La Romania 2

Siamo partiti per la Romania senza sapere esattamente cosa avremmo trovato, ma con l'idea di andare a trovare i miei amici Ciprian e Cristian; questo viaggio ci ha pero' riservato una certa quantita' di sorprese. La Poderosa (una Honda CX 500 C del 1981, il nome di Poderosa e' solo una citazione Guevariana), la tenda ed il sacco a pelo, il...
Scritto da: Michele Giunta 1
la romania 2
Partenza il: 01/08/2003
Ritorno il: 17/08/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
Siamo partiti per la Romania senza sapere esattamente cosa avremmo trovato, ma con l’idea di andare a trovare i miei amici Ciprian e Cristian; questo viaggio ci ha pero’ riservato una certa quantita’ di sorprese. La Poderosa (una Honda CX 500 C del 1981, il nome di Poderosa e’ solo una citazione Guevariana), la tenda ed il sacco a pelo, il bagaglio ridotto veramente al minimo e i due amici ad attenderci, due settimane di preparazione e pochi soldi, una copia del Routard in italiano, edizione 2003/2004: questi gli ingredienti di un viaggio straordinario in secici giorni. Primo giorno: Il contachilometri della Poderosa segna 54532 Km ed il retro e’ ben strizzato dalle corde elastiche che trattengono il bagaglio. Partiamo di primo mattino, destinazione Trieste, Zagabria, Lubijana, Novi Sad. Non c’e’ molto da dire: tanta autostrada ed un acqauzzone in Croazia che ci costringe alla sosta per mettere le tute antipioggia. La stazione di servizio dove ci fermiamo ha evidentemente subito un bombardamento e la tettoia non svolge molto bene la sua funzione, sui muri le raffiche di una mitragliatrice: per entrambi i motivi siamo ripartiti al piu’ presto. In Croazia, gia’ una ventina di chilometri prima della Yugoslavia una incredibile coda di auto e camion precede la frontiera: sono slavi e turchi che lavorano nella CE e stanno tornando a casa per le ferie! Tra uno sguardo e l’altro sorpassiamo lentamente la sterminata carovana e le famiglie bivaccanti, incoraggiati anche dalla polizia.

Entrati in Yugoslavia tentiamo di cambiare qualche euro in dinari alla banca della frontiera: l’impiegato ci spiega che e’ impossibile per 15 minuti perche’ la sua collega ha finito il turno mezzora prima ed il suo deve ancora cominciare… La sera, a Novi Sad, troviamo posto nell’unico e triste albergo: abbiamo fatto circa 900 Km e qualsiasi albergo, catapecchia, stamberga dotata di giaciglio andrebbero benissimo. Secondo giorno: Solo 100 Km ci separano dal confine con la Romania! Dopo averne fatti 80, una paletta ci ferma: la nostra velocita’ e’ di 69 Km/h ed il limite 60, bisogna pagare una multa di 1000 dinari (16 E). Il mio passaporto e’ trattenuto dal poliziotto in attesa che io riesca a cambiare i soldi per pagarlo in dinari… Raggiungendo la frontiera e tornando indietro: lui ci avrebbe aspettato li. Dopo una amichevole chiacchierata, rassegnatomi al triste destino del contravventore, mi sento chiamare per nome e mi vedo riconsegnare il passaporto con un sorriso (una gioiosa candid camera slava?)! Siamo ormai alla frontiera ed un luogo comune sta per cadere: i poliziotti rumeni vorranno soldi, si terranno qualche oggetto dal bagaglio, tratterranno ore il povero turista? Niente di tutto cio’: un’occhiata al passaporto e via! Dopo i nostri primi 5 km di Romania altra paletta alzata, un poliziotto (che era seduto su un praticello in compagnia una radio a transistor ci spiega che anche lui fa parte della dogana (!); chiede dove stiamo andando. Tutte tenere scuse, ci ha fermato perche vuole vedere la moto da vicino: Quanti pistoni ha? Cilindrata? Uh! Raffreddamento e’ a liquido? Ah! Avviamento elettrico? Buon viaggio, divertitevi! Lungo la strada, sui pali del telefono, molte cicogne hanno fatto il nido e c’e’ un gran viavai di grossi pennuti da un palo all’altro. Proseguiamo per Timisoara, dove alla Cattedrale abbiamo appuntamento con l’amico Dan-Ciprian. Mentre aspettiamo, un improbabile cicerone ci travolge di spiegazioni sulla Romania, un ammasso incomprensibile di storia, geografia, gesti e ammiccamenti, il tutto in rumeno stretto! Poi, come e’ arrivato, cosi’ e’ ripartito, senza nemmeno congedarsi! Arriva invece Ciprian, su una Dacia blu guidata dal suo amico Vali che sara’ nostra guida per Timisoara, la citta’ da cui e’ partita nel 1989 la rivoluzione che ha rovesciato il regime sanguinario Ceausescu. Giardini, orto botanico, chiese ortodosse e cattoliche, graziosi palazzi alquanto originali. Alle 7 di sera (sob!) partiamo per 250 terribili chilometri alla volta di Lupeni, dove la mamma di Ciprian, Mia, ci attende per la cena. Ci mettiamo 5 lunghissime ed impegnative ore perche’ le buche ed il buio si aggiungono alla stanchezza, costringendomi a frenare la Poderosa.

