India, paese dai mille colori e culla delle forti emozioni

Lungo le antiche vestigie dei maharaja
Scritto da: ollygio
india, paese dai mille colori e culla delle forti emozioni
Partenza il: 13/01/2016
Ritorno il: 04/02/2016
Viaggiatori: 4
Spesa: 2000 €
Trovarsi a fare un viaggio assolutamente non preventivato è una cosa che ti riempie il cuore di emozioni e di gioia. Lo scorso hanno abbiamo intrapreso, dopo 27 anni di matrimonio, una ristrutturazione del nostro appartamento, e, avendo dato un bel colpo ai nostri risparmi pensavamo di non riuscire a permetterci il nostro viaggio annuale. Inoltre, in questo periodo di crisi e guerre, i luoghi considerati sicuri si restringono di molto.

Simona, nostra compagna di viaggio da oltre 20 anni, terminata la stagione turistica e chiusa la gelateria, ha cominciato a studiare un itinerario di viaggio che fosse “sicuro” e, al contempo, abbastanza economico; così la prima sera autunnale che ci siamo trovati davanti ad una tavola imbandita ci ha rivelato la meta da lei considerata più idonea, l‘India.

Sono anni ormai che ne parlavamo, poi, vuoi per un motivo, vuoi per un altro, abbiamo sempre rimandato; ora l’ India è un paese in pace e il costo della vita è contenuto, inoltre Simo ha trovato un volo con Air France A/R per Delhi a poco più di 500 €, quindi, forse con un po’ d’ incoscienza ci siamo facilmente fatti convincere a partire. Acquistati i voli e richiesti i visti, ci siamo dati da fare, come di consueto, per riuscire a contenere i costi, a cercare un tour operator locale che ci accompagnasse . Abbiamo letto, come facciamo sempre, le testimonianze di viaggio sul vostro sito, le referenze su trip advisor, abbiamo scritto decine di email chiedendo un preventivo, vagliando oltre al prezzo l’organizzazione del viaggio, gli hotel proposti cercando di non lasciare nulla al caso. Alla fine abbiamo scelto “ Get’s Holiday” perché era quello con le migliori referenze e il prezzo più economico, anche se poi lievitava di giorno in giorno.

Il primo preventivo di 22 giorni, 22 pernottamenti e prime colazioni, un auto con autista, le guide parlanti italiano nelle varie città, il treno da Agra a Jansi, il volo Khajuraho Varanasi e il volo Varanasi Delhi è stato subito di 1070 € pro capite, poi è aumentato perché è aumentato il prezzo dei voli, poi si è aggiunta una cena, poi non ricordo più per quale altro motivo, sono diventati 1250 € a testa.

Comunque gli hotel che ci hanno prenotato sono veramente bellissimi ,l’ organizzazione buona, ma per l’ inconveniente del volo Varanasi – Delhi di cui parlerò dettagliatamente nel diario; non so se consiglierei a qualcuno questo tour operator malgrado abbia ottime recensioni !

La vita in India è veramente poco cara, infatti di pasti, biglietti d’ entrata ai vari musei e siti archeologici e altri extra abbiamo speso 1200 € a coppia e, consideriamo che noi, in tutti i locali dove era disponibile,bevevamo birra che costa l’ equivalente di 3 € la bottiglia facendo così raddoppiare il costo del pasto.

Abbiamo così impiegato quasi 2 mesi per mettere a punto il nostro tour e trascorse le festività natalizie in un battibaleno ci siamo ritrovati con le valigie chiuse pronti a partire!

MERCOLEDÌ 13/1/2016: SAVONA – DELHI

Fuori è ancora notte fonda ma noi siamo già in cammino per raggiungere l’ aeroporto di Genova, l’ autostrada è ancora deserta e in meno di mezz’ ora arriviamo a destinazione.

Il piccolo aeroporto è stranamente affollato impieghiamo più di mezz’ ora per fare il check-in per poi accorgerci che l’orgogliosa riservazione dei posti fatta da Roby si è volatilizzata e noi sul volo Parigi – Delhi siamo stati sparpagliati per tutto l’ aereo; l’ hostess ci ha però detto che a Parigi basta rivolgersi al bancone assistenza Air France e i posti saranno modificati .

Alle 7.45 siamo decollati da Genova e siamo atterrati a Parigi alle 9, abbiamo raggiunto il gate di partenza e il banco assistenza che però non ha fatto altro che rimescolare abilmente i posti ,allontanandoci ulteriormente l’ uno dagli altri ; io sono finita in ultima fila !

Il volo è partito con un lieve ritardo ma è stato confortevole: come aperitivo ci hanno anche offerto lo champagne .

Mezz’ ora dopo mezzanotte abbiamo toccato il suolo indiano e… ci siamo persi!

Eravamo talmente lontani che ci hanno fatto sbarcare da due uscite differenti, quindi avrò camminato sola per interminabili corridoi coperti da polverosa moquettes prima di raggiungere il controllo passaporti, quando finalmente sono ricomparsi i miei compagni di viaggio.

Un’ altra lunghissima sosta al nostro trasportatore, la nostra valigia è arrivata quasi subito, quella di Roby e Simo, per ultima, quando ormai eravamo certi di averla persa e, nel frattempo, Simo ha ricevuto la comunicazione che è morto un loro amico, nostro coetaneo, d’ infarto! E cominciamo bene!

Uscendo dall’aeroporto, tra la folla di operatori turistici corredati di foglietti con su scritto nominativi non abbiamo trovato quello di Get’s Holiday, solo dopo una seconda perlustrazione lo abbiamo trovato sul lato estremo della palizzata a chiacchierare . Un’ altra lunga attesa per aspettare l’ autista e quando ormai erano passate le 2 ci siamo avviati verso il nostro hotel.

Delhi ci ha accolto con una temperatura decisamente invernale, ammantata da una leggera coltre di nebbia o forse di smog, con un traffico ancora sostenuto malgrado l’ ora.

Il nostro hotel il “Rupam.” è situato in una zona periferica neppure troppo elegante, la hall è deprimente, la stanza senza infamia e senza lode ,con i muri sporchi e l’ acqua fredda nella doccia ma siamo troppo stanchi per scendere ad ovviare a tali disguidi.

Il rappresentante di Get’s Holiday ci ha consegnato i vouchers degli hotel, i biglietti aerei e del treno al saldo per poi accorgerci che è stato ulteriormente aumentato di 50 € a testa ; speriamo Simo abbia l’ ultimo preventivo inviato per farceli restituire.

GIOVEDÌ 14/1/2016: DELHI – MANDAWA

Quando alle 7 è suonata la sveglia è come essere stati scaraventati giù da un treno in corsa. Una veloce doccia poi siamo andati a fare colazione con toast di burro e marmellata e tramezzini con verdure e un chapati con ceci estremamente piccante.

Alle 8.30 abbiamo lasciato l’ hotel ed abbiamo attraversato Delhi: malgrado in molti tratti la strada avesse 6 corsie eravamo quasi sempre imbottigliati nel traffico ; tutti suonano all’impazzata per segnalare la propria presenza, per effettuare un sorpasso al posto della freccia, per scansare una mucca che passeggia indisturbata.

Una cappa grigia di smog pesa su tutta la città, Pechino in confronto sembra un paese dolomitico !

Qui vige la legge del più forte, non esistono precedenze, l’ incrocio viene occupato dal più lesto, si sorpassa indifferentemente a destra e a sinistra ; moto con a bordo 3 o 4 persone fanno zig zag tra le auto ferme in coda, tuk tuk, sfiorando quasi gli altri mezzi,sfrecciano impazziti.

Una folla si fa largo nel traffico, molti vestiti all’ occidentale ma la maggior parte di essi indossa abiti tradizionali dai colori sgargianti; abbiamo visto persone dormire sui marciapiedi avvolte in coperte di fortuna o nei cartoni, altri vivere in baracche fatte con 4 lastre di lamiera …. Una miseria straziante !

Usciti dalla città ci siamo lasciati questo delirio alle spalle, la strada attraversa la campagna coltivata con grandi arbusti dai fiori gialli che il nostro autista ha detto servono per estrarne dell’ olio alimentare ma non siamo riusciti a tradurne il nome.

La guida a destra è a dir poco inquietante, sembra sempre di essere in contromano, il nostro autista pensa che per sorpassare basti un colpo di clacson tanto che talvolta ho temuto di fare un frontale!

Abbiamo attraversato paesini dai pittoreschi mercati dove le mucche vagano indisturbate per la strada creando un ulteriore impiccio al traffico già così caotico,

Manoj si è fermato per pranzare presso la casa di una zia, che ci ha accolto, con tutto il resto della numerosa famiglia, cordialmente offrendoci un caffè lungo e uno strano oggetto simile ad un narghilè per fumare

Ripresa la strada, dissestata piena di buche che ci faceva scivolare addosso le valigie impilate in modo precario, infatti l’ auto è comoda ma non ha pressoché di bagagliaio e noi abbiamo 6 valigie!

Alle 15 siamo arrivati a Mandawa e davanti al nostro hotel c’ era la nostra guida ad attenderci .

Il “Mandawa Haveli” è uno splendore : è un’ antica haveli ristrutturata con 2 cortili interni e le stanze sono mini appartamenti con un salottino a cielo aperto, un’ enorme stanza da letto con 2 divani posti sotto le finestre ,un grande letto e una graziosa stanza da bagno.

Tempo di posare le valigie e siamo scesi per cominciare il tour della città.

Naresh parla un buon italiano e innanzi tutto ci ha spiegato il significato del termine haveli, ossia le case dei commercianti appartenenti alla 3° casta, avevano 3 corti interne: la prima per gli affari, la seconda per la famiglia e l’ ultima, la meno importante per gli animali e la servitù.

Su tutti i muri ci sono delle aperture e piccole finestre che servono a creare correnti d’ aria per rinfrescare i locali, infatti qui, in estate, le temperature possono raggiungere fino a 40 °C.

Inoltre le finestrine permettono alle donne di guardare la vita nelle strade senza essere viste.

I muri esterni ed interni sono decorati con affreschi rappresentanti divinità hindù, animali simbolici e scene di vita, ci trovano le prime raffigurazioni di treni, navi, biciclette e un prototipo d’ aereo.

L’ architettura di questi edifici è hindù ma talvolta riprendono elementi architettonici islamici e inglesi con gli archi a sesto acuto.

La città conta 86 haveli, alcune sono state trasformate in hotel, come il nostro, altre rimangono abitazioni private, affidate alla servitù perché la maggior parte dei proprietari vive altrove e non si cura di restaurarle.

C’ è un piccolo e poco importante forte, residenza del maharaja, anch’ esso trasformato in hotel.

Oggi il cielo è punteggiato da centinaia di aquiloni colorati, è la festa dedicata al Dio Sole e, come vuole la tradizione importata dall’ Afganistan, i bambini e i giovani fatto volare il loro aquilone battagliano per il dominio del cielo, proprio come descritto nelle memorabili pagine del “Cacciatore di aquiloni”. Siamo saliti sul tetto di un’ haveli per ammirare il magnifico panorama della città, tanti ragazzi festosi urlano di gioia ogni qualvolta si recide il filo di un aquilone mentre la musica allegra si diffonde per le strade del paese..

Abbiamo camminato per le strade della cittadina osservando le facciate dipinte delle haveli, abbiamo raggiunto l’ antico pozzo del paese, un’ enorme cisterna profonda una cinquantina di metri da cui si attingeva l’ acqua per i 4 bagni pubblici, uno per ognuna delle 4 caste e per l’ intero fabbisogno idrico della città.

Al tramonto i muri delle case assumono il colore dell’ oro ed è magico passeggiare per le stradine dove i bambini ti fermano chiedendoti un bon bon, spesso cedendo il passo ad un motorino o ad una mucca .

Al termine del tour ci ha portato a visitare un atelier di miniature fatte su carta di riso,di bambu, seta, e ossa di dromedario e poi in un negozio di sciarpe belle ma molto care..

Siamo rientrati in hotel che era buio e la temperatura era scesa bruscamente; la nostra stanza, senza vetri alle finestre, è una ghiacciaia, il condizionatore manda solo aria fredda, ci siamo fatti la doccia solo per riuscire a scaldarci.

Abbiamo cenato al ristorante deserto dell’ hotel con un piatto tipico del Rajasthan: il talì, un insieme di pietanze piccanti:pollo, melanzane, verdure miste, patate, riso e chapati; buono ma per noi decisamente troppo piccante tanto da farci sgolare ben 3 birre grandi. Abbiamo terminato con un dolce a base di semolino e cocco e poi ci siamo fermati un pò nel cortile interno davanti ad un braciere acceso conversando con i due camerieri .

Alle 22 eravamo in stanza sotto 2 coperte in più fattoci portare dai 2 camerieri.

5/01/2016: MANDAWA – BIKANER

Alle 6 siamo stati svegliati di soprassalto dalle grida concitate di un muezzin provenienti da un minareto poco lontano, ha continuato a salmodiare per 20 minuti e quando è tornato il silenzio è suonata la sveglia. Abbiamo fatto una ricca colazione a base di toast, pancake, french toast,yogurt, frutta e uova. Alle 9 abbiamo lasciato Mandawa, durante la notte probabilmente è piovuto, le strade sono bagnate e c’ è una nebbia bassa da autunno nella Padana che mette tristezza, fa un freddo polare e noi che pensavamo di venire in India a scaldarci le ossa!

Ci siamo inoltrati nella campagna brulla percorrendo una strada piena di buche con le solite magrissime mucche che brucano chissà cosa tra cumuli di spazzatura ; abbiamo attraversato un altro paesino dalle haveli ancora più trascurate di quelle di Mandawa e abbiamo raggiunto senza soste Deshnok, in cui si trova il tempio di Karni Mati dove migliaia di topi, considerati sacri in quanto reincarnazioni dei discendenti di Karna Mati, girano indisturbati e nutriti dalla miriade di fedeli induisti che affollano il tempio.

Come in ogni luogo sacro bisogna togliersi le scarpe ma Manoj ci ha procurato dei sacchetti di nylon da calzare sopra le calze.

Per noi occidentali è uno spettacolo raccapricciante vedere tutti quei topi che si rincorrono, salgono ovunque, si avvicinano tranquilli ai nostri piedi e vengono anche accarezzati!

Una ventina di chilometri ed abbiamo raggiunto Bikaner; Manoj è sempre un po’ incerto nel trovare la strada, anche oggi si è fermato un paio di volte a chiedere informazioni così quando abbiamo incontrato la nostra guida, che è anche il responsabile dell’ agenzia Get’s Holiday di Bikaner, si sono presi a male parole, perché uno sosteneva di essere il responsabile della nostra sicurezza, l’ altro che le indicazioni ricevute fossero alquanto fallaci.

In un clima teso come una corda di violino ci hanno condotti in hotel dove abbiamo posato le valigie per fare spazio al nuovo ospite.

L’ hotel “Bhiran Vilas”è sito in un palazzo storico poco lontano dalla fortezza costruito in arenaria rossa, le stanze sono dislocate in palazzine ai bordi di un grazioso giardino, la hall e decorata con specchi con mobili in legno scuro, così come quelli delle camere ma che purtroppo, tra tende e copriletti di seta mancavano le federe dei cuscini!

Abbiamo cominciato la visita al forte, la principale attrazione della città; la nostra guida è preparatissima, parla un italiano perfetto ma è decisamente presuntuoso e pieno di sé, convinto di essere una spanna sopra gli altri. La costruzione risale al 15° secolo ed è costituita da 3 corpi separati innalzati in diverse epoche, la parte più esterna è la più recente è risale ai primi del 900 ed è in stile inglese.

Il secondo cortile ha una grande vasca al centro e le facciate sono decorate con archi e balconi in arenaria rossa, materiale reperito in loco ; le finestre hanno grate intarsiate come merletti per permettere alle donne di assistere alla vita nella fortezza senza essere viste .

