Ruanda, sulle tracce di Dian Fossey

Alla ricerca dei primati: chimpanzee, hoest's monkeys, colubus monkeys, mona monkeys e gorilla
Scritto da: cimolais
ruanda, sulle tracce di dian fossey
Partenza il: 31/05/2012
Ritorno il: 09/06/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Ciao a tutti, questo è il racconto del nostro viaggio in Rwanda dal 31 maggio al 09 giugno 2012 sulle tracce dei gorilla e degli altri primati che vivono nel paese delle mille colline; il tutto è stato organizzato in completa autonomia con il supporto di un’agenzia ugandese che ci ha fornito suggerimenti e appoggi per il disbrigo delle procedure burocratiche ed è costato complessivamente circa 5800 euro, tutto compreso.

31 MAGGIO: VENEZIA – DOHA – KIGALI

Pronti per la partenza! La ricerca dei voli su internet è stata relativamente semplice perché non molte compagnie aeree volano su Kigali; nel testa a testa finale tra Klm e Qatar abbiamo optato per quest’ultima che, a fronte di un collegamento un po’ meno comodo in termini di orario, ci garantiva però un significativo risparmio.

Partiamo nel pomeriggio da Venezia alla volta di Doha, dove arriviamo attorno alla mezzanotte: il volo trascorre tranquillo e il servizio a bordo è eccellente, nonostante l’aeromobile (Airbus A320) sia un po’ piccolino per viaggi di questo raggio; l’aeroporto di Doha è un vero hub intercontinentale in cui si viene indirizzati seguendo i pittogrammi in base al colore della boarding pass: per chi come noi ha un transfer di media-lunga attesa il colore di riferimento è il giallo.

Il terminal delle partenze è enorme e affollatissimo perché, come ci accorgiamo da un rapido sguardo ai monitor, c’è un decollo ogni 5 minuti anche nel cuore della notte; personalmente trovo sempre molto affascinante osservare questo via vai incredibile di persone di ogni razza e nazione che vagano in giro per il mondo: mi piace fantasticare su tutto questo eterno moto perpetuo che avviene ogni giorno senza che nel nostro piccolo ce ne sia la minima percezione: gente che va, gente che viene, ognuno con le proprie storie e i propri pensieri… in tutto ciò mi chiedo chi mai potrà prendere il volo per Baku alle 2.35 della mattina ma anche là, come sempre, la fila al gate è sostanziosa.

Dormire non è quindi per nulla semplice anche se non mancano sedie e poltrone, ma il rumore di fondo e la confusione sono sempre presenti; se volete investire qualche decina di dollari c’è la possibilità di accedere all’Orix Lounge, una vasta sala di attesa dotata di comode poltrone, con open bar 24 ore al giorno e sicuramente più silenziosa del resto dell’aeroporto; se invece optate per la soluzione free vi segnaliamo che nei pressi del Costa Coffee, in una zona non molto visibile, vi è uno spazio dedicato con poltroncine reclinabili a cui si accede gratuitamente esibendo la boarding pass all’ingresso: l’unico vincolo è che si può stare al massimo per 3 ore ma né noi, né nessun altro è stato mandato via alla scadenza del tempo (anche perché non saprei come sia possibile calcolare il tempo di presenza di una persona all’interno). Non so se sia sempre così o se qualche volta mandino via le persone, ma l’impressione di fondo è che ciò non accada.

Al mattino, dopo la colazione da Costa, ci imbarchiamo sul nostro volo che decolla puntuale alla volta di Entebbe e Kigali.

L’aereo (tanto per cambiare) è pieno in ogni ordine di posti ma si svuota quasi completamente ad Entebbe: nella tratta per Kigali rimaniamo a bordo in 15, equidistribuiti tra turisti e rwandesi di ritorno a casa: certo fa

Un po’ effetto pensare che almeno 200 persone siano invece scese!

01 GIUGNO: KIGALI

In arrivo dobbiamo sbrigare le pratiche di ingresso che si rivelano sorprendentemente rapide e senza quegli intoppi che talvolta capitano con i visti nei paesi africani: per ottenerne uno occorre avere una lettera di invito da parte di un soggetto autorizzato dal governo rwandese, essersi accreditati in anticipo sul sito internet governativo ed aver ricevuto la loro risposta di benestare all’ingresso; con tutto ciò saldamente nelle mani, in aeroporto si compilano un po’ di scartoffie, si pagano 30 USD e il visto viene rilasciato.

Recuperati i bagagli incontriamo la nostra guida; si chiama Bosco, è ugandese e il primo impatto è subito buono: parla un ottimo inglese e sembra simpatico e cordiale.

Usciti dall’aeroporto veniamo catapultati nel brodo primordiale tipico delle capitali africane: Kigali conta circa 2,5 milioni di abitanti e, sebbene ci siano strade sufficientemente larghe e confortevoli, il traffico è talmente mostruoso da far impallidire quello di Roma all’ora di punta; auto, camion, furgoncini, autobus e soprattutto nugoli di moto si fiondano da ogni direzione a velocità folle senza la minima percezione del pericolo. Bosco si rivela fin dall’inizio un ottimo pilota e, senza batter ciglio, si divincola con destrezza evitando frontali ed investimenti di motociclisti ogni 30 secondi.