La premurosa e dolcissima signora Mia ci ha preparato una fantastica cena ed un letto, ma siamo in realta’ troppo stanchi per renderci conto cosa abiamo intorno: le sorprese sono per l’indomani.

Terzo giorno: Ciprian ci presenta la fidanzata Georgiana ed il fratellino di lei, Daniel. Ben presto capiamo che la famiglia di Ciprian, Georgiana, Daniel ed alcuni loro amici formano un gruppo particolarmente unito e di grande generosita’, che apprezza la vita all’aperto e naturalmente portato a rapporti semplici e genuini. Andiamo a passeggiare per Strasa, una localita’ turistica invernale molto rinomata che domina il paese di Lupeni. Ci accompagna Eric con la sua Dacia bianca, che arranca con grandi sforzi per una specie di Via Crucis ortodossa con tanto di stazioni di sosta e croci con le iscrizioni. Vediamo una volpe, uno scoiattolo, un capriolo addomesticato che gioca con i cani locali, tre orsi che pero’, loro malgrado, sono ingabbiati. Eric e’ un prete protestante. Quarto Giorno: Ciprian ci mostra orgoglioso le sue proprieta’: e’ fortunato perche’ ha alberi da frutto, qualche prato in collina, delle mucche, un ruscello e progetta di creare un laghetto per allevare le trote; quando e’ a casa passa delle giornate su una panchina immerso nel suo verde. E’ un vero privilegio in un paese di minatori come Lupeni, privo di distrazioni ma pieno di cemento, avere del verde e degli animali ed ancora di piu’ saperli apprezzare. Mentre siamo tra i campi, il fratellino di Georgiana, attratto dalla Poderosa, sale sopra e tra gli appassionati movimenti crollano entrambi nel vicino fossato: con la forza della disperazione lui (13 anni, sano e salvo) e la signora Mia riescono a riportare sulla stradina i 220 Kg della Poderosa che se la cava con una freccia ed uno specchietto fuori uso. Beh: a questo punto succede dell’incredibile. Con il profondissimo rammarico della famiglia, la fitta rete di amici viene attivata per le riparazioni. Uno specchio fume’ viene prelevato da un vecchio autobus e sottoposto alla nostra approvazione, un personaggio viene chiamato per il taglio circolare dello specchio, il meccanico delle bicicletta del paese montera’ il tutto sul sostegno che nel frattempo e’ stato ribattuto. Un pezzo viene inoltre tornito ex-novo per riparare la freccia! Nel pomeriggio partiamo in autobus con tende e sacchi a pelo per la montagna, e saliamo a piedi per una decina di duri chilometri per Cheile Butii, in direzione di Cabana Butii. Dopo 5 ore di cammino e un corso d’acqua attraversato, diciamo, un po’ meno asciutti di altri, arriviamo ad un’apertura dove piantiamo la tenda ed accendiamo un fuoco. Nella luce tremolante Ciprian raccconta del curioso dialogo di un suo professore con un pastore del posto. Cosa fa da queste parti? Cammino, nel fine settimana! E cosa fa di solito? Sono professore in citta’, professore di Meccanica Quantistica. Ah, erano tanti anni che aspettavo qualcuno cui fare questa domanda, professore, posso? Certo! Allora mi dica: siamo noi ad attraversare il tempo, o e’ il tempo che pasa attaverso di noi? Pare che abbiano poi discusso per due ore! Quinto giorno: Il caldo del sole ci sveglia sulle 9. Continuiamo la salita, ma senza la tenda, fino ad un ripiano piu’ alto con una trentina di cavalli in liberta’ e ci fermiamo per conoscerli personalmente. Individuiamo il loro leader e lo conquistiamo con delle bustine di sale che abbiamo con noi, poi riusciamo anche a salire su una delle giumente. Strada facendo incontriamo tedeschi, cechi e francesi.

