Penisola di Kola

Viaggio in un territorio selvaggio dove il tempo sembra essersi fermato e la tecnologia ancora molto lontana. Stili di vita semplici...
Scritto da: Luna Lecci
penisola di kola
Partenza il: 04/08/2012
Ritorno il: 12/08/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Un viaggio pilota: siamo tra i primi turisti in maestose, e in gran parte inesplorate, distese di territorio selvaggio dove il tempo sembra essersi fermato e la tecnologia ancora molto lontana. Stili di vita semplici come quelli che si vivevano …

· Premessa

04/8/12- giorno: Roma-San Pietroburgo- Murmansk

05/8/12- giorno: Murmansk

06/8/12- giorno: Kandalaskha-Umba-Colviza-Kutzreka-Kashkarantsy-Varzuga-Kozumen’

07/8/12- giorno: Kuzomen’-Capo Amethisty-Chavanga

08/8/12- giorno: Chavanga

09/8/12- giorno: Chavanga

10/8/12- giorno: Chavanga- Tetrino-Chavanga

11/8/12- giorno: Chavanga-Varzuga-Tonya Tetrchna-Umba

12/8/12- giorno: Umba-Lovozero- Murmansk–San Pietroburgo

Conclusioni

Premessa

Cosa ci ha spinti a scegliere una meta come la sperduta penisola di Kola? Essere tra i primi turisti in questo tipo di viaggio che, solitamente, intraprendono i pescatori (di salmoni e di salmonidi) provenienti prevalentemente dal nord Europa e dal Canada e ben poco interessati alle tradizioni locali, alla visita dei villaggi, allo scambio interculturale. Si tratterà di un viaggio pilota proposto da Stelle d’Oriente (www.stelledoriente.it), distribuito dal tour operator Barby Viaggi e avente come tour organizer Roberto che, assieme alla figlia, partiranno con noi per testare la possibilità di riproporlo come futura destinazione. Il requisito richiesto era un buon spirito di adattamento e la selezione per partecipare alla spedizione è ricaduta su di me, sul mio boy e su una coppia di Verona viaggiatrice in luoghi poco battuti. L’operatore locale al quale si appoggia quello italiano è Vasyl, una nota guida di pesca al salmone, che fino ad oggi, nel corso dei suoi 15 anni di esperienza, ha solo ed esclusivamente organizzato battute di pesca in quel tratto di costa per gruppi da 3 a 8 persone e nessun altro svolge lo stesso lavoro. Una prima esperienza per tutti. Ovviamente prima di partire avevamo un programma concordato tra gli operatori, un tragitto da seguire, le mete che avremmo toccato, i tipi di alloggio, alcune possibili difficoltà, consigli da mettere in valigia… ma il vissuto ha superato, a volte nel bene, altre un po’ meno, l’immaginazione. Vasyl, bielorusso, si trasferisce nella penisola di Kola tutti gli anni da maggio a ottobre e solo in due circostanze, questa sarà la terza, porta con sé la moglie che lo assisterà, supporterà, preparerà la maggior parte dei pasti. Il costo totale del viaggio è stato di circa € 2.400 a persona (€ 1.650 solo il tour, € 600 il volato da Roma, € 120 per l’ottenimento del visto, delle lettere d’invito e dell’assicurazione), sicuramente un po’ costoso, ma nessuno aveva metri di giudizio.

4 agosto 2012

Volo da Roma (Fiumicino) a San Pietroburgo (Pulkovo) con la compagnia aerea Rossiya Airlines, durata del volo ore 3,45. Partiamo puntuali alle 12,50 e arriviamo, ora locale, alle 18,35 (fuso orario: due ore in più rispetto all’Italia). Durante il volo ci servono un pasto (a scelta pesce o pollo) commestibile, ma un po’ scarso. Giunti a destinazione e velocemente sbrigate le formalità di sbarco, dobbiamo raggiungere, dal terminal 2 dove ci troviamo, il terminal 1 da dove partiremo per Mursmark, capoluogo dell’omonima “regione” nonché il più grande porto marittimo della Russia settentrionale. Presso il banco informazioni transfert comunicheremo a un’addetta quanti siamo, da dove veniamo, la destinazione e l’orario di partenza del volo. Ci chiamerà dopo un’oretta e il viaggio su un pulmino durerà una decina di minuti. Ammazziamo il tempo navigando gratuitamente su internet, socializzando con gli altri membri del gruppo: una coppia di Verona, l’accompagnatore-tour operator e sua figlia. Cambiamo € 100 presso un ufficio cambio con rubli 3300, ovviamente riceviamo meno soldi di quelli che ci avrebbero dato le banche (rb 3880), ma in aeroporto l’alternativa è prelevare dal bancomat pagando una commissione.

5 agosto 2012

Volo da San Pietroburgo (Pulkovo) a Murmansk con la compagnia aerea Rossiya Airlines, durata del volo ore 2. Partiamo all’1,10 e arriviamo alle 3,10. Durante il volo ci servono un panino con bibita. Ad aspettarci puntuali troviamo quella che sarà la nostra guida-autista Vasyl e l’assistente-cuoca Elena, sua moglie. L’accoglienza, nonostante i 7°C, è calda e affettuosa. Con un pulmino Ford Transit rosso a nove posti raggiungiamo, in una quarantina di minuti, il S-Terminal Hostel (s-terminal@8k.ru, tel. +7.953.300.31.31) dove le stanze (rb 2500 circa) sono grandi, pulite e con tre bagni esterni dotati di doccia idromassaggio. I proprietari ci ricevono dandosi un gran da fare, ci offrono tazze di latte, caffè, tea bollente e merendine che, nonostante l’ora, accettiamo volentieri. Ciò che ci colpisce subito è la luminosità del cielo. Non è assolutamente buio, anzi. Lo sapevamo, ma ritrovarsi a vivere, seppur per qualche giorno, in una parte del mondo in cui le ore di luce sono 22, è stupefacente. Andiamo a letto alle 4 con sveglia alle 10,30. Che bello, stiamo nella più grande città del mondo all’interno del Circolo polare Artico!

