio poco distante dall’ospedale, nel localino “Amarula” gestito da Giacomo un ragazzo masai che parla molto bene italiano, (ma il suo vero nome è Jacob). Ci dicono che il swahili sia simile all’italiano come impostazione, quindi per loro è facile impararlo, quando vanno a lavorare a Zanzibar incontrano molti italiani ed imparano la lingua italiana. Questo Amarula è una grande stanzona adibita a pub, ci sono molti giovani, musica sparata a mille decibel, si beve birra fresca, qualcuno balla. C’è un piccolo palco, si esibiscono prima 2 ragazzi in un ballo semiacrobatico, poi 2 ragazze ballano mostrando solo il sedere al pubblico e lo dimenano spasmodicamente, anche chinandosi in avanti, infine un ragazzo canta e recita qualcosa di triste.

Lunedì 4-2-2019

Ottima colazione. Si parte. Come prima mossa ci procuriamo una scala, troviamo una botola che permetta l’accesso al sottotetto, con una torcia studiamo la struttura, effettivamente dobbiamo convenire con i dubbi di Mathias, troppo pericoloso calpestare lontano dalle travi principali che distano 160 cm l’una dall’altra. A questo punto stendiamo per terra e misuriamo tutti i cavi di collegamento dei vari gruppi di 3 pannelli. Sembra che i cavi siano sufficientemente lunghi per disporre i 15 pannelli allineati uno di fianco all’altro longitudinalmente. Altro inconveniente, l’impalcatura è lunga circa 11 metri, a noi ora servirà lunga almeno 15 metri. Ok decisione presa, partiamo. Individuata con Giovanni e John, un bravo ragazzo che si intende di elettricità e parla inglese, la stanza dove disporremo le 16 batterie e l’inverter, mandiamo subito John a costruire un banco a 2 piani dove alloggiare le batterie. Ci portiamo i materiali appresso, saliamo e cominciamo a fissare le canaline sul tetto. Si pranza verso le ore 13,30, ma ci riposiamo fino alle 15,30 troppo caldo sul tetto. Lavoriamo fino quasi alle 19 mentre fa buio, ma colmi di soddisfazione, abbiamo installato il primo gruppo di 3 elementi. Oggi sono partiti Paddy e la moglie Jane, li hanno accompagnati a Tanga (sul mare a nord di Dar Es Salam) Daniela, Sister Alberta ed un autista.

Martedì 5-2-2019

Mentre con Giovanni giriamo per i reparti dove dovremo portare la corrente prodotta dai pannelli fotovoltaici capitiamo in chirurgia, nella sala operatoria sono alla fase finale di un taglio cesareo. Stanno ricucendo una paziente, assistiamo e filmo un pò. Lavoriamo sodo fino alle ore 12, quindi accompagnati da John ci rechiamo nel paese in una ferramenta per acquistare dadi e ranelle del 6.

I negozi hanno tutti una inferriata che divide i clienti dalla merce e venditore. Il paese è molto povero, case di rami e fango, alcune in legno, poche in muratura. Lungo la strada principale (sterrata) vi sono piccoli negozi e attività, vediamo la carne esposta al sole, cucinano verdure e carni in un ambiente decisamente poco igienico. Alcuni giovani possiedono una moto, molti il telefono cellulare. La maggior parte delle donne indossano abiti colorati tradizionali, si vedono anche parecchi uomini col classico mantello rosso tipico dei masai. Portano il bastone, caratteristica la postura, appoggiati da qualche parte stanno in piedi su una sola gamba e poggiano il bastone a terra. Alla cintura portano la fondina che alloggia la “seme” (la spada corta). Le bambine che escono da scuola, recano in mano gli attrezzi da agricoltura, indossano la sottana ed il velo. Nel pomeriggio grande mole di lavoro svolto, montati 11 pannelli, purtroppo ci dobbiamo fermare, bisogna allungare o spostare l’impalcatura. Abbiamo fissato al muro la scatola di derivazione dei cavi dai 5 gruppi di pannelli. Oggi Anya, Tiziana e Fabio sono stati ad un villaggio masai accompagnati da Giacomo, hanno visitato il mercato e mangiato con i masai la carne cotta sulla brace, ci hanno mostrato i filmati assai caratteristici. Le suore cucinano per tutti noi ospiti, ci portano le vivande nella casa di accoglienza. Stasera sono tornati da Tanga dove ieri avevano accompagnato Paddy e Jane, Daniela, Sister Alberta e l’autista, hanno fatto tardi, perché un camion ha perso un cavo d’acciaio all’improvviso, il fuoristrada con i nostri amici lo ha raccolto con una ruota e questo cavo ha bucato la coppa dell’olio, fortunatamente erano vicini ad una missione, hanno potuto tappare la falla e proseguire.

Mercoledì 6-2-2019

In attesa di poter estendere l’impalcatura ci dedichiamo ad altro. Passiamo i cavi di derivazione nel sottotetto e li facciamo riuscire di fronte alla finestra del reparto di radiologia dove abbiamo stabilito di piazzare batterie ed inverter, sfortunatamente mancano circa 4 metri di cavo di quelle dimensioni, faremo una giunta e troveremo altri cavi di quella sezione per collegare il sezionatore della corrente che arriva dai pannelli all’inverter. John ci ordina a Handeni alcuni mammut e capicorda robusti che ci mancano, arriveranno con il bus della sera. Piazziamo le 16 batterie, le colleghiamo in serie a gruppi di 4 ed in parallelo i 4 gruppi. La sera dopo l’ottima cena che ci preparano sempre le sisters, (i piatti li laviamo a turno) rimaniamo in compagnia a chiaccherare, e berci una birra, qui è una vita completamente diversa da quella normale io ci sto veramente bene. In questi giorni è sorto un problema. Rispetto al progetto iniziale di ampliamento delle strutture ospedaliere, il capomastro ha effettuato delle fondazioni in modo difforme dal progetto, anche l’ingegnere locale che dovrebbe seguire i lavori ci dicono che sia uscito dal seminato, quindi stanno rifacendo il progetto, Mathias e Fabio coadiuvati da Giovanni, hanno creato un grande disegno in scala 1:25 attaccando con lo skotch diverse tovagliette, questo disegno occupa tutta la nostra grande tavola, ridiscutono e riformulano l’intera planimetria con Sister Alberta e la sua vice, Sister Matilda

