Gli ammutinati di SantoDomingo

GLI AMMUTINATI DI SANTO DOMINGO PROLOGO C’è sempre una prima volta per tutto. Questa però, avrei detto che non sarebbe mai arrivata. Se solo un mese e mezzo fa una zingara con la palla di cristallo mi avesse detto: “tu andrai una settimana in un villaggio turistico”, le avrei riso in faccia e fatto una pernacchia. Ora non...
Scritto da: Pepa C
gli ammutinati di santodomingo
GLI AMMUTINATI DI SANTO DOMINGO PROLOGO C’è sempre una prima volta per tutto.

Questa però, avrei detto che non sarebbe mai arrivata.

Se solo un mese e mezzo fa una zingara con la palla di cristallo mi avesse detto: “tu andrai una settimana in un villaggio turistico”, le avrei riso in faccia e fatto una pernacchia.

Ora non potrei più farlo. Perché, adesso, in un villaggio ci sono stata. Da sola. Devo dire che una vacanza là dentro la immaginavo parecchio diversa dalla mia. Forse perchè in effetti in villaggio ci sono stata pochino….. Ma vediamo un po’ quali sono stati gli ingredienti che mi hanno portato a fare per la prima volta una simile esperienza: metti un periodo strano della tua vita, in cui sul lavoro è calato il blocco di un’ acquisizione.

Aggiungici tante ferie e giornate feriali noiosamente in stand by, Buttaci su uno spruzzo di sfiga che fa sì che la tua amica che avrebbe dovuto partire con te sia stata trattenuta a Milano da un capo un po’egoista e poco largo di vedute (“niente ferie a Maggio, tesoro”).

Mescola bene il tutto, rovescialo su un fidanzato che, con immensa pazienza (ma niente ferie) e tanto amore, si è beccato la sottoscritta in stato catatonico-negativo per un mesetto, infine prendi al volo un last minute dal prezzo inverosimile e….. Taaaaaaac, la cosa è fatta.

GLI AMMUTINATI DI SANTO DOMINGO – DIARIO SEMISERIO DELLA MIA PRIMA VOLTA IN UN VILLAGGIO.

Si parteeeeeeee! Malpensa, 6 maggio 2002. Sono davanti al desk del ritiro biglietti.

Ma quanta gente c’è che va in vacanza fuori stagione? Tanta.

Per me è la prima volta. E’ la prima volta che viaggio da sola, la prima volta in un villaggio, la prima volta che prendo un pacchetto turistico: chissà…. Chissà come è la gente che va nei villaggi…..Magari sono in parecchi a farsi la stessa domanda in questo preciso momento qui a Malpensa….I miei occhi scrutano la fauna passeggeri e potenziali compagni di vacanza. Dunque dunque, vediamo un po’….Alla mia destra una coppia di coreani cellulare-dipendenti con accento bergamasco: sono lì da soli dieci minuti e avranno fatto già quattro telefonate consecutive, tutte in bergamasco stretto; ….Di fronte a me, invece, uno stereotipo da film: cinquant’anni, capello biondo decolorato, abbronzatissimo e incartapecorito, cintura di pitone che fa pandant con gli stivali rigorosamente a punta, pantaloni di pelle nera e camicia jeans. Il prototipo del gigolo in vacanza insomma: qualsiasi ragazza minimamente decente non sfugge al suo occhio testosteronico.

…….Alla mia sinistra una coppia di biondini veneti angelicati in viaggio di nozze……. Più in là una famiglia con bambini piccoli a carico. Prego tutti i santi e gli dei del cosmo che, una volta sull’aereo, i bambini non si siedano nelle mie immediate vicinanze. Preghiera inutile.

Sul 747 mi trovo a fianco della coppia biondina. In due nanosecondi realizziamo con orrore e disappunto che la famiglia con bambini a carico è piazzata esattamente davanti a noi. In particolare la bambina più “vivace” (userò questo eufemismo) è seduta (anche “seduta” è un eufemismo) proprio di fronte alla giovane ragazza bionda in viaggio di nozze. Bene, almeno non darà calci al mio tavolinetto per 8 ore consecutive, mi dico.

Io adoro i bambini. Ma odio i genitori che li fanno viaggiare senza impartirgli i rudimenti dello stare insieme agli altri.

Arriva il pranzo: la bambina “vivace” non apprezza le carote e il pollo che ci hanno servito. Inizia così a lanciarli qua e là per trascorrere amenamente il tempo. La mia vicina bionda sembra non gradire affatto. Con freddezza glaciale degna di un vikingo alterna sbuffi a scossoni impartiti allo schienale della piccola peste. In tutto ciò i genitori della bambina sono imperturbabili e atarassici. Come se non ci fossero. Due mummie. Due Kouroi pre-ellenici.

Meglio dormire, mi dico. O almeno provarci.

Dopo quasi nove ore di volo arriviamo all’aeroporto di Punta Cana alle 22, orario dominicano. L’aeroporto mi ricorda vagamente quello di Ko Samui, anche se è un po’ più grande e meno idilliaco di quello thailandese.

Appena messo piede in aeroporto ci accolgono un paio di locali con macchina fotografica e ghirlande di fiori (sigh): vogliono scattare una nostra foto per poi cercare di vendercela al ritorno. Una foto? Che dovrei poi comprare? Alle 10 di sera? Dopo 9 ore di volo? Nooo vi prego, chiedo venia! Così, mimetizzandomi tra le frasche dell’aeroporto riesco a svicolare ed evito lo scatto. Presi i bagagli salgo sul pulmann che mi porterà al villaggio. Adesso è il momento di guardare i passeggeri perché tra loro sono nascosti i miei compagni di vacanza: mmmh, a una prima occhiata non vedo nulla di buono. Mi accorgo anzi che i due koreani bergamaschi dalla telefonata facile sono dei nostri: quando si dice la sfiga… Fuori dal finestrino non vedo gran che perché è buio : solo palme. Palme. Palme.Palme.

Mi sento come una bambina il primo giorno di scuola: sola (no amici, no fidanzato), verso un luogo di genere sconosciuto (il villaggio per l’appunto).

La nostra hostess sembra una tipa sveglia: ci informa subito che domattina alle 9 e 30 ci incontrerà tutti (“alle nove e trentaaaa?”) per raccontarci un po’ come funziona il villaggio: una specie di brief, ci dice. “BRIEF”? A SANTO DOMINGO? Io fingo indifferenza ma medito rappresaglie. Le parole “nove e trenta” e “brief” sortiscono su di me un effetto allergico devastante: comincio a sentire la pelle pizzicare e somatizzo all’istante.