Non riusciamo a dormire molto seppure la stanza è confortevole, il letto è comodo, il piumoncino abbastanza caldo. Sarà perché entra tanta luce viste le tende poco spesse o per la stanchezza del viaggio o per l’eccitazione del tour. Più che notte bianca, notte in bianco! Ci ritroviamo a fare colazione nella cucina comune dove la sig.ra Svetlana, la proprietaria, ed Elena preparano, per ciascuno di noi, un uovo sodo, dei bliny (crêpe ripiene di ricotta dolciastra), una tazza di kàscia (grano saraceno cotto nel latte con zucchero e volendo marmellata o miele), uno yogurt, un toast con sottiletta, tea e caffè a volontà. Prima tappa di questa importante base navale, centro dell’attività sottomarina sovietica, è la nave rompighiaccio Lenin (Museum Icebreaker Lenin), una delle prime a propulsione nucleare. Siamo sul porto, che grazie a una calda corrente atlantica, nonostante il freddo invernale, non ghiaccia mai e “ci cadono le braccine” quando vediamo che anche qui Moccia ha lasciato il segno: molti lucchetti, diversi a forma di cuore, sono attaccati alla ringhiera del molo! La visita guidata in russo, che inizia ogni ora (rb 150 a testa) e dura più di mezz’ora, sarà molto interessante e ci riporterà indietro nel tempo, a quasi mezzo secolo fa, tra cabine, mense, stanze di rappresentanza, sale motori, studi medici (dentista, chirurgico, sala raggi…) e posti di comando.

Facciamo una passeggiata su una via piena di negozi le cui vetrine espongono indumenti che in Italia forse indossavano sessant’anni fa; entriamo per curiosità alla stazione ferroviaria stile “dott. Zivago” e alle 14 conosciamo la guida locale, Irina, che in un inglese perfetto ci darà informazioni sulla nascita di Mursmank – fondata nel 1915 in concomitanza con la costruzione della linea ferroviaria verso Kola –, sul clima, sulla vita del luogo passata e attuale. Ci racconta che si sviluppò una decina di anni dopo quando s’intensificò l’attività portuale grazie alla pesca, al trasporto di legname e di numerosi minerali. Molte sono le industrie, prevalentemente cantieristiche, metallurgiche, del legno e ovviamente del pesce, così come tanti sono gli alti e lunghi palazzoni grigi, piatti (perché privi di balconi, al massimo con qualche veranda) che non rendono per niente attraente la città.

Entriamo dentro il Monumento al Faro eretto in onore ai tanti marinai morti e ricordiamo esattamente 12 anni fa la tragedia del sottomarino a propulsione nucleare Kursk in cui persero la vita, probabilmente per l’esplosione di un siluro difettoso durante un’esercitazione militare navale, più di cento persone; visitiamo l’attigua Chiesa del Salvatore sulle acque all’interno della quale si può pregare, accendendo una differente candela, l’icona di San Nicholas se si è viaggiatori e si chiede protezione, quella di San Basilio per la salute, quella della Madonna con il Bambino se si è in stato interessante… Un bigliettino scritto e una preghiera davanti al Crocifisso servirà per ricordare i cari defunti. Alcuni devoti donano cibo che verrà a sua volta dato a credenti più bisognosi. Davanti alla chiesa e attorno alla limitrofa grande àncora di ferro, a terra troviamo tanti pezzetti di carta colorata, diversi spicci e schegge di vetro. E’ usanza delle coppie di sposi brindare con champagne, far cadere i bicchieri ed essere “bersaglio” di monetine e coriandoli a forma di cuore. Ci spostiamo poi, assistendo a cambiamenti repentini di clima: da un piacevole sole (15°C) a momenti di pioggerellina con venticello freddo, su un altopiano a nord della città da dove ammiriamo il grande fiordo (a nord-est il polo nord e a sud-ovest la Finlandia). Siamo a una trentina di km dal Mare di Barents e domina imponente la statua in cemento, alta circa mt 40, di Alyosha, un soldato russo, avvolto da un cappotto, con un fucile a tracolla sulla spalla e lo sguardo rivolto al fronte finlandese, costruita in memoria ai soldati dei soviet, marinai e avieri russi morti in tutte le guerre. Davanti al monumento arde la fiamma eterna su una piattaforma di marmo, appoggiati sulla base tanti cuscini di fiori e dietro una stele commemorativa. Salutiamo Irina all’entrata del Museo Regionale della storia, dove sarà interessante vedere flora e fauna locali, in particolare gli animali imbalsamati (orsi, renne, alci, volpi, ghiottoni, gufi…) che potremmo incontrare o i cui resti sono stati ritrovati nei paraggi e i minerali di cui sono ricche le rocce. Tanti sono anche i reperti delle culture Pomor (primi colonizzatori delle coste artiche del Mar Bianco) e Sami (Lapponi russi prevalentemente nomadi allevatori di renne), le testimonianze delle esplorazioni polari e armi dalla rivoluzione bolscevica alla seconda guerra mondiale. Alle 18 il brunch di stamattina è bello che digerito, un po’ di fame si fa sentire e ci consigliano di cenare all’interno di un centro commerciale presso il ristorante Crusca (www.krugka.ru), un grandissimo locale che sembra molto turistico ma che si rivelerà frequentato da tanta gente del luogo (d’altronde di turisti almeno nella giornata di oggi non se n’è vista neppure l’ombra) dove il menu propone carne, pesce, zuppe, insalate e dolci. La mia scelta ricade sul piatto unico salmon primaver: un bel trancio di salmone con cremina di ostriche, uova di caviale, insalata di riso, pomodoro e cetriolo per la modica cifra, boccale di pìva=birra compreso, di rb 530. Rientriamo in Hostel e, curiosi di vedere il sole tramontare, tra un tea, una vodka e una passeggiata nelle viette attigue, attendiamo il buio. All’1,30 assistiamo al passaggio diretto dal crepuscolo all’alba (siamo al 69° parallelo!).