La maniera più veloce per muoversi in città è infatti quella di usare i mototaxi: ce ne sono a decine ad ogni incrocio e, per pochi franchi, ti metti un casco in testa, reciti 4 Ave Maria e ti fai portare a destinazione; noi preferiamo la solidità della nostra Toyota e ce ne andiamo a zonzo per sbrigare le tipiche faccende da “primo giorno”: cambio moneta e spesa per i giorni successivi, dove difficilmente incontreremo market attrezzati.

Il supermarket è un bello spaccato di vita locale: collocato all’interno di una specie di centro commerciale a cui si accede dopo aver superato un severissimo metal detector (suona in continuazione, ma non viene mai fermato nessuno) e una perquisizione a cura di un bambino di circa 10 anni, contiene ogni sorta di prodotto ed ha un numero di addetti che da noi servirebbe per almeno 20 supermercati; davanti ad ogni scaffale ci sono infatti 3-4 persone che, con una precisione quasi michelangiolesca, accatastano confezioni di farina o di zucchero e sistemano ogni virgola fuori posto.

Acquistiamo il necessario, recuperiamo attraverso un complesso passaparola una scheda telefonica per chiamare a casa (i nostri cellulari non ci permettono di telefonare) e siamo pronti ad andare in hotel per la cena e la nanna.

Pernotteremo al Chez Lando, un buon hotel a pochi passi dal centro della città: la camera è pulita e confortevole, dotata di zanzariera e si affaccia su un bellissimo giardino in fiore. In più (vero motivo per cui siamo qui), Chez Lando gode della fama di essere il miglior ristorante di Kigali; come infatti scrive Gil Courtemanche nel suo romanzo “Una domenica in piscina a Kigali”, (una delle letture propedeutiche a questo viaggio) da Lando si mangiano i “migliori spiedini di capra di tutta la città”.

Il menù è d’obbligo: spiedini di capra e fiumi di Primus, l’ottima birra locale; il ristorante, all’aperto, è affollato di rwandesi e ci accomodiamo ad un tavolo sorseggiando la prima birra: gli spiedini, come prevedibile, si fanno attendere per una vita (se avete fretta è meglio evitare di sedersi a tavola, ma noi non abbiamo alcuna fretta), ma hanno un sapore eccezionale, piccanti al punto giusto.

Mentre mangiamo ci guardiamo intorno e riflettiamo sul contesto sociale rwandese del dopo genocidio: nello stesso locale ci sono, seduti accanto all’altro, gruppi di hutu e di tutsi (anche se mai insieme) che apparentemente convivono ignorandosi reciprocamente; a giudicare dall’età di molti dei presenti, parecchi sono stati testimoni dei fatti del 1994 e magari qualcuno di loro ha anche avuto un ruolo attivo nello sterminio: qualche anno fa infatti, il Presidente Paul Kagame, come atto di riconciliazione ha concesso l’amnistia a molti hutu incarcerati per i crimini del genocidio, ed oggi quindi possono incontrarsi per strada con tutsi a cui magari hanno ucciso moglie, marito o figli. Per noi è difficile capire come possa reggere una situazione simile ma forse, proprio grazie all’indifferenza reciproca, si riesce a mantenere un equilibrio.

Avvolti nelle elucubrazioni e stimolati dal luppolo e dalla lentezza del servizio stiamo a tavola per oltre 2 ore e ce ne andiamo felicemente a nanna

02 GIUGNO: KIGALI – BUTARE – NYANZA- GISAKURA

Sveglia all’alba per la prima parte del viaggio, che ci porterà a sud ovest verso il confine con il Burundi nel Nyungwe National Park; l’uscita da Kigali è indolore e, appena fuori città, il paesaggio cambia velocemente: ci troviamo catapultati in un contesto fiabesco, fatto di continui saliscendi e di dolci colline lussureggianti e verdissime. Il Rwanda è detto “il paese delle mille colline” e mai citazione fu più azzeccata, dal momento che è rarissimo incontrare tratti pianeggianti.

Inoltre il ricco terreno vulcanico e l’abbondanza di acqua permettono lo sviluppo di una vegetazione incredibilmente rigogliosa, abbondante, dai colori vivissimi, nonché facilita le attività agricole per la gente del luogo.

Il paesaggio è tipicamente rurale: sui pendii, anche i più acclivi, si vedono appezzamenti e orti sistemati con dovizia, mentre nelle piane di fondovalle c’è spazio per coltivazioni più ampie di riso e cereali. Si vedono a perdita d’occhio campi di patate, zucchine, matoke, carote, cipolle, alternati a banani, tutti ben tenuti e ordinati.