Arrivati a destinazione è buio pesto. Alla reception ci danno le chiavi della camera e ci mettono al polso un braccialettino azzurro che dovremo indossare per tutta la vacanza e che ci dà diritto a usufruire della formula all inclusive. Mi sento un po’ marchiata, mi sento un bovino. L’idea di tenere una cosa al polso per una settimana senza poterla levare mi infastidisce. Freghiamocene, mi dico, e andiamo a mangiare.

Il ristorante del villaggio è ancora aperto per consentirci di mettere qualcosa sotto i denti. Nooooooooo, ecco il momento che temevo di più: i pranzi e le cene in solitaria! E’ più forte di me: devo aggregarmi a qualcuno di tranquillo che non fraintenda la mia socievolezza notturna….Dunque mmmmmh.. Sssiiii, quelle due ragazze fanno proprio al caso mio. Mi siedo con loro, scambio quattro parole e mangio un boccone. A noi si unisce un ragazzo, Marco, anche lui solo, apparentemente timido e un po’ farfugliante. La conversazione non decolla. Ma d’altra parte sono le 11 di sera e abbiamo un lungo viaggio sulle spalle.

7 MAGGIO- LA NOIA MATTUTINA E LA NASCITA DEL “GRUPPOCOMPATTO” Gli occhi si pallano verso le 7 e mezza del 7 maggio mattina . Colpa del fuso, era da prevedere.

Appena uscita dalla stanza vedo cose che non avrei voluto vedere: prove per lo spettacolino serale di animazione; cinquantenni con cappellino, canottiera e marsupio che vagolano come anime in pena per i vialetti del villaggio; diciottenni imberbi e con scompensi ormonali che fissano me e le altre persone di sesso femminile con occhio assatanato; overquarantenni platinate con tanga semioccultati da parei trasparenti: mi prende lo scoramento.

Nooo , non fa per me, non fa per me! Perché, perché non c’è il mio moroso, DOV’è, DOV’è? Voglio andare viaaa- mi dico.

Ma, suvvia, bando allo scoramento e vediamo di non essere negativi; per esempio, diamo uno sguardo alla natura circostante: il villaggio è immerso in un palmeto e le costruzioni non sono affatto invasive. La giornata è bella, c’è il sole , fa caldo ma un vento leggero rende il tutto più piacevole. Colazione. Da sola questa volta: per non sentirmi un’idiota mangio leggendo Il giovane Holden. Risultato: sporco il libro di uova strapazzate e non capisco un tubo di quanto sto leggendo.

Trangugio una broda di caffè e mi alzo. In lontananza scorgo una massa di gente di fronte a un palco: sono loro! aaaaaaaaaaaaaghhh, noooo, il brief delle 9 e trenta! Timidamente e scetticamente mi avvicino alla folla. Vengo accolta con un cocktail di benvenuto che mi viene gentilmente offerto dalla hostess che sfoggia un sorriso a 48 denti (ma come, non erano 32?). Accanto a me una ragazza bionda, dallelinee morbide occhi blu cobalto è appena arrivata anche lei: ci guardiamo, ha una bella faccia simpatica e un’espressione sufficientemente ironica stampata sul volto: anche lei è sola, come me. Sarà la mia prima nuova compagna di vacanza, Rosanna.

Il brief si rivela esilarante: ci presentano il capoanimatore , un pirla mai visto con il cervello di una medusa e i peli di un orango. Ha uno sguardo indipendente, nel senso che un occhio guarda a destra l’altro preferisce guardare a sinistra. Si presenta e ci chiede di far sentire il nostro calore con un applauso La faccia inizia a prudermi e le mani non vogliono saperne di applaudire.

La mattina trascorre mollemente in spiaggia a riprendersi dal viaggio del giorno prima. Sulla spiaggia conosciamo una signora sui 45 anni, Micaela: una donna pesantissima e pedantissima: parla solo di malattie, sfighe e proprio staus sociale . Una noia mortale insomma, da pecòla e latte alle ginocchia. Mi guardo intorno per farmi una seconda flebo di ottimismo: la spiaggia è bella, bianca, ventilata con palme da cocco. Il mare ha colori che vanno dal verde al blu intenso ma è un po’ sporco di alghe: colpa del vento. L’acqua è tiepida e fare il bagno è piacevolissimo. Il sole è traditore: con la scusa del vento non si fa sentire molto. Ma picchia che è un piacere. Si rende necessaria la protezione 20 per tutta la vacanza, pur non avendo io la pelle particolarmente chiara.

Ore 15, calma piatta. Mi annoio . Faccio una capatina da Tonino: Tonino non è altro che il proprietario di un piccolo supermercato appena fuori dal villaggio in cui si vende di tutto. Tonino è un siciliano con i baffi: è un mito. Tonino è uno che ha cambiato la sua vita Mi dà il suo biglietto da visita stampato in bianco e nero con fotocopiata la sua foto di vent’anni fa. E’ uno tranquillo, vive bene, se la gode. Un grande. Da lui si trovano rum dominicani (il mitico Barcelo Imperial e il Brugàl) di varie misure e prezzi, costumi da bagno (caso mai uno li avesse dimenticati a casa), schede telefoniche (deo gratias: telefonare dall’albergo costa uno sproposito, meno male che ci sono le schede), patatine, lamette da barba, internet (le mail che ho inviato a tpc le spedivo da qui!): insomma una panacea. Grazie di esistere, To’.

La sera a cena siamo quattro: Rosy, io, Marco (il ragazzo della cena della sera prima), soprannominato immediatamente “Marchino ” e un nuovo acquisto della spiaggia: Leopoldo, apparentemente aggressivo perché parecchio imponente e dall’aspetto “austroungarico” , in realtà un ragazzo d’oro, tra le persone più tranquille e serafiche che abbia mai conosciuto nella mia vita. Un giro al buffet, due patate , un po’di riso col pollo e siamo in sei: recupero una coppia conosciuta al pomeriggio in spiaggia e non me ne pentirò per tutta la vacanza e oltre. Marica e Flavio, questi i loro nomi, sono sconvolti dal fatto che il cuoco cucini pasta a Santo Domingo. Li capisco benissimo, sono sconvolta anch’io.