L’ ultimo cortile è il più piccolo ma forse più bello, è totalmente dipinto di stucco bianco, da qui si aprono porte in tek decorate che introducono nella sala del trono, delle udienze private, in quella delle nuvole, tutte dipinte con decorazioni floreali in oro, colori naturali ,specchi che scacciano il malocchio, pietre semipreziose; nella stanza delle nuvole è stata architettata una singolare cascata d’ acqua per rinfrescare la camera da letto del maharaja durante la calura estiva.

Al piano superiore ci sono gli appartamenti reali, la camera da letto della maharani e uno splendido terrazzo che si affaccia sui giardini del forte in stile mogul e da cui si gode il panorama della città.

Nella parte più moderna del forte è stato allestito un museo in cui viene messo in mostra il biplano usato dal 21° Maharaja, portantine regali, la divisa indossata durante la 1° guerra mondiale e armi bianche, queste ultime sistemate in una stanza cesellata da intarsi finissimi e con colonne dai capitelli regali.

Il forte è tutt’ oggi mantenuto benissimo perché non è mai stato espugnato ed è tutt’ ora proprietà del maharaja di Bikaner.

La nostra guida ci ha spiegato che il titolo di maharaja è stato abolito dal governo di Indira Gandhi ma ancora oggi, anche se ufficiosamente, la popolazione riconosce queste persone come nobili e, spesso, avendone le possibilità economiche, si candidano come rappresentanti del governo, quindi tornano esattamente a ricoprire le cariche che erano loro state tolte .

Abbiamo visitato poi il palazzo reale, oggi diventato un hotel a 5 stelle, dall’ architettura simile a quella del Forte, in arenaria rossa, con un enorme cortile interno su cui si aprono un bar, il ristorante, una sala bigliardo con trofei di caccia . Davanti all’ ingresso si estende un immenso parco verde e qui abbiamo assistito ad un roseo tramonto prima di essere catapultati nel buio e nel freddo polare !

Anche stasera ci è toccato il tour nel bazar della lana, in cui ci hanno mostrato splendide pashmine, di ogni colore e tipo di filato, fino ad arrivare a quelle di lana di antilope che però costano più di 50 € l’ una .

La nostra stanza è una ghiacciaia, per fortuna c’ è una stufetta elettrica per darci un po’ di tepore, abbiamo fatto una doccia bollente soprattutto per scaldarci visto che oggi non abbiamo sudato per niente e siamo andati a cena al “Gallops” con il nostro autista, furioso contro la guida e non ha fatto che lamentarsi per tutta la sera. Abbiamo mangiato abbastanza bene, la birra costa l’ equivalente di un pasto, quindi volendo pasteggiare a birra bisogna rassegnarsi a pagare il doppio .

Un tè bollente al “Ganesh Caffè” annesso all’ albergo poi a nanna .

16/01/2016: BIKANER –JAISALMER

Malgrado il rumore infernale provocato dalla ventola, la stufetta, ha riscaldato abbastanza bene la camera e ci ha permesso di dormire caldi .

Anche qui il muezzin si è palesato alle 6 ma in modo meno violento ed insistente di quello di Mandawa ; non capisco come in un paese popolato per l’ 85 % di induisti possa tollerare di venire svegliato tutte le mattine alle 6 dalle grida di un muezzin !

Alle 8 siamo andati a fare colazione in una splendida sala ristorante dove due coppie di francesi si guardavano smarriti infatti, a quest’ ora il tavolo del buffet è costituito da un paniere di frutta, cereali e la caraffa dell’ acqua calda …. A questo punto un cameriere in giacca a vento e berretto di lana ha cominciato a correre avanti e indietro dalla cucina portando yogurt, pane tostato, burro e marmellata e poi, ciliegina sulla torta, dopo questa colazione da fame, ci hanno presentato il conto, che abbiamo però subito contestato perché è inclusa nel pacchetto pagato al tour operator. La struttura di questo albergo è bellissima, gli arredi sono pregiati ma ha una piscina dall’acqua melmosa cambiata mesi fa, l’ intonaco delle pareti è spesso scrostato e ricoperto di muffa, la pulizia delle stanze è discutibile, così l’ incuria di questi particolari lo rendono un locale decisamente mediocre, un vero peccato! Lasciato Bikaner siamo entrati nel deserto del Thar percorrendo una strada dissestata percorsa da camion con rimorchi fatti da enormi teloni talmente pieni di merci che la motrice quasi scompare, carretti trainati da dromedari; dal terreno sabbioso spuntano arbusti spinosi da cui brucano pecore e capre e le onnipresenti mucche, abbiamo visto anche un’ antilope attraversare di corsa la radura . Manoj, appurato che noi credevamo più a lui che alla guida di Bikaner, era sempre più imbufalito nei confronti di costui, che ha denominato “The King”, e lo ha schernito per tutto il viaggio! In questa zona ci sono un’ infinità di fornaci dove uomini e donne lavorano per cuocere mattoni fatti con la sabbia del deserto. Per spezzare il tragitto odierno che supera i 300 km ci siamo fermati a Kolayat, un piccolo paese senza alcuna attrattiva se non fosse per il piccolo lago disseminato di fiori di loto, ma ora, non essendo stagione di fioritura, ci sono solo bastoni secchi spuntare dal pelo dell’ acqua. Manoj ha insistito che andassimo a fare un giro in barca sul lago, abbiamo accettato titubanti ; di lì a poco è arrivato un barcone dal fondo piatto, abbellito con bandiere colorate, ai cui remi era seduto un signore dalla fluente barba bianca . Accarezzati dai raggi tiepidi di sole abbiamo circumnavigato il lago su cui si affaccia un tempio induista e una moschea. Ci siamo fermati poi lungo la via per permettere all’ autista di pranzare, noi abbiamo bevuto una birra accompagnata da un pane roti e poi ancora deserto fino a Jaisalmer, la città del deserto, chiamata anche “città d’ oro”. La città dista solo 150 km dal confine Pakistano, sulla strada abbiamo incrociato moltissimi mezzi militari e caserme. La città sorge attorno ad una collina sulla cui cima è appoggiato un enorme forte dello stesso colore della sabbia del deserto,tanto da sembrare un miraggio. L’hotel “Fifu” si trova in periferia e per raggiungerlo dobbiamo percorrere una strada sterrata, è un edificio nuovo costruito su modello delle haveli dalla terrazza sul tetto si gode una vista impagabile del forte in tutta la sua magnificenza. Le camere sono piccoline e arredate con gusto, una pecca: l’ acqua della doccia che scendeva a filo ! Giunti in hotel il rappresentante Get’s Holiday ci ha illustrato brevemente la città, ci ha consigliato di andare in un punto panoramico per assistere al tramonto ,domattina per il tour avremo una guida parlante italiano. Abbiamo posato le valigie, abbiamo fatto quattro passi per il centro caotico della città e poi abbiamo raggiunto una collina posta di fronte alla rocca, con crematori e monumenti funebri. Oggi la giornata è splendida, il cielo è turchese, il sole caldo, abbiamo tolto prima le giacche e poi anche la felpa, i raggi del sole illuminano il forte e questi monumenti tanto da conferirgli il colore dell’ oro. Ci siamo fermati qui finchè non è calato il sole e la rocca da gialla è divenuta grigia, quindi siamo andati in albergo per una doccia e poi siamo andati a cena al “Soffran”situato su di una terrazza sul tetto di un albergo ; abbiamo ordinato ravioli pensando fossero simili a quelli cinesi ma non erano altro che grosse polpette affogate in un sugo piccante, assolutamente nulla di che. Mentre cenavamo siamo stati allietati, si fa per dire, dalla musica lagnosa di una fisarmonica suonata da un uomo dall’ età indefinibile che faceva cantare un bambino dall’ apparente età di 3 o 4 anni lacero e sporco. Questa scena ha turbato tutti, vedere un bambino così piccolo costretto a lavorare per procurarsi l’ occorrente per sopravvivere, i suoi occhi illuminarsi per un paio di caramelle, pensando che i nostri bambini a quell’ età son tenuti nella bambagia, hanno tutto ciò che desiderano e anche più. Abbiamo lasciato loro una discreta mancia ben sapendo di aver fatto ben poco, perché saranno milioni le famiglie che vivono in ristrettezze come loro .

17/01/2016: JAISALMER

Notte fantastica nel letto più confortevole e morbido mai provato. Anche qui alle 8 il buffet per la colazione doveva ancora essere allestito ; la giornata è splendida ma l’ aria da sopra la terrazza è ancora frizzante, la vista sul forte impagabile, meglio che dal punto panoramico di ieri. Alle 8.30 ci ha raggiunto la nostra guida e siamo partiti alla scoperta della mitica città del deserto. La nostra prima tappa è stata presso il lago artificiale situato fuori dalle mura della città, dove in tempi antichi gli abitanti di Jaisalmer venivano ad approvvigionarsi d’ acqua ma oggi è solo più usato per riti sacri. Ci sono templi sulla riva o posti nel centro del lago dove il marawal si recava per assistere alle cerimonie.

Molte persone arrivano qui si inginocchiano e sbriciolano dei pani per dare da mangiare ai pesci gatto che salgono in superficie in un ribollire d’ acqua, altri lo sbriciolano sulla terra ferma per uccelli ed anatre, altri mettono un po’ di zucchero nelle fessure dei muri per le formiche ; è veramente strano che in un paese come l’ India dove si soffre ancora la fame le persone rinuncino ad un po’ del proprio cibo per nutrire gli animali selvatici.

Attorno al lago sono sorti alcuni cimiteri uno mussulmano, l’ altro con costruzioni più importanti dove vengono ricordati i santoni (gli induisti cremano i loro defunti e poi ne affidano le ceneri alle acque di un fiume sacro, il Gange o uno dei suoi affluenti ) e l’ ultimo per i cittadini appartenenti alle caste inferiori.

L’ antica città si trova sulla cima del Monte Meru, ha la forma irregolarmente di un triangolo ed è formata da 93 bastioni costruiti in arenaria gialla . E’ stata fondata nel 1156 ed è tutta racchiusa dalle mura e per accedervi bisogna oltrepassare ben 3 porte percorrendo una tortuosa via in salita che ne rende difficoltoso l’ accesso.

Al di sopra delle abitazioni si erge il palazzo reale abbellito con balconcini che si sporgono di poco, esili colonnine, grate alle finestre con delicati disegni ,intarsi sottili, tipici del legno, invece qui è tutto in pietra .Molte sono le stanze e i cortili visitabili, in una sono esposti tutti i ritratti dei marawal della città (i maharaja sono i regnanti appartenenti alla casta del sole, i marawal quelli appartenenti alla casta della luna), la stanza del trono in marmo, una stanza da letto e il vestito di un gigantesco marawal alto più di 2 metri, bellissimo il panorama che si vede dall’alto dalla terrazza sul tetto. Abbiamo percorso le strade piene di negozi di souvenir, su cui si affacciano decadenti haveli, affollate dallo schiamazzo dei motorini che suonano incessantemente il clacson per farsi largo tra i passanti, le immancabili placide mucche, fino a raggiungere un gruppo di 5 templi giainisti ma noi ne abbiamo visitati solo 2 : il Chandraprabhu e il Rikhabdev. Questi templi risalgono al XV /XVI secolo e sono tutto un intreccio di fini decorazioni ; il primo ha un atrio spazioso con colonne nel cui centro c’ è la statua di uno degli illuminati ossia uno dei 24 santoni, padri di questa religione, che hanno raggiunto il Nirvana.

Il secondo ha tutta una serie di pilastri decorati con immagini di apsara nelle diverse movenze e pose. In entrambe al centro si trova il sancta santo rum con l’ immagine del santone a cui è dedicato il tempio. Seduti a terra, dopo aver lasciato le scarpe all’ingresso del tempio la nostra guida ci ha spiegato un po’ la storia delle religioni indiane : circa 4000 anni fa in India nacque la religione induista con la sua triade di dei Brahama, il Creatore, Vishnù il preservatore e Shiva il distruttore o rigeneratore e i fedeli vennero divisi in caste: i bramini, i guerrieri, i commercianti, l’ ultima casta (artigiani, manovali, operai ) e i paria o gli intoccabili, cioè coloro che non appartenevano a nessuna casta. Ogni persona nasceva di una casta e vi moriva senza la possibilità di riuscire a migliorare la propria condizione. Attorno al 1000 a. C il primo degli illuminati, il Tirtankar, disapprovò la suddivisione in caste e cominciò a predicare l’ uguaglianza degli uomini, cominciò a meditare e lasciò ogni bene materiale e cominciò a pellegrinare nudo per il mondo. Molti lo seguirono e nacque il giainismo; solo 24 santoni però raggiunsero il Nirvana e divennero così i padri della religione.

Alcuni secoli dopo nacque il Principe Saddharta e dopo aver raggiunto l’ illuminazione cominciò a predicare dando vita al Buddismo. Abbiamo camminato per tutto il perimetro del forte spesso inseguiti da petulanti commercianti che solo per aver degnato di uno sguardo la loro merce ti inseguono insistentemente per convincerti ad acquistare; lasciata la cittadella ci siamo inoltrati nel quartiere fuori le mura dei commercianti, molto meno turistica, più sporca, in cui rigagnoli d’ acqua di dubbia provenienza lambivano le strade ed escrementi di mucche e maiali erano ovunque. Come di consueto ci ha accompagnato in un negozio di tessuti in cui ci è stata sciorinata per l’ ennesima volta quale sia la tecnica di tessitura, hanno cominciato a spiegare copriletti, coperte e tappeti e più eravamo disinteressati più mostravano roba ed è stato veramente difficile uscire. Il lato negativo di cambiare ogni giorno guida è che tutti i giorni veniamo accompagnati in uno di questi magazzini e perdiamo ore ad ascoltare spiegazioni pallose invece di dedicare più tempo alle visite dei monumenti e alle cose che a noi interessano, perché costoro hanno il 30 % di percentuale sui nostri acquisti!

Abbiamo proseguito con la visita dell’ haveli più ben conservata della città la “Patwa Haveli” costruita dal 1800 al 1860 ed è un insieme di 5 haveli appartenute a commercianti di oppio, oggi 2 appartengono allo stato, 3 sono private.

All’ interno c’ è un museo degli arredi trovati in questa lussuosa casa di un tempo e una pacchianissima sala di specchi fatta erigere dall’ ultimo proprietario.

Abbiamo passeggiato ancora per le strade meno affollate fino ad un’ altra haveli, che l’attuale proprietario ha trasformato in un negozio di antiquariato che esponeva oggetti molto belli ma estremamente cari .

L’ ultima tappa è stata nel laboratorio orafo di un argentiere che aveva oggetti carini a prezzi accettabili, qui finalmente abbiamo acquistato per la gioia della nostra guida !

Salutata la nostra guida ci siamo riposati un’ oretta sulla terrazza dell’ hotel sorseggiando una birra e poi siamo partiti per la cammellata nel deserto.

La porta del deserto è a circa 20 km da Jaisalmer, ed è molto differente dal nostro immaginario di deserto sabbioso, sembra più una brulla savana perché punteggiato di arbusti semisecchi ; siamo saliti in coppia sui cammelli e dopo mezz’ ora di eterno dondolio siamo arrivati sulle dune sabbiose, affollate come uno stadio la domenica del derby, distanti poche centinaia di metri dalla statale e dai campi tendati, veramente una delusione per chi ha avuto la fortuna di vedere il Sahara..

Abbiamo atteso distesi sulla sabbia tiepida il tramonto del sole che è calato all’ orizzonte occupato da un’ antenna e da alcune pale eoliche.

Al crepuscolo siamo risaliti sui nostri cammelli e ci hanno condotto al ristorante annesso ad un campo tendato dove avremmo dovuto cenare ed assistere ad uno spettacolo di danze tradizionali.

Appena arrivati abbiamo capito di aver preso l’ ennesima cantonata : la struttura è illuminata da luci fosforescenti come i baracconi del luna-park, una sorta di piazzale di cemento al centro della struttura e 4 musicanti che facevano musica lamentosa.

Eravamo solo noi seduti al freddo ad aspettare l’ inizio dello spettacolo, poi man mano hanno cominciato ad arrivare gruppi di indiani e finchè tutti non hanno occupato la loro tenda e sono stati pronti ad uscire non è cominciato. Finalmente 2 tristi ballerine in costume hanno cominciato a volteggiare sul grande palco per pochi minuti e poi ha ripreso la solita noiosissima nenia.