Giovedì 7-2-2019

Con l’indispensabile aiuto di Mathias ed un paio di operai dell’ospedale, smontiamo una parte del ponteggio che ci serve per lavorare sul tetto e lo spostiamo di 4 metri dalla parte dove dobbiamo sistemare gli ultimi 4 pannelli. Mentre lavoriamo, il dottor Thomas mi invita a seguirlo durante la visita ai reparti, lo accompagnano nelle visite, una infermiera che traduce anche i vari dialetti ed un altro medico, tutti di colore. Mi invitano a filmare, in modo che io possa documentare lo stato dell’arte di questa struttura. Visitiamo nel reparto di chirurgia le donne che hanno subito taglio cesareo. Mi infilo anche nel reparto maternità dove vaccinano i bambini. Verso le 11,30 in auto con l’autista e sister Zenobìa, percorriamo alcuni km di pista sconnessa e raggiungiamo il villaggio Klegulu, dove ha sede un pittoresco mercato Masai. In un’ampia radura vi è il mercato delle mucche, pecore, e tutto quello che si può trovare in una fiera. I Masai elegantissimi nei loro mantelli rossi, alti slanciati, sono veramente belli. Come ho già detto molti ci salutano in italiano, uno di loro assai intraprendente, dice di chiamarsi Andrea, parla benissimo la nostra lingua, l’ha imparata lavorando a Zanzibar, poi è stato alcuni anni a Parma dove vendeva gelati. Ci fermiamo a chiaccherare, ci invita a casa sua, percorriamo un paio di km a piedi fra le piante e basso bosco, ci dice che non avendo i soldi per costruire muri fra le varie proprietà, loro piantano delle file di caspi di agave ad una certa distanza l’una dall’altra. E’ un chiaccherone senza limiti, dice di possedere 60 mucche, arrivati presso la sua abitazione, ci mostra i serragli per le mucche e pecore, chiama sua madre una gentilissima e simpatica signora, ci offre latte appena munto, io non l’accetto per precauzione, essendoci gli animali, è anche pieno di mosche. Al momento di andarcene la madre ci abbraccia e bacia, come fratelli. Ritorniamo al mercato e ce lo guardiamo per bene, i masai si salutano tra di loro e con particolare rispetto verso gli anziani, tutti ci stringono la mano, ci sono delle capanne a mò di stand, di fronte cucinano e dentro ci si siede e si mangia. I macellai hanno dei banchi con rami e fronde, tra le foglie la carne viene preparata, infilzata su degli spiedi i quali vengono conficcati nel terreno circostante un cumulo di brace, ricorda l’asado in Argentina. Acquistiamo un pezzo di carne, ce lo cuociono, mettono dei rami per terra e sulle foglie viene posato lo spiedo. Il nostro amico masai con la sua “seme” la affetta, quindi pianta un ramo appuntito nel terreno, appende le fette di carne sul bastoncino e taglia fette sottili e le porge a tutti i commensali. La carne è talmente dura o spugnosa che mastichi mastichi, ma non la triti, penso che loro la mandino giù senza masticarla. Si rientra verso le 14, bellissima ed interessante visita a questa fiera oggi. Riprendiamo il nostro lavoro, saliamo sul ponteggio e con l’aiuto di John finiamo di installare gli ultimi 4 pannelli. Proviamo col tester il voltaggio, superiamo i 100 volts, molto bene. Oggi è mancata la corrente elettrica almeno 5 volte. Quindi il nostro lavoro diventa sempre più necessario. Domani partiranno Anya, Tiziana e Fabio, quindi Anya ci propone di andare a bere una birra al pub “Amarula” , con lei e Fabio ci andiamo anche io, Giuseppe e Mathias. Già prima di entrare qualche ragazzo ubriaco ci si avvicina e parla, parla, parla, all’interno qualcuno balla da solo, si avvicinano al nostro tavolo chiedendoci chissà cosa, Anya parla un poco di swahili, viene spesso in Tanzania, qualcosa ci traduce, una donna si siede di fianco a Giuseppe, non capiamo quello che dice, ma accetta una birra, continua a parlare rivolgendosi a Giuseppe. Improvvisamente si accende una discussione, ci dicono per questioni di donne. Ma il livello della musica è talmente elevato che per le mie povere orecchie è una tortura. Dopo la birra ce ne andiamo, rimangono Anya e Fabio, Giacomo il gestore ci accompagna.

Venerdì 8-2-2019

Con l’auto di Giacomo i nostri amici partono diretti verso sud, faranno un safari di 3 giorni nel parco Mikumi. Il programma odierno prevede l’allacciamento del nostro impianto fotovoltaico all’inverter, collegamento delle batterie e prove di utilizzo. All’interno della costruzione della radiologia, col prezioso ed indispensabile aiuto di John, che se ogni tanto non sparisse, sarebbe da santificare immediatamente, portiamo la corrente pubblica all’inverter e da qui ritorniamo con la linea della corrente prodotta dal solare al quadro generale. John si intrufola come un gatto nel sottotetto, conosce le vie da seguire per stendere i cavi secondo le nostre esigenze. Nel pomeriggio, manuale dell’inverter alla mano, proviamo a programmare, come detto non è il nostro lavoro, Giuseppe in elettrotecnica è un po’ più ferrato di mè. La cosa sembra funzioni, connettiamo l’ecografo, Giovanni esegue delle ecografie. Normalmente la corrente pubblica si attesta sui 190-195 volts, il display del nostro inverter ci indica una costante uscita a 230 volts. Ora resta da vedere se domani col sole si caricheranno completamente le 16 batterie.