Ma come? Io che adoro provare, sperimentare, che non tocco uno spaghetto o un fusillo se non sono dentro i confini del mio paese, ora mi ritrovo qui, in un isola dei Caraibi, con spaghetti all’amatriciana e pennette alla Norma? Naaaaaaaa. Non esiste. Mi rifiuto. Così mi irrigidisco e prendo solo ciò che ha un ‘aria vagamente locale: quindi riso tipo patna, quindi pollo con il cocco, formaggio cotto fritto e unto come solo nei Caraibi (e in Grecia) sanno fare, patate cucinate in ogni modo, birra locale, jamon iberico (che non è dominicano ma è pur sempre buonissimo e da noi in Italia non è poi così diffuso). Gli altri cinque della tavolata sono più o meno sulla stessa lunghezza d’onda. Il capoanimatore è veramente un personaggio surreale: per me tutto potrebbe fare fuorchè il capo animatore, ma lui forse questo non lo sa. O forse io non sono un animale da villaggio e non so che tutti i capianimatori sono e devono essere così. Più probabile la seconda ipotesi… Comunque: nessuno di noi sei se la sente di partecipare ai vari giochi-aperitivi e teatrini, nemmeno per un secondo. Abbiamo bisogno di “evadere”, di ricaricarci a nostro modo: meglio un buon rum al bar fuori dal villaggio, dove ci sono i dominicani, sulla spiaggia, sotto una palma, mentre il vento soffia piano e l’aria accarezza i nostri capelli un po’ sconvolti .

8 MAGGIO – AMMUTINATAMENTO TOTALE Chissa perché, quando sono in vacanza all’estero le mie colazioni diventano pantagrueliche. A Milano un caffè e basta. Qui via libera a scrambled eggs (non resisto alle uova calde strapazzate) copiose e ripetute fette di pane tostato , zumo de naranja, melocoton, ananas, maracuja e altre esoticità. L’incursione al buffet delle brioche e dei dolci la rimando a domani, mi dico. E’ incredibile come davanti ai buffet tutti si atteggino a denutriti del Biafra: sembra che la gente, sottoscritta inclusa, non mangi da settimane. Vedo piatti colmi e stracolmi di cibi in quantità improbabili e ingestibili da qualsiasi stomaco umano; potrei scommettere che nessuno finirà quello che ha nel piatto. Uomini con davanti a sé quattro croissant due dolcetti al cocco, una fetta di crostata di frutta, tre toast, chili di marmellate diverse e scrambled eggs a profusione. Donne con ettolitri di yogurt e cornflakes, qualche salsiccia, un paio d hamburger tanto per gradire, prosciutto e formaggio in quantità, uno zic di marmellata e cinque tipi diversi di succhi . Ah, il melone, dimenticavo il melone! La mattina trascorre schivando i ripetuti attacchi degli animatori e i loro inutili tentativi di coinvolgerci in roboanti cacce al tesoro, rutilanti merengue e partitoni a beach volley: PRIMA FASE DI AMMUTINATAMENTO AVVIATA.

Con l’allegro gruppetto di amici discutiamo poi delle possibili escursioni: tutti conveniamo che quelle organizzate dal villaggio sono parecchio care. Senza dubbio, organizzate autonomamente costerebbero moolto meno.

Parte così la SECONDA FASE DI AMMUTINAMENTO DEL BOUNTYVILLAGGIO: CERCASI DOMINICANI CERCASI! Tassisti, baristi, barcaioli, parte la caccia. Flavio, che non parla una palabra di spagnolo ma ha una facilità di approccio ed espressione pazzesca, attacca bottone con chiunque. Io e Marchino nel frattempo superiamo la spiaggia del villaggio e entriamo in contatto con un gruppetto di locali che affitta barche: concordo il prezzo per andare alle piscine naturali , zona così chiamata per l’acqua trasparente e bellissima, cosparsa di stelle marine. Sono molto fiera della trattativa, il prezzo concordato è quattro volte inferiore a quello che chiedevano i barcaioli del villaggio. E vvvai. L’appuntamento è per le due del pomeriggio. Alle due ci presentiamo e vediamo una barca che assomiglia più alla zattera di Robinson Crusoe che a qualunque altro mezzo di natazione. I miei amici mi guardano, io allargo le braccia e faccio la gnorri. Che dio ce la mandi buona.

Saliamo sulla bagnarola, ci sistemiamo, giubbotti salvagente e via, si parte sulla zattera più veloce del Caribe. Le sfumature del mare sono esaltanti il sole è caldo e…un momento ….Cosa sono quelle nuvole all’orizzonte che galoppano velocemente verso di noi? Un minuto dopo, pioggia a catinelle; nell’arco di trenta secondi siamo bagnati fradici. Impossibile proseguire. Attracchiamo a una piattaforma in mezzo al mare dove alcune persone, pochissime, fanno snorkelling. Ci ripariamo lì per quindici minuti, il tempo di durata dell’acquazzone. Poi si riparte verso le piscine: la spiaggia che vediamo dal mare è deserta; zone rocciose si alternano a parti sabbiose e …oops ma che succede? La barca rallenta: praticamente si ferma. Siamo su una secca. Tombola.

Rosanna mi guarda con fare provocatorio e sembra volermi dire….Beh? di cosa ci lamentiamo, dopo tutto? Non facevamo i superiori che snobbavano la vita banale da villaggio? Ma si dai, anche questo fa parte del “turismo fai da te”, no? Io me la godo un mondo. Rosanna e Marco un po’ meno, sono irritatissimi. Secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, cominciamo tutti a dubitare della credibilità dei barcaioli: anch’io inizio a perdere la pazienza. Ma mi dico, “Santo Cielo” e tutti i santi incluso Santo Domingo, cari i miei barcaioli, vivete qui 365 giorni l’anno e ignorate l’evolversi delle maree! Che si fa? Si scende e si aiuta a spingere? Si scende e si aiuta a spingere. Scoppia l’ilarità generale. Nemmeno Fantozzi, Willy Coyote e il gatto Silvestro messi insieme avrebbero potuto fare di meglio. Leo, spingendo la bagnarola, intona “quindici uomini, quindici uomini suuuullla caaassa del mortooo”, noi ridiamo e gli andiamo dietro. Mi sono chiesta chi fosse il morto in quel caso. Risposta facile: probabilmente il barcaiolo, non appena tornati a riva.