6 agosto 2012

Colazione abbondante quanto ieri, tanti saluti alla gentilissima Svetlana e finalmente iniziamo il vero tour della penisola di Kola, che taglieremo perpendicolarmente verso sud per 300 km. La strada è abbastanza buona e mentre la percorriamo, ascoltiamo i racconti della guida sullo sfruttamento delle montagne limitrofe ricche di giacimenti di nichel, di ferro… e sulla costruzione d’impianti chimici nel cosiddetto distretto minerario. A Kandalaskha ci fermiamo solo per fare rifornimento di viveri presso un grande supermercato e a Umba cambiamo il mezzo: lasciamo il Ford Transit per proseguire su un pulmino Uaz 3741 guidato da un ex militare con un piccolo carrellino a rimorchio che trasporterà le valigie e l’abbondante spesa acquistata per i prossimi giorni. Ogni tanto superiamo dei piccoli ponti su fiumiciattoli, tipici scenari da montagna, fotografiamo il fiume Colviza che sfocia in un grande lago sulle sponde del quale consumiamo un gustoso picnic. Costeggiamo il Mar Bianco e pit stop panoramico presso il villaggio di pescatori Kutzreka per immortalare le casine di legno color delle fiabe (verde smeraldo, fucsia, turchese…) dove il tempo pare si sia fermato. Veloce visita a Kashkarantsy, un villaggio di cultura Pomor, dove abitano meno di 100 persone e presso il quale iniziamo a vivere in un’atmosfera surreale, una dimensione ovattata probabilmente dovuta all’intensa nebbia e foschia che avvolge tutto. Lungo la strada, una croce segnala il memoriale a un Pope, un sacerdote portato dal mare chissà da dove e in onore al quale fu eretta una piccola cappella. Per accedervi superiamo un tratto di boscaglia, dove funghi (anche porcini), ribes, mirtilli e bacche varie ci distraggono un po’. Penultima tappa al villaggio di Varzuga, posto sull’estuario dell’omonimo fiume dove caratteristiche sono le tre chiese di legno ortodosse che si ergono su una piazza. La prima è quella moderna che visitiamo e dove i varzugani (si chiameranno così?) vanno a pregare, la seconda è del 1674 ed è sempre chiusa, l’ultima ha un piccolo cimitero adiacente, dove i fiori coloratissimi sono finti e l’immagine del defunto è scolpita o disegnata sulla lastra di marmo. Un alto campanile di legno, costruito da un sacerdote in meno di due anni e oggi fatto funzionare dalla vecchietta che custodisce la chiesa nuova, si erge sulla medesima piazza dove un ragazzo sta cercando di riparare un pulmino Uaz guasto ascoltando musica a tutto volume (cambiano i ritmi ma tutto il mondo è paese). Un termometro segna 14C° ma secondo me non funziona! Fa molto più freddo! Per rendere l’idea dell’atmosfera che stiamo vivendo, cito una frase del veronese compagno di viaggio “note balcaniche danzano tra rottami di fede ortodossa, echi di corvi e cornacchie ci confondono tra Hitchcock ed Eisenstein e il rintocco di una campana si fonde ai tremolanti fari fiochi di una Lada”. Percorrendo una strada non asfaltata prima in mezzo a un bosco adagiato su un tappeto di muschio bianco (un panorama da film di fantasia), poi superando un deserto di sabbia, creato dall’estuario del fiume, dove troviamo qualche difficoltà per le pozzanghere enormi come laghetti causate dalla pioggia delle ore precedenti, raggiungiamo Kuzomen’, un villaggio del XVII secolo, dove pernotteremo presso una guest house tutta a nostra disposizione. La cucina è già apparecchiata e la cena quasi pronta: brodo di pesce e patate, tranci di trota, di salmone e di persico, alta frittata di patate, cipolle e pesce, pane, dolci e vodka a volontà. Dormiremo tutti nell’unica stanza con sei letti e, con grande spirito di adattamento, alcuni andranno in bagno: un buco su una “panchina” di legno posto in una microstanza maleodorante all’esterno della casa. Inutile dire che sarà molto più igienico andar per prati! Del resto i villaggi non hanno rete fognaria e acqua corrente, se l’avessero la civiltà turistica li avrebbe già raggiunti e non saremmo stati i primi?! Dopo cena qualcuno farà una lunga passeggiata lungofiume, altri giocheranno a carte o cercheranno di addormentarsi per primi. Scrivendo questo reportage, mi godo il silenzio che solo in posti come questi si può ancora ascoltare. All’una tutti a nanna anche perché qui è più buio (66° parallelo!).

Oggi è d’obbligo un consiglio per le dotazioni da bagno. Sono inesistenti o insufficienti. Gli organizzatori riforniscono la carta igienica, ma è bene portare almeno un asciugamano, shampoo e bagno schiuma oltre a numerose salviette umidificate. Non sono invece necessarie coperte o sacchi a pelo. Con stufe a legna o elettriche o spessi piumoni all’interno delle abitazioni non si soffrirà il freddo.

7 agosto 2012

Abbondante colazione dolce e salata… poi partiamo per un impegnativo viaggio lungo la costa con meta finale il villaggio di Chavanga. Il primo mezzo che utilizzeremo è un camion ZIL 131 4WD militare marroncino con una grossa croce rossa disegnata sui fianchi e sul portellone posteriore, sicuramente un residuato bellico di pronto soccorso della seconda guerra mondiale. Siamo sorpresi per la sua imponenza e tra qualche risata e sforzo saliamo a bordo e ci stipiamo tra i tanti bagagli e cartoni di viveri. Arriviamo sull’estuario Varzuga, indossiamo le calosce e trasbordiamo tutto su una barchetta di legno stretta e lunga che due alla volta ci trasporterà dall’altra parte del fiume dove visitiamo un altro villaggio di pescatori abbandonato e abitato da un’unica famiglia. In una costruzione sopra la quale un tempo si leggeva una scritta con circa questo significato: “Il lavoro nobilita l’uomo” sono ancora conservate tante àncore, reti buttate in acqua per creare dei recinti dove erano indotti prevalentemente i salmoni in seguito pescati, conservati in grossi catini e portati una o due volte a settimana nel primo centro più grande per lo smistamento. Proseguiamo il tragitto su un altro mezzo militare, un camion ZIL 157 6WD sulla cui fiancata appare la scritta “Militaria.pl, shooting & outdoor” che sulle sue solide 6 megaruote si rivelerà idoneo a superare le parti più impervie del terreno: dossi di sabbia, fiumiciattoli, rocce… mentre noi all’interno, dividendo il poco spazio anche con una vecchia stufa a legna, siamo sballottati da una parte all’altra. Ci fermiamo spesso per “riprender fiato”, per darci il cambio accanto all’autista che ha adornato il cruscotto attaccando l’adesivo “here smoke” e la calamita immaginetta di Varzuga. A volte assistiamo all’attraversamento dei fiumi da parte di cani, di cavalli, di qualche persona che non sarà salvata dal bagnarsi neanche da stivaloni che arrivano all’inguine. Il picnic lo facciamo a Capo Amethisty che penetra nel mare come una freccia con numerosi cristalli di ametista, per l’appunto, che spuntano dalle rocce. Visitiamo un abitato rifugio di pescatori di mare e non riusciamo a capacitarci di come si possa vivere, seppur per pochi mesi, in fatiscenti strutture, tutte in legno e con il minimo indispensabile per non morir di fame e di freddo. Per il resto… nulla, né dentro né fuori: il rifugio più vicino è a 1-2 km e la strada per raggiungerlo è tortuosa (sulla cartina è segnalata da un tratteggio) e, con i cambiamenti repentini di clima, si sa se si parte ma non se si torna indietro. Il tragitto di circa 50 km lo percorriamo in più di 3 ore; ogni tanto ci fermiamo a raccogliere griby=porcini e frutti di bosco e quando arriviamo presso la casa che ci ospiterà per due notti a Chavanga prepareremo una sfiziosa spaghettata. Ognuno si metterà all’opera per rendere l’atmosfera calda e familiare: con vodka, succhi di frutta, limone e zucchero un buon cocktail, al pozzo bisognerà prendere l’acqua sia da bere (prima è preferibile farla bollire), sia per lavare i piatti; cataste di legna sistemate all’esterno (solitamente si tratterà di ciocchi di betulla ai quali si toglierà la corteccia più facile da far bruciare) serviranno per accendere la sauna e la stufa che scalderà l’ambiente e sulla quale abbrustoliremo il pane… Sarà un ritorno alle origini, probabilmente ai modi di vivere semplici e senza troppi comfort dei nostri bisnonni. La casa ha due stanze con tre letti ciascuna (in una dormiremo noi donne, nell’altra i tre uomini), un’attrezzata cucina e, purtroppo, questa volta all’interno della casa e con un odoraccio stomachevole, il buco-water su una panchina per espletare i bisogni. Per lavarci il viso o i denti utilizzeremo il lavandino della cucina e il corpo lo laveremo con secchiate d’acqua calda alternata a bacinelle di acqua ghiacciata solo alla sera all’interno della banya la versione russa della sauna: una capannina di legno a una decina di metri dalla guest house.