La strada per Muhanga è ben asfaltata ma, come detto, molto ondulata e ricca di curve; il traffico è sostenuto perché questa è la via principale di collegamento con il Burundi ed è percorsa quotidianamente da decine di pulmini e matatu che collegano Kigali a Bujumbura: procedono lentamente, stipati fino all’inverosimile di persone e mercanzia e sembrano doversi disintegrare da un momento all’altro sotto l’effetto del peso spropositato; a ciò si aggiungono enormi camion, anch’essi evidentemente sovraccarichi, e cisterne che in salita non superano i 15 km/h emettendo fumi mefitici nerastri, evidente segno dell’usura e del motore ormai alla frutta.

Lungo i lati della strada c’è una continua processione di persone, in bici o a piedi, che si dirigono in ogni direzione: è impressionante osservare questa ininterrotta catena umana, uomini e donne che si spostano per kilometri, ciascuno mosso da motivi diversi, trasportando oggetti su bici iper-cariche o sulla testa, con una forza ed un equilibrio veramente incredibili da osservare: caschi enormi di banane, cisterne d’acqua, mattoni e persino assi di legno lunghe 3 metri… tutto viene trasportato appoggiandolo sulla testa.

Il Rwanda è il paese africano con la più alta densità di popolazione: sono 11 milioni, il che significa oltre 400 abitanti per Km2, e ciò è evidente nel muoversi lungo la strada tra i villaggi e le case sparse: sono veramente tantissimi.

Un’altra variabile impazzita del tragitto sono i posti di blocco della polizia: ce ne sono in media ogni 10 minuti, ma i bersagli preferiti sono solitamente i matatu che vengono fermati regolarmente rendendo il viaggio ancora più esasperante per i poveretti che sono accatastati all’interno; noi la scampiamo quasi sempre, veniamo fermati solo due volte in tutto (e per di più dalla stessa persona… incredibile!) ma certo può essere molto fastidioso doversi bloccare svariate volte per essere controllati dalla polizia.

Anche qui funziona la solidarietà tra autisti, con le segnalazioni reciproche a suon di luci ma, viste le circostanze, tocca fare gli abbaglianti praticamente a tutti quelli che incontri.

Da Muhanga, ci dirigiamo a Butare dove sostiamo per vedere il National Museum of Rwanda di Nyanza Hill: il museo è piccolo ma molto interessante, percorre la storia e la cultura del popolo rwandese con l’esposizione di oggetti, abiti tradizionali e reperti.

All’interno c’è anche un fornitissimo craft shop, dove abbiamo trovato stupendi oggetti a prezzi molto convenienti e che quindi vi consigliamo come prima opzione per l’acquisto di souvenir.

Conclusa la visita, svoltiamo da Huye verso Nyamagabe e la Nyungwe Forest, dove entriamo a Kitabe. Il parco nazionale di Nyungwe si appoggia sulle montagne dell’Albertine Rift con un altezza variabile tra i 1500 e i 2950 metri del monte Bigugu e, con un estensione superiore ai 1000 Km2, costituisce la più grande foresta pluviale endemica dell’Africa centrale; contiene un elevatissimo tasso di biodiversità e molti ecosistemi che vanno dalla foresta pluviale, alla bamboo forest, alle praterie e paludi.

Ci vivono 250 specie di alberi, oltre 1000 piante e fiori, 300 tipi di uccelli e, naturalmente molti primati… insomma un vero giardino dell’Eden, imperdibile per i naturalisti.

In effetti noi siamo qui soprattutto per i primati: chimpanzee, hoest’s monkey, mona monkeys e colubus monkeys.

Per darci il benvenuto, non appena ci addentriamo nella foresta, fa capolino un gruppo di hoest’s monkeys che ci osservano con curiosità mentre sgranocchiano il loro pasto; a poca distanza avvistiamo anche qualche esemplare di colubus monkey.

Nella foresta ci sono alcuni trail che si possono prenotare al visitor center di Gisakura: occorre acquistare un permesso (50 USD a persona per 2 giorni) e concordare il tragittto con un ranger, non è possibile muoversi autonomamente e, forse, nemmeno consigliabile.

Nel pomeriggio arriviamo a Gisakura attraversando alcune estese e magnifiche piantagioni di thè che circondano la strada per kilometri; lo stato del manto stradale inizia ad essere sempre peggiore, man mano che ci addentriamo nella foresta vi sono lunghi tratti non asfaltati o con enormi buchi nella carreggiata: sono in corso lavori di sistemazione per circa 100 km di strada che, al termine, dovrebbero renderla percorribile comodamente fino al confine con il Burundi.

Decine di persone stanno lavorando e rattoppando l’asfalto, sotto l’occhio severo di capicantiere cinesi che hanno l’aspetto di un sergente dei marines con tanto di occhiali a specchio e aria incazzata.

E’ risaputo che il colonialismo del terzo millennio ha gli occhi a mandorla: la Cina ha ormai messo le mani sull’Africa, deprivando la terra delle materie prime e dando in cambio know how e mezzi per i lavori pubblici (ponti, strade, asfaltature, palazzi); vediamo con i nostri occhi le prove evidenti di ciò: ovunque c’è un cantiere, ci sono capoccia cinesi in azione.