Scampiamo la secca, rimontiamo in barca e partiamo verso le piscine. Le vediamo finalmente. Acqua idilliaca, sabbia e stelle marine sul fondo: siamo ancora nell’oceano ma vi assicuro che l’acqua lì non ha nulla da invidiare al mar dei Caraibi. Il barcaiolo cerca di rabbonirmi offrendomi un conchiglione gigante che ha pescato. Gli faccio notare che se mi beccassero con quello all’aeroporto mi tratterrebbero sull’isola per i prossimi cinque anni. Lui sorride e allarga le braccia come per dire “chissene”.

Le stelle marine sono stupende creature: le tocchiamo tenendole sempre in acqua. Non le avevo mai viste così grosse e così da vicino. Sono un miracolo della natura. Così perfettamente stelle, con le cinque punte precise e il colore che va dal rosso acceso di alcune al vinaccia di altre. Sopra sono dure, sotto sono piene di piccole ventose.

La sera disertiamo il ristorante dell’albergo e ci avventuriamo al Matru’, bettola dominicana per dominicani dove si mangiano aragoste e pesci locali a un prezzo decisamente competitivo rispetto ai ristoranti turistici della zona.

Ordiniamo: – Sei-aragoste- sei, di dimensioni imbarazzanti (dei conigli, per intenderci) – Due- pescioni dominicani-due dei quali non ricordo il nome. Enormi con le squame rosa arancio, carnosissimi – gamberi a profusione – patate fritte e unte tagliate a fette rotonde: una leccornia – insalata varia – birre Dominicane a fiumi Mangiamo con grandissima soddisfazione, il clima di complicità che si sta creando tra noi è innegabile. Poi ci guardiamo e ci viene da ridere: abbiamo pagato tutti una vacanza all inclusive e stiamo vivendo al di fuori del villaggio.

E questa non sarà l’ultima cena qui al Matrù….

9 MAGGIO – SANTO DOMINGO e RUHM A PALLA Ci svegliamo di buon’ ora: sempre secondo la logica “ammutinamento” abbiamo organizzato una gita fuori porta.

Destinazione Santo Domingo, capitale dell’isola.

Per l’occasione abbiamo mercanteggiato il costo viaggio con un taxista. In pratica paghiamo in sei lo stesso prezzo che ciascuno di noi avrebbe dovuto pagare se fosse andato in escursione col villaggio: ogni commento sarebbe superfluo.

Facciamo “la spesa” al buffet della colazione: prepariamo e incartiamo panini con formaggio e prosciutto, croissant, banane…..Alcuni ospiti ci guardano straniti : ehi, cosa avete da guardare? Non vedete il braccialettino “stile mucca” ai nostri polsi? Siamo anche noi della vostra fattoria e abbiamo il diritto di prendere tutto quello che vogliamo, non credete? E’ molto buffo guardare come ci osservano, specialmente le coppie più mature. In questo frangente mi sento una sedicenne anche se ho il doppio degli anni.

Partenza ore 8. Per arrivare a Santo Domingo città ci vogliono tre ore e mezza.

Il paesaggio è variegato, campi di canne da zucchero a profusione: Miguel, il nostro tassinaro, ci spiega che le canne da zucchero sono lavorate solo dagli haitiani, non dai dominicani; attraversiamo una miriade di paesi. Tutti colorati, le case sono piccole, basse, rosa, verdi e azzurre. A molte finestre ci sono sbarre bombate, una sorta di vezzo architettonico coloniale, ci spiega Miguel. Il modo di guidare dei dominicani è semplicemente folle: si spostano da destra a sinistra con grande non chalance e senza preoccuparsi di segnalarlo. Miguel fa dei peli allucinanti indifferentemente a destra e a sinistra: nessuna preferenza, per carità. Sfioriamo di tutto: carretti, bambini in mezzo alla strada , motorette, fiancate di camioncini, specchietti di auto…Flavio, seduto di fianco al tassista, non si scompone: per tutto il tragitto continua a conversare con lui in italo-spagnolo improvvisato. Ogni tanto Miguel gli risponde e quando non capisce si mette a ridere. Ride parecchio.

Il viaggio è inframmezzato da panini e brioche gentilmente offerti dal nostro villaggio all-inclusive.

Arriviamo a Santo Domingo e ci facciamo portare subito alla zona coloniale, la parte vecchia e storica della città. L’aria è calda, afosa, il cielo è terso, di un azzurro perfetto. Mi guardo intorno camminando per le calles di Santo Domingo: mi ricorda molto il Messico, l’effetto è quello di riprovare sensazioni già vissute in un luogo diverso: i muri ocra, gli edifici coloniali, i portici con i giardini e le palme……tutto questo ci spiazza e ci trascina lentamente in un’ atmosfera lieve e sognante, calda e sorniona. Assoldiamo una guida locale, Fernando, fondamentale perché il tempo a nostra disposizione è poco e dobbiamo vedere tutto quel che c’è da vedere qui intorno: entriamo in un magnifico palazzo con portici di pietra, candelabri di ferro battuto e giardino secolare con salici piangenti, palme, vialetti con panchine….Un luogo surreale e bellissimo. Giriamo per le strade visitiamo la cattedrale magnifica e imponente sul piazzale, poi andiamo in Calle de Las Damas e vediamo un’altra chiesa: all’ingresso , appena dentro il portone nel centro della navata c’è una guardia dominicana, altera e fiera, con lo sguardo immobile e lontano, vestito dei colori di Santo Domingo. Io non posso non guardarlo, non posso non fissarlo: è bello e regale, un esempio di stile e rispetto. Lo fisso, voglio vedere se distoglie lo sguardo dal suo punto lontano, oltre tutti noi. Lo fisso ancora ma i suoi occhi scuri non tradiscono il minimo movimento, la pupilla, vivace e vigile, non ha il benchè minimo tremore.

Mollo il colpo, anche perché gli altri sono già usciti e mi stanno aspettando poco più in là. Fernando, la guida, non manca di farci vedere la casa di Cristoforo Colombo: la casa è lì, vicino alla vecchia città ma in mezzo a casoni moderni e costruzioni di ferro: la nuova Santo Domingo non sembra gran che e noi decidiamo di non visitarla e di dedicare il nostro tempo alla parte coloniale e alla zona del Modelo, il vecchio mercato di Santo Domingo.