Circa 1 km ad ovest dell’ospedale, sorge la scuola-orfanatrofio delle suore Rosminiane. Un grande complesso che comprende scuole, refettori dormitori. Alloggia stabilmente una ventina di orfani e 85 bambini che abitano lontano. Frequentano complessivamente le 7 classi giornalmente 230 scolari. In questo complesso presieduto da Sister Lidian coadiuvata da tante sisters indigene, hanno un grave problema di approvigionamento di acqua. Sono state costruite delle grandi vasche di raccolta per l’acqua piovana, ma una è stata costruita con cemento non armato, quindi le pareti sono crepate e vanno demolite, inoltre hanno un pozzo giù in mezzo ad un campo profondo 90 metri con una pompa sommersa che non funziona. Mathias ci chiede di aiutarlo a provare a risolvere il problema. Alle 17 come promesso aiutiamo Mathias nella estrazione della pompa sommersa, proviamo ad allacciarla alla corrente, ma non parte, ormai è tardi quindi la portiamo all’ospedale dove siamo meglio attrezzati, domani mattina faremo delle prove. Passiamo a controllare il livello di carica delle batterie, sembrano cariche.

Sabato 9-2-2019

Stamane partono Giovanni e Daniela, li accompagna con l’autista Sister Alberta, si fermeranno un paio di giorni a Tanga, quindi rientro in Italia. Così rimaniamo in 3 uomini. Naturalmente, come prima azione ci precipitiamo a controllare il livello di carica delle batterie, sull’inverter ci sono 2 indici, dobbiamo capire quale indica l’effettivo livello di carica, speriamo di non aver sbagliato qualcosa nella programmazione dell’inverter. Ma ora dobbiamo occuparci della pompa sommersa, siamo in 3 ma abbastanza ignoranti in elettrotecnica, fortunatamente mi risponde alla chiamata whatsApp il mio amico elettricista Luca, ci fa comprendere che, essendo la pompa a motore monofase,probabilmente lo stater per farla partire dev’essere nella scatola di comando, giustissimo, quindi ritorniamo presso la scuola. Le “regole d’ingaggio” qui sono: porti il materiale, ti accorgi che mancano le attrezzature, quindi ritorni a piedi all’ospedale, devi trovare le chiavi per aprire lo store, ritorni alla scuola, ma servirebbe il tester che ieri sera hai lasciato nella stanza dell’inverter, ma oggi è sabato non c’è nessuno, puoi entrare dalla finestra e torni alla scuola. La pompa non parte, la smontiamo, la parte del motore gira, la parte superiore che alloggia le giranti non si smonta, decidiamo di recarci a Handeni, sister Zenobìa chiama il negozio, hanno questa pompa, ora non c’è l’autista, io ho la patente internazionale posso guidare. Partiamo noi 3 accompagnati da sister Zenobìa come interprete, ma la vecchia Land Rovert fa uno stranissimo rumore sul lato destro anteriore, osserviamo la ruota, il rumore è preoccupante, io andrei lostesso, ma Mathias teme che non riusciremo ad arrivare a percorrere 50 + 50 km di quella pista, vuole andare in bus, con la parte di pompa tracolla ci rechiamo alla fermata dei bus, ci dicono che partirà a breve, ma conviene recarsi nel paesino poco sopra per essere sicuri di trovare un sedile libero, saliamo, attraversiamo un vivacissimo e coloratissimo mercato. Il bus arriverà a breve, ma qui “a breve” significa: “d’ora in poi”, passa il tempo, un signore si offre di accompagnarci in auto, ci accordiamo su 100000 sh. Poi fa salire altre persone, si parte, poco dopo un’ora arriviamo ad Handeni, al negozio, hanno la parte di pompa ed altri accessori. Costo 680000 shellin. Acquistiamo anche un selettore per poter scegliere fra rete nazionale e rete fotovoltaico da inserire nei nostri utilizzi. Provo a pagare con bancomat, ma qui le loro carte di pagamento elettronico hanno i pin di sole 4 cifre. Vado nella vicina banca, ma il massimo prelevabile è 400000 (= € 155,00) per il saldo, alle sisters fanno credito. Ritorniamo alle 16, mangiamo qualcosa, poi via a preparare la soluzione chimica per annegare le giunture dei cavi da immergere nel pozzo. Ci manca un niples di plastica per allacciare il tubo alla pompa, andiamo in paese, ma non si trova, ci toccherà rimontare quello vecchio. Ormai sta facendo buio, ci carichiamo sulle spalle pompa ed il lungo cavo, non possiamo lasciarli in mezzo al campo. Prima di ritirarci per la notte facciamo un sopralluogo all’inverter per controllare la carica delle batterie, carica al 100%, perfetto, ottimo!!!

Domenica 10-2-2019

Due giorni fa mentre raccoglievo la mia biancheria, vidi steso quello che sembrava un abito da sposa, mi chiesi cosa fosse, senza darmi una risposta. Stamane ho trovato la risposta. Vado in chiesa con la telecamera, adoro i canti danzanti religiosi africani. Vedo arrivare una ragazza con abito da sposa e velo sul volto. Decido, farò un film come regalo di nozze per questi due bei ragazzi. Gli sposi entrano cantando insieme al coro abbigliato con una lunga veste bianca a ed una specie di corpetto azzurro. La cerimonia è ricca di canti danzanti. L’omelia del sacerdote in swahili è una performance gradevolissima, i fedeli di tanto in tanto applaudono e ridono, mentre il sacerdote cammina, gesticola. Uno spasso!!! Vengono portati dai fedeli al celebrante, caschi di banane, frutta e cibo. Verso la fine della lunga cerimonia, alcune donne portano una torta di fronte all’altare, un cerimoniere indica agli sposi e testimoni di tagliare a pezzetti la torta quindi gli sposi prendendo un pezzetto di torta con uno stuzzicadenti la porgono in bocca al proprio consorte così anche tra sposi e testimoni. Al momento della firma degli sposi e dei testimoni, il sacerdote mi invita a filmare.