Nel pomeriggio la veloce discesa, fino all’autobus severamente stipato di gente e di bagagli, fino a Lupeni.

Sesto giorno: La mattina, sulle 9:30 mentre Ciprian e’ a scuola guida ci viene a trovare il suo amico Poli, il meccanico di biciclette e “coordinatore” delle riparazioni alla moto, che nel frattempo e’ tornata magicamente come nuova. Poli ci ha portato il suo album di fotografie con l’infanzia, i suoi viaggi, le sue biciclette migliori, il suo paese: commovente. Dopo una colazione a base di zucchine fritte, torta, tortino di melanzane e di patate, noi aggiungiamo una spaghettata al pomodoro che abbiamo portato dall’Italia, e ben sazi chiediamo di fare una foto di gruppo con la famiglia. Adesso e’ il momento di un giro in moto con Marian, il fratello di Georgiana, che ha chiesto di poterla guidare e con Daniel, che dalla moto era invece caduto, per riconciliarlo con la Poderosa e con se stesso. Il nonno di Ciprian e’ eccezionale: quando, nel 1999, ci fu un’eclissi totale di sole, ne fu informato al mattino. Lui pero’ non ci credeva: “credete proprio a tutto quello che vi raccontano! Dove andremo a finire?” Cosi’ dicendo se ne ando’ nel bosco, come sempre. Quando il sole scomparve davvero, il nonno scese di corsa dal monte, esclamando: “voi non potete sapere cosa e’ successo! E’ terribile! Un drago ha mangiato il sole, lo ha mangiato! E adesso siamo rovinati, ci congeleremo e non potremo piu’ seccare il fieno per le bestie!”. Poi la dolorosa e commossa partenza per proseguire il nostro viaggio: partiamo per Cluj-Napoca dove arriviamo alle 20 e troviamo un graziosissimo bungalow dal tetto spiovente che sembra una casetta degli gnomi. Le strade oscillano dall’asfaltatura normale e continua, allo sconnesso, all’estremamente sconnesso con buche molto larghe, profonde e soprattutto inaspettate: una vera meraviglia per una moto stradale, costretta a fare slalom a 60 Km/h!! Abbiamo presto capito perche’ la Romania sia letteralmente disseminata di gommisti (“Vulcanizare”).