A questo punto intirizziti dal freddo ci siamo alzati, siamo andati in cerca di Manoj, che ci ha organizzato questa “splendida serata” e gli abbiamo comunicato che era una noia mortale e che volevamo cenare. Entrati nella sala ristorante simile alla mensa della Caritas non c’ era nulla di pronto, neppure le tavole apparecchiate; sono le 9, non abbiamo pranzato, abbiamo una fame da lupi, siamo intirizziti dal freddo, quindi malgrado le insistenze di Manoj ci siamo fatti riportare in città, ma questo scherzo ci è costato la cena perché l’ allocco, ha pagato metà dell’ importo al momento della prenotazione .

Finalmente ci siamo seduti al tavolo del ristorante “Trio” consigliato dalla Lonely Planet dove abbiamo gustato un ottimo pollo tandoori, spendendo 2600 Rupie, birre comprese, in 5 mentre nella stamberga del deserto il prezzo della cena era di 1000 rp a testa bevande escluse .

Ma oggi le sventure non sono ancora finite : uscendo allegramente dal ristorante, Manoj, facendo retromarcia ha quasi toccato un ragazzo che passava di lì e che, per segnalare la sua presenza,ha dato un colpo sul vetro posteriore. Manoj è sceso si sono presi a male parole, siamo stati circondati da una folla di persone, sono quasi venuti alle mani e se non fossimo scesi a calmarli non so cosa sarebbe successo.

Manoj è giovane, impulsivo, avventato ma non può comportarsi così mettendo a repentaglio la sicurezza dei turisti a lui affidati, perciò gli abbiamo fatto una bella lavata di capo, speriamo abbia compreso !

18/01/2016: JAISALMER – MANVAR

Abbondante colazione con ogni ben d’ Iddio, stamattina si erano organizzati per tempo e ci hanno servito ai tavoli. Alle 9 un Manoj mortificato è venuto a prenderci e, con lui siamo stornati nel forte di Jaisalmer per comprare alcune cose adocchiate ieri; più volte siamo stati fermati da ragazzi che si proponevano come guide e ogni commerciante ci invitava nel proprio negozio per offrirci affari d’oro. Ogni volta che si parte per un viaggio ho sempre degli oggetti particolari da cercare: le carte da gioco per il figlio di Dina, la palla di neve per Nadia, alcuni magneti, i francobolli per Giovanna.

Camminando per le strette ,amene viuzze di Jaisalmer abbiamo acquistato le carte da gioco con le foto dei maggiori monumenti del Rajasthan, una graziosa statuina di latta a forma di mucca, una bellissima doppia portina dipinta, presumibilmente antica, per cui abbiamo contrattato l’ inverosimile ma poi ne abbiamo acquistate due ad un prezzo equo, cioè circa un quarto del primo prezzo proposto dal negoziante.

In tarda mattinata, stufi di contrattare anche per un sacchetto di noccioline, abbiamo preso l’ auto in direzione Manvar. La strada taglia dritta attraverso il deserto brullo, abitato solo da capre e mucche fino a Pokran, piccola cittadina neppure nominata sulla Lonely Planet. Siamo giunti fin qua abbastanza titubanti, per paura dell’ ennesimo bidone, invece siamo stati piacevolmente colpiti dal Forte costruito in arenaria rossa, risalente al 1500 e oggi, per mantenerne vivo il colore è dipinto con stucco rosso. L’ edificio è suddiviso in 2 sezioni, la prima colorato con stucco bianco dove risiedevano la marahani e le altre donne, mentre quella rossa, oggi sede dell’ omonimo hotel erano gli appartamenti del maharaja. Appena entrati nel cortile interno ci è venuto incontro un buffo individuo che si è spacciato per una guida parlante italiano malgrado non sapesse più che una decina di parole che mischiava sapientemente con altrettante d’ inglese, francese e spagnolo, con in tasca un piccolo taccuino su cui appuntava le parole nuove fin’ ora mai sentite. Come guida non era un granchè ma si è rivelato un fotografo eccellente, appropriandosi delle nostre macchine fotografiche e scattandoci foto con fondi ameni e in pose romantiche . Tra uno scatto e l’ altro ci ha mostrato gli appartamenti reali oggi diventati il museo delle armi e degli arredi e degli oggetti di uso comune reperiti in loco, li salone da pranzo del ristorante dell’ hotel e la grandiosa piscina nel verde giardino delimitato dalle mura del forte. Ancora cento chilometri e siamo arrivati a Manvar, dove forse non c’ è neppure un villaggio; il”Manvar Resort” è un’ oasi nel deserto un’ enorme costruzione in pietra con le fondamenta affondate nella sabbia; è l’ insieme di piccole abitazioni sparse nei giardini fioriti e attorno alla bellissima piscina, c’ è un’ elegante SPA, ci ha accolto uno staff in giacca e cravatta ma….tanto lusso e poi siamo gli unici ospiti! Le stanze sono grandissime eleganti, con un letto che potrebbe essere tranquillamente a 3 piazze ma molto fredde, infatti ci siamo fatti subito portare la stufetta per riscaldare . Ci siamo stesi un po’ al sole a bordo piscina ma dopo mezz’ ora, abituati ai nostri ritmi frenetici ci annoiavamo già e soprattutto, cominciando a calare il sole, avevamo freddo. Ci siamo quindi rivolti alla reception chiedendo se avevano qualcosa da proporci per ingannare il tempo ( Il prezzo dei massaggi nella SPA è proibitivo!) così, in quattro e quattr’otto è arrivata una jeep scoperta che ci ha accompagnati in un’ escursione nel deserto . Lasciato l’ asfalto ci siamo inoltrati in una campagna verdissima, tutta coltivata, con sparse qua e là le case degli agricoltori che lavorano queste porzioni di terreno. Ci siamo fermati a visitare una di queste case in adobe, con un paio di stanze chiuse mentre al centro c’ è un grande cortile dove si svolge la vita della famiglia, si consumano i pasti seduti a terra e per la maggior parte dell’ anno si dorme; in un angolo il braciere dove le donne cuociono il chapati.

Lasciati i campi coltivati entriamo nel vero e proprio deserto, qui molto più sabbioso rispetto a quello di ieri e popolato di animali selvatici, gazzelle, antilocapre maschi dal manto grigio mentre femmine e cuccioli lo hanno rossastro e persino un gatto del deserto simile in tutto per tutto al cucciolo di un leopardo.

Ci siamo fermati su alcune dune solcate solamente dalle impronte degli animali e da qui abbiamo assistito nel silenzio ad un magico tramonto, altro che il carnevale di ieri sera .

Siamo rientrati attraversando nuovamente la campagna dove uomini e donne lasciavano i campi per recarsi a casa e bambini uscivano dalle loro abitazioni e ci correvano incontro sventolando le loro manine in segno di saluto, è stato bellissimo !

Doccia bollente per scaldarci, infatti il viaggio di ritorno senza più il sole ci ha intirizziti; abbiamo riordinato le valigie sistemando gli oggetti acquistati oggi e siamo andati a cenare nel ristorante dell’ hotel, unica soluzione possibile.

Abbiamo cenato, nella sala con un’ altra coppia di indiani, degustando cibi tipici e anche un lassì, una sorta di yogurt alla frutta veramente buono; l’ unico elemento negativo il cameriere assillante che ti riempiva il piatto senza darti il tempo di finire giusto per mostrarsi servizievole e quindi conquistarsi una lauta mancia.

Una delle cose più sgradevoli in India è proprio quella delle mance che tutti pretendono e spesso contestano quando non reputano all’ altezza della situazione, è una cosa assolutamente da tenere in conto quando si organizza un viaggio in India, includere nel budget un’ ulteriore somma per le mance che vanno lasciate a tutti, dai facchini ai camerieri alle guide ai conducenti di risciò, ai massaggiatori, agli autisti.

Usciti dal ristorante 2 ragazzini ci aspettavano fuori armati di torce per farci luce fino alle nostre stanze e poi ci hanno consegnato una boule di acqua calda per scaldare il letto, è stato piacevolissimo !

19/01/2016: MANVAR – JODHPUR

Sveglia alle 7 dopo una notte no, forse per il cuscino troppo alto ho avuto l’emicrania per tutta la notte, mi sono ripresa dopo un’ ottima colazione poi via, destinazione Jodhpur, la città blu, seconda città del Rajasthan, che conta un milione e mezzo di abitanti. Oggi la strada da percorrere è breve, solo un centinaio di chilometri ma impieghiamo più di due ore a percorrerla perché la strada è tutta un cantiere disseminato di buche ed asfalto a tratti divelto.

Alle 10.30 siamo arrivati al nostro hotel il “Rambanka Palace”, un grande sontuoso edificio, con un verde cortile interno dove sono dislocati i tavoli del ristorante, un bella piscina circondato palazzine a due piani dove sono sistemate le stanze . La nostra è al secondo piano, è molto spaziosa con un imponente letto in legno, il bagno con tanto di vasca, che però non eroga acqua e una grande terrazza con un grande divano coperto di cuscini che si affaccia sul giardino sottostante.

Al nostro arrivo la guida era già lì ad attenderci, abbiamo posato le valigie e siamo immediatamente partiti alla scoperta di Jodhpur.

Abbiamo attraversato il traffico cittadino, abbiamo percorso una tortuosa strada in salita ed abbiamo raggiunto il Jeswan Thada, il mausoleo del sultano Jeswan Singh II fatto costruire dalla moglie alla fine del 1800. Si erge sulla collina di fronte al forte e si affaccia su di un laghetto d’ acqua piovana, un tempo usato come acquedotto della città, oggi stagno per le anatre che nuotano incuranti sotto lo sguardo di decine di turisti.

E’ completamente costruito in marmo bianco di Macrana,simile come colore a quello di Carrara ma più duro e meno poroso tanto da mantenerne intatto il candore.

Attorno ad esso sono stati costruiti i cenotafi degli altri sultani suoi discendenti e quelli dei membri della famiglia reale, che però, per differenziarsi da quelli dei sultani sono in pietra rosa.

La tradizione di costruire le tombe gli indiani l’ hanno appresa dagli arabi che seppelliscono i loro defunti, in India tutti i morti vengono cremati e le ceneri vengono disperse in uno dei 6 fiumi sacri, ma chi lo ritiene opportuno fa costruire questi piccoli tempietti in ricordo del defunto ma non ne contengono né il corpo né le ceneri .

Sulla vetta della collina di fronte a circa 2 km di distanza svetta sulla città con maestosa imponenza il Mehrangarh, la fortezza costruita interamente in arenaria rossa, la stessa pietra da cui è formata la collina su cui è stato costruito tanto che sembra la continuazione delle pareti rocciose.

La costruzione iniziò a metà del 1400 e terminò 350 anni dopo ; per raggiungere il nucleo abitativo bisogna oltrepassare 7 porte che sbarrano via via una tortuosa strada in salita .

Di fianco alla terza porta ci sono le impronte rosse di piccole mani lasciate qui dalle vedove del maharaja prima di immolarsi sulla pira del marito.

Questa è stata una pratica molto diffusa in India fin dalla notte dei tempi poi gli inglesi a metà del’ ottocento l’ impedirono.

Noi, per raggiungere la parte alta abbiamo usato l’ ascensore che ti porta al piano del palazzo reale, sulla piazza dei cannoni da cui si può ammirare la città a perdita d’ occhio con le sue case celesti, soprattutto nella parte vecchia della città .

Il blu era il colore usato dai bramini per dipingere le loro case, solo in seguito, durante la dominazione mogul anche gli arabi, incuranti della gerarchia delle caste, cominciarono a dipingere le loro case di blu per rinfrescare gli ambienti durante la calura estiva e per allontanare le zanzare.

La facciata del palazzo reale è scolpita con motivi decorativi finissimi, l’uno diverso dagli altri; parte della facciata è dipinta con malta bianca per rendere più freschi gli ambienti nei mesi estivi quando la temperatura può raggiungere anche i 50 °, al centro c’ è la piazza dove avvengono le incoronazioni sopra ad un trono in marmo ; l’ ultimo maharaja è stato incoronato a 4 anni per la morte prematura del padre ed è ancora in carica oggi all’ età di 68 anni. Nei piani bassi degli appartamenti reali sono conservati oggetti appartenuti alla famiglia reale: le portantine, le armi usate nel corso dei secoli, le miniature che i maharaja – mecenati commissionavano agli artisti della città, i tappeti, i tessuti usati per arredare queste stanze. Bellissima è la cappella decorata con affreschi e specchi, oggi sconsacrata e la sala del trono con soffitto e pareti dipinte, in cui vennero utilizzati oltre 80 kg di oro ma rimasta incompiuta per la prematura morte del pittore ; la stanza da letto del maharaja decorata con maioliche e vetri colorati d’ origine belga, al cui soffitto sono appese grosse palle di Natale di vetro colorato; la stanza della perla, così detta per le sue pareti candide, usata per le udienze pubbliche e dalle cui grate anche le mogli del maharaja potevano assistere ed intervenire nelle decisioni prese.

Nella “zenana” ovvero il gineceo, è una grande stanza che si affaccia sul cortile centrale e grazie alle gelosie alle finestre le donne potevano osservare la vita che si svolgeva all’esterno; oggi in questo salone sono in mostra la culle reali.

Lasciato il forte ci siamo avviati nel cuore della città vecchia, dove su consiglio della nostra guida abbiamo pranzato con un somoza acquistato in una friggitoria all’ aperto. Il somoza è una frittella di pasta sottile con un ripieno di patate, curry, anacardi, uvetta ed altre spezie; poi al primo piano di un vecchio edificio affollato solo da indiani, ci siamo seduti al tavolino di un bar ed abbiamo gustato il miglior lassì dell’ India, arricchito con frutta secca e miele .

Camminare per queste strade ti stordisce per la folla colorata delle donne induiste nei loro sari ,mentre quelle mussulmane sono infilate in camicioni neri che lasciano scoperti solo gli occhi; il rumore assordante dato dal vociare di questa folla di persone, dal rombo dei motorini e dei clacson che suonano di continuo . Qui si trova da comprare ogni cosa: tessuti colorati dei sari, tappeti, dolciumi, ghirlande di fiori cerimoniali, ferramenta, abiti usati accalcati in enormi mucchi, frutta e verdura e… immondizia ovunque !

Non mi sono mai trovata in un posta tanto caotico in nessun’ altra parte del mondo visitata!

Malgrado avessimo giurato di non mettervi più piede per tutto il restante viaggio, siamo nuovamente finiti in un atelier, che, per l’ ennesima volta ci ha fatto lo spiegone sulla manifattura e tessitura delle pashmine e che volevano venderci copriletti e coperte, a detta loro, gli stessi che in Italia vengono comprati dalle griffes più in voga per poi rivenderli ad una fortuna. Quando hanno chiaramente visto che non ci avrebbero indotto a comprare, hanno ripiegato sulle sciarpe; per Simona è ormai la terza e, stavolta ne ho comprata una anch’ io per la mamma, perché i prezzi qui sono un po’ più contenuti .

Abbiamo raggiunto la torre dell’ orologio costruita nel 1800 e posta al centro di un crocevia dove si svolge quotidianamente il mercato . Siamo completamente storditi da questo via vai ,decidiamo per un po’ di relax e un buon tè in un negozio di spezie, e dopo averlo assaggiato ne abbiamo comprato diverse confezioni.

Di fronte al nostro hotel si vede una delle residenze reali più famose della città : il Umaid Bhawan Palace, detto anche il Taj Mahal di Jodhpur per la sua forma con le cupole arrotondate . E’ stato costruito al di allora maharaja all’ inizio del 1900 in un periodo di grave carestia così dette lavoro ad oltre 3000 persone per oltre 15 anni, salvandoli dalla fame .

Oggi è diventato un hotel a 5 stelle ed è sede di un museo che però chiude alle 16, così, vista l’ ora, abbiamo perso l’ opportunità di visitarlo .