Ci sistemiamo al Gisakura house e ci riposiamo un po’ prima di cena: la struttura è molto basilare e semplice ma ha la zanzariera e il cibo è ottimo; mangiamo stufato di patate dolci, matoke e fagioli, cucinato su pietre roventi… decisamente appetitoso; in più Sam, il gestore, è veramente cordiale e disponibile.

Andiamo a nanna presto perché domani la sveglia suonerà alle 4.30.

03 GIUGNO: CYAMUDONGO FOREST – NYUNGWE FOREST

Stamattina sveglia in piena notte: dobbiamo incontrare i ranger alle 5 in punto per partire alla volta della Cyamudongo forest alla ricerca degli chimpanzee. Puntualissimi partiamo nel buio pesto verso il confine con il Burundi, la strada diventa ai limiti dell’impraticabile e procediamo a non più di 20 Km/h su un fondo dissestato e pietroso; passiamo la cittadella cinese, una specie di fortezza blindata con tanto di filo spinato ed esercito di guardia in cui vivono i famosi capocantiere cinesi, e ci allontaniamo dalla via principale inoltrandoci in una mulattiera nel cuore della vegetazione. Nel Cyamudongo la vegetazione è ancora più densa che nel Nyungwe e ciò costituisce l’habitat ideale per chimpanzee, mona monkey ed altri piccoli cercopitechi.

Al briefing point incontriamo due austriaci (i primi bianchi dal nostro arrivo) e componiamo la truppa per la spedizione: 4 turisti e due guide. Il trekking nella foresta è moderatamente faticoso, più che altro per il caldo umido e per il terreno fangoso, mentre le pendenze non sono significative; la traccia è facile da seguire e ci si muove agilmente senza problemi, a parte la presenza di alcune formiche estremamente aggressive che in pochi secondi salgono sulle gambe ed iniziano a mordere facendo piuttosto male.

Dopo una camminata di circa 2 ore le nostre guide, avvisate da altri ranger nella foresta, dicono che ci stiamo avvicinando ad un gruppo di chimpanzee e che quindi dobbiamo muoverci con estrema cautela e in silenzio; proseguiamo per una decina di minuti e… eccoli! A pochi metri da noi, su un albero vediamo distintamente 3 chimpanzee intenti a mangiare: si dondolano su e giù, giocano, saltano da un ramo all’altro e sgranocchiano tranquillamente le foglie. Accanto a loro, sugli alberi vicini, ci sono numerose mona monkey e hoest’s monkey che, ipercinetiche come al solito, corrono sui rami e volano letteralmente da un albero all’altro compiendo balzi nel vuoto di alcuni metri e atterrando con precisione tra i rami. Un vero spettacolo! Due mona monkeys, evidentemente curiose, fanno capolino su un ramo sopra la nostra testa e stanno qualche minuto ad osservarci prima di andarsene via.

Stiamo circa un’ora in religioso silenzio ad osservare la wild life nel suo ambiente naturale e a cogliere ogni singolo gesto che compiono nella loro naturalezza, fino a quando la guida ci segnala che è il momento di tornare indietro per riprendere la strada di casa.

Ritorniamo a Gisakura per pranzo e, nel primo pomeriggio, partiamo per l’Isumo Waterfall Trail (che abbiamo prenotato): si tratta di un escursione nella foresta di circa 10 Km che scende fino alle omonime cascate; il trail è molto piacevole, grazie anche alla competenza del ranger che ci illustra le diverse specie di orchidee presenti in questa parte della foresta e ci permette di avvistare alcuni bellissimi Ruwenzori Turaco e altri coloratissimi uccelli.

Rientriamo a sera per una doccia calda, un’ottima cena e la nanna.

04 GIUGNO: NYUNGWE – GISENYI – LAKE KIVU

Oggi possiamo svegliarci con più calma: in programma c’è il trasferimento a Gisenyi sul Lake Kivu, il bacino lacustre più importante del Rwanda e unico lago dell’Africa centrale balneabile senza il rischio di contrarre la bilharzia.

In partenza prendiamo atto che la strada che dovevamo fare, da Gisakura a Rwamatamu, è interrotta per la caduta di un ponte: al momento è possibile transitare su un ponte provvisorio costituito da tronchi d’albero (cosa che comunque richiede un’attesa di 2-3 ore) oppure ritornare indietro fino a Muhanga sul tragitto del primo giorno e percorrere una via alternativa decisamente più lunga ma migliore. D’accordo con Bosco optiamo per la seconda soluzione e ci accomodiamo in auto per il trasferimento.

Il viaggio è lungo ma ci permette di ripassare tra villaggi e centri abitati, osservando scene di vita quotidiana sempre sorprendenti; a Muhanga, nel mezzo del paese, vedo un cartello che indica la frequenza da impostare sulla radio per ascoltare “Radio Maria”: noooooo!!! Ragazzi è proprio vero allora, Radio Maria si sente veramente dappertutto, pure in Rwanda.