Uscito dalla chiesa vado a congratularmi con lo sposo, parla bene l’inglese mi dice che avrebbe piacere di avere il filmato, gli dico che quando il Dr Cecchini tornerà a Kwediboma gli farò avere un DVD con filmato e foto ed anche una memory stick. Mi chiede quando ritornerà Cecchini, non so, fra qualche mese, ma forse tornerà prima Anya. Mentre parliamo arriva la sposa, ha restituito l’abito alle suore, dico loro che da noi si usa baciare gli sposi dopo la cerimonia, acconsentono, chiedo loro e mi confermano che ora avranno una festa al loro villaggio, ci salutiamo. Anche questo è stato un altro impagabile bel momento di questo viaggio. Nel pomeriggio abbiamo appuntamento con la nostra pompa sommersa, sotto un sole cocente, riportiamo giù nel campo la pompa e il lungo cavo, leghiamo il tutto, colleghiamo il lungo tubo e caliamo nel pozzo. E’ faticoso e non semplice, effetuiamo una prova, arriva l’acqua alla grossa tank situata sul retro del dormitorio dei bambini. Spegniamo causa una perdita, riaccendiamo, non va. Porca Miseria!! Pensiamo ad un problema elettrico, ma non troviamo nulla di anomalo, ritiriamo su con grande fatica e con i calli alle mani la lunga corda, il lungo cavo, il lungo tubo. Il tubo si è sconnesso dal corpo pompa, rimboccoliamo il tubo, ributtiamo giù tutto, ora va ma per poco, chiaro che è finita l’acqua. Decidiamo di soprassedere, incarichiamo Sister Zenobìa domattina di effettuare una carica e rimanere di fronte alle apparecchiature elettriche, appena comincia dare segnali di instabilità fermare il tutto. Intanto tutti i bambini cominciano a prendere confidenza con noi, ci sommergono incuriositi, un bimbo mi porta dei fiori, sono un incanto di dolcezza e simpatia, tutti vogliono venire in braccio. Non assistiamo ad alcun litigio fra bambini, non siamo abituati a questo!! E così anche oggi abbiamo fatto notte. Stasera le Sisters ci sorprendono offrendoci una bottiglia di vino rosso tanzaniani, 18 % alcool!!! Buono ma pesante.

Lunedì 11-2-2019

Di buon’ora Sister Zenobìa ci chiama per comunicarci che la pompa ha pompato acqua per una ventina di minuti, non è molto, pensiamo di allungare il tubo di un paio di metri. Io, Giuseppe e John ci dedichiamo all’allacciamento del’inverter alla Chirurgia, il grosso del lavoro ora lo fa John. È lui che va nel sottotetto, passa i cavi, noi dirigiamo i lavori, installiamo un selettore per poter scegliere fra linea pubblica e solare. Sister Agatha è addetta alla sterilizzazione, riempie l’autoclave di attrezzi ed indumenti, proviamo ad avviare la sterilizzazione, dato che l’autoclave è l’apparecchiatura che assorbe di più in tutto l’ospedale, 3 kw per un’ora. Mentre funziona monitoriamo il display dell’inverter, non fa una grinza, è sufficiente l’energia fornita dai pannelli, senza intaccare la capacità delle batterie. Terminiamo tutti gli allacciamenti, dopo le ore 19,15 quando ormai è buio, lanciamo un altro ciclo di sterilizzazione, senza l’aiuto dei pannelli, con il solo sfruttamento delle batterie, per vedere quanto verranno utilizzate. Ceniamo poi andiamo a controllare alla fine del ciclo, benissimo sembra che le batterie non abbiano perso carica, evidentemente abbiamo consumato una quota irrilevante. Siamo molto contenti. Purtroppo nel reparto chirurgia ci sono ben 3 quadri elettrici che gestiscono le utenze, domani dovremo cercare di riunire tutto attraverso l’unico selettore.

Martedì 12-2-2019

La notte scorsa verso mezzanotte è stata attivata la sala operatoria per un intervento, la corrente pubblica è mancata dal pomeriggio, quando si sono resi conto che non tutte le luci della sala erano collegate all’impianto del solare, hanno attivato il generatore a diesel. Qualcuno aveva lasciato acceso l’interruttore della pompa che riempie il grande tank, quindi con il ritorno della corrente la pompa ha riempito e riempito, Giuseppe si è svegliato mentre l’acqua andava per fossi. Abbiamo dovuto svegliare Sister Matilda perchè ci indicasse l’ubicazione dell’interruttore. Ieri sera anche il serbatoio dell’acqua calda riscaldata da un pannello solare ha cominciato a perdere.

Ci rechiamo nel reparto di chirurgia, impieghiamo l’intera mattinata per venire a capo, e porre tutti i 3 quadri sotto il selettore: Solare/Pubblica. Altro test, con tutte le utenze attivate, poi spieghiamo ai medici, alle sisters ed al personale addetto. Sorridono e ci ringraziano, sono entusiasti di questo “ben di Dio”. Sister Matilda ci chiede di installare il condizionatore d’aria nella sala operatoria. Impieghiamo l’intero pomeriggio per piazzare sia l’erogatore interno che la macchina sull’esterno.