Oggi è d’obbligo un consiglio: portare spray repellenti e anti zanzare! Nonostante il freddo ce ne sono a flotte sia quando ci si ferma per i picnic lungo i fiumi, lungo i laghi, sia all’interno dei mezzi utilizzati per gli spostamenti.

8 agosto 2012

Colazione con pancake e marmellata locale di bacche rosse, veramente buona, uova fritte e bacon e per i più nostalgici una buona tazza di caffè Lavazza fatta con la moka! Usciamo tutti imbacuccati e, dal momento in cui secondo Vasyl la nostra attrezzatura non basta, ci procura degli spessissimi bustoni (simili a quelli grandi neri per la pattumiera o per il giardinaggio che usiamo in Italia) ai quali farà un buco per far passare la testa. Ci sembra un po’ esagerato ma, appena mettiamo il naso fuori, ci rendiamo conto che neanche quel sacco e le calosce ci salveranno dall’inzupparci un po’. Il vento è fortissimo, facciamo fatica a non vacillare; il freddo pungente e la pioggia ci paralizzano i visi, le uniche parti del corpo scoperte. Camminiamo di buon passo nel fangoso terreno schivando pozzanghere paragonabili a sabbie mobili, schiacciando manti di frutti di bosco, cercando di mettere i piedi su zone più rocciose, facendo gli equilibristi su listelli di legno, tutto per non affondare in veri e propri acquitrini, in pantani. L’allegria però non ci abbandona e ci prendiamo in giro dandoci dei marziani o, meglio, dei Teletubbies (visti i sacchi colorati prevalentemente di viola e di verde). A Chavenga in inverno abitano 15-20 persone e in piena estate, come in questi giorni, anche 80 (ma ancora i residenti estivi devono arrivare!). Non incontriamo nessuno finché non giungiamo in quella che era all’epoca dell’Unione sovietica una Kolchoz CCCP, ed è tuttora una cooperativa agricola e di pesca nella quale i locali condividono gli strumenti e i macchinari da lavoro. In uno stanzone, una serie di fotografie racconta la storia di quasi 100 anni del villaggio e due foto recenti mostrano l’intera popolazione e una sfilata di salmoni (il più grosso pescato con rete pesava kg 18 mentre con canna kg 8). Conosciamo il primo abitante, un uomo esile e minuto che cozza un po’ con le donne che si occuperanno della pulizia della nostra casa, tutte belle alte e massicce (finora l’unico contatto con la gente del luogo molto schiva e poco interessata a socializzare!). Camminiamo lungo la costa del Mar Bianco e arriviamo in un porticciolo, da cui da fine agosto a ottobre saranno scaricati tutti i salmonidi pescati pronti per lo smercio. Sempre in questo punto tanti anni fa si provvedeva anche all’inscatolamento delle aringhe, oggi pratica non più in uso. Intravvediamo l’isola degli uccelli, dove avvistiamo solo alcuni grossi gabbiani, nessun birdwatching. Risaliamo il fiume Chavanga fino a un ponticello di legno dove solo i pedoni, quando è bel tempo (ma quando?!), transitano. Gli unici mezzi che abbiamo visto circolare su questa recondita parte del mondo sono i sidecar e i quad: quasi ogni casa ne ha uno parcheggiato nei pressi. In inverno, invece, ci si sposta con le motoslitte. Camionette, carri armati, antiquati mezzi militari sovietici sono parcheggiati qua e là così come i caterpillar idonei per risalire i fiumi durante le battute di pesca. Il fiume a un certo punto s’ingrossa parecchio, è agitatissimo e durante il suo corso forma delle piccole cascate, dove si potrebbe praticare il rafting, sport qui minimamente pensato. In uno spiazzo all’interno del villaggio un gruppo di cavalli selvaggi si stringe intirizzito dal freddo. Sono curiosi per la loro folta, lunga e “rasta” criniera, probabilmente adatta a proteggerli dai rigori delle temperature. Anche un occhio esperto avrebbe difficoltà nello stabilirne la razza. Si tratta di esemplari ibridi vista la colorazione talmente differente e varia dei loro mantelli, la loro conformazione. Tendenzialmente le femmine sono bianche mentre i maschi marroncini, ma ce n’è anche uno bianco e nero! Non appartengono a nessuno, sono della comunità, liberi di circolare ovunque, non cavalcabili, belli in carne, dati i pascoli e l’erba fresca che almeno in questo periodo non mancano. Hanno degli zoccoli belli robusti sicuramente per adattarsi a solcare anche substrati rocciosi e scoscesi.