Settimo giorno: Partiamo per Baia Mare (“mare” vuol dire “grande”), evitando le citta’ grazie alla strada camionabile che evita sempre di entrare nel traffico. Arriviamo a Sighetu Marmutiei, nella meravigliosa regione del Maramures, e le stade si fanno verdi e costellate di animali, prati, colline, mucchi di fieno e coltivazioni di girasoli, piselli, patate, alberi da frutto. Man mano che entriamo nella regione, il trasporto diventa sempre piu’ a trazione animale: carretti di ogni tipo trainati da uno o due cavalli (eventualmente un puledro che segue al trotto la sua mamma) trascinano lentissimi fasci di tronchi, mucchi altissimi di fieno, ferrivecchi (una volta, anche la carcassa di una Dacia). Attraversando le montagne qualcuno sul ciglio della strada vende cesti di funghi, secchi di more, mirtilli o lamponi. Entriamo nel Maramures attraversando un portale di legno sulla strada: il legno e’ la chiave di volta del Maramures. Da adesso in poi la parola “villaggio” sara’ ben piu’ appropriata di “paese”. Cerchiamo i villaggi di Desesti, Budesti, Ocna Sugatag, Calinesti, Barsana e Vadu Izei. Budesti e’ una perla indimenticabile con una chiesetta (ovviamente in legno) che sembra uscita da una favola (ed e’ anche patrocinata dall’UNESCO), dove non sembrano esserci troppi turisti. L’intero villaggio sembra una cartolina di quando le cartoline non erano ancora a colori. Le case hanno vicino al pozzo una specie di albero che al posto delle foglie porta, rovesciate all’ingiu’, pentole colorate. Nulla di magico, e’ solo il loro modo di riporle, dato che lo spazio in casa e’ poco! Bellissimi portici , rigorosamente in legno, circondano le abitazioni e portano, appesi, tutti gli strumenti della cucina e del lavoro all’aperto. Le case sorgono lungo la strada, ma non a ridosso: in mezzo di solito c’e’ uno spazio con un prato o un fossato erboso e qui gli animali (capre, mucche, cavalli, pecore, polli, tacchini,…) pascolano controllati dai proprietari, che siedono su una panchina improvvisata e che serve anche per guardare il passaggio della gente. Per la strada c’e’ quindi sempre una gran quantita’ di persone e bestie…

I bambini quando passiamo (un po’ astronauti sulla Poderosa e sigillati nelle giacche di pelle) sorridono e corrono sulla strada per salutare, le bambine salutano meno spesso, ma ci guardano sempre incuriosite. Anche gli operai salutano. Anche chi guida i carretti saluta. Nel Maramures e’ sempre stato un gran salutare… Incrociamo due carri di tzigani: trasportano una famiglia al completo (con nonni e discendenza) con tutti i loro averi e le donne sono vestite con colori sgargianti. Due vecchie signore sedute davanti a casa, che vestono i costumi tradizionali, stanno filando la lana col fusto (!). Incontriamo anche i bufali al pascolo e alla trazione dei carretti. Scopriamo una macchina per segare il legno mossa dalle pale di un mulino ancora in uso. Le starde sono sempre terribili, ma ormai ci stiamo abituando. Non ci sono moto, nel nord. Forse anche per questo la curiosita’ spinge la gente a salutarci e quando ci fermiamo ad avvicinarsi, incuriositi ma timidi.

Ci fermiamo in un Hotel senza infamia e senza lode, al prezzo di 24 E (in due!), perche’ la stazione di servizio di Ion e Diana era al completo… Peccato, la guida ne parlava molto bene, ma noi ci siamo in parte rifatti andandoci per cena.