Mercoledì 13-2-2019

Giuseppe e Mathias si sono diretti presso la scuole dove Sister Lilian li ha chiamati per montare un nuovo pannello solare per fornire luce notturna ad un dormitorio dei bambini, essendoci stato un “blackout” di una ventina d’ore il disagio è stato notevole.

Intanto io con John e Jame ci lanciamo alla ricerca di qualche barra di ferro per fare un banco su cui posare la macchina dell’aria condizionata per la sala operatoria, in queste condizioni facciamo il massimo che si può, alle 13 il lavoro è terminato, ora dovrà venire il tecnico con lo strumento del sottovuoto per togliere l’aria nell’impianto e inserire il gas.

Nel pomeriggio tutti insieme ritorniamo alla scuola. Fuori dall’aula gli scolari sono allineati, composti, attenti, un insegnante impartisce loro delle direttive. Entro in una delle 7 classi, 2 sisters insegnanti mi spiegano il funzionamento. Passando di fronte ad un’altra classe vedo dei bimbi che stanno lavando il pavimento della loro classe.

Montiamo un piccolo pannello fotovoltaico e batteria su un edificio dormitorio dei bambini, poi connettiamo delle piccole lampade a 12 volts. Mentre rientriamo verso la nostra casa, di fianco alla strada vediamo delle sisters dedite a zappare o innaffiare delle giovani palme da banane, calzano stivali in gomma, ci dicono per difendersi dai serpenti.

Giovedì 14-2-2019

Ultimo giorno a Kwediboma. Purtroppo, perchè ci sono stato proprio bene, questa piccola comunità ci ha accolto con sorrisi, simpatia, a cominciare dalle sisters, i 2 medici Thomas e Majessah, tutti gli infermieri, i vari lavoratori, tutti i pazienti che incontriamo nell’ospedale, la gente che incontriamo per strada. Ci salutano con “jumbo” “abari” “karibu”

Mi alzo, sento cantare in chiesa, vado ad ascoltare. Abbiamo tanti lavoretti da finire, e tanti ne dobbiamo lasciare incompiuti. Mi reco nella scuola, entro nelle varie aule, gli insegnanti mi accolgono con calore, alcuni fanno cantare i bambini in mio onore, chiedo di poter filmare mentre fanno lezione, no problem. I bambini sono timidi, molto disciplinati e rispettosi, hanno visi vivaci, alcuni molto intelligenti. Vanno dalla scuola materna fino ai circa 13 -15 anni. Nelle aule ci sono lunghe lavagne, che occupano l’intera parete, i semplici banchi di legno ricordano le nostre scuole del dopoguerra.

Oggi devo provare alcune attrezzature destinate al laboratorio, una è ancora imballata nello store. Con Sister Agatha (la responsabile della sterilizzazione) proviamo una vecchia sterilizzatrice a secco, la colleghiamo all’impianto dell’energia solare per vedere quanto assorbe, è talmente vecchia che non ha neppure una targhetta, né il timer, assorbe circa kw 1,5. Quindi le spiego che dev’essere usata in momenti morti. Ci stiamo raccomandando con tutti di usare il solare con parsimonia, spieghiamo di controllare costantemente il livello delle batterie, chiaramente visibile sul display dell’inverter.

Mentre ceniamo, sister Alberta viene a comunicarci l’ora di partenza, ci porta in dono 3 magliette con disegni e scritte masai. Le lasciamo del denaro per l’ospitalità, non lo vorrebbe, ma insistiamo. Più tardi viene a salutarci anche Sister Matilda, ci tiene a ringraziarci e lo ripete molto, io le ribatto che siamo anche noi a ringraziare loro per l’accoglienza, il piacere e il feeling con tutta la comunità.

Venerdì 15-2-2019

Grandi saluti con commozione di tutti coloro i quali siamo riusciti ad incontrare. Alle 8,30 si parte, Suor Alberta, l’autista, Giuseppe, Mathias ed io. Ripercorriamo i 50 km di strada sterrata fino ad Handeni, poi tutto asfalto, ma i frequenti dossi e limiti di velocità ci rallentano parecchio. Ci fermiamo a comprare delle noci di cocco, ne beviamo il liquido e mangiamo lo strato di polpa rinfrescante. Ci fermiamo pressa la scuola delle suore Rosminiane di Muesa, ci offrono il pranzo. Mentre ci avviciniamo al mare troviamo coltivazioni di agave, granoturco, bananeti, aranceti, piantagioni di te, palme da cocco, innumerevoli mango e papaie. Ma non si vede l’ombra di una macchina agricola. Giungiamo a Tanga presso il bellissimo centro residenziale dei frati Rosminiani. Un verde prato e giardino che confina con la spiaggia. Ci sono casupole rotonde a 2 piani con 2 camere per piano, veranda sull’Oceano Indiano. Il tempo di deporre i bagagli e ci tuffiamo nella caldissima acqua, peccato la bassa marea, ci allontaniamo dalla riva, ma il fondale non supera il mezzo metro, tuttavia ci godiamo il bagno, poi una bella passeggiata sulla spiaggia deserta. Incontriamo solo 2 pescatori intenti a ripulire le reti dalle alghe impigliate, più avanti un bosco di mangrovie, in alto dei giganteschi baobab. Questo complesso è un centro di accoglienza, veniamo ospitati e pagheremo la quota. Cena alle 19, ci sono con noi 2 Frati Vincent e Izàia, parlano entrambi un ottimo inglese, intavoliamo una interessante chiaccherata sulla situazione in Tanzania e sui viaggi in Italia di Fra Vincent. Poi ci spostiamo nel giardino, le zanzare non ci sono per via del vento proveniente dal mare, ci facciamo una birra, si sta divinamente. Nella stanza fa caldo e umido, il ventilatore mitiga un poco la percezione del caldo.