Ci fermiamo sul ciglio della strada per mangiare un boccone e subito catturiamo l’attenzione di molte persone: è evidente che non sono frequenti i passaggi di bianchi da queste parti e, pur senza avere timori di sorta, non si rimane indifferenti dall’essere osservati con occhi sgranati come se fossimo due marziani. Dividiamo il nostro pasto con alcuni dei presenti e ripartiamo per Gisenyi dove arriviamo a metà pomeriggio.

Gisenyi si affaccia sul lago Kivu, a meno di 2 km dal confine con la Repubblica Democratica del Congo e la città di Goma, teatro della diaspora degli hutu dopo il genocidio e, oggi, posto di fuga dei profughi congolesi dalla guerra civile.

Fa un certo effetto pensare che quello che per noi è un incantevole paesaggio fatto di lago, montagne, isole rigogliose e barche di pescatori sia, secondo l’Onu, uno dei 5 posti più pericolosi del pianeta terra negli ultimi 20 anni; l’invidiabile primato lo deve alla presenza dei ribelli congolesi del “Movimento 23 marzo” che da tempo combattono contro il governo centrale nella zona di confine con il Rwanda, dal nord Kivu fino alla zona del Virunga/Volcanoes. Le notizie degli ultimi giorni, secondo cui i ribelli sono sostenuti ed aiutati in maniera occulta dal governo rwandese, non aiutano certo a stemperare il clima.

L’aria in città è strana: usciamo per fare una passeggiata e subito si coglie una tensione palpabile, diversa da ciò che avevamo visto prima; anche Bosco ci dice di tenere gli occhi bene aperti e così, un po’ circospetti, ce ne andiamo a zonzo sul lungolago fino alla Primus Brewery, la fabbrica della mitica birra.

C’è molta confusione; più che altre parti si percepisce la grande quantità di persone in circolazione: nella zona del porto stanno partendo le barche per andare a pescare nel lago, è un bello spettacolo vedere la sistemazione delle reti e la preparazione alla partenza; ci riserviamo di tornare la mattina presto al mercato del pesce per vedere quanti e quali siano stati pescati (la mattina dopo però i pescatori saranno in ritardo e non riusciremo a vederli).

Soggiorniamo in riva al lago al Malahide, buona struttura con anche un’ottima cena.

05 GIUGNO GISENYI – RUHENGERI – VOLCANOES

Anche oggi sveglia tranquilla e trasferimento verso nord nel Volcanoes National Park, regno indiscusso del re dei primati: il gorilla di montagna.

In partenza ripassiamo per il centro di Gisenyi per cambiare qualche decina di dollari: il cambio proposto non è per nulla conveniente ma la presenza di alcuni loschi figuri a fianco del gabbiotto mi fa accettare di buon grado la mezza fregatura.

Sono alla ricerca di un market dove comprare acqua, thè locale e caramelle per bambini: oggi infatti abbiamo deciso di andare a visitare, tramite un contatto personale di Bosco, una tribù di Pigmei Batwa e volevamo regalarle ai bambini.

La ricerca è più complessa di quel che potrebbe sembrare, ma finalmente troviamo il posto giusto: tutto ok per acqua e thè, ma le caramelle sono contenute dentro un enorme orcia e vendute singolarmente al prezzo di 50 franchi per 6 caramelle. Decido di comprarne per 1200 franchi (ovvero circa 150), contando su un minimo di flessibilità del venditore; lui invece, imperterrito e dotato di calcolatrice, stabilisce l’ammontare esatto (144 caramelle) e le conta una ad una, prelevandole con una lentezza esasperante dall’orcia… morale della favola, almeno mezzora! Alla fine me ne regala una manciata (bontà sua!) e posso finalmente tornare in macchina.

La strada per Ruhengeri (ribattezzata dal governo Musanze) è ben asfaltata e il traffico scorre veloce tra piantagioni di thè e villaggi: uscendo dalla città transitiamo a fianco di un enorme campo profughi dell’Unicef dove sono rifugiati gli esuli congolesi da Goma e in meno di 2 ore arriviamo nella città che ha ospitato e ha visto agire una delle donne più coraggiose e straordinarie della storia: Dian Fossey, la primatologa a cui si devono la maggior parte delle conoscenze che abbiamo sulla vita dei gorilla di montagna e che dobbiamo ringraziare per l’impegno che ha dedicato alla protezione e salvaguardia di questi magnifici animali che, altrimenti, sarebbero probabilmente estinti; impegno che ha pagato con la vita nel 1985, essendo stata uccisa in circostanze ancora oggi misteriose dai bracconieri, che invece la vedevano come una grave minaccia ai loro interessi.

Sistemiamo i bagagli al Bamboo lodge e, dopo aver incontrato il contatto di Bosco, partiamo alla volta del villaggio Batwa. Ci addentriamo nei boschi e nei prati per alcuni kilometri e più volte mi chiedo come mai faremo a tornare indietro, dal momento che tutte le mulattiere sembrano uguali e abbiamo girato a destra e sinistra in continuazione; tra l’altro, il nostro contatto non sembra avere le idee molto chiare e, seppur non capisco un acca di quello che dice a Bosco, ho la netta sensazione che si sia perso nei boschi e non sappia bene dove andare.