Prima di andare al Modelo camminiamo per le vie del centro guardandoci intorno: questo è uno dei momenti che prediligo nei viaggi. Il momento in cui ti addentri in un luogo per il solo gusto di conoscerne i particolari e l’atmosfera: i dettagli di una strada, i colori di una facciata, le volute di un lampione, un’istantanea di due dominicane che si parlano dalla finestra, un profumo che stuzzica le narici…. Incappiamo in un bellissimo bar ristorante multicolore e molto caraibico. Nonostante sia vistoso siamo gli unici turisti. Ai tavoli, qualche dominicano e più in là un occidentale panciuto con cappello che ha tutta l’aria di vivere laggiù da parecchio: sul suo tavolo una bottiglia di Brugal coricata. In bocca un sigaro, forse un Havana dominicano….Tutti ci domandiamo perché tenga la bottiglia di rhum adagiata sul tavolo. Scattano le ipotesi più diverse : – non vuole far vedere ai passanti che si sta scolando da sola un’intera bottiglia di Brugal anejo – non vuole che la moglie , dalla finestra del palazzo di fronte dove probabilmente abita, si accorga che il marito beve ruhm già alle due del pomeriggio – la bottiglia viene tenuta in posizione orizzontale perché, per qualche strana ragione che esula dalle nostre competenze, così il rhum si mantiene meglio.

– È talmente sbronzo che non si è accorto che la bottiglia non è più in piedi ma è sdraiata. La risposta non arriva, così diamo il via alla danza delle ordinazioni di piatti tipicamente dominicani : cioè a base di carne piccante. Poco dopo raggiungiamo il nostro tassista che ci attende paziente nella piazza della cattedrale e che ci porta dritti verso il Modelo.

La parte al chiuso del Modelo è un’accozzaglia di negozietti stile bazaar dove si vendono sempre le stesse cose: quadri locali (alcuni non male), pappagalli di legno dipinto, gioiellini con la pietra azzurra di santo Domingo, sigari, sigari sigari in stanzette climatizzate, parei di dubbia qualità e di dubbio gusto (i parei meglio prenderli in Tahilandia o in Indonesia). Tutti fanno a gara per tirarti dentro e tirarti dietro qualcosa. Tutti provano a fare prezzi allucinanti che poi tu porti almeno alla metà della cifra di partenza. Se sei giapponese mediamente riesci a farti fregare (è incredibile ma è così).

Non c’è nulla che valga veramente la pena di essere comprato. Io mi lascio tentare da un paio di orecchini azzurri, giusto perché mi dicono che c’è la pietra locale portafortuna sopra e io sono un po’ scaramantica.

Usciamo all’aria e girovaghiamo per le stradine , in mezzo alle bancarelle: questa parte del Modelo mi ricorda un po’ il mercato di Bangok: odori, colori, acri e decisi. Bambini in mezzo alla strada, frutta in abbondanza, gente che cucina, che grida (ecco, a Bangkok non gridava nessuno): un bello spaccato di dominicanità.

Nessuno di noi compra gran che, sono più convenienti i prezzi di Tonino e del supermercato vicino al villaggio (da non credere). Rimontiamo in macchina e ripartiamo alla volta del Bavaro.

Flavio riattacca bottone con Miguel che nel frattempo si è sciolto e si lascia un po’ andare: impreca contro un carrettino che gli taglia la strada e il discorso cade inevitabilmente sulle parolacce dominicane nonché termini di chiara natura sessuale. Piuttosto ovvio direi. Lui se la gode un mondo, si diverte tantissimo a sentirci ripetere quello che lui ci insegna. Noi dal canto nostro lo acculturiamo sulla terminologia italiana che lui assimila diligentemente e con risultati sorprendenti.

Il clima nell’abitacolo è frizzante : si scherza e si ride da paresi alle mascelle. Sull’onda dell’entusiasmo improvvisamente Miguel sgomma e devia per una strada sterrata sulla destra: ormai si sente a suo agio con noi tanto da abbandonare la strada principale per seguire un sentiero sterrato in mezzo alle piantagioni di canne da zucchero: è una scorciatoia, ci spiega, con questa risparmiamo almeno mezz’ora di strada. Il sentiero è dissestato mica da ridere: Rosanna non è particolarmente a suo agio; Marco-detto-Marchino borbotta frasi incomprensibili ai più; Leo non dice nulla: a lui va tutto bene; Flavio, Marica ed io siamo esaltati dalla cosa: ai lati della strada solo canne da zucchero; nel cielo il tramonto rosa azzurro; laggiù in fondo, qualche fuoco brucia: bruciano le canne ci spiega Miguel. Sullo sterrato non incrociamo nessuno. Rosanna si vede già fatta prigioniera da malviventi locali e fantastica sul suo ipotetico valore in caso di richiesta di riscatto. Passiamo di fianco a capanne: sono fatte di terra impastata e paglia, teli colorati sventolano fuori, mentre dentro si intravede un’unica stanza che fa da casa per almeno quattro persone. Vivono con poco, ma sui loro volti non c’è rabbia, non c’è odio, non c’è tristezza: solo calma, pacatezza, un lasciarsi vivere senza rimpianti.

Svoltiamo a sinistra incrociamo delle rotaie senza passaggio a livello né segnalazione. Inutile l’intervento di Marchino che fa notare quanto sia pericoloso. Miguel prosegue e si inoltra ancora di più tra le canne. Magia: davanti a noi all’improvviso una folla di gente , probabilmente lavoratori di canna da zucchero in festa; c’è musica gente che beve e che ride , un ammasso di colori e di volti . Miguel ci conferma che è una festa. Io, Marica e Flavio vogliamo fermarci. La macchina accosta nonostante i borbottii “stile cuccuma” di Marchino. E in un attimo siamo lì, prima un po’ timorosi, la paura di disturbare, di essere di troppo; poi con Miguel al fianco ci sentiamo più forti e ci avviciniamo: e la musica viene verso di noi e noi ci mescoliamo a loro , loro ci vedono ma non ci fanno caso, sorridono e la festa continua e noi siamo lì in mezzo e la musica è tutt’intorno; l’aria fresca ci sfiora e niente ci tocca in quel momento di intesa simbiotica.

Risaliamo in macchina e in un’ ora siamo a casa. Ringraziamo e paghiamo Miguel, poi ci fiondiamo al ristorante del villaggio, ancora aperto per la cena.

Dopo cena ci allontaniamo quatti quatti dall’area teatrino e ci spostiamo sulla spiaggia: stasera ruhm-party per pochi intimi! Marchino e Flavio erano andati a fare la spesa il giorno prima sulla base di una accurata lista stilata tutti insieme.