Siamo tornati in hotel per una doccia e un po’ di relax prima di cena. Sono rimasta un po’ sul comodo divano in terrazza a scrivere, avvolta in una calda coperta; stasera fa decisamente meno freddo delle sere precedenti; in cortile un gruppo suona musica tradizionale accompagnato da percussioni mentre molti clienti dell’ hotel si accomodano ai tavoli del ristorante, alcuni turisti improvvisano danze e un cicalio di voci li incitano e applaudono.

Verso le 8 è venuto Manoj a prenderci e ci siamo fatti accompagnare al “Kalinga” per cena, un locale elegante ,abbiamo mangiato un montone tenero come il burro ma piccantissimo per fortuna c’ è sempre il nostro amato pane chapati per spegnere le fiamme!

20/01/2016: JODHPUR – NARLAI

Quando siamo scesi nell’ elegante salone ristorante per la colazione ed abbiamo visto vassoi carichi di brioches e dolci che però hanno deluso le nostre aspettative perché stantii e quasi sapidi .

Abbiamo lasciato il deserto, la strada attraversa la campagna verde e coltivata e verso mezzogiorno siamo arrivati a Ranakpur, uno dei templi giainisti più grandi e famosi dell’ India .

E’ un insieme di più costruzioni più o meno conservate sparse attorno all’ edificio principale : il Chamunkha Mandir, ovvero il tempio delle 4 facce, dedicato ad Adinath, il primo Tirthankar del giainismo; è stato costruito nel XV secolo in marmo e pietra saponaria . Per terminare l’ opera ci vollero 50 anni e il lavoro di 2500 persone .

Qui non c’ è nessuna guida ad attenderci, pagando il biglietto ci hanno consegnato un ‘ audioguida parlante italiano che ci ha narrato la storia del tempio e descritto le opere contenute nel suo interno.

Ci sono 4 grandi porte d’ accesso rivolte verso i 4 punti cardinali, al centro c’ è un sancta santo rum, custodito da monaci che permettono solo ai fedeli in preghiera di avvicinarsi, con l’ effige di Adinath, in tutto molto simile all’ immagine di Buddah . Dall’ altro lato della grande sala una statua su di un elefante rappresenta la madre di Adinath che contempla il figlio che ha raggiunto il Nirvana.

L’interno conta 1444 colonne, tutte diverse l’ una dalle altre, ricoperte di statue e bassorilievi di motivi floreali e geometrici; gli archi e le numerose cupole sono intarsiate con una lavorazione quasi di filigrana, tanto da sembrare coperti da pizzi e merletti fatti all’ uncinetto ; ovunque ti girassi rimanevi a bocca aperta nel vedere un’ opera di tale maestria . Dai cortili aperti attorniati da gallerie dove i monaci, camminando, pregano si scorgono contro il blu del cielo gli alti pinnacoli delle torri, questo tempio, dopo un periodo di grande splendore è stato abbandonato e caduto in rovina, quindi rimasto semisepolto dalla vegetazione e riscoperto solo alcune decine d’ anni fa, restaurato e divenuto oggi Patrimonio dell’ Unesco.

Terminata la visita ci siamo fermati in un ristorantino sulla strada per permettere a Manoj di pranzare, abbiamo bevuto una birra gelata e assaggiato i “paneer pakora “ ovvero un dadino di formaggio simile al nostro primosale ,ricoperta di pastella fatta con farina di ceci e fritta: un’ altra pietanza buona, anche se, come si suol dire, fritta è buona anche una suola di scarpa !

In meno di un’ ora siamo arrivati a Narlai, un paesino situato sotto un picco roccioso, in mezzo al nulla e il nostro hotel “Rawla Narlai” una cattedrale nel deserto.

E’ un’ antica haveli ristrutturata nei minimi particolari, con giardini fioriti e bouganville che si arrampicano sui muri, una piscina, una spa e le stanze dislocate nelle varie palazzine.

La nostra stanza è meravigliosa, il terrazzo dà sulla grande rocca, il letto regale in legno scuro coperto da sete e cuscini sui toni del rosso e bordeaux, nicchie su cui erano posate le lanterne, vetri colorati, una grande stanza da bagno: è forse uno dei più bei posti dove abbia mai dormito .

Sono le quattro del pomeriggio e rimanere in stanza è un peccato, un impiegato dell’ hotel ci ha accompagnato nella visita del paese.

Il primo posto che ci ha mostrato è il piccolo tempio di Shiva scavato nella roccia, vi si arriva tramite una scala i cui scalini sono scavati direttamente nella pietra ; le strade sono tutte disseminate di spazzatura, in alcuni angoli c’ è una vera e propria discarica dove mucche e maiali cercano cibo tra cartone e bottiglie di plastica .

Ci sono bambini ovunque, che escono dalle loro case, ci sorridono e ci salutano agitando le loro manine e regalandoci i loro sorrisi, molti ci chiedevano rupie, altri biro, ma quando le abbiamo tirate fuori dallo zaino per distribuirle siamo veramente stati presi d’ assalto, così, nostro malgrado, se abbiamo voluto continuare il nostro giro, abbiamo dovuto riporre ogni cosa .

Abbiamo visto da vicino case con cortili interni dove sono ricoverate greggi di pecore e capre; sarti e ciabattini al lavoro, poi, come sempre succede la nostra guida ci ha portato in alcuni dei pochissimi negozi del paese che vendevano carabattole a prezzi spropositati e argento a prezzi superiori che in Italia.

Siamo rientrati in hotel per un po’ di relax e una bella doccia… fredda! Infatti in quasi tutti gli hotel l’ acqua viene scaldata da un boiler che si deve accendere appena si occupa la stanza, peccato si fossero dimenticati di comunicarcelo !

Verso le 19 siamo scesi nel giardino davanti ad un braciere acceso dove un suonatore di sitar ci deliziava con le malinconiche melodie .

Abbiamo cenato nel ristorante dell’ hotel, unica alternativa, infatti per le strade del paese non abbiamo visto alcun ristorante neppure uno dalla dubbia igiene .

La sala è elegante ma algida e asettica, abbiamo mangiato un pollo tandoori ottimo ma abbiamo speso quasi 5000 rupie!

Per non andare a letto con il boccone in gola abbiamo fatto un giro per l’ hotel, esplorando i piani superiori degli altri edifici, le cui terrazze sono arredate con divani ricoperti di seta, dondoli in legno, persino letti con candidi manti, specchi, tavolini, una bellissima sala da gioco e dalla terrazza sul tetto abbiamo ammirato il paese sommariamente illuminato e un cielo stellato degno delle “mille e una notte”

21/01 /2016: NARLAI – UDAIPUR

Ci siamo svegliati presto malgrado il letto fosse soffice come una nuvola, così prima di fare colazione siamo tornati sulle balconate a scattare alcune foto .

La giornata è splendida il sole caldo quindi abbiamo fatto colazione seduti in giardino e poi siamo partiti destinazione Kumbhalgarh.

Il forte si trova a 1100 m s.l.m sui monti Aravalli ; la strada per raggiungerlo è la tipica strada di montagna, tortuosa, stretta e ripida, attraversa boschi, zone coltivate, solcate da un fiume quasi in secca, fatta eccezione per qualche bacino da cui si attinge l’ acqua per irrigare.

Lungo la strada incontriamo file di donne con lunghi fasci di canne da zucchero sulla testa, che nascondono il volto dietro al velo per non farsi fotografare.

Sulla sommità della montagna appare la sagoma della fortezza costruita nel 1400, pressoché inespugnabile, utilizzata dai maharaja per difendersi in caso di pericolo.

Lasciamo l’ auto nel parcheggio, oltrepassiamo la porta e ci incamminiamo su per una via in salita ; durante il nostro salire oltrepassiamo altre porte, ci imbattiamo in torrette di guardia, in una grande piazza in cui sono posizionati i cannoni ; quasi sulla cima ci sono edifici più spartani ed essenziali, con molta probabilità le caserme e gli alloggi dei soldati .

Nella parte più alta si trovano gli appartamenti reali perché rimangono ancora alcune parti delle pareti dipinte con sagome di elefanti e sul tetto ci sono 2 grandi cupole d’ ispirazione araba da cui si gode un magnifico panorama sulla campagna sottostante e sul serpeggiare del muro di cinta .

Qui non avevano a disposizione le audio guide come a Ranakpur, quindi le uniche notizie acquisite su questo grandioso monumento le abbiamo acquisite dalla Lonely Planet, anche se erano veramente stringate ed è stato un vero peccato non poter avere una guida che ci raccontasse la sua storia un po’ più nel dettaglio.

Da sopra la porta d’ ingresso alla fortezza parte una cerchia di mura lunghe 36 km su cui aprono grandi bastioni, ne abbiamo percorso un bel tratto fatto di saliscendi e scale, ricordandoci molto la Grande Muraglia Cinese.

All’ interno delle mura esistevano 360 templi, oggi di molti non ne rimane che un rudere, altri sono sconsacrati .

Verso le 2 abbiamo fatto ritorno al parcheggio, presa l’ auto abbiamo percorso a ritroso la strada fatta stamane, sosta per un somoza e poi abbiamo raggiunto Udaipur, grande città dal traffico caotico affacciata sul lago Pichola .

Prima di raggiungere l’ hotel abbiamo incontrato la guida che ci accompagnerà domani nella visita della città e, con nostro disappunto, ci siamo accorti che non parla una parola d’ italiano e che stasera avrebbe già voluto portarci a vedere uno spettacolo di danze.

Abbiamo fatto chiamare da un Manoj scocciato il corrispondente Get’s Holiday perché ci cercasse un’ altra guida, che dopo un paio di telefonate ci ha trovato .

Manoj aveva il muso lungo perché la prima guida probabilmente era un suo amico a cui aveva promesso il lavoro, infatti prima di raggiungere la città ce ne aveva già decantatole qualità: è veramente incorreggibile, non gli è bastato il pasticcio che ha combinato nel deserto, voleva fare nuovamente di testa sua e riportarci a vedere le danze !

L’ hotel “Jaiwana Haveli”, esternamente ha l’aspetto di un’ antica haveli mentre l’ interno è vecchiotto, le stanze sono essenziali ma hanno una splendida vista sulle acque del lago.

La città vecchia è un groviglio di viuzze in cui la nostra auto passa a malappena .

Al quarto piano del nostro hotel c’ è la grande terrazza del ristorante e da qui abbiamo assistito ad un tramonto rosso fuoco . Siamo quindi usciti a fare quattro passi tra le vie affollate su cui si aprono una miriade di negozi e centri massaggio e un’ infinità di “commercianti” che ti fermano chiedendoti da dove vieni concludendo sempre con” Italia dove? Roma ,? Milano ? Torino?”, poi vogliono accompagnarti in un ristorante o vogliono che tu compri qualcosa delle carabattole esposte .

Uno dei ristoranti consigliati dalla Lonely è il Millet of Manwar situato al secondo piano ed ha una bella terrazza da cui si vede anche il lago in cui si riflettono le luci della città.

Abbiamo mangiato un indian tacos e poi in un altro locale sulla riva del lago abbiamo bevuto un lassì ma non aveva nulla a che vedere con quello di Jodhpur .

22/01/2016: UDAIPUR

Abbiamo fatto colazione sulla terrazza davanti alle acque scintillanti del lago Pichola, i raggi del sole illuminano la superficie rendendola dorata, ma malgrado il sole, l’aria, alle 9, è ancora gelida.

Alle 9.30 nella hall dell’ hotel c’ era la nostra guida ad attenderci, non quello di ieri ma un bel ragazzo che parla un buon italiano .

Abbiamo camminato a piedi tra le vie strette della città vecchia, ancora addormentata, poche sono le persone in giro e pochissimi i negozi che tiravano su le serrande .

Siamo arrivati così al City Palace, la residenza reale di Udaipur, una delle più grandi di tutto il Rajasthan, costruita nel 16° secolo.

La porta d’ accesso al cortile è colossale, tanto da permetterne l’ ingresso a elefanti con le portantine sul dorso; a dimostrazione di ciò nel cortile sono conservate delle piattaforme concave usate dagli elefanti come giacigli.

L’ interno è davvero sontuoso, con stucchi alle pareti, intarsi con pietre semipreziose che formano eleganti decorazioni. Attraversiamo i vari cortili interni, nelle sale ai piani più bassi troviamo bellissime miniature e quadri rappresentanti una famosa battaglia vinta grazie ad un sotterfugio in cui ai cavalli venne applicata una proboscide posticcia affinchè gli elefanti nemici non li attaccassero ; il cavallo del maharaja così agghindato, malgrado avesse uno zoccolo reciso attraversò il fiume e lo portò in salvo, per questo è diventato un eroe.

Al quarto piano si trova una sorta di giardino pensile, con alberi alti oltre 3 metri e da qui si può ammirare lo splendido panorama della città e del cortile principale dove si svolgeva una sorta di palio in cui venivano utilizzati gli elefanti al posto dei cavalli.

Gli appartamenti reali sono i più belli visti fin’ ora: c’è una sala tutta specchi e decorazioni che veniva usata come stanza da letto per la prima notte di nozze, una stanza tutta vetri che la maharani usava come stanza per il trucco, una stanza con divani dalle pareti azzurre usata per le udienze private, quindi un corridoio illuminato da finestre con gelosie porta agli appartamenti dell’ ultimo maharaja che si spostava con una sedia a rotelle dopo un incidente di caccia.

Da qui scendiamo nel cortile detto dei pavoni perché abbellito con immagini di questo animale simbolo a grandezza naturale realizzati con piccoli frammenti di pietre semipreziose, rendendolo uno dei più belli di tutto il Rahjasthan.

Nell’ edificio di fianco, il palazzo delle donne è conservato un baldacchino in argento sotto il quale, ancora oggi si celebrano i matrimoni reali. C’ è inoltre un museo che mostra tutti gli argenti appartenuti alla famiglia reale : un trono, due portantine e innumerevoli oggetti d’ arredamento . Siamo usciti dalla porta sud, opposta a quella da cui siamo entrati e ci siamo avvicinati all’imbarcadero dove partivano praticamente una dietro l’ altra grandi barche che fanno il giro del grande bacino artificiale, nato come riserva d’ acqua per la città.

Abbiamo indossato i giubbotti salvagente e ci siamo lasciati trasportare sulle calme acque del lago ; costeggiando le rive abbiamo potuto vedere persone che fanno le abluzioni e il bucato; i muri di cinta di alcune haveli, le 2 isole, una costituita per intero da un hotel 5 stelle, l’ altra, più grande, dove oltre al lussuosissimo hotel e centro benessere ha un giardino curatissimo, su cui siamo sbarcati ed abbiamo passeggiato accarezzati dal sole.

Dopo la navigazione durata circa un’ ora abbiamo preso l’ auto ed abbiamo fatto il giro degli altri 2 laghi minori di Udaipur.

Siamo poi andati a visitare i giardini “Meids of Honor” detto anche giardino delle donne perché è stato donato da un maharaja alla sua sposa stufa di rimanere chiusa tra le pareti del palazzo, così poteva passeggiare senza mescolarsi al resto della popolazione . Ci sono moltissime varietà di alberi e di fiori, bellissime fontane dove era concesso loro anche di fare il bagno.

Manoj voleva portarci al Palazzo dei Monsoni per l’ ora del tramonto ma il palazzo non è visitabile e l’ ingresso con il pedaggio per arrivare sulla collina che dista più di 10 km dalla città è decisamente caro e la nostra guida ce lo ha sconsigliato, in quanto il tramonto si vede ugualmente bene dalla rive del lago .

A questo punto abbiamo salutato e ringraziato la nostra guida ed abbiamo anticipato di un paio d’ ore il massaggio prenotato ieri sera.

Il tanto atteso massaggio non è stato ciò che ci aspettavamo perché abbastanza energico e talvolta quasi doloroso e, a parer mio, la stanza era troppo fredda per potersi rilassare.

Il locale dove abbiamo fatto i massaggi dista poche decine di metri dall’ hotel, quindi essendo ormai prossimo il tramonto siamo saliti in terrazza per scattare alcune foto con questa luce magica.