Come sempre catturiamo l’attenzione di tutti e un sacco di bimbi ci corrono dietro e ci accompagnano per alcuni tratti della strada; è una strano mix di sensazioni: da un lato c’è dell’imbarazzo e della sorpresa per tutte queste attenzioni, ma dall’altro c’è la tranquillità del sentirsi comunque sicuri.

Dopo un lungo pellegrinaggio incontriamo per fortuna un pigmeo che immediatamente ci indirizza verso il suo villaggio; purtroppo i Batwa sono i poveri tra i poveri, ultimi anelli di una catena già di per sé debolissima; sono discriminati e tagliati fuori da ogni forma di aiuto e quindi le loro condizioni di vita sono veramente terribili; non è semplice resistere allo scoramento e noi non ci riusciamo, anche se ci rende un po’ sereni vedere che le poche cose che abbiamo portato rendono un po’ più felici i presenti.

E’ stata veramente un’esperienza molto dura, che non lascia spazio alla retorica o alla poesia e che non può essere descritta a parole; c’è molto da metabolizzare al rientro e trascorriamo il resto della giornata senza troppa voglia di fare.

06 GIUGNO VOLCANOES NATIONAL PARK – GORILLA TREK

Time’s coming! Oggi, dopo anni, coronerò uno dei miei più grandi desideri: trovarmi a pochi metri da uno degli animali più affascinanti del pianeta, il nostro antenato con cui condividiamo oltre il 90% del patrimonio genetico.

L’appuntamento è per le 6.45 al Vnp Headquarters di Kinigi, dove i ranger suddividono i presenti in gruppi, prima di partire per i trekking nella foresta alla ricerca dei gorilla.

Il Volcanoes NP si estende a cavallo del confine tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo (dove prende il nome di Virunga), ad un’altitudine compresa tra i 2500 m ed i 4500 m; è composto principalmente dalle pendici di 5 enormi vulcani ormai spenti e dalle loro interconnessioni, mentre nella parte congolese sono presenti vulcani ancora attivi, il Nyiragongo e il Nyamuragira, autori anche pochi mesi fa di eruzioni violentissime e spettacolari.

Per accedere al Volcanoes e visitare i gorilla, è necessario essere muniti di un permesso rilasciato dal Governo del Rwanda al prezzo di 500 USD a persona per giorno (mentre eravamo là, si è sparsa la voce che il prezzo nel frattempo è aumentato a 750 USD ma non ne ho la certezza); ovviamente va richiesto con ampio anticipo (noi l’abbiamo chiesto a febbraio per giugno) poiché i posti al giorno sono 64 (8 gruppi di massimo 8 persone ciascuno) e, specialmente in alta stagione, c’è il concreto rischio di non trovarlo.

Oggi in realtà siamo meno di 64, infatti nel nostro gruppo siamo solo in 4 (grande botta di culo visto che gli altri gruppi sono completi).

La suddivisione in gruppi avviene a discrezione dei ranger, non è dato di sapere esattamente con quali criteri anche se c’è una relazione con la difficoltà del percorso da compiere per raggiungere la famiglia prescelta.

La famiglia che tutti vorrebbero incontrare (e anche noi, ma non ci riusciamo) è la Susa (dal nome di un piccolo fiume della zona): è il gruppo più numeroso, contiene uno dei gorilla studiati da Dian Fossey (Poppy) e quindi ha un fascino particolare.

A parte questo, è impossibile fare una previsione attendibile sulla quantità e qualità dell’incontro perché, ovviamente, ogni giorno fa storia a sé: i gorilla possono essere vicini o lontani, tanti o pochi, tranquilli o nervosi… dipende dalla sorte.

Nel parco vivono almeno 8 famiglie, più diversi esemplari solitari: a noi tocca in dote l’Amahoro group, famiglia composta da 18 elementi in cui sono presenti tutte le fasce d’età: 2 silverback di oltre 220 kg (Charles e Ubumwe), alcuni blackback, diverse femmine e piccoli.

L’attesa della partenza è accompagnata da un’esibizione di canti e balli tradizionali: sono veramente molto bravi e coinvolgenti, la performance dura circa 30 minuti in cui si alternano uomini e donne, balli di coppia e canti con il sottofondo incalzante delle percussioni.

Ma adesso è il momento: in auto raggiungiamo il punto di attacco del trek che conduce al territorio degli Amahoro, e partiamo verso la meta. Superati gli ultimi villaggi e campi coltivati, oltrepassiamo un muro di pietra che delimita i confini del parco e impedisce a bufali ed elefanti di uscire dalla foresta e devastare le coltivazioni: siamo nel cuore del Volcanoes! La foresta pluviale è molta fitta, in una continua alternanza di bamboo, lobelie, arbusti rampicanti, liane e orchidee che talvolta rendono complesso avanzare nel verde. I ranger sono dotati di machete e non disdegnano di usarlo per aprirsi un varco tra la vegetazione; anche qui non mancano le famose formiche assassine che ci mordicchiano le gambe, accompagnate da diverse piante urticanti che pungono nonostante i pantaloni e le maniche lunghe.