Ecco quello che avevano comprato: Barcelo’ Imperial , il ruhm migliore di santo Domingo Brugal Gran Anejo, uno dei migliori ruhm di santo Domingo Brugal Anniversario (per il cuba Libre) Arance mature Caffè macinato Cioccolato fondente Cocacola (gentilmente fornita dal villaggio-all inclusive) Ghiaccio ( gentilmente concesso dal villaggio-all inclusive) Succo di pera (?) E’ Flavio ad aprire le danze; Marica lo segue e noi non ci facciamo certo pregare: un bicchierino di ruhm con ghiaccio e poi uno scacchetto di cioccolato fondente. Sublime E poi: sorso di ruhm e fetta d’arancio con polvere di caffè. Paradisiaco.

E ancora: Brugal Anniversario e coca per un Cuba Libre con la c maiuscola. Un classico.

Dopo qualche ora tra ruhm, cioccolato, arance e chiacchiere siamo belli allegri. Una guardia in divisa gironzola per la spiaggia. Noi siamo in fase di socializzazione piena. Gesticoliamo, gli gridiamo di avvicinarsi e gli offriamo un bicchierino di ruhm e un po’ di cioccolato. Lui serissimo accetta, trangugia ruhm e cioccolato in un battibaleno ma non si siede con noi: “Estoy trabahando!” ci spiega in un sussurro.

10 MAGGIO – “IL PERICOLO E’ IL MIO MESTIERE” Dopo la notte brava , ci svegliamo con grande calma.

E visto che la formula all inclusive offre escursioni in catamarano io e Rosanna, con un esperto dominicano alla guida del mezzo, ne approfittiamo.

Partiamo alla volta della punta, il vento è forte e il catamarano è per metà in acqua per metà sospeso. Io sono dalla parte sollevata, mi sembra di volare…Ci fermiamo su una spiaggetta per qualche secondo, poi facciamo per rimontare sul catamarano e.. Toh, un altro catamarano in lontananza. Viene verso la spiaggia.

Ehila! Saluto con la mano.

Ehilà! Sembrano rispondere con la mano i due sul catamarano.

..Ma guarda un po’ come vanno veloce e….Vengono proprio da questa parte e… vengono verso di me e….. ‘azz, mi hanno visto e…. Cosa fanno, cosa diavolo fannooooooooOOOOOOOOOOOOOOOO! SPLASH! Con gesto plastico e riflessi felini (roba da non credere, non sembravo io) schivo il pattino del catamarano per un pelo.

Silenzio.

Rosanna è pietrificata.

Il nostro dominicano è diventato biondo.

Il loro dominicano, quello che avrebbe dovuto guidare l‘altro catamarano, non c’è. Nel senso che alla guida c’è un ragazzetto spagnolo paralizzato dalla paura . La sua fidanzata si riprende subito dallo shock: e inizia ad insultarmi con epiteti iberici che, ahimè, capisco benissimo.

Qualcosa non mi torna.

Ma come: io sto per salire in tutta serenità sul mio catamarano, guidato da dominicano competente che sa il fatto suo. Tu, anzi il tuo ragazzo imbranato e che non-ha-mai-visto-un-catamarano-in-vita-sua attenta alla mia vita e IO SAREI LA STRONZA? Le urlo le poche parole spagnole che potevano essermi utili in quel frangente, evitando accuratamente qualsiasi gesto dell’ombrello e affini (di cui la fanciulla invece, con classe e stile proverbiali, aveva fatto largo uso).

Ripartiamo, torniamo alla spiaggia dell’hotel, il dominicano mi dice che sono stata una vera signora, che avrei dovuto spaccarle la faccia, le gambe e tutto il resto. Io lo prendo come un gran complimento, considerato che di norma sono un’impulsiva: porca paletta, sono illesa per miracolo! Evidentemente ci sono giornate che nascono così, all’insegna del pericolo e così devono finire.

Dopo cena Marco, Marica, Flavio ed io ci avventuriamo per una stradina appena fuori dal villaggio che si apre su un paio di locali. Ci beviamo un rum e coca seduti al bancone e lì conosciamo Pedro, un ragazzo dominicano che sentendoci chiedere il Cuba Libre ribatte scherzando: “ si, pero Cuba no es libre!”. Questa battuta deve divertirlo molto, la ripeterà almeno una decina di volte nel corso della serata.

Inizia la nostra conversazione con Pedro: gli offriamo un Cuba ed entriamo un po’ in confidenza col personaggio; lui ci racconta la storia (romanzata) della sua vita e noi , dopo averlo ascoltato per una mezz’ora buona, gli chiediamo dove possiamo trovare sigari e rum a basso prezzo. Pedro assume un aria da “la so lunga” e ci dice che nel suo paese conosce un tipo che può farci avere rhum e sigari dominicani Havana e Montecristo a prezzi stracciati. Scopro così che non esistono solo i Montecristo e gli Havana Cubani ma ci sono anche quelli made in Santo Domingo, che sono anch’essi pregiati.

Pedro insiste, vuole assolutamente portarci da questo amigo: in cambio chiede un Montecristo e un bicchiere di Barcelo’ imperial bevuto in compagnia. Io e Marica siamo un po’ scettiche ma Flavio mentalmente sono già là, a contrattare scatole di Havana dominicani e litri di Brugal. E noi non possiamo abbandonarlo.

Così saliamo in macchina con Pedro (dei pazzi) che ci porta nel paesino dove vive. Tutt’intorno case scarsamente illuminate, motorini rombanti fermi all’incrocio (l’unico incrocio), una pompa di benzina senza benzinaio. La macchina si ferma davanti a una specie di night club. Un’insegna rosa al neon ci dice che siamo arrivati al “Gato Gordo”. Pedro scende e fa cenno di seguirlo. Davanti a noi si apre un locale da film : buio, aria fumosa, facce da ergastolo, donzelle allegre in atteggiamento equivoco con look da sbarco in viale Zara. Marchino sorride beato, non gli sembra vero , lui è lì, in un posto così autentico, così poco turistico. Di turisti in effetti neanche l’ombra più vaga.

Flavio si allontana nei meandri del locale con Pedro. Marchino, Marica ed io ci mettiamo al bancone del bar e ordiniamo un coca e rum.