Ottavo giorno: Realizziamo con grande orgoglio di essere a 50 m dall’Ucraina (siamo arrivati in Russia!!!!). L’appuntamento di oggi e’ a Sapanta con il Cimiterul Vesel , che significa cimitero allegro. E’ chiamato cosi’ perche’ tutte le lapidi riportano un epitaffio scherzoso che racconta la vita e la morte dell’estinto; su ogni lato della croce/lapide, che e’ interamente in legno, e’ anche ripostato un coloratissimo bassorilievo scolpito con una vignetta che ritrae il defunto in una scena della sua quotidianita’. L’idea di questo cimitero e’ del geniale Ion Stan Patras, anch’esso defunto, ma con la fortuna di aver trovato un discepolo altrettanto bravo che continua la sua opera. Una tappa indispensabile di ogni buon viaggio in Romania, anche se bisogna essere locali per capire le iscrizioni… Ed eccoci, nel primo pomeriggio, a scoprire la cura e l’amore dei rumeni per i musei: e’ sconcertante come la poverta’ e la mancanza di mezzi siano colmate con la volonta’ e con la grazia dell’esposizione. Assaporiamo il museo etnografico di Sighetu Marmutiei, in citta’, che conserva abiti, strumenti e addirittura pozzi e cancellate della campagna locale negli ultimi secoli. Subito dopo siamo al museo etnografico all’aperto, poco fuori citta’, dove intere case, fattorie con macchine e addirittura una chiesa sono state spostate dalle loro posizioni originali per formare un intero villaggio ricostruito che riassume la tradizione del Maramures; anche questo museo e’ assolutamente fuori dal comune. Nella tipica abitazione di questa regione il camino della stufa non esce dal tetto, ma libera i fumi all’interno del tetto (ma non in casa), in modo da tenere una cappa di calore sulla casa ed affumicare le carni ed i cereali stivati all’asciutto; c’e’ poi una struttura ricorrente a tre stanze, in cui ogni angolo ha una funzione prestabilita.

A Barsana incontriamo l’amico Ioan , che ci porta subito a casa sua per vedere i due vitelli nati da una settimana, le pecore, gli agnelli ed i maiali. Ha anche una sorella con relativa amica, alcuni fratelli ed un paio di vicini che accorrono per vedere la Poderosa, poi vogliono sentirla rombare e sollecitano una completa scheda tecnica con tanto di consumi. John ci offre una modesta merenda (salsicce, uova fritte, pane, pomodori, peperoni, latte appena munto), nel frattempo parliamo di lui e di noi e ci porta per il suo frutteto, parlandoci delle vestigia dei Daci trovate nella zona e delle chiese ortodossa, protestante e cattolica del paese. Dato il nostro interesse per i costumi tradizionali, veniamo condotti in casa e addobbati con detti costumi per una sorridente ed imbarazzata foto-ricordo. Infine ci spostiamo nel monastero ortodosso interamente in legno di nuovissima costruzione dove assistiamo al canto delle monache ed al continuo ed ossessivo rintoccare del martello di legno sulle tavole, tipico di questi posti di preghiera. Infine, dopo aver sfidato anche troppo un enorme nuvolone nero (i motociclisti temono la pioggia) salutiamo commossi John e partiamo alla volta di Botiza dove arriviamo esattamente all’uscita dalla messa dell’intero paese. Noi in realta’ stiamo cercando un telefono per contattare i nostri ospiti, ma ovviamente due astronauti non si vedono tutti i giorni, cosi’ veniamo letteralmente accerchiati da ragazzi e bambini, cui si uniscono ben presto tutte le signore che escono dalla chiesa. La nostra platea ci spiega a mille voci un sacco di cose incomprensibili col massimo dell’impegno e della concitazione, qualcuno guarda invece le ruote ed i cilindri… Comunque riusciamo a sapere dove si trova il telefono e a telefonare a Ion e Nita Tripoi, che ci vengono a prendere, ovviamente in Dacia! Abbiamo una camera tutta per noi, con annesso bagno ed acqua appena scaldata (a legna)! La signora e’ ottima tessitrice di tappeti ed ha un telaio in legno appena fuori casa. Ci mostra come si fa un tappeto , ma non troppo: e’ giorno di festa non si lavora! Nono giorno: Partiamo per Bogdan Voda e Borsa diretti sul colle di Prislop per assistere alla Hora. Nel villaggio di Borsa la maggior parte delle auto ha targa italiana; turismo di massa? No, ma lavorano tutti in Italia e da noi hanno comprato l’auto (infatti queste non sono Dacia!). A Prislop e’ come essere alla festa dell’Unita’ di Bologna: grigliate, patatine, banchetti.. Solo che qui vendono anche ruote di bici, affila-falce, sedie, jeans, polli starnazzanti… Di tutto! La Hora e’ in realta’ un festival musicale folcloristico in costume, che sembra essere relegato in un angolino e dura poco. Comunque noi ci siamo (!), ma quando finisce ripartiamo ed attraversiamo una lunga valle con ruscello, lungo il quale si sono fermati moltissimi ROM con bambini, anatre, cavalli e tutto il resto. Paesaggio incantevole. Siamo diretti a Suscevita dove dicono ci sia il monastero fortificato piu’ bello dal punto di vista architettonico, ed effettivamente… C’e’ una cinta muraria nella quale vi sono anche gli alloggi per le monache, e nel centro del quadrato la chiesa, affrescata dentro e fuori senza un minimo spazio libero. Il Routrad ci spinge verso una famiglia che dice essere il top per la cucina tradizionale, ma veniamo dirottati sulla sorella della padrona di casa causa posto esaurito. Decimo giorno: La prima cosa oggi e’ tornare a visitare con piu’ calma il monastero di Sucevita , poi partiamo per vederne altri: Voronet (bellissimo, con un colore di fondo blu oltremare, anche detto “Blu Voronet”), Moldovita, Humor. In quello di Voronet un singolare incontro: una monaca contribuova ai lavori di restauro scalpellando sicura con un martelletto quasi sdraiata sul pavimento e con tanto di occhiali protettivi da sabbiatore! Dirigiamo a Solca, dove una casa tipica del 1670 e’ stata trasformata in un piccolissimo museo etnografico. Per visitarla si suona ai vicini, che fanno anche da guida (in rumeno, ma ci capiamo benissimo!).