Sabato 16-2-2019

Le maree sull’Oceano sono marcate, l’acqua stamane si è allontanata, c’è un grande senso di pace. Facciamo una passeggiata lungo la spiaggia, incontriamo un uomo con una borsa, tra le mangrovie ha raccolto qualche grosso granchio. Più avanti un pescatore ci mostra un polipo ed altri pesci, gli chiediamo se può accompagnarci a fare un giro con la sua “garawa” la tipica imbarcazione di legno di mango con le 2 appendici laterali, ci accordiamo, saliamo siamo in 5, a bordo c’è anche un ragazzino, la linea di galleggiamento si abbassa notevolmente, di conseguenza il fasciame in alto ha delle fessure, imbarchiamo acqua, con una bottiglia di plastica, di tanto in tanto dobbiamo svuotare lo scafo. Navighiamo per circa un’ora, spinti dal leggero vento, fino ad avvicinarci ad una spiaggetta, gettiamo l’ancora e ci tuffiamo nell’acqua color smeraldo. Peccato, non avere le maschere, avremmo potuto vedere qualche bel pesce, Giuseppe si punge nel tentativo di prendere un gigantesco riccio. Il barcaiolo ha strumenti rudimentale per pescare e raccogliere i ricci. Il ritorno è più veloce. Al momento di pagare, come al solito, causa l’inglese, noi avevamo detto 15000, lui dice 50000, ci arrendiamo tanto corrisponde a € 20, ma ci ha fregato pure questo. Ma ne valeva la pena. Rientriamo, una sister ci viene incontro, ci stanno aspettando per il pranzo. Oggi a pranzo c’è anche il signor Chege, un vispo e simpatico anziano, con una folta barbetta bianca, oggi ha sgozzato un montone e lo sta arrostendo su un barbecue, con contorno di banane. Alle 13,30 arriva Sister Alberta, con l’autista è venuta a riprendere Mathias, per il ritorno a Kwediboma. Ci salutiamo, con Mathias avevamo formato un bel gruppo di lavoro. Sister Alberta una vispa ultraottantenne che presiede il gruppo dell’ospedale è simpatica e attiva. Ci auguriamo di rivederci in futuro.

Alle 15,30 ci vengono a chiamare, con l’appellativo “mzungu” (bianco, straniero), ci invitano al tavolo nel giardino dove ci sono diverse coppie con bambini, si festeggia l’anniversario della morte del bisnonno del sig. Chege, si mangia il montone arrosto, con contorno di banane arrostite, ridono e scherzano, ci traducono qualcosa in inglese. Qui nel giardino sull’oceano si sta divinamente.

Domenica 17-2-2019

Brother Vincent ci accompagna alla stazione degli autobus, veniamo sommersi da procacciatori di passeggeri, quasi vengono alle mani nel contenderci, ci consigliano la compagnia Channel 1 Express. Costo del biglietto 13000 shellini a testa. Prima della partenza salgono a bordo tutti i venditori, offrono uova sode, bibite, biscotti, pannocchie arrostite, occhiali da sole, cineserie ecc. Attraversiamo una ampia zona fertile e coltivata, molto verde e rigogliosa. Naturalmente siamo gli unici “mzungu”, il viaggio diventa infinito, tante le fermate per far salire o scendere i passeggeri, i continui dossi sul fondo stradale. Quando giungiamo a Moshi, qualche decina di km da Arusha, facciamo una lunga sosta, gli incaricati si mettono a cercare clienti per riempire il bus. Finale della favola, giungiamo dopo circa 10 ore di viaggio ad Arusha. Per Giuseppe questo trasferimento non è stato entusiasmante, per mè è stata una “full immersion” nel mondo africano, dove non mi stanco mai di sguazzarci. Alla penultima fermata sale un procacciatore, ci si siede vicino e cerca di offrirci un safari, ma noi abbiamo già appuntamento con Isaac dell’agenzia Tomodachi. Infatti appena scendiamo dal bus ci accoglie, con lui c’è Zablon che sarà la nostra guida, ci accompagnano all’hotel Tulia che su nostro accordo ci hanno prenotato, l’hotel è buono e pulito. Ci sediamo e cominciamo a parlare di programmi, intendiamo passare una giornata al Ngoro Ngoro e 2 al Serengeti, dormire in tenda nei campeggi, poi se riterremo prolungheremo eventualmente di un altro giorno al Serengeti. L’auto costa 200 $ al giorno, la guida 50, le tende 30, il tavolo e sedie ecc. Avevo chiesto a Joseph, se fosse stato possibile pagare con carta di credito, avevo capito che si poteva, ora mi dicono che vogliono contante, fortunatamente ne abbiamo di cash, Isaac in mancanza di dollari, ci vuole valutare gli € alla pari dei $ in quanto lui li deve prima cambiare in shellini poi in $, mi arrabbio subito, ci perdiamo almeno il 10%. Poi comincia col dire che io avevo prenotato per 4 – 5 giorni, il costo auto per giorno sarebbe stato di $ 200, ora programmando per 3 soli giorni il costo sale a $ 250, al che mi sono arrabbiato, gli chiedo di ridarmi i soldi e che mi cerco un’altra agenzia, allora risponde che telefonerà al suo capo e vedrà di lasciare la tariffa a 200. Ne riparleremo domattina. Domani andremo a prelevare con bancomat, ci sarà da litigare di nuovo, pensano proprio di spremerci come limoni!!!!

Ceniamo nel ristorante dell’hotel, ottima cenetta con poca spesa.

Lunedì 18-2-2019

Alle 7,30 la nostra guida Zablon, viene a prenderci all’hotel, passiamo presso un ATM, preleviamo 400000 shellini ciascuno, spesa di vivande e frutta, passiamo all’ufficio della Tomodachi a saldare il conto non prima di essere passati ad informarci in una banca sulla veridicità della trafila dei cambi. Pieno di gasolio, Zablon ci consiglia di prendere presso un ristorante 3 “cestini” con cibo, bibita , frutta e dolce. Se fossero un tantino organizzati, avrebbero potuto farci trovare il pieno nel serbatoio, la bombola del gas piena, tende e sedie già caricate, invece perdiamo parte della mattinata per queste adempienze.