Rientriamo inzuppati e quasi ibernati a casa dove troviamo la simpatica Elena, la fotocopia di Heidi, che con un grosso sorriso riempie le scodelle con una delle caratteristiche zuppe russe: la borsch minestrone di rape rosse, patate, verza, carne, salsa di pomodoro e poi, a crudo, erba cipollina, aglio e tanto peperoncino. Wow! Proprio quello che ci voleva! Abbrustoliamo il pane sulla stufa e ci riscaldiamo fuori e dentro grazie anche a un po’ di vodka. I contorni prevedono pomodori e peperoni crudi, zucchine marinate, insalata di cetrioli, tanta frutta secca e per finire un buon caffè! La casa è tutto sommato comoda, condividiamo un po’ di racconti e poi completo relax ognuno in piena libertà trovando il proprio spazio.

Nel pomeriggio la guida ci preparerà la sauna. Ci vorranno minimo quattro ore per predisporla, ma alla fine sarà il giusto luogo per trascorrere una mezz’oretta pensando, tra l’altro, al clima lasciato in Italia (si stavano alternando anticicloni dai nomi più temibili Scipione, Caronte, Minosse, Lucifero).

Il tempo non accenna a migliorare e questo ci fa un po’ rivedere il nostro programma di escursioni e di viaggio, ma aspettiamo notizie e con un rito russo durante l’aperitivo delle 19 che consiste nell’odorare un cetriolino sott’aceto, pregare il dio sole e buttar giù tutto d’un fiato un bicchierino di vodka, propiziamo il bel tempo. Con questo alcool ci salveremo sì da infezioni e freddo ma speriamo non ci ritroveremo in gruppi di alcolisti ben identificati!

Prima i maschi e poi le femmine finalmente la banya, anche se con qualche dubbio: non farà male a pancia piena? Probabilmente no, visto che i locali mentre la fanno continuano a bere vodka! Ma che esagerazione! Sfidiamo la sorte e bisogna dire che sarà veramente piacevole, dopo tanto freddo, denudarsi e lasciarsi riscaldare dal vapore per poi sentirsi belli morbidi!

Cena tradizionale a base di salmone. Vasyl ed Elena rientrano a casa con un pescione di kg 3,5 che prima di pulire e di cucinare in differenti maniere, ci mostrano nella sua freschezza. Metà sarà cucinata in padella con burro e spezie, un quarto sarà sfilettato e condito con olio, sale, pepe e limone, e un altro quarto infornato dentro dei panini intrecciati chiamati pirog. Tutto squisito e anche oggi andremo a nanna belli appanzati (avremo messo su già 3 kg di bontà) e super rilassati non prima di una camminata su per una collinetta dove, condotti da Nose – un Siberian Husky con gli occhi scuri e dal bel pelo bianco con sfumature beige -, arriviamo al cimitero del paese. Ogni lapide di marmo è recintata e all’interno della staccionata sono piantati coloratissimi fiori finti.

Oggi è d’obbligo un consiglio per l’abbigliamento: che sia caldo e confortevole, sicuramente una giacca a vento con cappuccio, sovra-pantaloni impermeabili, scarponi o stivali a tenuta d’acqua come le calosce, possibilmente alte.

9 agosto 2012

Colazione sempre più abbondante con l’aggiunta di panini tondi chiamati sempre pirog, fatti in casa da una signora e guarniti di moroshka (un frutto simile a un lampone, ma dal color ocra o rosa) e cosparsi di zucchero. Siamo un po’ tristi perché per motivi di clima (le piogge hanno reso grossi i fiumi e pericolosi i guadi) non porteremo a termine la parte più titillante del tour: due giorni a Strelna, un villaggio disabitato dove avremmo pescato risalendo un grande fiume con il caterpillar, visitato il museo locale e pernottato in rifugi a due letti con doccia in camera! Poi una passeggiata lungo il Chavanga river per la pesca al salmone. Sul luogo ci fa una rapida lezione mostrandoci la lunga canna da pesca alla quale attacca la “mosca”, una sorta di pennacchio colorato (preferibilmente color arancione, color caviale) e non un piccolo verme o qualcosa da mangiare per attirare la preda. Il salmone sarà incuriosito dalla piuma, si avvicinerà per ispezionarla o per attaccarla e… zac, abboccherà, ma non oggi: il fiume è ingrossato, c’è una forte corrente e quindi nessuna condizione ideale affinché avvenga. Ci spostiamo in più punti poiché ogni pesce ha una predilezione di location: chi preferirà posti in cui l’acqua è più calda e tranquilla, simile a una piscina (magari i salmoni più vecchietti), chi punti in cui la corrente è forte e quindi c’è più ossigeno. Mentre Vasyl, osservato soprattutto dai maschi, fa i vari tentativi, noi raccogliamo smaròdina=ribes, golubicka=mirtilli e funghetti trallallà. Gli argini del fiume lungo i quali camminiamo sono sconnessi, il fango riempie piccole paludi e solo le calosce ci salvano! Dopo un paio d’orette nessun salmonide ha abboccato per cui prendiamo la via del ritorno. La giornata migliora sempre più, non piove, ma fa freschetto. Assistiamo all’atterraggio di uno dei mezzi di trasporto del luogo: l’elicottero che arriva e riparte una volta a settimana. Scendono diverse persone: finalmente forme di vita! E’ un mezzo gestito dal Governo e costa, a ciascun abitante, l’unico possibile utilizzatore, $ 10 a testa. I posti sono 16, ma bisognerà considerare anche il peso di eventuali bagagli. Chi ha necessità di spostarsi, si metterà in lista e, di settimana in settimana, sarà contattato. Ci dirigiamo anche nell’unico negozietto del paese, aperto dalle 12 alle 15, che vende un po’ di tutto, una sorta di spaccio di sigarette, scarpe, bibite, biscotti… Compriamo delle mele, dei succhi di frutta e la bevanda locale, la Kvas dal sapore di un drink al tamarindo. Non siamo tanto incuriositi da come la signora pesa i prodotti (usa una bilancia manuale), ma da come fa i conti con il pallottoliere! Per pranzo Elena ci fa trovare una zuppa bianca gustosissima, la sci: cavolo, fagioli cannellini, piselli e immancabile cipolla. Pomeriggio riusciamo per una passeggiata sulla spiaggia e assistiamo alla pesca in mare con rete. Un pescatore ci mostra un salmone di un paio di kg che, boccheggiante, ci guarda prima di essere pulito delle interiora – di cui si ciberanno gli enormi gabbiani che svolazzano impazienti sulle nostre teste – sul primo scoglio utile e consegnato alla guida e che costituirà, assieme a un purè burrosissimo e ai gambi di aglio selvatico sottaceto, dalle sembianze di lunghissimi fagiolini, la nostra cena.