Alle 18.30, su consiglio della nostra guida siamo andati al tempio di Joydish per assistere alla preghiera serale, a cui tutti possono partecipare anche se non induisti.

Una ripida scala porta al cortile del tempio, una splendida costruzione della metà del 1600, le cui pareti esterne sono ornate da finissime sculture ; sull’ altare c’ è una statua di Vishnù in pietra nera .

Quando siamo entrati i fedeli ripetevano una preghiera, apparentemente sempre uguale, poi 2 uomini sull’ altare sventolavano due oggetti, due scopini fatti di piume mentre un sacerdote faceva roteare davanti alla statua di Vishnù lampade accese e ciotole contenenti acqua .

Terminati i canti il sacerdote ha lanciato sui fedeli un manciata di riso e poi si sono messi in fila per ricevere un pugno d’ acqua santa che si sono versati sulla testa .

A questo punto, uomini da un lato, donne dall’altro, si sono seduti tutti a terra intonando canti accompagnati dal suono di un organetto ed un tamburo.

Abbiamo assistito rispettosi a tutta la cerimonia ma poi siamo usciti perché non capivamo molto cosa rappresentassero questi rituali, in questo frangente sarebbe stato veramente avere una guida che ci spiegasse il significato di queste preghiere.

Prima di andare a cena ci siamo fermati a fare un po’ di acquisti, abbiamo contrattato fino allo spasimo nell’ acquisto di una decina di foulard e poi abbiamo raggiunto le rive del lago dove è sito il ristorante “Jasmin”, abbiamo mangiato spaghetti spacciati per noodles, patate fritte e formaggio spendendo 1200 rupie in 4, nulla in confronto al ristorante di Narlai !

23/01/ 2016: UDAIPUR –BIJAIPUR

Abbiamo fatto colazione davanti alle acque dorate del lago Pichola ma ad una temperatura polare, possibile che le stanze non debbano avere vetri alle finestre ?

Alle 9 abbiamo lasciato Udaipur alla volta di Chittorgart, abbiamo chiesto a Manoj se lassù avessimo trovato la nostra guida parlante italiano, ci ha detto di no ma si è prodigato per procurarcene una ma, oltre al prezzo esagerato di 2500 rupie, avremmo dovuto attenderlo per più di un’ ora sul ciglio della statale ed avrebbe dovuto fare il viaggio in auto con noi, che siamo già sufficientemente stretti in 4. A questo punto abbiamo rinunciato e ci siamo affidati alle 4 sommarie indicazioni fornitoci dalla Lonely Planet.

Chittorgart è ciò che resta di una cittadella fortificata di cui si può ammirare la cerchia di mura merlate pressoché intatte e rovine di templi e palazzi risalenti al XIII – XIV secolo.

Per raggiungerla abbiamo attraversato la città moderna assillata da un traffico intenso in cui la circolazione dei veicoli era bloccata per lasciare spazio ad una parata di bambini in divisa in onore della visita del governatore .

La strada serpeggia su fino sulla sommità della collina, abbiamo attraversato diverse porte ed un borgo antico tutt’ ora abitato; ci siamo fermati a visitare il tempio di Maera, uno splendido esempio di architettura indo – ariana, con alte guglie e le pareti finemente scolpite con immagini di apsara dalle pose plastiche e motivi floreali..

Il monumento più rappresentativo è la torre della Vittoria, un tempio di 8 piani dedicato a Vishnù ; siamo saliti fino in cima tramite una stretta ripida scala a volte veramente buia e da lassù abbiamo potuto vedere per intero il sito in tutta la sua estensione..

C’ è un lago sacro, dove moltissime donne nei loro coloratissimi sari facevano abluzioni, cantavano e bruciavano incensi. Siamo rimasti ad osservarle a lungo affascinati da questi rituali e, anche qui, avere avuto una guida che ci spiegasse qualcosa in merito sarebbe stato sicuramente di aiuto .

Poco distante da lì si trova il tempio di Sammidheshwar, anche questo con splendide sculture che custodisce al suo interno una statua di Shiva con 3 volti.

Poco discosto è il Padmini’s Palace che ha eleganti giardini coltivati a rose che si affacciano su di un lago artificiale, oggi una pozza d’ acqua putrida, con un padiglione al centro.

Ultima tappa prima di lasciare Chittorgart è il tempio di Kualika Mata risalente all’ VIII secolo ma poi restaurato nel XV secolo dedicato al Dio Sole e dove i fedeli offrono in dono noci di cocco che vengono aperte ai piedi dell’ altare .

Davanti all’ entrata del tempio ci sono tante bancarelle che vendono offerte da portare al tempio : ghirlande di fiori, confettini colorati, noci di cocco, drappi rossi e dorati, immagini di Dei.

Ci siamo fermati per uno spuntino e poi dopo un’ ora abbiamo raggiunto Bijaippur, un paesino in mezzo al nulla, dove è sita, come già a Narlai, una sistemazione di gran lusso, il “Bijaipur Castle”, una haveli di oltre 300 anni, proprietà del maharaja locale con una bella piscina,stanze spaziose ed eleganti e enormi stanze da bagno, ma le stanze sono gelide e non hanno neppure una stufetta per riscaldarle .

Posati i bagagli siamo usciti a fare quattro passi per le strade del paese percorse da motorini strombazzanti, dalle onnipresenti mucche e da tanti bambini, che vedendoci passare ci sorridono, ci salutano e, i più audaci ci corrono incontro chiedendoci una biro.

I turisti che arrivano fin qui sono pochi e quei pochi rimangono chiusi tra le mura del giardino dorato dell’ hotel e non si mescolano con gli abitanti del luogo.

Vedendoci camminare per le strade ed avendo donato ad alcuni di loro una caramella, ben presto siamo stati accerchiati da orde di bimbi vocianti, con i loro grandi occhi neri e con i loro sorrisi radiosi : è così bello vederli felici solo per una biro o una caramella!

Quando il sole era ormai tramontato siamo rientrati in hotel, doccia bollente per riscaldarci e poi siamo scesi al ristorante dell’ hotel perché, vagando per le strade non abbiamo visto nessun posto dove si potesse cenare.

Qui, contrariamente a quasi tutti gli hotel frequentati fino ad oggi, è pieno zeppo di turisti: un pullman di francesi, un grande gruppo d’ inglesi, una coppia di tedeschi .

La cena è a buffet, ci sono giusto 5 piatti da scegliere e mettersi in coda tra quella folla di turisti è veramente scocciante, il cibo è passabile ma non eccelso e decisamente caro rispetto a quello pagato ieri sera.

A fine cena è passato tra i tavoli un distinto signore con il turbante intesta e si è presentato tavolo per tavolo come il proprietario del palazzo, ci ha chiesto se la nostra sistemazione fosse stata confortevole e la cena di nostro gradimento .

Anche se qualche critica da fare l’ avremmo avuta, davanti alla cortesia di quel gentiluomo abbiamo taciuto e ringraziato.

Giusto per non metterci a letto con il boccone in gola abbiamo fatto il giro per i corridoi e i terrazzi del palazzo fino a salire sul tetto dove siamo rimasti ad ammirare il paese quasi addormentato sotto un cielo stellato e illuminato dall’ argentea luce della luna.

Alle 21.30 eravamo però già sotto le coltri .

24/01/2016: BIJAIPUR – BUNDI

La tanto temuta maledizione del viaggiatore è purtroppo arrivata: mi sono svegliata con crampi allucinanti alla pancia con conseguenti scariche . Mi sono subito imbottita con tutti i farmaci del caso e facendo violenza su me stessa mi sono trascinata fuori dal letto e ci siamo rimessi in viaggio.

Ho fatto l’ intero tragitto fino a Bundi accoccolata sul sedile senza riuscire a tenere gli occhi aperti .

Non ho visto nulla del paesaggio attraversato, malgrado la mia pancia sembri essersi quietata, sono letteralmente distrutta.

Arrivati a Bundi, che è un piccolo paese e poco battuto dalle orde di turisti, abbiamo incontrato la nostra guida che però parla solo inglese, perché è l’ unica guida della città; io proprio non ce la faccio a prestare attenzione a capire ciò che spiega oggi ….

Abbiamo subito raggiunto il nostro hotel il “Braj Bhrushangije” situato sotto la mole della fortezza ; è una haveli di oltre 200 anni ancora di proprietà della famiglia che l’ ha fatta costruire.

A noi hanno assegnato un’ enorme stanza al pianterreno con al soffitto appese le palle di Natale come avevamo già visto al palazzo di Jodhpur.

Io sono rimasta un’ ora in hotel stesa sul comodo divano mentre gli altri sono andati a piluccare qualcosa per pranzo .

Alle 13.30 ci siamo arrampicati sulla collina su cui è stato costruito il forte risalente al 1600, in 3 stili differenti che si possono notare nei diversi padiglioni del palazzo .

Per accedervi bisogna percorrere una ripida salita fino a giungere dinnanzi alla porta dell’ elefante così denominata perché sormontata da due grandi statue di elefanti con le proboscidi incrociate, che è stata ideata dallo stesso architetto che ha progettato il Taj Mahal . Oltrepassata, ci troviamo in una grande corte dove si tenevano le udienze pubbliche e dove fa bella mostra di sé un trono in marmo bianco.

Da qui si passa alla zona riservata agli appartamenti delle donne,con graziosi cortili e fontane, con vaste sale dove si possono vedere tracce di affreschi rovinati dall’ incuria e dall’ incedere del tempo, c’ è una grande sala con un affresco che mostra un corteo cerimoniale e più su una stanza con splendidi affreschi d’ ispirazione cinese, anche questi in deciso stato di abbandono.

La fortezza malgrado la grandiosità è in stato di abbandono, molte delle stanze sono divenute il ricovero per colonie di pipistrelli.

L’ ultima parte visitabile è il Chitorsala, una zona di meditazione e di cure che si affaccia su di un piccolo grazioso giardino con al centro una fontana diventata vasca da bagno per le scimmie.

L’ interno è rivestito di affreschi che passano dalle tonalità del blu e del verde e che ritraggono la vita di corte dei sultani .

Abbiamo lasciato il palazzo scendendo per la ripida, scivolosa discesa e ci siamo inoltrati nel cuore della città vecchia, che, a detta della nostra guida oggi era particolarmente tranquilla in quanto domenica, ma a me è parso il solito caos infernale : botteghe ad ogni passo dove non puoi fermarti a guardare le merci senza essere assillati da mille richieste d’ acquisto, animali “randagi” ovunque, motorini, tuk tuk, biciclette e soprattutto tanta sporcizia e tanti escrementi da evitare .

Ad ogni angolo si possono vedere piccoli templi ma nessuno degno di essere visitato .

Oltrepassata la porta della città ci ritroviamo nella parte nuova dove si trovano i “baori” ossia i pozzi a gradini che servivano da serbatoi d’ acqua per la città, oggi quasi tutti asciutti per l’ abbassamento delle falde acquifere.

I primi due incontrati sono 2 pozzi gemelli posti l’ uno di fronte all’ altro nei due lati della piazza, purtroppo ora asciutti con montagne di spazzatura a coprirne il fondo; abbiamo attraversato un colorito mercato di frutta e verdura ed abbiamo raggiunto il pozzo più maestoso definito della Regina, profondo oltre 50 metri, abbellito da arcate e scale, regno incontrastato dei piccioni,anch’ esso quasi asciutto.

E’ ormai il tramonto, la nostra guida ci ha riaccompagnati in hotel e noi abbiamo fatto ancora quattro passi per il centro per acquistare le cose adocchiate durante la nostra passeggiata pomeridiana.

Abbiamo cenato nel ristorante di una gust house posto al terzo piano di un palazzo denominato “Tom e Jerry” dove due buffi fratelli si fanno chiamare come i personaggio di Hanna e Barbera, ottima la pizza ed i sandwich e, anche la mia bevanda zenzero ,limone e miele, ma stasera è tutto ciò che riesco a buttare giù !

25/01 /2016: BUNDI – JAIPUR

Abbiamo fatto una ricca colazione in una splendida vecchia sala di un’ autentica haveli con mobili d’ epoca anche un po’ sbeccati ma che trasudano vestigia del passato, vecchie foto di famiglia appese alle pareti e una balconata che da sul sottostante ingresso con splendidi dipinti.

Sul tetto del palazzo c’ è una grande terrazza da cui si può ammirare la fortezza per intero abbarbicata sulle pareti della montagna.

Alle 9 siamo partiti per Jaipur ; oggi la strada è decisamente scorrevole, quasi un’ autostrada anche se talvolta attraversata da greggi di capre e spesso si vedono camion rovesciati sul ciglio della strada per il carico esagerato del loro rimorchio.

Jaipur è la capitale del Rajasthan e conta 5 milioni di abitanti, entrando in città, sembra di essere finiti in una delle bolge infernali, ogni mezzo motorizzato e non passa indifferentemente a destra o a sinistra senza rispettare precedenze o semafori, creando così un ingorgo perpetuo.

Abbiamo impiegato più di mezz’ ora a raggiungere il nostro hotel il “Shapure House”, che è forse il più lussuoso occupato fin’ ora : un palazzo in puro stile indiano con sale e salotti arredati con tavolini in marmo e comode poltrone rivestite di seta, specchi e divani, fontane e una bella piscina nel giardino .

La stanza è spaziosa il letto morbido come una nuvola rivestito di seta purpurea, il bagno rivestito di marmo con una doccia enorme, qui, il condizionatore, finalmente funziona anche da riscaldamento.

Malgrado il referente Get’s Holiday non voleva che ci accompagnasse in centro, Manoj ci ha portato in auto nella città vecchia prima di raggiungere il suo albergo ma prima ci siamo fermati a gustare uno speciale lassì servito in grandi bicchieri di terracotta allo “ Lassìwala” uno dei locali più celebri della città.

Ringraziato e salutato Manoj ci siamo inoltrati nel Bapu Bazar, il cuore del commercio della città vecchia.

Ci siamo subito trovati inghiottiti da una folla pressante; io credevo che nulla potesse battere glia affollamenti delle stazioni del metrò in Cina, mi sono dovuta ricredere! Una folla di persone ti spinge, ti sorpassa, ti urta, ti blocca il passaggio, ti impedisce di avvicinarti al negozio che ti interessa, neppure nelle feste popolari in Italia tante persone così si riversano per le strade e questo è per l’ India la normalità .

Nel bazar i negozi sono suddivisi in settori: c’ è quello degli orefici e degli argentieri, quello dell’ abbigliamento tradizionale, quello delle stoviglie, delle spezie, dei coloratissimi sari, quello dei bracciali, quello della pelletteria, quello del materiale elettronico.

In ogni dove ti si para innanzi un commesso che ti propone insistentemente l’ affare del secolo e se l’ oggetto ti interessa devi prima fingere disinteresse e poi cominciare l’ estenuante contrattazione che può durare anche mezz’ ora per l’ acquisto di una t shirt.

Un paio di giorni fa abbiamo ricevuto l’ invito ad una festa gitana così ci siamo sbizzarriti nella ricerca dei capi più originali da indossare.

La zona dei sari è sicuramente la più bella, rimaniamo spesso rapiti dai loro colori sgargianti, dai preziosi ricamo d’ oro e d’ argento, dalle mille sfumature ,la tentazione di comprarne uno è tanta ma arrivata a casa cosa ne fai? Non puoi certo uscire così agghindata e non ha neppure le dimensioni giuste per usarlo come tovaglia o come copriletto così ne abbiamo evitato l’ acquisto.

Abbiamo trascorso così il pomeriggio bighellonando per i bazar tra acquisti e scattando foto bellissime tra una folla vociante e rumorosa di indiani dove gli occidentali erano pressoché inesistenti .

Ci siamo fermati qui anche per la cena, la Lonely Planet consigliava l’ “LMB” una pasticceria con annesso ristorante ma stavolta la scelta non è stata azzeccata: il ristorante era affollatissimo, i camerieri scortesi, non avevano birra, i prezzi erano elevati e il cibo mediocre; buoni però i dolci, simili al nostro croccante.