Il trek non è particolarmente faticoso anche se i nostri compagni di avventura (due panzoni americani) non sembrano pensarla allo stesso modo e hanno bisogno di qualche pausa durante l’ascesa; dopo circa 2 ore incontriamo le “vedette” che seguono costantemente i movimenti del gruppo: gli Amahoro sono poco avanti a noi! I gorilla sono animali piuttosto stanziali e si muovono di poche decine di metri al giorno ma ogni loro spostamento viene attentamente monitorato.

Prima dell’incontro ci vengono spiegate nei dettagli le regole comportamentali da tenere per non spaventarli e anche i significati dei diversi grugniti che emettono i silverback, in particolare il grugnito “tutto ok!” e quello “guai in arrivo!” che sarà bene riconoscere alla svelta!!

Abbandoniamo gli zaini (potrebbero attirare troppa curiosità) e avanziamo lentamente tra i bamboo… eccoli!!!!! Davanti a noi iniziano a vedersi diversi esemplari: 3-4 piccoli che giocano e si rotolano per terra, una femmina che li sorveglia e altri nella boscaglia che mangiano. Senza quasi accorgermene passo a 2 metri da un grosso blackback che sta sgranocchiando un bamboo mentre i piccoli si avvicinano curiosi battendosi il petto nel loro caratteristico gesto.

E’ un’emozione indescrivibile, siamo letteralmente circondati da almeno una decina di gorilla che si muovono tranquillamente a 2-3 metri da noi e siamo inglobati all’interno del loro spazio, il tutto con una naturalezza sorprendente.

Avanziamo di qualche passo, molto cautamente, perché poco più avanti c’è Charles, il silverback: se ne sta comodamente sdraiato a pancia molle osservando tutto quello che accade attorno a lui, in apparenza con aria distratta ma in realtà non perdendo il minimo spostamento. I polsi tremano nel sentire addosso lo sguardo indagatore di un bestione di 220 Kg, ma sembra tranquillo: ad intervalli regolari di 2-3 minuti emette il famoso grugnito “tutto ok!” a cui i ranger rispondono imitandolo perfettamente e tutto fila liscio… stiamo parlando con i nostri antenati, che storia!

Ad un certo momento, un paio di gorilla iniziano a salire su un albero e a dondolarsi freneticamente; la guida ci spiega che è l’effetto che hanno dopo aver mangiato troppo bamboo, che ha una sorta di “effetto sbronza” se ingerito in abbondanza; la sbronza deve essere di primo livello perché, a furia di dondolarsi vorticosamente, spaccano letteralmente l’albero che crolla al suolo, creando non poco scompiglio e beccandosi un mega cazziatone dal silverback, che si alza in piedi come una molla ad una rapidità incredibile.

Staremmo qui ore, ma il permesso ci garantisce l’osservazione per 60 minuti, al termine dei quali dobbiamo ritornare alla base; la via del ritorno si rivela un po’ complessa perché non possiamo percorrere la stessa dell’andata ormai resa impraticabile dall’albero caduto: tocca farci strada a colpi di machete tra le lobelie fino a ricongiungerci con il sentiero originale.

Che giornata ragazzi! Non la dimenticheremo mai!

07 GIUGNO VOLCANOES NATIONAL PARK – BISOKE CRATER LAKE

Per la giornata di oggi dovevamo scegliere uno dei possibili trek all’interno del parco; la scelta finale, nel rush con il “Golden Monkeys trek” è caduta sull’ascesa al vulcano Bisoke per ammirare il lago all’interno del cratere.

Ci stimolava parecchio questo trek, piuttosto lungo e faticoso, che da 2500 m porta fino ai 3711 m della vetta e così abbiamo abbandonato l’idea di un altro incontro con i primati per privilegiare l’ascesa pura.

Appuntamento come ieri alle 6.45 all’Headquarters di Kinigi e, dopo un breve briefing, partiamo in auto per il punto di attacco del trek.

La compagnia è composta da noi due, una guida, un portatore, due studenti in tirocinio e 4 soldati rwandesi armati di AK47. Avete letto bene… in questo trek, che corre lungo la linea di confine tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo siamo stati accompagnati dall’esercito; ufficialmente ci viene detto che sono con noi per proteggerci da eventuali attacchi di elefanti, ma il sospetto che siano lì per altre ragioni rimane molto forte, dal momento che stiamo entrando nel territorio della guerriglia congolese.

A parte questa “stranezza” (i soldati sono un po’ inquietanti da vedere ma non ci rivolgono mai la parola), il trek scorre tranquillo all’interno della foresta pluviale vergine; è estremamente faticoso: c’è un caldo umido pazzesco, il terreno è un pantano fangoso in cui si affonda letteralmente sino a metà caviglia ed è estremamente scivoloso.