Durante il cammino siamo scortati dai cavalli selvaggi che a volte ci superano, altre ci precedono, altre ci affiancano. Sembrano tranquilli e innocui, abbassiamo la guardia divertiti, ma quando il ragazzo veronese gli si avvicina per una foto, riceve un bel morso a un braccio, mentre la figlia di Roberto si becca una spinta con il muso. In spiaggia si alternano tratti sabbiosi a parti di battigia pieni di piccoli sassolini o pezzi di rocce più grandi, pochissime conchiglie. In riva vi sono molte meduse trasparenti e all’interno color viola intenso così come alghe dalle foglie gigantesche. Ogni tanto troviamo delle strutture di legno: paletti con incastrate delle assi che lontanamente sembrano dei torchi, ma in realtà servono per allontanare più possibile dal mare le barche. Con forza uno di noi ruota a turno il pezzo di tronco orizzontale mentre l’altro fa da peso: una bella fatica! Rientriamo soddisfatti, ad aspettarci c’è anche il fedele Nose (per il suo naso tutto storto dovuto a una zampata di orso!) e ritualmente ci alterniamo per una gradevole sauna (saremo presi per esagerati ma… lavarci una volta al dì è il minimo indispensabile!) prima della cena.

Oggi è d’obbligo un consiglio per chi è tecnologico dipendente: avvisate per tempo parenti e amici perché non vi sarà nessun contatto col mondo! Non ci sarà campo né per telefonini né tanto meno per collegamenti internet!

10 agosto 2012

Ormai la colazione la organizziamo noi e piano piano torniamo ai sapori nostrani con caffè, tea, fette di pane con marmellata di mirtilli, nonostante la coppia bielorussa si presenti sempre puntuale per prepararcela con l’aggiunta di salumi, formaggi, uova. Siamo pronti anche oggi, visto lo stazionamento forzato in questa località, prima per le condizioni del tempo, ora per la non disponibilità di mezzi di trasporto, ad occupare parte della giornata con una scarpinata alla scoperta della stazione meteorologica. Arriviamo in una baia sulla quale spicca l’ennesima costruzione di legno adiacente a una torretta dalla quale ogni tre ore una donna comunica a Munsmark “che tempo che fa” (vento, pioggia, neve, sole). E’ dotata di barometro, di computer (sembra il mio primo commodore 64) e altri mezzi antiquati ma utili al suo lavoro. Sembra strafelice di mostrarci il suo “ufficio” che condivide con una gattona e i suoi cinque micetti. Dalla piccola torre abbiamo una visione a 360° sia del paese sia del mare, in mezzo al quale su qualche barchetta i pescatori cercano di rincasare con il secchio pieno. Ci sembra pure di avvistare delle foche, ma la distanza è tale che nonostante la loro presenza ci sia assicurata dalla guida, non riusciamo a distinguerle bene. Rientriamo facendo incetta di frutti di bosco sempre copiosi sotto i nostri piedi e a casa troviamo la sorridente Elena che per pranzo ci ha preparato l’ennesima gradita zuppa, questa volta di fasòl con peperoni, guanciale, pancetta, sedano, cipolla, salsa di pomodoro, aneto, provola grattugiata e ovviamente tanti fagioli neri piccoli. Come contorno cipolla bianca condita con aneto e olio, salumi affumicati e mele. Alle 15,30 partiamo con un mezzo militare che ci porterà in un’ora e mezza a Tetrino, un vecchio villaggio Pomor a 25 km da Chavenga e a 25 km da Strelna, quella che sarebbe dovuta essere l’ultima località prevista dal tour, in un altro degli angoli più remoti d’Europa, ma ormai visitabile, forse, in una prossima vita! A guidare questo camion GAZ mod. 40 a quattro ruote gigantesche, semiaperto o semicoperto da una tela incerata, è un giovane ventunenne che in due ore passerà in mezzo a fitte foreste, su dune sabbiose, in pozze profonde e piene d’insidie, attraverserà tratti di mare intorno e sopra gli scogli per condurci a destinazione. Nonostante ci reggiamo forti per non cadere dal mezzo, i sobbalzi sono tali da crearci qualche problema. Faccio un salto e mi ritrovo per terra, il mio boy con un balzo sbatte la testa e si ferisce un po’, altri hanno braccia e spalle doloranti… Giungiamo belli ammaccati, ma anche un po’ divertiti e lo scenario è molto simile, ma in piccolo, a quello di Chavenga. Poche case si affacciano su una baia, hanno alle spalle una verdeggiante collina che si alterna a zone pianeggianti o di modesta altitudine, con pendii che senza alcuna difficoltà scaliamo calpestando fitti tappeti di mirtilli, ribes, bacche varie. Un paesaggio per certi versi simile alla brughiera dell’Italia del nord nel quale riconosciamo tra le piante alcune specie di erica.

Anche qui un gruppo di cavalli selvaggi sosta indisturbato fronte mare e il paesaggio è da cartolina. A darci il benvenuto, anche qui un bellissimo Siberian Husky, questa volta bianco e nero con gli occhi azzurri che ci seguirà per tutto il tempo, aspetterà fuori l’antica chiesa abbandonata per ricevere qualche carezza e un pezzettino di pane prima del nostro saluto.

Il rientro è altrettanto movimentato ed io mi esibisco pure in un capitombolo (più si è leggeri e più si vola!), ma almeno il clima è dalla nostra parte e ci fermiamo un paio di volte a fotografare il silenzioso panorama finalmente luminoso e colorato.

Ad attenderci, oltre ad Elena, anche il ragazzo veronese che non era venuto con noi e che ha contribuito a preparare un’appetitosa cena dove facevano da padrone le kartoffel=patate sia lesse (condite con olio e timo), sia al cartoccio (all’interno delle quali era stato messo uno spicchio di aglio mentre attorno una fetta di guanciale). Dell’ottimo syr=formaggio affumicato e a seguire, soprattutto oggi, meritata e benedetta sauna!