Per tornare in hotel abbiamo preso il nostro primo tuk tuk indiano, l’ autista, un anziano signore dalla barba bianca, si è fermato ben 2 volte a chiedere dove fosse il nostro hotel e quando oramai ci chiedevamo se avessimo mai ritrovato le nostre stanze siamo giunti davanti all’hotel.

Stasera, però, girando per questa città così grande abbiamo visto l’ altra faccia dell’ India dove i marciapiedi sono ingombri di corpi addormentati, coperti con cartoni o con teli di fortuna ; bambini con le manine tese di fronte ad un fuoco improvvisato per percepire un po’ di tepore nel freddo della notte ; ora, coricati in un soffice letto, sotto una coltre di candide lenzuola, ripensando alle cose appena viste, mi chiedo veramente che cosa ho fatto di speciale per essere stata tanto fortunata.

26/01/2016: JAIPUR

Dopo una notte da re in una stanza da sogno, la colazione non è stata da meno: c’ era ogni ben di Dio: muffin, frollini, croissant, plum–cake oltre ad una varietà di piatti salati.

Alle 8 puntuale, nella hall c’ era la guida ad attenderci ma non Manoj, al suo posto un’ altro autista lo ha sostituito perché malato ( noi, malfidati, abbiamo pensato che abbia marcato visita per fare una fuga a casa a salutare la famiglia!).

Abbiamo attraversato la città e siamo giunti davanti alla grandiosità del Palazzo dei Venti, rosa, come tutto il resto della città, con le grate bianche alle numerosissime finestre,è situato nella zona dei bazar stretto tra gli altri palazzi, tanto da non riuscire quasi ad ammirarlo nella sua interezza, deludendoci un po’ perché, lo immaginavamo in uno spazio aperto dove l’ armonia delle sue forme spiccasse sovrana.

Jaipur è stata fondata nel 1727 dal guerriero Jai Singh II come capitale da sostituire ad Amber per l’ aumento della popolazione e per la carenza d’ acqua . E’ detta la città rosa per il colore delle case della città vecchia, fatti dipingere così alla fine dell’ 800 dall’ allora maharaja per la visita del principe di Galles perché il rosa è simbolo di ospitalità e, ancora oggi, gli abitanti sono obbligati a mantenere tale colorazione alle proprie case.

A circa 11 km dal centro cittadino si trova l’ Amber Fort, una grandiosa residenza dei maharaja, collegato da una galleria sotterranea di circa 15 km al forte di Jaigarth, che si trova sulla cima della montagna ed è unito ad una cerchia di mura difensive di 36 km .Questa è una struttura puramente militare con nessuna attrattiva oltre allo splendido panorama che si può ammirare da lassù, quindi ci siamo dedicati alla visita dell’ Amber Fort, situato alle spalle di un lago artificiale, con al centro un isolotto anticamente coltivato a zafferano, oggi divenuto un bel giardino.

Qui, essendo uno dei siti più rappresentativi di tutto il Rajastan, i turisti sono moltissimi, ci sono decine di pullman da cui scendono persone dalle più svariate nazionalità; ci troviamo quasi subito schiacciati tra una folla in attesa che arrivi l’elefante che ci faccia percorrere la strada in salita che conduce all’interno del forte.

Se già ieri i commercianti del bazar erano insistenti, quelli che stazionano davanti al forte sono insopportabili; ti sbattono le loro carabattole sotto il naso insistendo fino allo spasimo, tanto da non saper dove volgere lo sguardo per dissuaderli perché un educato no grazie non è sufficiente.

Saliti sul dorso dell’ elefante siamo stati inseguiti da un venditore di tappeti/tovaglie che ci ha detto un prezzo ridicolo in rupie, peccato che il 20 in questione lo pretendesse in euro, abbiamo dovuto prenderlo a male parole per far sì che la smettesse di seguirci .

Siamo entrati dalla colossale porta e ci siamo trovati nella grande piazza pubblica, luogo di ritrovo e di spettacoli, quindi con una scala raggiungiamo il tempio di Siladevi, del XVI secolo, tutto in marmo bianco, fatto costruire qui dal fondatore della città come ringraziamento per aver sconfitto l’ esercito nemico. Per entrare abbiamo dovuto togliere oltre alle scarpe anche le calze e camminare sul marmo gelido non è stato per nulla piacevole .

Al piano superiore ci troviamo nel colonnato per le udienze pubbliche, con capitelli a forma di testa di elefante e le basi con decori floreali.

Attraversiamo la porta di Ganesh dipinta con affreschi floreali si arriva nella zona più bella del forte, le sale delle udienze private, una usata durante i mesi invernali, l’ altra durante i mesi estivi; la prima è decorata con frammenti di specchi che ricoprono per intero pareti e soffitti, formando disegni geometrici, intervallati da pietre dure e vetri colorati del Belgio.

La sala estiva è dipinta con colori tenui, è solcata da canali in cui scorre acqua fresca che scende a caduta da una cisterna posizionata sul tetto, che poi la servitù riporterà sul tetto perché il ciclo d’ acqua fosse continuo.

L’ ultima parte è la più antica ,quella del gineceo ,dove erano sistemati gli appartamenti delle 12 mogli e le numerose concubine .

Abbiamo lasciato il forte e siamo rientrati in città e, come è ormai consuetudine, la guida ci ha portato in una fabbrica di tappeti la cui manifattura è tipica di Jaipur. Ci siamo sorbiti la solita filippica, bevuto il solito tè di benvenuto, poi Simona ne ha acquistati due tanto da evitarci il magazzino di tessuti e l’ atelier di falegnameria .

Siamo così andati in visita al City Palace, ancora oggi residenza dell’ attuale maharaja, che ha 18 anni e studia a Londra. Attraversiamo una serie di spaziosi cortili, una bellissima stanza delle udienze private con tappeti rossi e broccati, con appesi i ritratti di tutti i sovrani di Jaipur ; c’ è un museo delle armi, uno degli abiti reali, tra gli altri il vestito di un maharaja che pesava, pare, oltre 250 kg .

Mirabile è il cortile con 4 porte che rappresentano le 4 stagioni, la più bella è quella dell’ autunno decorata con effigi di pavoni, uccelli simbolo dell’ India.

Di fronte al City Palace si trova l’ Osservatorio cioè un insieme di strane strutture per calcolare il tempo, grandi meridiane, reticoli semicurvi per il calcolo dell’ ascendente e per individuare la stella polare, il tutto risalente alla metà del settecento, epoca della fondazione della città.

A questo punto siamo tornati al Palazzo dei Venti e ne abbiamo visitato l’ interno .

L’ edificio conta 7 piani, la facciata esterna è una fitta trama di intarsi che permetteva alle donne di corte di osservare la vita fuori dal palazzo senza essere viste e aveva un camminamento lungo 800 m. che lo collegava al City Palace .

Le stanze all’ interno sono spoglie fatta eccezione delle vetrate colorate ma dai terrazzi sulla cima si vede brulicare della vita nella città vecchia e l’ assordante traffico.

Quattro passi ancora per il bazar e poi siamo andati a prendere un lassì in un bar dove li servivano in bicchieri chiusi e sigillati ma non erano nulla di buono rispetto a quello mangiato in strada ieri.

Ci siamo quindi concessi un massaggio rilassante in un centro ayurvedico consigliato dalla nostra guida molto più piacevole di quello fatto ad Udaipur .

Siamo rientrati in hotel per fare le valigie, la doccia la faremo domattina per non lavare via gli oli benefici spalmati sulla nostra pelle, quindi siamo andati a cenare al “Picock” . Abbiamo fermato un tuk tuk che ha girato in largo e in lungo, ha fatto un paio di inversioni ad u tagliando il traffico caotico prima di portarci, dopo mezz’ ora di vagabondaggi, nel luogo richiesto.

Il ristorante si trova sulla terrazza dell’ hotel “Pearl Palace” ed è un locale delizioso con tavolini all’ aperto e sedie a forma di elefante, mentre alcuni tavoli sono ubicati in una sorta di capanna con il tetto in paglia.

Abbiamo mangiato benissimo a prezzi assolutamente equi ma, ahimè, oggi è il sessantasettesimo anniversario della nascita della repubblica e in India nei giorni di festa nazionale non si servono alcolici, quindi, anche oggi ,niente birra !

Per tornare in hotel abbiamo preso un tuk tuk con l’ autista più bizzarro mai incontrato: ha guidato come un pazzo per le strade di Jaipur cantando a squarciagola “Bella Ciao” e altre canzoni popolari italiane !

27/01/2016: JAIPUR – AGRA

Dolce colazione e a malincuore abbiamo lasciato la nostra reggia . Ad attenderci stamattina c’ era nuovamente Manoj che ci ha raccontato di avere avuto problemi di stomaco e noi che pensavamo di essere a rischio per il lassì bevuto per strada! I turisti si sono rivelati più tosti degli indiani !

Proseguendo verso Agra, Manoj ci ha proposto un fuori programma ma, visto i pasticci che combina sempre nell’ organizzare qualcosa, siamo stati un po’ titubanti prima di accettare, anche perché il sito non è neppure nominato sulla Lonely Planet, ma poi abbiamo deciso di dargli fiducia e di condurci ad Habaneri a vedere il suo baorì.

Per fortuna ci siamo fermati perché valeva assolutamente una visita: il pozzo risalente al VI secolo è profondo 19 metri ed è tutta una geometria di scale che si intersecano formando una sorta di zig zag molto coreografico.

Sotto il portico che circonda il pozzo si trovano una serie di reperti che raffigurano le varie divinità indù e a cui sono stati scalpellati i visi durante la dominazione araba. Uscendo, sulla sinistra si trova il tempio risalente allo stesso periodo del baorì a cui appartenevano i reperti visti all’ interno, i cui muri sono decorati con splendide incisioni.

Abbiamo ripreso l’ autostrada, se così si può dire, e abbiamo lasciato il Rajasthan e siamo entrati nell’ Utar Pradesh .

Prima di entrare all’ interno del sito di Fatepur Sickri ci siamo fermati per il pranzo, in un bel ristorante con tanto di giardino, abbiamo preso un sandwich ripieno quasi solo di cipolla e un piatto di patatine unte e disunte, le solite 2 bottiglie di birra ed abbiamo pagato 2200 Rupie, molto di più che per la squisita cena di ieri sera …. Anche in questo l’ India è tutta una contraddizione, non sai mai cosa aspettarti !

Arrivati davanti alle mura del sito ad attenderci c’ era una guida parlante inglese (un’ altra volta!) così abbiamo dovuto attendere più di mezz’ ora quella di lingua italiana.

La nostra guida odierna è un ventenne che si è prodigato in spiegazioni dettagliate in un ottimo italiano ; il sito, patrimonio dell’ Unesco, è considerata una città fantasma, perché fatta costruire dal sultano Akbar nel 1571 e abbandonata per carenza d’ acqua quattordici anni dopo.

Il sultano, oltre alle consuete innumerevoli concubine, aveva 3 mogli : una turca di credo mussulmano, una induista di Jaipur, una portoghese di credo cristiano.

Il sultano non aveva eredi maschi, quindi si recò da un santone affinchè pregasse per lui e finalmente la moglie induista dette alla luce il tanto atteso erede, così Akbar volle sposate la capitale ,da Agra, al luogo in cui risiedeva il santone.

Per raggiungere il centro della città, visto che è interdetto al traffico, abbiamo dovuto prendere un autobus scalcinato che funge da navetta.

La città interamente costruita in arenaria rossa è molto ben conservata, attraversiamo grandi cortili fino a giungere alla sala delle udienze private con al centro una grande colonna su cui sedeva il sultano durante le udienze; nelle vicinanze un grande palazzo a 5 piani dove vivevano le donne di corte che poggia su di un colonnato, senza pareti esterne.

Sulla grande piazza centrale c’ è il disegno di una sorta di scacchiera dove il sultano giocava utilizzando ballerine come pedine ; di fronte agli appartamenti reali c’ è un lago con una piattaforma al centro su cui prendevano posto i musicisti durante gli spettacoli.

I capolavori di questa città sono però le case appartenute alle 3 mogli ; la più piccola, ma probabilmente la più preziosa era quella appartenuta alla mussulmana che pareva fosse decorata con specchi incastonati e diamanti.

Il palazzo della cristiana è a forma di croce latina ,i muri erano dipinti d’ oro e rimangono ancora parti di affreschi .

Quella dell’ induista è enorme ,divisa in 2 parti una rivolta a nord per difendersi dalla calura estiva, una rivolta a sud più calda per i mesi invernali; al centro il tempio di Khrisna a cui la sultana era particolarmente devota. Fuori dalle mura del palazzo c’ era una cucina fatta costruire apposta per lei perché, in quanto induista, era vegetariana.

Oltrepassata la parte abitativa della città si arriva nella zona sacra racchiusa da alte mura in cui si aprono 2 porte, una delle quali, la Porta della Vittoria, alta 54 metri, è la più alta di tutta l’ India.

Nella piazza ci sono 2 moschee dagli affreschi sbiaditi e al centro la tomba di marmo bianco del Santone che predisse la nascita del figlio di Akbar.

Per tutto il tempo della visita siamo stati seguiti da un gruppetto di bambini petulanti che in italiano ripetevano senza sosta “compra, solo 100 rupie …”, bambini così piccoli costretti a lavorare, dagli occhi luminosi e dalle vesti sporche, che però, malgrado la loro minima educazione scolastica parlano un po’ di’ italiano e chissà quante altre lingue . Non si può comprare da tutti né tanto meno dar loro dei soldi perché verrebbero loro presi, abbiamo dato loro delle penne, delle caramelle, qualche maglietta, avremmo voluto poter fare di più ma non si sa mai quale sia la via giusta da percorrere.

Ci siamo avviati verso Agra, che dista poco più di 40 km da qui; Agra è una città che conta oltre un milione di abitanti, quindi attraversarne il centro al tramonto è una follia, restiamo intrappolati a lungo, con auto puntate per tutti i versi per poi raggiungere finalmente il nostro hotel il “Clark Shiraz”, enorme, a detta di Manoj uno dei migliori di tutta la città, affollato da pullman interi di turisti che scaricano nella hall centinaia di valigie e una coda interminabile all’ accoglienza per ricevere le chiavi della stanza. All’ interno ci sono 2 ristoranti, una sala da tè, bar, piscina e palestra, ma, in confronto alle haveli occupate fin’ ora, molto anonimo .

La stanza è elegante ma molto fredda, così abbiamo chiamato in portineria che venissero a sistemarci il condizionatore ma dopo 2 telefonate non si era ancora visto nessuno ,finchè non ho trovato un inserviente nei corridoi che ha detto che il condizionatore serve solo per erogare aria fredda, così mi ha portato una stufetta.

Stasera verrà a cena, stavolta su invito, Manoj, Lonely Planet alla mano, abbiamo scelto 2 ristoranti, ma arrivati abbiamo scoperto che non servono birra, quindi siamo andati in quello definito caro, il “Pinch of Spice” . Il locale è moderno, elegante, ci ha servito porzioni esagerate di noodles, tanto che con 2 porzioni abbiamo cenato in 4; se Manoj non avesse ordinato 4 piatti avremmo forse speso meno che per il nostro pane e cipolle di pranzo.

28/01/2016: AGRA

Il buffet della colazione è abbondante e soprattutto comprende brioches e muffin; la nostra guida di oggi parla un buon italiano perché è vissuto 2 anni in Italia e per prima cosa ci ha portato a visitare il tanto agognato Taj Mahal.

A noi la folla che cammina lungo il viale d’ accesso e si mette in coda per i controlli sembra immensa, la nostra guida la definisce inesistente .

Questo viale attraversa un giardino per quasi un chilometro, ed è percorribile solo da piccole auto elettriche e calessi trainati da cammelli, uno sciame di venditori ci segue insistentemente fino alla porta ovest, una delle 4 porte d’ accesso che si aprono sulle mura di cinta.

Il capolavoro dell’ architettura mogul è dominato dalla simbologia del numero 4, il numero sacro dei mussulmani.