Ad un certo punto del sentiero parte la deviazione per accedere al luogo dove è sepolta Dian Fossey: la primatologa infatti, secondo le sue volontà, è stata seppellita nelle montagne del Volcanoes accanto alle creature che ha tanto studiato ed amato. Tra l’altro, confermiamo che è vero ciò che viene raccontato anche nel film “Gorilla nella nebbia”: la sua tomba infatti è accanto a quella di Digit, il silverback con cui aveva stretto un particolare rapporto e che venne ucciso dai bracconieri poco prima di lei; entrambe sono collegate attraverso un cerchio di pietre affinché, secondo la credenza locale, le due anime vivano per sempre insieme anche nell’aldilà.

La salita è dura: nei tratti più ripidi occorre avanzare a forza di braccia su liane e rami per evitare di scivolare verso il basso; insomma si tratta di un osso molto duro da mordere e dai 3500 m in su la fatica è tantissima; la guida ed il portatore sono agilissimi e sembrano non sentire lo sforzo: indossano dei semplici stivaletti di gomma, come quelli che noi usiamo in giardino o quando piove, e si muovono con leggerezza balzando da un punto all’altro con una velocità incredibile.

Per me è un po’ diverso: faccio gli ultimi 200 metri di sola determinazione perché il fisico non c’è più ma non posso arrendermi adesso… e finalmente arriviamo in vetta! Lo spettacolo è incantevole: all’interno del cratere, fa piante ed arbusti rigogliosi, si estende il piccolo lago, tranquillo e cristallino.

Facciamo le nostre foto e ci godiamo il meritato riposo in quota, recuperando energie e mangiando qualcosa.

Siamo saliti in 2 ore e mezzo e la guida si complimenta con noi, dicendoci che in 13 anni di lavoro non gli era mai capitata un’ascesa così rapida e che quindi entriamo a pieno titolo nel libro dei ricordi di questo trek. Abbiamo tenuto alto il nome dell’Italia, mi raccomando fate altrettanto se venite da queste parti!!!

La discesa si rivela insidiosa, soprattutto per le ripetute scivolate sul terreno incredibilmente instabile, ma, a parte esserci ricoperti di fango da capo a piedi, portiamo a casa la pelle senza danni di sorta.

Arriviamo al lodge esausti: c’è solo spazio per una doccia calda, la preparazione delle valigie per la partenza e una buona cena.

08 GIUGNO: RUHENGERI – KIGALI – ITALIA

Ultimo giorno… dopo una tranquilla colazione ce ne andiamo un po’ a zonzo per Ruhengeri per fare qualche acquisto alimentare: thè e miele in particolare; abbiamo mangiato dell’ottimo miele in Rwanda e, visto che la produzione locale è notevole, siamo andati a comprarne un po’ da portarci a casa.

Prima di partire da Ruhengeri viviamo in diretta una scena di vita locale: Bosco infatti ci dice che deve ritornare ad un autolavaggio dove ha portato la macchina il giorno precedente perché, mentre pulivano gli interni, gli hanno rubato dei soldi dal vano portaoggetti.

Pare deciso a farsi giustizia e noi lo seguiamo: la scena è divertente perché Bosco, per nulla intimorito dal trovarsi di fronte almeno 10 ragazzini, urla e gesticola con aria tremendamente incazzata facendo valere al meglio le sue ragioni e mettendo in soggezione gli interlocutori; alla fine ovviamente non ottiene il maltolto ma di sicuro ha fatto parecchia strizza ai giovanotti.

Dopo questo siparietto partiamo alla volta di Kigali, dove arriviamo in circa 2 ore; il programma della mattinata prevede di visitare il Genocide Memorial, il museo eretto a memoria del genocidio perpetrato nel 1994 dagli Hutu ai Tutsi: quasi un milione di persone sterminate a colpi di machete in 3 mesi, nella totale indifferenza della comunità internazionale che, a parte l’invio di uno scarno gruppo di Caschi Blu comandati dal canadese Romeo Dellaire (comunque eroici, pur nella loro impotenza), non ha fatto nulla di risolutivo.

Abbiamo letto diversi testi sull’argomento e quindi conosciamo nei dettagli la “cronaca” degli avvenimenti, prima, durante e dopo, ma certo anche per chi conosce molto bene la storia il museo è di una crudezza estrema, con allestimenti che non lasciano nulla all’immaginazione e che sono dei veri e propri pugni nello stomaco.

Alcune sale sono così esplicite da far venire le lacrime agli occhi, ma probabilmente è una scelta consapevole per essere monito alle future generazioni affinché atti così aberranti non accadano mai più; e noi possiamo solo sperarlo.

Anche qui non c’è molto da dire, se non metabolizzare tutto quello che abbiamo visto e cercare di farcene una ragione.

Con questi pensieri in testa arriviamo all’aeroporto dove si conclude la nostra esperienza rwandese: alle 15 decolliamo puntuali per Entebbe-Doha e poi per Venezia, dove arriviamo il giorno dopo.

Questo è tutto: un viaggio indimenticabile in un paese che al tempo stesso può essere un Paradiso e un Inferno, zeppo di bellezze e di contraddizioni feroci, come buona parte del Continente nero.

Per qualunque approfondimento contattateci, ciao a tutti!

Francesco e Nadia

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