Ogni abitazione, sia in questo paese sia in quello visitato oggi, ha una piccola banya adiacente che è accesa una volta la domenica quando, come un rito, la utilizzerà tutta la famiglia. In questi paesi normalmente durante la settimana non ci si lava il corpo se non eccezionalmente riscaldando l’acqua sulla stufa. D’altronde non fa mai caldo per cui si suda poco… “paese che vai, usanza che trovi”.

Abbiamo voglia di sgranchirci le gambe e ci rechiamo in un punto di ritrovo: la “casa del popolo”. Un po’ timorosi entriamo nella grande sala allestita con un tavolo da ping pong e un biliardo al quale tre adolescenti giocano dandosi importanza. Nell’unica attigua saletta, la musica è assordante e una coppia di Varzuga ci invita a ballare. Non parlano una parola d’inglese, ma la mimica è buona e riusciamo un minimo a comunicare con grandi sorrisi! Accettiamo l’invito sentendoci più ridicoli che mai sia per l’abbigliamento (mai zompettato con le calosce!) sia perché un gruppo di bambini si accomoda su piccole sedie e ci “ammira”. Tempo un paio di canzoni e siamo di nuovo fuori dal “circolo”. E’ mezzanotte, ed è ancora giorno! I bambini scorrazzano liberi, l’amico veronese ne sfida scherzosamente uno a braccio di ferro, i suoi amichetti si guardano incuriositi e ridono di cuore (anche noi!). Rincasiamo soddisfatti di questo piccolo contatto facendo battute sulle frasi che i nostri genitori non avrebbero mai potuto pronunciare in luoghi come questi: “Torna presto che è buio!”.

11 agosto 2012

Colazione e partenza per Umba ma… bussano alla porta… chi è? No! Incredibile! I cavalli selvaggi! Ce li ritroviamo davanti al bungalow e… non possiamo certo farli accomodare, ma offriremo loro delle zollette di zucchero divertiti ma questa volta accorti! Grazie per il curioso saluto prima di affrontare il lungo e impegnativo viaggio: prima lo stesso camion militare ZIL 157 6WD (Militaria.pl, shooting & outdoor), poi barchetta e infine lo Uaz bus 3741. Il tempo, però, è molto migliorato per cui ci rifermiamo per una foto più brillante a Varzuga vista cinque giorni fa avvolta da nebbia e foschia. In effetti, con il sole la città assume un altro aspetto, meno spettrale e malinconico, molto più allegro e vivace e nella piazzetta principale c’è pure qualche bambino che si diverte con niente. Ci fermiamo per il pranzo al sacco in riva al fiume Varzuga e proseguiamo per il lodge turistico di Tonya Tetrchna situato proprio su quella linea immaginaria che stabilisce il Circolo Polare Artico. Ci immortaliamo davanti l’indicazione del 66°33′ parallelo, teoricamente il punto più meridionale di latitudine dove è possibile vedere il sole di mezzanotte. Ad accoglierci Alexander, un omone dai denti d’oro (ne abbiamo incontrati spesso con questo “prezioso sorriso”) che ci conduce per il curioso villaggio sul mare spiegandoci la vita delle comunità locali di 2000 anni fa. Ci mostra i resti delle loro capanne, la ricostruzione di quelle andate distrutte, l’utilizzo molteplice di animali cacciati (vediamo differenti trappole usate) o pescati per sfamarsi, scaldarsi, difendersi… In un piccolo museo, troviamo un pinguino imbalsamato, dei piedi di foca e gli stivali realizzati con la pelle di un suo cucciolo, pellicce e unghie di orso, zanne di trichechi, polveri di minerali che sembrano un toccasana per la nostra salute e che assaggiamo anche se un po’ diffidenti. E’ anche un luogo dove soggiornare a mo’ di Flinstones in strutture che riproducono quelle degli antenati, o in una propria tenda e rilassandosi su sedie a sdraio sulle quali il telo da mare è sostituito da una pelle d’orso (fa sempre al massimo 15°C!).

In tarda serata, dopo aver percorso l’ipnotica costa del Mar Bianco, arriviamo a destinazione, siamo alla foce del fiume Umba e pernotteremo in un bungalow pulito, accogliente, ma con la solita sistemazione per la notte: le tre donne in una stanza, i tre uomini nell’altra. Attrezzata la cucina per i pasti, un buco per toilette meno maleodorante e fuori da casa e la sauna per riscaldarci e soprattutto lavarci! Per cena guida e moglie si cimentano in una spaghettata al burro da condire con pomodori freschi o con tocchetti di prosciutto o con pezzetti di salmone affumicato, tutti ingredienti serviti a parte. Ognuno si sfama come preferisce sperando che i veri spaghetti non si offendano! Un po’ stanchi per il lungo trasferimento, a ninna per l’ultima notte nella penisola di Kola.

12 agosto 2012

Colazione con una novità: i vareniki, dei ravioli bolliti ripieni di formaggio dolce. Non tutti apprezzano, io invece ascolto i consigli e li gusto condendoli con marmellata al lampone, yogurt o miele. L’escursione di oggi prevede una visita al capoluogo dei Sami, Lovozero e l’entrata al museo delle culture Sami, Comi e Ninensi. Prima però facciamo un po’ di shopping (il primo e l’ultimo!) presso un negozio di souvenir di Umba. Tanti sono gli oggetti esposti: dalle matriosche ai gioielli realizzati con le pietre locali (l’ametista fa da padrona). Un giro per la parte vecchia di Umba, o meglio per la metà della città aperta ai turisti, l’altra è zona militare, e via! In realtà la guida non voleva portarci a Lovozero perché oggi è domenica e il museo è chiuso, ma il tour organizer italiano insiste perché meta prevista dal programma e perché può essere comunque carino vedere il villaggio e magari fare la conoscenza di qualche lontano parente dei Sami. Il viaggio è lungo, ma la strada è buona, una sorta di strada consolare fiancheggiata da una folta vegetazione. A volte sembra di stare in Toscana, altre in Irlanda, altre ancora in Trentino. Tutto sembra molto curato ma quando ci si ferma, si notano resti di picnic abbandonati: peccato! Arriviamo, il museo è chiuso e lo sapevamo, e la cittadina non è un granché. Incontriamo tanti bimbi che giocano con poco per strada, diversi piccoli supermercati aperti dove acquistiamo un po’ di frutta, qualche gelato e dei dolci secchi e si riparte. La spesa non è valsa l’impresa… potevamo dar retta alla guida! Bisognava programmare questa meta in un giorno differente dalla domenica e con la visita al museo sicuramente sarebbe sembrato meno tempo sprecato (ma non ne sono sicura). Beh, qui più che viaggio pilota è disorganizzazione bella e pura. Riporto una citazione del nostro compagno di viaggio veronese: “Una cosa divertente che non farò mai più”, ricordando un agile e breve reportage di una crociera scritto dal suicida D. Foster Wallace.