Entrando dalla porta nord ci troviamo davanti a 4 porzioni di giardino divisi a loro volta in 4 parti, solcati da 4 canali che simboleggiano i 4 fiumi del paradiso mussulmano : il fiume di acqua, di nettare, di miele e di latte.

Sullo sfondo, appoggiato su di una piattaforma di arenaria rossa si erge in tutto il suo splendore e il suo candore il Taj Mahal, alle sue spalle scorre in un largo letto il fiume Yumana, per cui non si potrà mai costruire nulla dietro che possa sminuirne la maestosità.

E’ di forma ottagonale e le 4 facciate da cui è formato sono assolutamente identiche, anche nelle più piccole decorazioni; è sormontato da una cupola doppia, semisferica e le porte d’ ingresso sono contornate con scritte delle sure del Corano

Le fondamenta sono di legno di tek ed affondano nelle acque dello Yumana, per renderlo antisismico. Ai lati ci sono 4 minareti, due dei quali oggi coperti da impalcature per un’ opera di ripulitura del marmo .

Nel versante est ed ovest, l’ una perfettamente di fronte all’ altra ci sono due moschee identiche in arenaria rossa, usate ancora oggi per la preghiera del venerdì, giorno in cui il monumento è chiuso alle visite turistiche.

L’intero edificio è costruito in marmo di Macrana, una cava indiana, che dà marmo bianco come quello di Carrara ma molto più duro e meno poroso .I bassorilievi sui muri esterni con motivi floreali sembrano di cera e i lavori ad intarsio fatti con pietre semipreziose formano fiori e ramificazioni. Il pinnacolo sulla cupola era in oro massiccio ma sostituito con uno identico in bronzo durante la dominazione inglese. Qui, seduti su di una panchina, guardando la perfezione e l’ eleganza del monumento, la nostra guida ci ha raccontato la sua romantica storia.

Il sovrano mogul viveva nel Forte di Agra e il sabato, per le donne che vivevano a palazzo, all’ interno delle mura, si teneva il mercato. La figlia di un ministro si recava lì con la sua bancarella tutti i sabati a vendere i suoi gioielli, la ragazza era bellissima,e il giovane Shah Jahan, futuro erede al trono, la vide e se ne innamorò, così, senza palesarsi, comprò il pezzo più prezioso del suo campionario e glielo donò.

Fece la stessa cosa il sabato dopo e poi il successivo e l’ altro ancora finchè la giovane Muntaz Mahal, infastidita da questo corteggiamento ne parla con il padre che monta su tutte le furie e fa cercare dai suoi servi l’ identità del ragazzo .

Al loro ritorno dissero che il ragazzo era il figlio del re, così il padre non potè far nulla per impedire il corteggiamento, anzi, con l’ andare avanti nel tempo, la gentilezza e la grazia del giovane colpirono il cuore di Muntaz che piano piano s’ innamorò di lui .

Quando fu l’ ora di salire al trono Shah Jahan non potè sposare Muntaz perché non era di sangue nobile, dovette sposare prima la principessa di Persia, poi quella di Jaipur ma egli non era felice.

Dopo una gloriosa campagna militare in Afganistan, il padre, orgoglioso delle vittorie del figlio, gli chiese quale desiderio avesse che egli esaudisse, Shah Jahan disse che malgrado fossero passati molti anni non aveva mai dimenticato Muntaz e voleva il permesso per sposarla.

Il padre non potè rifiutarsi e così i due innamorati coronarono il loro sogno d’ amore.

Vissero insieme per 16 anni, ebbero 14 figli, dei quali però solo 7 sopravvissero, Muntaz era la consigliera, l’ amica più cara, la confidente del marito; non si separavano mai, lei lo seguiva anche durante le campagne militari o nelle spedizioni diplomatiche.

C’ erano disordini ai confini del regno e Muntaz era in attesa del 14° figlio, Shah Jahan doveva partire subito ma non riuscì a dissuadere la moglie di restare a casa ; partirono insieme ma durante il viaggio Muntaz morì per un’ emorragia prima di dare alla luce il bimbo che portava in grembo.

Il marito distrutto si chiuse nelle sue stanze per 40 giorni e ,quando tornò alla vita di corte, era invecchiato di colpo e tutti i suoi capelli divennero bianchi .

Alcuni anni dopo, per onorare la promessa che le aveva fatto di tenerla sempre accanto a sé cominciò a costruire il mausoleo più bello che fosse mai esistito; consultò decine di ingegneri ed architetti, chiamò artisti da tutte le parti del mondo; lavorarono oltre a 20.000 persone per10 anni fino ad ottenere il capolavoro che ancora oggi tutti ammiriamo.

Ora però, comincia la parte più triste della storia: il secondo, dei 4 figli maschi della coppia,fece uccidere i suoi fratelli per essere l’ unico erede al trono, quindi detronizzò il padre e lo fece arrestare nel forte di Agra.

L’ unico favore che gli concesse fu l’ essere alloggiato nell’ ala del palazzo posta di fronte al Taj Mahal, in modo di essere sempre vicino a lei almeno con lo sguardo.

Il figlio odiava profondamente il padre, che riteneva un cattivo mussulmano, tanto che alla sua morte avrebbe voluto lasciarlo insepolto, per fortuna Shah Jahan morì quando il figlio era in guerra così la sorella in fretta e furia lo fece seppellire accanto alla madre in modo che potessero riposare l’ uno a fianco all’ altro in eterno “

Abbiamo indossato i calzari e siamo entrati all’ interno del Taj Mahal, che è una grande stanza in penombra con al centro una grata finemente intarsiata nel cui interno sono custoditi i due sarcofagi, uno esattamente al centro della stanza, quello di Muntaz, l’ altro alla sua sinistra leggermente sollevato, quello di Shah Jahan, unico elemento che non rispetta le perfette simmetrie del palazzo..

Tutto attorno c ‘è una specie di corridoio dove i credenti si soffermano a pregare sulla tomba dei due sovrani, infatti ella, essendo morta con un figlio in grembo è considerata un angelo.

Abbiamo scattato migliaia di foto da ogni angolazione possibile e poi verso l’ una siamo andati a pranzo in uno dei soliti ristoranti da turisti a prezzi proibitivi ma oggi li abbiamo fregati mangiando solo 2 roti a testa.

Oggi il laboratorio che ci tocca è quello di intarsio, ci hanno mostrato come si incide il marmo, come si modellano le pietre semipreziose e come si incastonano, lavori molto belli ma molto cari, anche solo per una ciotolina.

Siamo quindi andati a visitare il forte di Agra, fatto costruire da Akbar il Grande, primo sovrano mogul ,nel Diciottesimo secolo, in arenaria rossa come la città di Fatepur Sickri; è protetto da una doppia cerchia di mura, all’ interno ci sono grandi cortili, gli appartamenti privati del re con tanto di biblioteca, dove rimangono parte degli affreschi anche se piuttosto rovinati.

C’ è un giardino con una grande fontana e tutto attorno gli appartamenti delle 500 concubine di Akbar .

Si giunge nella torre laterale decorata con intarsi simili a quelli del Taj Mahal e questo fu l’ appartamento in cui fu imprigionato Shah Jahan e dove morì, dalle cui finestre si scorge la sagoma bianca del Taj Mahal .

Al piano superiore una grandiosa sala delle udienze private e poi il giardino dove si teneva il bazar delle donne.

Si passa nel portico con grandi colonne dove avevano luogo le udienze pubbliche e dove pare ci fosse un trono in oro massiccio in cui era incastonato il più grande diamante del mondo, il Kohi- noor, oggi custodito in un museo inglese ; al centro del grande piazzale la tomba del ministro inglese John Colvin.

Da qui si scorgono le cupole bianche della moschea della Perla, chiusa da tempo immemore forse per cavilli burocratici.

Il nostro tour di Agra finisce qui ma riusciamo a farci portare in un posto panoramico da cui assistere al tramonto sul Taj Mahal ; per raggiungerlo attraversiamo alcune baraccopoli con case fatte di cartone e teli ed i tetti in lamiera, persone che si scaldano davanti ad un fuoco all’ aperto, bambini sporchi che si buttano davanti all’ auto bussando ai vetri per pochi spiccioli…. Immagini che ti entrano nel cuore….

Arrivati nel parco della Luna, sulla riva opposta del fiume, il candore del marmo del Taj Mahal assume sfumature rosate, veramente magiche; lontani dalle folle che a quest’ ora prendono d’ assalto il monumento ci godiamo questo momento unico.

Stasera ci congederemo da Manoj ,noi, domani proseguiremo in treno, mentre egli rientrerà a Delhi, portando con sé buona parte dei nostri bagagli perché l’ agenzia ci ha prenotato un volo in cui è consentito solo un bagaglio a mano di peso inferiore ai 7 kg .

Lo abbiamo salutato con calore e ringraziato per averci condotto con sapienza nel traffico indiano, gli abbiamo dato la mancia, che per altro si aspettava, anche se è veramente difficile capire quale sia la cifra equa infatti loro percepiscono un salario da fame ma, di contro, pensano che noi, in quanto turisti siamo una sorta di nababbi, così si aspettano cifre elevate anche per noi.

Abbiamo così messo una cifra in una busta a parer nostro adeguata e, speriamo sia rimasto scontento.

Doccia e siamo tornati a cena al “ Price of Spice”, che stasera è semideserto, abbiamo riordinato noodles e dolce, menù già collaudato ieri sera e non abbiamo voluto rischiare di incappare in una delle solite speziatissime sbobbe .

Stasera nel parco del nostro hotel si celebra un matrimonio ed è tutto un via vai di auto e persone che si appropinquano alla location dove si terrà in banchetto. Ci siamo soffermati a guardare l’ abbigliamento degli ospiti, si spazia da elegantissimi sari impreziositi da pietre e ricami e complicate acconciature, a sari eleganti ma coperti da piumini o voluminose giacche di lana, uomini con eleganti vestiti ma con scarpe da tennis ai piedi o berretti di lana in testa.

Un corteo danzante, con sottofondo di musica assordante, portantini che sorreggono una sorta di lampadari illuminati precede l’arrivo dello sposo a cavallo, elegantissimo nel suo abito dorato e con il turbante sul capo.

Ogni centinaia di metri il corteo si ferma per sparare fuochi d’ artificio fino a giungere in hotel ed oltrepassare la porta a cavallo.

Le feste di matrimonio sono un’ altra delle incongruenze dell’ India, a qualsiasi casta appartengano gli sposi in occasione delle loro nozze organizzano feste a cui partecipano dalle 1000 alle 2000 persone, spesso indebitandosi per tutto il resto della loro vita; e, malgrado oggi l’ India sia una delle potenze più avanzate tecnologicamente quasi per la totalità i matrimoni sono ancora oggi combinati dai genitori, consultando l’ oroscopo redatto dal bramino alla nascita dei due ragazzi, oroscopo che deve almeno avere 24 punti in comune dei 36 da cui è composto. Il bramino, inoltre stabilisce il giorno e l’ora più propizi per la cerimonia.

Nel frattempo i due sposi non si incontrano, possono, se una sorella fa da intermediario, sentirsi per telefono o raramente incontrarsi ma mai da soli.

Appena sposati devono vivere con la famiglia dello sposo per almeno un paio d’ anni, ubbidendo a rigide regole della gerarchia famigliare e spesso la nuora diventa la serva personale della suocera.

Ci sarebbe piaciuto anche vedere l’ arrivo della sposa ma alle 22.30 la sposa non si era ancora presentata, quindi, stanchi morti, ci siamo ritirati.

30/01/2016: AGRA – OCCHRA

Alle 9 il rappresentante Get’s Holiday è venuto a prenderci per accompagnarci in stazione, il tragitto in auto sarebbe stato lungo oltre otto ore, quindi, per ottimizzare i tempi abbiamo raggiunto Jansi in treno. La stazione è affollata, sporca, i topi girano indisturbati sui binari in cerca di cibo ma il treno è arrivato puntuale, un treno con i sedili verdi, coperti di macchie, rifiuti di cibo sul pavimento ed una macchia di vomito non pulita da chissà quanto .

Fa, inoltre, un freddo polare, per l’ aria condizionata alzata a livelli indicibili, ci siamo accomodati vicino ai finestrini per essere scaldati un po’ dai raggi del sole.

Seduti in punta di sedile, facendo attenzione di toccare il meno possibile, il treno è partito alla velocità di un’ apecar, si ferma in mezzo al nulla per decine di minuti, qualcuno scende, altri, attraversando incuranti i binari salgono, senza che si veda neppure l’ ombra di una costruzione che faccia pensare ad una stazione .

Le poche stazioni che attraversiamo sono affollatissime di persone sedute a terra in attesa, che ingannano il tempo mangiando o sdraiate a schiacciare un pisolino .

Il nostro viaggio si snoda per la campagna nemmeno così coltivata, ogni tanto un gregge di pecore, piccoli centri abitati con baracche e qualche casa in costruzione ma già occupata dai suoi abitanti e gli immancabili cumuli di spazzatura ovunque.

Alle 14.10 abbiamo raggiunto Jansi, incontrato la nostra guida ed abbiamo proseguito in auto per Occhra.

Il nostro hotel il “Amar Mahal” è una vecchia haveli, con ampi giardini, in cui si sta allestendo la location per un matrimonio . La stanza è enorme, così il bagno anche se piuttosto spoglia e minimale. Alle 3,30 abbiamo iniziato la visita di Occhra, che fu capitale del regno del raja di Bundela (o dinastia del Sole) fondata nel 18° secolo e che perdurò per 250 anni ; la città è circondata da foreste di tek e qui sorse la residenza reale di caccia; oggi è un piccolo paese di 800 abitanti ma rimangono di questo glorioso periodo sontuosi palazzi, templi, cenotafi anche se alquanto bisognosi di restauro.

Il Jahangir Mahal è un palazzo bellissimo con cupole ed archi, portali splendidi fatto costruire dall’ imperatore per ospitare il principe Salim in occasione di una sua visita ufficiale e che venne occupato per una sola notte. Le pareti erano completamente affrescate, i tetti e le facciate ricoperte di maioliche verdi e blu, i colori delle religioni mussulmana ed indù, di cui ora rimangono pochi frammenti.

Il Raj Mahal è il palazzo reale vero e proprio, più malandato del precedente, oggi un vero e proprio cantiere ma conserva al buio di alcune stanze affreschi bellissimi che ritraggono dei o scene di vita di corte .

Abbiamo attraversato il ponte, percorso la via centrale popolata di bancarelle fino alla piazza principale su cui si affacciano i 2 maggiori templi della città :Il Chaturbhj temple formato da torri a pennacchio, il cui maestoso interno a croce latina è pressoché vuoto, il Ram Raja TEmple è bianco ed ha un ampio cortile interno dove alle 19 si raccolgono i fedeli per la preghiera della sera.

A quest’ ora si apre il Sancta Santorum dove è custodita la statua di Rama presidiata da soldati armati.

Lasciando le scarpe fuori siamo entrati per assistere alla preghiera ; il sacerdote ha cominciato il rito facendo volteggiare candele accese davanti all’ immagine di Rama, quindi ha asperso i fedeli con l’ acqua del Gange, che poi si uniscono in file per andare a consegnare le offerte e ricevere la benedizione.

Al tramonto ci siamo recati sulle rive del fiume Betwa dove si ergono i maestosi cenotafi imperiali .

Ci siamo fatti trasportare dalla tranquillità di questa cittadina di provincia, abbiamo camminato per le stradine animate da tanti bambini che come una cantilena ripetono, probabilmente senza comprenderne il significato “Ciao! Da dove vieni? Come ti chiami? Io sono….., piacere di conoscerti !” e ti porgono la manina .

Abbiamo cenato al Betwa Teracy, situato su una terrazza illuminata da candele posta di fronte al palazzo reale; abbiamo gustato uno dei migliori thaly spendendo 1300 rupie in 5, infatti abbiamo invitato a cenare con noi anche Khrisna ,la nostra guida perché è di Khajuraho, stamane si è alzato alle 3 per raggiungere la stazione di Jansi in tempo per accoglierci ed ora deve aspettare a mezzanotte l’ autobus che domattina alle 8 lo riporterà a casa.