Ci fermiamo alla Banca Romana per cambiare qualche euro: esco dalla banca con un blocco con piu’ di 130 bigliettoni rumeni in mano! E’ ora di mettersi alla ricerca dei nostri ospiti quotidiani, le indicazioni della guida sono quanto mai poetiche: strada sterrata con prati laterali (oche, cavalli, maiali, ecc…), al villaggio a destra, superate la chiesa ortodossa e poi quella cattolica. Alla fine del prato c’e’ un bivio, prendete a sinistra; c’e’ una piccola valle dall’aspetto bucolico, attraversate il ponticello (qui ci sono delle baracche di tzigani che fanno i calzolai), risalite, fermatevi la prima casa a destra. E cosi’ e’ stato: siamo arrivati alla casa di Angelica e Simion Jucan, forse la piu’ bella dove abbiamo dormito. Un paesaggio mozzafiato, animali, l’accoglienza di casa propria. Decidiamo che questa, per noi, e’ la Bucovina. Il nonno di casa ci mostra la mucca, i vitelli ed il cavallo.

Per cena una fantastica sorpresa: una terrina piena zeppa di funghi porcini trifolati, cosi’, come se fosse un’insalata! Undicesimo giorno: Salutiamo commossi Angelica (anche lei e’ commossa!) ed usciamo da Poieni Solca per dirigere verso i monasteri di Arbore, Dragomirna e Patrauti, per poi lasciare la Bucovina. A Dragomirna la struttura e’ imponente come a Sucevita, con mura di cinta e torri. Un gruppetto di italiani, scesi da un camper, stanno contrattando con una monaca il biglietto di ingresso: sostengono che in altri monasteri hanno pagato (l’equivalente di) 600 lire, e (l’equivalente di) 1000 lire sembra loro un po’ troppo! Sono patetici. A Patrauti per vedere il monastero si suona a casa del prete, che manda la governante ad aprire. Bellissimo ad Arbore il cimitero intorno alla chiesa, che come sempre da queste perti e’ un cimitero/giardino/orto, con tanto di alberi di mele, pere, susine, prugne e sotto patate, fiori, lapidi… Anche un cavallo che da’ una mano a togliere le erbacce! Nuovamente in viaggio, questa volta per Risca, un monastero che pero’ riusciamo a perdere perche’ mancano le indicazioni per il nostro villaggio-guida! Seguendo per Roman usciamo dalla Bucovina, il panorama e’ dolcemente ondulato, con grandi pascoli. Il contachilometri segna 56912 Km, 2380 Km dall partenza.