Gli avventori del locale ci guardano sospettosi e incuriositi. Un paio di uomini, uno mezzo sfregiato l’altro con una dentatura da circo, si avvicinano a me e Marica. Vogliono offrirci da bere. Marchino ruggisce che non ce n’é bisogno, grazie, siamo a posto così. I due figuri si allontanano e si dirigono verso altre due prede, senza dubbio più accondiscendenti.

Non faccio in tempo a girarmi verso Marchino per ringraziarlo del tempestivo intervento che lo vedo lì, abbordato da una autoctona. Marchino dimostra grande scioltezza, sorride, le parole escono fluide dalle sue labbra, non si lamenta come di consueto: per una qualche misteriosa magia, la sua pupilla appare improvvisamente dilatata . Eppure, mi dico, ha bevuto solo un Cuba Libre… Io e Marica diamo un’occhiata alla donna : alta quanto Frodo Baggins nel Signore degli Anelli, magrina, con due tette che sfidavano qualsiasi legge di gravità, pelle scura, capelli lunghi neri, lineamenti marcati e trucco un po’ forte. Età apparente: trent’anni. Esordisce con un “hey chico te gusta el rum?” poi il discorso si fa più complesso e mi distraggo. Anche perché improvvisamente c’è un po’ di trambusto al Gato Gordo. Mah….Che succede? POLICIA, POLICIA! Urlano a destra e a sinistra. Fuggi fuggi generale. Vedo Flavio e Pedro correre a gambe levate fuori dal locale. Marchino si risveglia dal trance provocato dalla intraprenente hobbit dominicana. Lui, Marica ed io iniziamo a galoppare verso l’uscita di servizio, dove abbiamo visto scomparire Flavio e Pedro. Appena fuori sentiamo le sirene: capiamo che l’ingresso principale è piantonato dalla polizia: si tratta di una specie di retata. Una mano conosciuta ci afferra e ci trascina in un vicolo: è Flavio insieme all’inseparabile Pedro:. Io e Marica ci guardiamo tra lo sconvolto e il divertito. Mancava solo di finire in galera con le donzelle……..

Risaliamo in macchina : ma allora, questo rum? Questi sigari pregiati? – domando io. Flavio ha lo sguardo torvo. Mi mostra una scatola di Havana dominicani.

Tutto qui? Gli chiedo Tutto qui.

11 MAGGIO – SAONA: TAPPA SULL’ISOLA DEL SOGNO Dal primo giorno che ho messo piede a Santo Domingo risuonava nel mio cervello e alle mie orecchie questo nome eufonico e melodioso: Saona.

Tutti ne parlavano, e le foto sparse per il villaggio dicevano più di qualunque parola: era un’escursione da non mancare. E finalmente il momento è arrivato: quella mattina partiamo tutti per Saona con l’organizzazione del villaggio (eh già!). Un’ora e mezza di pulmann e siamo a Bayahibe, Caraibi e da lì salpiamo su piccole lance alla volta dell’isola di Saona.

L’atmosfera è subito esaltante, lungo il tragitto i dominicani che guidano la lancia offrono rum e coca come se piovesse. E noi figurarsi se ci tiriamo indietro. La giornata è bellissima. L’acqua ha sfumature e colori indescrivibili. Il panorama, tra palme , spiagge e scogli, è una delizia per gli occhi e per il cuore. Ma il meglio non è ancora arrivato. Il meglio arriva quando avvistiamo la spiaggia di Saona. Saona…..

No, aspettate, fermi tutti: voglio godermi questo momento, voglio immortalarlo nella mia memoria e nel mio sguardo, voglio “fotografarlo” per sempre. Palme da cocco a perdita d’occhio, sabbia chiara, non una costruzione, non una casa. Tutt’intorno acqua verde a perdita d’occhio. Arriviamo a riva e mi sembra di entrare in un sogno: acqua di aquamarina tiepida, sabbia borotalcata e perfetta, più in là un trionfo di palme. Farfalle nere e arancio svolazzano pigramente qua e là, per l’aria ventilata. Ma sono telecomandate? Ma chi ce le ha messe? E’ tutto vero? Non è finita: due dominicane ci si avvicinano e ci chiedono se vogliamo un massaggio. Sotto le palme. In mezzo ad ali di farfalle. In quel di Saona. Io dico loro che ho solo cinque dollari con me e una delle due mi sorride e fa si si con la testa, va bene così, mi dice. Mi sdraio sul mio asciugamano e questa signora tonda e paciosa parte con il massaggio più piacevole e vigoroso che abbia mai provato. Siamo tutti lì, sdraiati , chi fa il massaggio, chi aspetta il suo turno bevendo il Coco Loco, noce di cocco con latte di cocco e rum., ennesima delizia.

Mi guardo intorno e penso che cose così, sensazioni così, ogni tanto nella vita ci vogliano davvero. Che questo posto è forse tra i luoghi più onirici e perfetti che abbia mai visto: ci guardiamo in silenzio, per un attimo, volgiamo lo sguardo al cielo, all’aria fresca e pura, con una mano sfioro una farfalla, alcune si appoggiano sulla pelle, poi l’occhio va al mare, ancora ed ancora : vorrei che non finisse mai.

Passiamo ore a mollo tra coco loco e risate: le vacanze sono anche questo, atmosfere complici ed euforiche, battute elettriche che corrono veloci sul filo delle sensazioni e dei pensieri e ti fanno sentire al centro del mondo, ti fanno capire che a volte sulla tua strada il motore degli eventi può portare cose e persone belle e inaspettate. E forse è proprio questo che ha reso quella giornata così memorabile: non è solo il luogo, perfetto e inviolato, ma il viverlo proprio insieme, noi sei.

Rosanna si guardava intorno con occhio sognante: “che posto..Che posto”, ripeteva in loop costante. Marchino, mediamente critico per natura e per scelta, taceva felice, un sorriso stampato sulle labbra e la pace negli occhi; Leo si godeva il mare , il sole, la nostra ironia, ogni più piccolo piacere che questa giornata stava regalando; Marica rideva come una bambina, sguazzava nell’acqua, le brillavano gli occhi; Flavio divorava con la mente e lo sguardo ogni momento di quella giornata , dicendo: “ se deve esistere il paradiso, io lo immagino più o meno così”.

12 MAGGIO- CAVALLO PAZZO E SIGARILLOS Quella mattina parlando con un dominicano sulla spiaggia vengo a sapere che un paio di chilometri a ovest un gruppo di locali organizza passeggiate a cavallo nell’interno. Per farla breve, alle due del pomeriggio siamo sul posto . L’idea è quella di farci un giro per i palmeti e visitare una fabbrica di sigari lì nei paraggi. Del gruppo di sei, solo Rosanna è un’esperta cavallerizza. Gli altri, io inclusa, hanno a malapena provato a salire in groppa al pony del circo Togni o al brocco di turno di qualche maneggio campestre.