Si parte, prendo io la guida del nostro Toyota Land Cruiser. La strada è ottima. Arriviamo all’ingresso del Ngoro Ngoro Crater Parck, l’ingresso è rimasto come allora quando venni una ventina di anni fa con la mia famiglia. Perdiamo un’altra oretta, ci devono inviare il numero del permesso d’ingresso. Oggi l’ingresso costa un occhio della testa, 253,5 $ a testa, più 29730 shellini per la guida. Tutto il parco è abitato dalla comunità dei Masai, incontriamo molti caratteristici villaggi composti di case semisferiche di fango, disposte a circolo, con un recinto di pali di legno conficcati nel terreno. All’interno e nei dintorni vediamo i Masai col loro tipico mantello rosso. Per poter entrare o fotografarli chiedono (giustamente) del danaro, in cambio ti fanno entrare nel villaggio e si mettono a ballare i loro caratteristici balli saltellati. Li vediamo pascolare branchi di bovini, greggi di ovini, anche dromedari. All’interno del parco Zablon prende la guida del veicolo, il grande problema di questo veicolo è che ha il cambio automatico, mentre scendiamo giù nel cratere il conducente deve frenare continuamente, tanto che ad un certo punto i freni fumano e perdono la loro funzione frenante, deve utilizzare il freno a mano, fortuna che siamo quasi arrivati in fondo ai 600 metri di dislivello, problematica anche la risalita, il cambio automatico tarda a ridurre le marce, rallenta molto producendo sussulti. A parte questo, il cratere è una magnificenza, si avverte un senso di pace, il lago al centro gremito di fenicotteri, trasmette serenità. Incontriamo gazzelle, facoceri, grandissimi branchi di zebre e gnu, struzzi, qualche elefante, in lontananza 2 rinoceronti, famiglie di babbuini, bufali, tante specie di uccelli, sciacalli, vediamo anche lui, il leone, sdraiato in mezzo all’erba, su un piccolo rialzo che sembra un pulpito, peccato un po’ lontano, tiriamo al massimo lo zoom e lo ammiriamo. Risaliamo sul bordo del cratere, ci dirigiamo al campeggio, su un ampio prato ci sono già parecchie tende, montiamo le nostre mentre sta calando il buio. Ci sono nei pressi 2 grandi saloni, uno per cucinare, l’altro per pranzare e convivialità, ci sono delle lampade, acqua e prese con energia, bagni con docce, tutto assai confortevole. Siamo in alto fa freschino. Stanotte ci dovremo coprire.

Martedì 19-2-2019

La notte è stata fredda e molto umida, 2 grossi bufali hanno brucato l’erba tra le nostre tende fino a tardi. Colazione, smontaggio delle tende bagnate e filiamo via lungo l’interminabile pista che scende le pendici del vulcano e conduce all’ingresso del Serengeti. Mentre la pista scende, ci fermiamo ad ammirare alcuni scorci di valli con laghetto, pareti delle montagne verdi, i villaggi Masai, i pascoli. La zona è coperta di acacie spinose, cibo prelibato delle giraffe, infatti ne vediamo parecchie mentre si cibano o passeggiano tranquillamente. Incontriamo ancora branchi di zebre, di gazzelle, struzzi, alcune iene. Ci fermiamo all’ingresso del Serengeti, ci accorgiamo che il nostro veicolo perde olio dal cambio, non è una buona cosa, anche i freni non godono ottima salute dopo la scottata di ieri, alternano momenti di efficienza con altri di inefficienza, non siamo tranquillissimi per la sicurezza. Bisognerà passare in un garage che c’è all’interno del parco. Procediamo nella visita speranzosi di poter incontrare gli animali che contano, ma non siamo fortunati. Vediamo seminascosto su un albero un leopardo, incontriamo delle antilopi, vediamo parecchi ippopotami che si spruzzano addosso la loro puzzolente acqua, quando è ferma, la piscina è una latrina, peccato!! Ora proviamo a scovare lui, ma giriamo e rigiriamo a lungo nella sua zona, siamo sfortunati, nessuna traccia di leoni. Alle 16 Zablon ci accompagna al campeggio e scappa verso l’officina del parco per vedere di sistemare il veicolo. Mentre montiamo le tende spioviggina. C’è in questo campo un piccolo ristorante, prendiamo una zuppa di verdure ed un piatto di riso con verdure e pezzetti di carne, costo sh 10000 (= € 4). Alle ore 20 passate, di Zablon nessuna traccia, non abbiamo il numero del suo telefono, mando un messaggio a Isaac, mi risponde dicendo che sta tornando, arriva verso le 21, dice di aver risolto il problema dei freni, per la perdita d’olio del cambio non hanno il ricambio, hanno cercato di ridurre il danno e gli hanno dato dell’olio di scorta. Speriamo bene, ma non siamo tranquilli sull’efficienza di questo veicolo, specialmente in salita, alle volte non si innestano le marce, bisogna fare un po’ di retromarcia poi magari prende, ma la preoccupazione maggiore è per i freni, su queste piste dissestate. Ci accordiamo di alzarci presto domattina per partire appena albeggia, per il “lyons game drive” (andare all’incontro coi leoni)

Mercoledì 20-2-2019

Mi sono svegliato alle 1,45 per un violento temporale con tuoni, fortunatamente non è durato molto. Ci alziamo alle 5,30 partiamo alla ricerca del leone, ma non siamo molto fortunati, avvistiamo un paio di coppie non troppo vicino, o dormono o passeggiano tranquillamente, ma quello che sorprende è la scarsità di animali. Quando venni in questi parchi con la mia famiglia 20 anni fa,