Lungo la strada la Poderosa ci da qualche preoccupazione perdendo potenza e tossendo sotto le raffiche del forte vento, per poi riprendersi gratificata da un succulento pieno di benzina Premium, la migliore disponibile.

Strada facendo ci fermiamo per pranzo in un improbabile ristorante lungo la strada, con tanto di orchestrina e menu’ bilingue. La casa offre: attesa molto lunga, cameriere semisvestite, carne e polenta (“mamaliga”).

In serata siamo a Tazlau, tappa guadagnata con grande sforzo grazie ad una strada che ci delizia con voragini ed allegri percorsi ad ostacoli di difficolta’ crescente per soli turisti motivati. Guadagnamo cosi’ il “centro” del villaggio, dove cerchiamo disperatamente il telefono per contattare i nostri ospiti. Questa volta chiediamo al Comune (aperto) dove una signora senza denti parlante solo rumeno decide di aiutarci chiudendo i battenti del pubblico ufficio ed accompagnandoci a piedi! Raggiungiamo cosi’ la casa di Angelica Florean, la professoressa di francese del villaggio, dove incontriamo anche una coppia breton/rumena.

Visitando il monastero di Tazlau facciamo conoscenza col giovanissimo prete ortodosso, che ci accompagna compiaciutissimo a fare il giro della sua chiesa e, tra un risolino e l’altro ci porta sulla torre campanaria e divertito suona le campane, spiegando che e’ una cosa da farsi rigorosamente e solo la domenica (non e’ domenica, ovviamente!). Infine ci esorta a fotografare la chiesa, il cimitero/orto/giardino ed il busto di Pietro il Grande.

Dodicesimo giorno: La meta di oggi e’ un villaggio sassone nel centro della Romania. In questa zona ce ne sono piu’ di cento, fondati nel sedicesimo secolo quando popoli sassoni furono chiamati in Romania per aiutare nella difesa dall’invesore tartaro.

La stada passa per una serie di gole di calcare e per il Lacu Rosu, dove facciamo anche un piccolo giro in barca a remi. Brutta giornata per la Poderosa, che cade da ferma in salita nel tentativo di guadagnare l’asfalto e si ferisce ad una freccia, ma con qualche cerotto e molte rassicurazioni si dichiara disposta a proseguire.

La pausa del pranzo ci ferma a Gheorgeni, dove uno strano ristorante (forse del passato regime), molto tetro, attira la nostra attenzione. Fortunatamente scopriamo che c’e’ anche una terrazza esterna dove mangiamo anche piu’ che dignitosamente. Arriviamo a Shigisoara, il piu’ grande dei centri sassoni, dove grazie al suo nome (“Collina della Stazione”) troviamo il campeggio e ci accomodiamo in un grande bungalow che otteniamo dopo lunghe discussioni con la direzione… La serata ci serve per girare la vecchia cittadina (Patrimonio dell’Umanita’, UNESCO) che si dice abbia dato i natali al famigerato Vlad Tapes, alias Conte Dracula. La cena in un Hotel un po’ fuori citta’ ci fa conoscere i magnifici papanasi, una sorta di ciambelle forse fritte con panna forse allo yogurth e more che sono ancora vivissimi nei nostri ricordi.