Quindi diventa assolutamente fondamentale poter disporre di equini: 1) tranquilli 2) anzi, molto tranquilli. Mansuetissimi.

3) sazi 4) non troppo veloci: diciamo pure lenti.

5) intuitivi: che capiscano dove andare anche quando chi li cavalca non glielo spiega come dovrebbe.

Con il mio spagnolo assolutamente rudimentale e parecchio improvvisato cerco di inculcare nella mente del dominicano di fronte a me questi cinque concetti.

Lui mi guarda, non capisco se abbia capito , ma mi convinco che tutto gli sia chiaro. Partiamo. I cavalli sembrano assolutamente in linea con le nostre capacità. I due dominicani che ci accompagnano ci fanno strada nel palmeto in direzione della fabbrica di sigari.

Lafabbrica è piuttosto piccola. Entriamo, l’aria è fresca rispetto all’esterno: la temperatura è molto importante perchè i sigari si mantengano. I sigari che producono lì sono sostanzialmente di due tipi: con foglie esclusivamente dominicane; con foglie miste , dominicane e cubane. Ciascuna tipologia poi viene realizzata secondo diversi formati che vanno dai più sottili ai più grossi. E’ bello vedere come li fanno, manualmente: le foglie di tabacco vengono messe una sopra all’altra e poi arrotolate tipo involtino. Vengono poi inserite in un’incavo di legno a guisa di sigaro che gli dà la forma. Il profumo là dentro è intenso e piacevole. Proviamo un Robusto con foglie dominicane, uno dei più grossi. Ogni tanto, in rari momenti, mi piace fare qualche tiro di sigaro: il sapore di quel Robusto è dolciastro e profumato, nulla a che vedere con gli olezzi sgradevoli che si sentono a volte intorno e addosso a chi il sigaro lo fuma tutti i giorni. E’ anche vero, ci dice il fabbricante, che bisogna cosiderare anche di che qualità di tabacco si tratta. E questo Robusto non sembra male. Io non ne capisco gran che ma Marco, che si professa intenditore, aspira con gusto e fa cenni di approvazione.

Compriamo tutti qualche sigaro e riprendiamo il nostro passeggio (mi piacerebbe dire galoppo ma direi il falso) tra le palme. Marco è molto soddisfatto dei sigari acquistati. E’ talmente esaltato dal profumo che entra nella parte del “colono spagnolo” e se ne accende uno in groppa a Panuelo, il suo cavallo. Non si sa come non si sa perché, forse un frammento di brace o l’odore di fumo, ma , non appena acceso il sigaro, il masueto Panuelo si trasforma in Furia cavallo dell’West. E che furia. Ahiahiahi, brutta storia. Il sigaro parte dalla bocca di Marchino e dopo qualche volteggio nell’ aria finisce per terra. Paco, uno dei due caballeros, con gli stessi riflessi di Keanu Reeves in Matrix, lo raccoglie e lo spegne immediatamente borbottando tra i denti un “hijo de puta”.

Ma Marco non può più sentirlo: in men che non si dica, dopo un nitrito degno dei migliori western di Sergio Leone, Panuelo parte al galoppo sfrenato con Marchino sul groppone. Noi non sappiamo se ridere o piangere: la situazione in effetti ha del comico ma pensare al povero Marco in groppa all’equino impazzito ci fa un po’ rabbrividire.

Marchino e il suo destriero erano schizzati in mezzo al palmeto e ogni tanto, tra un tronco e l’altro, riapparivano alla vista. Paco “il caballero” parte subito all’inseguimento. Noi ci sentiamo molto coinvolti dalla situazione, il nostro Marchino è in pericolo, come possiamo lasciarlo in balia di Panuelo? Così, seguendo gli incitamenti e gli insegnamenti basic del secondo caballero, partiamo ad andatura un po’ più sostenuta. Andavamo pianissimo, ne sono certa, ma a me sembrava la cavalcata delle valchirie o ladiscesa di Thor e di tutti gli dei del Walhalla al galoppo, alla ricerca di Odino. Non era difficile seguire Panuelo: qua e là si vedevano foglie strappate e pestate di fresco, addirittura un brandello di stoffa del fazzoletto di Marchino: Marchino, pollicino del duemila, dove sei finito?- ci domandavamo un po’ in apprensione. Niente paura. Tutto sotto controllo.

Marchino era lì, con Paco, davanti al baracchino dei caballeros, imperturbabile e ancora in groppa a Panuelo.

Ostentava calma e sicurezza ma secondo me sotto sotto tremava come una panna cotta.

13 MAGGIO – GIORNO REGALATO Tredici maggio, giorno di partenza, giorno di ritorno. Al bar della colazione mi aspettano due facce raggianti: sono quelle di Rosanna e di Marchino: “ l’aereo ha almeno 12 ore di ritardo” mi dicono.

Io esplodo in un “coooooooosaaaaa” istintivo, poi mi calmo subito: 12 ore di ritardo = un giorno regalato di vacanza= un giorno in più a Santo Domingo….. Beh beh, mica da buttar via….

Assumo anch’io un’ espressione particolarmente solare, la stessa che si stampa sui volti di Flavio e Marica dopo aver appreso la notizia. Così ci godiamo questo giorno regalato dalla sorte e dal charter.

Poi tra una battuta e un maracuja parte il giro degli scambi di indirizzi e di mail ..… strano, questa volta ho la sensazione che non sarà una pura formalità…..

DOPO IL VIAGGIO E’ passato un mese dal mio rientro. E’stata una bella settimana davvero. Se avete la possibilità di andare via a maggio, fatelo: è un’ autentica rigenerazione, uno stacco benefico. Io non l’avevo mai provato, probabilmente non potrò farlo più ma ne è valsa la pena.

Non so se ripeterò mai l’esperienza del villaggio. E’ più un no che un si, visto che ci ho vissuto poco e sono allergica a certe sue logiche. Forse dovrei trovarmi in situazioni particolari come la mia iniziale per decidere di rifarlo. Certo è che se non fossi stata in villaggio non avrei conosciuto quei cinque svirgolati.

Loro, il mio gruppetto , li sento spessissimo e li vedo il più possibile.



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