Allora vedemmo tantissimi animali, leoni a caccia, questa volta è una delusione completa. Vediamo grandi gruppi di zebre, qualche gnu, alcune iene, non un elefante, probabilmente bisognerebbe spostarsi da altre parti di questo vastissimo parco. Ma il cambio ed i freni dell’auto preoccupano, ritorniamo al campo per ritirare le tende, fare colazione e ripartiamo velocemente. Mentre stiamo uscendo dal Serengeti incontriamo in una radura un’altra coppia di leoni. Dobbiamo pagare ulteriori

160 $ come tassa di solo transito per riattraversare il parco Ngoro Ngoro. Durante una sosta incontriamo 3 donne masai, trasportano sulla schiena, ognuna un grande e pesante fascio di legna, legato con una cinghia sostenuta dalla fronte. Cominciano le pene, il cambio peggiora, riusciamo ad uscire, guadagniamo la strada asfaltata, ma dopo pochi km ci dobbiamo arrendere, Zablon chiama un’auto per venirci a prendere quando mancano poco più di un centinaio di km ad Arusha.

Ci dispiace per Zablon che è stato molto gentile e disponibile con noi. Rientriamo con la coda tra le gambe per come è andato questo sfotunatissimo safari. Torniamo all’hotel Tulia. Una buona doccia e buona cena.

Giovedì 21-2-2019

Scrivo subito un messaggio a Joseph e Isaac per lamentarmi di tutte le mancanze di questo safari e intimo loro che se non ci restituiranno almeno 400 € scriverò una pessima recensione su TripAdvisor, e parlerò anche con una signora di Milano che è partita per un safari organizzato da loro e che è titolare di una agenzia viaggi. Arriva immediatamente Isaac e mi chiama da Roma Joseph, dico loro che a causa della loro auto il nostro safari è stato un disastro, quindi ci devono risarcire almeno in parte, dicono che ne discuteranno e mi faranno sapere. Intanto io e Giuseppe usciamo per una passeggiata in centro città, ci tuffiamo in un colorato mercato. Io compro delle stoffe colorate che si possono usare sia come tovaglie che per confezionare abiti da donna. Lungo tutti i lati delle strade micro commercianti espongono le loro merci, da chi vende poche banane, chi arrostisce pannocchie e tuberi, scarpe, ciabatte e cianfrusaglie, i venditori aspettano pazientemente che qualcuno si fermi a comprare. Negli angoli e lungo i bordi delle strade stazionano molti giovani seduti sulle loro moto si offrono per passaggi.

Facciamo conoscenza con Camille una ragazza francese di 22 anni, studente di diritto internazionale è arrivata ieri per frequentare uno stage della durata di 5 mesi di diritto internazionale africano, ad Arusha ha sede una corte. Ora sta in albergo mentre si cerca un alloggio, lunedì comincerà il corso. Una ragazza “con le palle”!! Camille viene con noi a fare una passeggiata in centro nel pomeriggio. In questo albergo c’è un gran viavai di gente che arriva o parte per safari o escursione sul Kilimanjaro. Telefoniamo a Kwediboma, John ci conferma che l’impianto fotovoltaico funziona a dovere e che sono molto contenti.

Venerdì 22-2-2019

Stamane grande acquazzone, poi sole. Stiamo passeggiando in città quando veniamo raggiunti da una chiamata telefonica di Isaac, ci accordiamo per incontrarci in hotel alle ore 12. All’appuntamento viene con un ragazzo che parla italiano, è una guida, dice di averci incontrato nel parco mentre eravamo fermi e di aver parlato con Zablon, quindi è al corrente della nostra storia. Dice di chiamarsi Luigi, tutti i tanzaniani che parlano italiano si presentano con un nostro nome. Discutiamo, Luigi ci capisce e dice che capita spesso che i turisti non siano contenti di come vanno le cose, ma noi abbiamo rischiato causa la rottura dei freni, inoltre secondo il nostro parere avrebbero dovuto sostituirci la macchina. Isaac ci propone come indennizzo 100 $ allargo le braccia in segno di dissenso totale, non vogliono capire, il nostro parere sulla loro agenzia non cambia, inutile insistere, chiediamo che almeno domani ci accompagnino all’aeroporto Kilimanjaro, in hotel ci avevano chiesto € 45, accettano. A questo punto saremo costretti a pubblicare una recensione negativa nei loro confronti. Nel pomeriggio facciamo una passeggiata in una parte più periferica e povera, con strada sconnessa, vediamo delle scuole con tanti bambini che giocano, tutti ci salutano adulti e bambini. Tre signore che stanno camminando nella nostra direzione ci salutano, facciamo amicizia con Domino, una insegnante di scuole primarie, siccome Giuseppe vorrebbe acquistare dello zenzero, Domino ci accompagna per un lungo percorso fino ad un immenso mercato di frutta e verdura, in parte coperto, stracolmo, ha piovuto quindi le merci sono esposte per terra sopra dei teli, si cammina nel fango, fra le carote, peperoncini, banane, c’è una confusione infernale, gente che urla.

In Tanzania la religione prevalente è quella musulmana, ma nelle città si vedono poche donne velate, le giovani vestono per la quasi totalità alla occidentale, indossano pantaloni attillati e magliette che risaltano e modellano i corpi.

Sabato 23-02-2019

Isaac ci accompagna da Arusha all’aeroporto Kilimanjaro, peccato il tempo nuvolo non ci permette la vista della montagna più alta del continente.

E così siamo giunti all’epilogo di questa breve ma intensa esperienza africana.

Per dirla con una frase: “se poniamo che in questa esperienza io abbia dato 10 all’Africa, indubitabilmente io ho ricevuto 100”.

Asante sana Tanzania

Riccardo



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