Proseguiamo il trasferimento per l’aeroporto di Murmansk, abbiamo il volo per San Pietroburgo della Rossiya Airlines alle 22. Ci fermiamo a mangiare a due chilometri di distanza in un ristorante kitsch come quello del primo giorno: alberi, frutta penzolante e fiori di plastica. Il cibo però non è male e neppure il prezzo: un secondo e una birra non costano più di € 10 a persona, cena di saluto offerta da Roberto.

Alle 23,55 arriviamo a San Pietroburgo. Le strade di quelli che dopo questo particolarissimo tour si considerano dei survivors, si dividono, magari un giorno per ritrovarsi in qualche altro viaggio-avventura.

Conclusioni

Contenti dell’esperienza, apprezziamo questo viaggio perché è proprio nel suo essere estremo e nelle difficoltà incontrate che ha la sua validità e che probabilmente attrarrà chi verrà dopo di noi (l’intenzione dell’organizzatore pare fosse quella di riproporlo la prossima estate con qualche modifica). Lo spirito di adattamento deve essere al massimo per godere appieno delle realtà in cui si sarà catapultati per una settimana tra le maestose, e in gran parte inesplorate, distese di territorio selvaggio. Sicuramente bisogna andar preparati ai gabinetti rurali (quelli che probabilmente c’erano 60-70 anni fa nelle campagne italiane), ai cattivi odori della latrina (vera e propria fossa nella terra uso concimaia) con cui s’intende il water (senza ovviamente lo sciacquone) che è maleodorante di per sé e non solo essere stato utilizzato giorno e notte da sei persone. Personalmente ho preferito prender freddo, pioggia, vento… espletando le mie funzioni fisiologiche dietro una duna, una catapecchia, una boscaglia… o rimandando anche per giorni il solido bisogno. Più accomodamento di così! Dormire in una camerata con degli sconosciuti può essere divertente, ma se non si è più “pischelli”, se non si ha lo spirito da campeggiatori, da frequentatori di ostelli, o si aspettano le vacanze per momenti di relax o di grande intimità con il partner, o per riposanti dormite (e si ha il sonno leggero)… beh, non è la giusta meta. Qualche difficoltà la potrebbe avere anche chi ha problemi o intolleranze alimentari o gusti classici o è a dieta e si nutre di frutta e verdura (solo due volte si è andati al ristorante e si è potuto scegliere il cibo; colazione, pranzo e cena erano sempre preparati in casa e la spesa per tutto il periodo era già stata fatta addirittura in Bielorussia o comunque senza la nostra partecipazione). Io ho sempre azzardato, mangiato e bevuto tutto, senza mai pentirmene, ma i vegetariani devono sapere che spesso i salumi e le zuppe con pezzetti di carne erano sulle nostre tavole. I vegani avrebbero digiunato! Rassegnazione anche nel dissetarsi: per quasi tutta la settimana le uniche bibite sono state tea, vodka e acqua tirata su da un pozzo; noi la facevamo bollire e a volte raffreddare poiché era piena di sabbia o di filamenti d’erba, ma c’è da riconoscere che nessuno, neppure per un giorno, ha avuto problemi di stomaco o d’intestino, mai! Il tour organizer italiano Roberto aveva messo in valigia parmigiano, salame e Tavernello… cibi con i quali a volte abbiamo integrato! Non ci si stancherà molto a camminare, ma sana e robusta costituzione ci vuole per gli spostamenti sui mezzi militari, dove si sarà sballottati non poco. Il clou è stato una gita di km 25 per percorrere i quali ci sono volute due ore durante le quali il mio boy con un improvviso sobbalzo si è spaccato la testa – piccolo taglio sanguinante –, io mi sono spappolata la zona lombare – a distanza di un mese non posso dormire su un fianco –, il veronese ha evitato la gita con la certezza che avrebbe vomitato e la compagna è tornata con più lividi di quando, chissà, andava sul tagadà! Il nostro è stato un itinerario autentico in una zona remota e tutto, o quasi, ci può stare! La flora e i paesaggi naturali ci hanno incantato: immaginavo la tundra solo con muschi, licheni, pochi arbusti e invece piante sempreverdi, betulle e manti di frutti di bosco creavano praterie che facevano diventare gli occhi verdi a chi già non li aveva. Spettacolari le notti bianche, il tramonto che non arrivava mai, i colori del cielo quando nel tardo pomeriggio si schiarivano le giornate e bella persino l’atmosfera a volte un po’ lugubre creata dalla foschia che copriva i villaggi. Il massimo sarebbe stato incontrare più fauna, magari qualche orso, di cui abbiamo solo visto le orme, oppure qualche renna, sui cui palchi abbiamo solo appeso gli indumenti ad asciugare. Sarebbe stato interessante stringere qualche rapporto con le comunità locali, ancora abituate a ospitare esclusivamente pescatori non curiosi e poco propense ad aprirci le porte. Un viaggio fuori dalla tecnologia, impossibile da organizzare interamente per conto proprio soprattutto se non si parla la lingua locale. Sicuramente il fatto di essere i primi ad aver vissuto questo lontano mondo reale, di aver incontrato inconvenienti con i quali ci siamo egregiamente misurati, ci ha caricati prima e durante il tragitto. Compiaciuta per averlo fatto, di raccontarlo, ritengo che bisognerà modellarlo meglio, ampliare la possibilità di visite ed escursioni, anche se, data la natura del luogo, sarà complicato prevedere soluzioni alternative in caso di mal tempo e conseguente l’impossibilità di utilizzare qualche mezzo in zone che diventano inaccessibili e impraticabili. A disposizione per qualsiasi altra informazione!

Sspassìba=grazie a chi ha avuto la voglia di leggere il mio racconto, Luna Lecci

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Moccia pure qui!

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Salto nel fosso

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Il conto?

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Salmone in arrivo

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Rifugio a 4****

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Finché la barca va

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Varzuga c'è ma non si vede!

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Belli capelli!



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