Tredicesimo giorno: Per arrivare al villaggio di Viscri percorriamo sbigottiti l’unica via che la raggiunge: una decina di chilometri di sterrato duro tra dolci colline del tutto deserte. Poi arriviamo al villaggio , che sembra essere congelato all’inizio del secolo scorso. Le case, vecchissime, sorgono ai lati della strada (sterrata) e di un canale, ed hanno strani colori. C’e’ un silenzio del tutto irreale che sembra continuato, anziche’ interrotto, dai movimenti degli animali. A questo punto conosciamo Carolina, che e’ l’anima del villaggio: era insegnante, cura i rapporti con l’UNESCO (anche Viscri e’ patrimonio dell’Umanita’), accoglie i turisti, viene ricevuta dal Principe Carlo e suona le campane della torre alle 12 in punto perche’, come dice lei, non tutti hanno l’orologio e bisogna essere precisi. A Viscri conosciamo anche 5 motociclisti bolognesi, pittoreschi quanto molto male assortiti. Visitiamo la chiesa fortificata e saliamo subito sulla torre dalla quale si vede il paese affacciarsi sulla strada; ci dicono che la tradizione vuole sfortunate le famiglie che abitano le case non esposte al sole perche’ necessitano di piu’ legna l’inverno per scaldarsi e cercano quindi di unirsi con qualcuno dell’altro lato con i matrimoni.

Nel pomeriggio partiamo alla volta di Bran, la citta’ con il famoso castello di Dracula, che viene sfruttata come una sorta di Disneyland ed attira miliardi di turisti. E infatti la famiglia che il Routard descrive come modesta, tutto “profumi e fragoline di bosco” e’ ormai diventata una sorta di nuovissima pensione per ricchi abitanti di Bucarest (anche molto maleducati). Questa casa, che come la tela di un ragno ci ha preso quali ospiti involontari, era per altro zeppa di ceramiche veneziane da bancarella, terribilemente kitch, e di ritratti scolpiti sul legno del Conte Dracula, anch’essi provenienti dai mercati di souvenirs. Scioccati dal contrasto tra Viscri e Bran ci siamo tuffati nell’anestetica lettura. Ovviamente, delle fragoline, neanche l’ombra! Quattordicesimo giorno: La colazione di oggi, sempre alla pensione Josefina, prevede: lardo in cubetti, ciccioli fritti, carne compressa, uova fritte, formaggi confezionati, peperoni: ripartiamo inorriditi al piu’ presto e visitiamo il castello di Bran che, pur intasato da turisti, e’ comunque bellissimo ed e’ proprio arroccato e tenebroso come nella leggenda. Ci fermialo a Saliste, dove l’ufficio turismo ci procura l’indirizzo di una famiglia dove fermarci. La signora e’ gentilissima ed una vicina di casa anglofona viene chiamata per interagire con noi. La sera siamo a Sibiu per vedere il piu’ grande museo etnografico all’aperto della Romania (il Museo Civilizatiei Populare din Romania): questa volta sono ricostruiti mulini ed abitazioni di ogni parte del paese, ed il museo si estende per ben 96 ettari. E’ eccezionalmente ben tenuto e curatissimo, c’e’ anche un lago con mulini a vento. Il ristorante e’ anch’esso un antico edificio trasferito e le sale, all’aperto, sono chioschi che ospitavano balli popolari. La cottura delle patate e del minestrone e’ fatta a terra con grandi paioli e ciocchi di legno; per finire in bellezza, ci propongono i famosi papanasi! Quindicesimo giorno: Decidiamo di evitare la tappa ad Hobita, la citta’ natale del grande scultore Brancusi (del quale avevamo visto l’atelier ricostruito a Parigi) perche’ la deviazione ci costerebbe quasi 300 Km. Decidiamo quindi di partire per il confine, diretti in Yugoslavia. Lungo la strada ci imbattiamo in un mercato tzigano di bestiame: mucche, vitelli, maiali sono esposti su un prato tra gabbie e furgoni, gli uomini contrattano ad alta voce e c’e’ anche una pista per mettere alla prova i cavalli da soma dove viene fatto loro trainare un blocco di cemento con il fantino seduto sopra. Proseguiamo in direzione della Yugoslavia, attraversiamo il confine senza alcun problema ed in serata siamo all’Hotel Voividina di Novi Sad (che ci fa posteggiare la moto all’interno, passando su marmi e tappeti!); qui incontriamo quattro ragazzi che stanno andando da Trieste ad Istambul in bicicletta. Noi invece domani arriveremo in Italia.

Mikele & Francesca



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