Gli abbiamo offerto un passaggio con noi in auto, visto che anche noi domani saremo a Khajuraho ma l’ agenzia non gli permette di accettarlo .

Quando gli abbiamo chiesto se sarà la nostra guida anche domani ci ha spiegato che lui è un falegname, quindi appartenente all’ ultima casta, fa solo occasionalmente la guida perché i turisti italiani sono veramente pochi, domani ,a Khajuraho, avremo un’ altra guida perché appartenente ad una casta superiore .

A questo punto gli abbiamo offerto la cena e dato una mancia superiore alle guide avute fin’ ora perché ci è parso veramente il più bisognoso.

30/01 /2016: OCCHRA – KHAJURAHO

Ieri sera i festeggiamenti per il matrimonio si sono protratti fino a tarda notte, noi non ci siamo neppure affacciati a sbirciare e, malgrado il battere dei tamburi ,alle 10.30 eravamo già sprofondati sotto le coltri in un sonno profondo.

Con qualche minuto di ritardo, Babalou è venuto a prenderci ,la strada per Khajuraho si inoltra nella campagna, attraversando piccoli paesini dove spesso, sulla porta di casa si vedevano persone seminude con secchio e spugna intente nella pulizia personale .o si apprestavano a preparare la colazione.

Alle 12 abbiamo preso possesso delle nostre stanze al “Clarks Khajuraho” hotel, sito nelle vicinanze dell’ aeroporto, con una grande hall, una bella piscina e grandi giardini.

E’ arrivato il responsabile di Get’s Holiday che ci ha proposto il solito spettacolo di danze popolari, che abbiamo subito rifiutato ,e un safari nel “Panna Nationl Park” che dista da qui una cinquantina di chilometri. Abbiamo ragionato un attimo ma, visto il numero esiguo di tigri e, soprattutto la nostra fortuna nell’avvistamento degli animali, abbiamo optato per una passeggiata per la vecchia città di Khajuraho domattina.

A questo punto siamo partiti per la visita al sito dei templi occidentali, oggi patrimonio dell’Unesco.

Furono costruiti sotto la dinastia Chandrela (o dinastia della Luna) dal 950 al 1100 ed erano 85, oggi ne rimangono solo 25, divisi in induisti e giainisti.

La sezione occidentale custodisce i templi più preziosi e ben conservati, decorati con un numero illimitato di altorilievi di donne, apsara, guerrieri, dei, dalle forme sinuose, con corpi fasciati da sottili veli che lasciano ben poco all’ immaginazione .

Queste figure sono ritratte nelle faccende quotidiane, con animali domestici ed elefanti, nelle posizioni del Kamasutra, perché l’ erotismo è considerato un gradino per raggiungere il Nirvana..

Tutti questi templi hanno cupole a punta alte anche 30 metri, sono dedicati a Vishnù, Shiva, Ganesh, Parvati e sono separati l’ uno dagli altri da un verdissimo prato all’ inglese.

Siamo passati da un tempio all’ altro giocando a chi scopriva tra questo intreccio di figure, un’immagine erotica e scattando una miriade di foto.

Una breve pausa per dissetarci con un lassì e poi ci siamo avviati verso il complesso dei templi orientali, i templi giainisti..

In realtà sono due templi molto simili ai precedenti, donati ai giainisti, che prima di consacrarli al loro credo hanno rimosso le immagini erotiche e sostituite con finestre traforate .

Anche oggi non abbiamo potuto esimerci dalla visita pilotata dell’ unico bazar con articoli di qualità, argenti purissimi ed autentiche antichità ma dai prezzi esorbitanti, neppure tanto trattabili, ma ormai abbiamo imparato a guardare e non lasciarci convincere negli acquisti .

Abbiamo fatto ancora quattro passi nel centro dove siamo stati assaliti da commercianti e quasi spinti a forza nei loro negozi, hanno tutti le stesse carabattole ma con prezzi molto trattabili, così, qui, abbiamo acquistato qualche cosa .

Con un tuk tuk siamo tornati in hotel che dista da qui un paio di chilometri, una doccia, quindi con un altro tuk tuk siamo tornati in centro, abbiamo cenato sulla terrazza del “Raya Restaurant” un montone veramente speciale e una pizza dignitosa.

31/01/2016: KHAJURAHO – VARANASI

Stamattina relax, anche se eravamo già svegli dalle 7,30,infatti l’ appuntamento con la nostra guida era alle 10. La colazione è mediocre in un salone affollato da una maggioranza di turisti indiani, con conseguente colazione tipo, anche le stanze sono impersonali e di dubbia pulizia.

Ci siamo stesi a bordo piscina, il sole è caldissimo, si sarebbe stati bene anche in costume

Alle 10 siamo partiti per la visita della città vecchia, che non è nulla di diverso da tutte le altre cittadine visitate fin’ ora : le case azzurre appartenenti ai bramini, immancabile Gansh sulla porta di casa per augurare buona fortuna, canali di scolo d’ acqua putrida sui lati delle vie, un pozzo che serviva per l’ approvvigionamento d’ acqua in tempi antichi, oggi sostituito con fontane sparse qua e là per il paese ,dove donne con grandi secchi vanno ad attingere l’ acqua perché la stragrande maggioranza delle case non ha ancora l’acqua corrente.

Oggi è domenica, i bambini che giocano in strada sono moltissimi, ad ogni angolo ne spuntano altri, tutti ti chiedono una biro, una caramella, una rupia; i più piccoli vengono strofinati nudi in piedi in una bacinella dalle madri per il bagno settimanale.

Sui muri delle case si possono vedere pietre prese dai templi crollati in cui sono visibili parti dei fregi.

Un passo al mercato e poi siamo stati depositati in aeroporto quasi 3 ore prima del decollo, che è avvenuto in orario perfetto e alle 15 siamo atterrati a Varanasi.

L’ aeroporto dista quasi 40 km dal centro e ben presto ci siamo trovati imbottigliati in un traffico al limite del reale, auto, bici, tuk-tuk, pullman vanno in qualsiasi direzione, si sorpassano indifferentemente alla destra o alla sinistra, si stringono quasi a sfiorarsi, si tagliano la strada, suonano con insistenza il clacson… e, a detta della nostra guida, oggi il traffico è minimo !

Sharma, l’ anziana guida che parla un ottimo italiano, con il piglio di un professore ci riprende se ci distraiamo un attimo; ci ha spiegato che Varanasi è l’ anima dell ‘ India, il luogo in cui 6000 anni fa è nata la stirpe indo-europea, l’ ombelico del mondo ( fino ad oggi credevamo fosse Cuzco!) : è la culla di tutte le religioni, di cui la più antica è l’ induismo; la città è dedicata a Shiva, il grande rigeneratore e il Gange che l’ attraversa è il fiume sacro per eccellenza.

Il nostro hotel il “Gange View”si trova sull’ Assi Ghat ed è una vecchia dimora coloniale con arredi dell’ epoca, stanze personalizzate, splendidi terrazzini fioriti che si affacciano sul movimento di pellegrini e turisti sul ghat .

Sharma ci ha accompagnato sul Dashashwamedh Ghat in cui tutte le sere alle 18.30 si svolge la cerimonia dell’ Ganga aarti, ovvero la preghiera della sera di adorazione della madre Gange .

Ci ha condotto su di un terrazzino e comodamente seduti in poltrona abbiamo assistito alla cerimonia officiato da 7 sacerdoti in abiti di seta ; prima si comincia con una serie di canti propiziatori, si suona con forza, a mò di tromba una conchiglia per richiamare a sé gli dei, quindi facendo ruotare una specie di turibolo in senso orario e poi antiorario, rivolti in direzione dei 4 punti cardinali. si sparge prima incenso, poi cenere di sandalo, naftalina e poi candelieri a forma di cono.

Terminato il rito siamo rientrati in hotel facendoci largo tra una folla pressante, tra venditori di cartoline e ceri, piccoli oggetti, storpi, finti santoni seminudi.

Doccia e poi ci siamo avviati giù per il ghat in cerca della pizzeria consigliata, un posto bellissimo davanti al Gange che cucina un ottimo talhi ma qui, come quasi in tutti i locali, essendo un luogo sacro, non servono birra. Dopo cena abbiamo passeggiato un po’ per ghat che abbiamo scoperto essere uno la continuazione dell’ altro, alcuni hanno scalinate lunghe e ripide, altri molto meno; sono abbastanza illuminati e ci sono ancora molte persone anche occidentali ,che passeggiano, alcuni cercano un posto per sistemarsi per la notte.

Siamo arrivati in un punto in cui sulla riva del fiume erano accesi alcuni falò, era uno dei 2 crematori di Varanasi, attivo 24 ore su 24 ,qui, in un giorno, si arriva anche a 50 cremazioni perché molti anziani provenienti da ogni parte dell’ India scelgono di ritirarsi in una sorta di convento ed attendere il momento del trapasso per essere cremati qui così che le loro ceneri vengano disperse nelle sacre acque del Gange.

Questo è il crematorio usato per lo più dalle caste inferiori e dai paria, viene usato legno di mango poco pregiato; il corpo del defunto avvolto in un sudario viene prima purificato nelle acque del Gange poi posto su una pira e lasciato ardere per 3 ore e mezza, quindi i famigliari prendono una manciata di cenere e le lanciano in acqua, il resto delle ceneri viene accumulato sulla riva e, quando il livello dell’ acqua si alza vengono portate via..

Mentre eravamo lì attoniti a guardare questi involucri prendere fuoco, da cui a volte compare un piede o la sagoma di una testa, avvolti dall’ odore dolciastro della carne bruciata è arrivato a spalla un altro cadavere ma è rimasto lì a lungo prima che appiccassero il fuoco .

Mentre eravamo lì, un uomo, dichiaratosi il responsabile delle cremazioni ci ha fornito tutte le indicazioni su questo rito e ci ha portato anche nel tempietto dove arde il fuoco eterno che si usa per accendere le pire .

Poi, naturalmente, ci ha chiesto, un obolo per aiutare i più poveri ad acquistare la legna per la pira.

1/02/2016: VARANASI

La sveglia è puntata alle sei meno un quarto ma ci siamo svegliati ben prima per lo scampanare ed i canti dei pellegrini provenienti da tutta l’ India per il bagno purificatore.

Alle 6.15 Sharma era nella hall ad attenderci, abbiamo ripercorso la strada per raggiungere il Dashashwamedh Ghat che, alle prime luci dell’ alba, non è stretta dalla morsa del traffico impazzito di ieri, molti sono i pellegrini con l’ asciugamano sulle spalle che si avvicinano alle rive del Gange a piedi.

Malgrado Sharma affermi che a Varanasi ci siano ostelli per tutti i pellegrini e che a tutti venga dato gratuitamente un tetto, i marciapiedi sono ingombri di corpi addormentati sotto sudice coltri.

Ci siamo accomodati su di una piccola barca ed abbiamo lasciato la riva ; abbiamo abbandonato alla corrente del sacro fiume un lumino acceso tra i fiori simbolo di buona fortuna.

Dal largo abbiamo potuto assistere alle abluzioni dei numerosi fedeli che scendono dalle ripide scalinate dei ghat fino ad immergersi nelle fredde acque del Gange dinnanzi al sole che sta pian piano sorgendo.

Da qui abbiamo potuto ammirare le facciate dei palazzi nobiliari in piena decadenza fatti costruire dai vari maharaja di vari paesi che oggi, in buona parte sono adibiti ad ostelli per pellegrini; ovunque tu ti volti si scorgono guglie di templi induisti, siamo passati accanto al crematorio visto ieri sera e poi, invertita la rotta, siamo arrivati fino all’ altro punto di cremazione, molto più grande, utilizzato per i defunti delle caste più elevate .

Attorno allo spiazzo da cui si alzano pennacchi di fumo e ardono piccoli falò ci sono enormi cataste di legna dove i commercianti armati di bilancia la vendono a peso ai parenti dei defunti.

Siamo tornati sulla terra ferma e ci siamo incamminati per i tortuosi, strettissimi vicoli della città vecchia, cedendo spesso il passo ad una mucca o facendo gimcane per evitare le loro enormi cacche .

La nostra meta è il Tempio d’ Oro, il più importante tempio della città, che ha la cupola rivestita da 80 kg di oro. Per avvicinarsi bisogna lasciare borse, zaini, macchine fotografiche e cellulari, subire le perquisizioni da parte dei militari e ed infilarsi in un vicolo strettissimo dove una fila interminabile di fedeli aspetta per entrare con le loro offerte in mano.

L’ accesso al tempio è però proibito alle persone di fede non induista quindi siamo stati trascinati da questa folla immane solo da scorgere un po’ più da vicino la cupola dorata, una stretta porta ne impedisce la visuale dell’ interno; a detta della nostra guida l’induismo è la più tollerante di tutte le religioni e poi in Varanasi, città sacra, l’ entrata nei templi non è consentita a tutti?

Siamo tornati in hotel per la colazione, una colazione decisamente occidentale, senza neppure le uova, proibite, come ogni altro alimento di origine animale, nella città sacra.

Dopo la tradizione e la sacralità della città abbiamo visitato la modernità data dal grande campus universitario, centro culturale dove sono riunite tutte le facoltà, gli alloggi dei docenti e degli studenti, i poli sportivi ma, dopo aver visitato il Campus di Shangai frequentato da mia figlia lo scorso anno, non mi è parso nulla di sorprendente.

Ho fatto notare alla guida l’ impossibilità di accedere ai templi da parte dei turisti, così, un po’ risentito ci ha condotto davanti ad un tempio dedicato a Parvati ,dipinto di rosso acceso, e nel cui interno c’ è il solito guazzabuglio di colori, fiori sfioriti pestati a terra, residui del cibo portato in offerta, acqua ferma nelle avvallature del pavimento .

Partiamo per Sarnat, piccola cittadina a una ventina di chilometri da Varanasi, uno dei pochi centri buddisti dell’ India, luogo in cui Buddha pronunciò il suo primo sermone.

Anche se dobbiamo percorrere una manciata di chilometri attraversare il pandemonio del traffico dell’ ora di punta fa sì che ci impieghiamo più di un’ ora.

Qui si respira un’ aria completamente diversa, si è avvolti da un’ aura di pace e tranquillità: i templi e il sito sono pulitissimi, letteralmente un altro mondo !

Passiamo accanto ad un grande stupa in mattoni in parte demolito dai mussulmani credendo che all’ interno fossero nascoste chissà quali ricchezze, abbiamo visitato un tempio costruito lo scorso secolo da una comunità tailandese, con al centro una statua di Buddha alta 35 metri .

C’ è un piccolo museo dove sono custoditi i reperti trovati nell’ antico sito omonimo, in verità pochissimi perché la stragrande maggioranza è stata distrutta dalla follia islamica .

Il pezzo di maggior pregio è un capitello di una colonna in granito con 4 teste di leoni che sorridono, celebre perché raffigurato sulla banconota da ….. rupie.

Siamo entrati nel sito vero e proprio dove rimangono solo le fondamenta in mattoni degli edifici che contornano il grande stupa sorto dove Buddha predicò per la prima volta.

Anche oggi non potevamo farci mancare l’ ennesima sosta con tanto di prolissa spiegazione dei manufatti indiani : oggi è la volta della seta con la lavorazione tipica di Varanasi .

Queste sete tessute a telaio formano disegni complicati con una miriade di colori ; i quadri, i cuscini, i copriletti costano letteralmente una follia e poi, chissà se nelle nostre case stanno bene; quindi siamo usciti da lì complimentandoci e ringraziando per l’ accoglienza ricevuta !

Il nostro tour di Varanasi finisce qui, salutiamo la nostra guida e, dopo uno spuntino, trascorriamo il pomeriggio in libertà, passeggiando pigramente per i ghat .

Qui si incontrano veramente i personaggi più strani : finti santoni seminudi dalle barbe e capelli fluenti seduti lì in cerca di turisti che vogliano farsi fotografare con loro a cui spillare dei soldi, ancor più coreografici sono gli occidentali che vogliono emularli, vestiti come i figli dei fiori degli anni 70, cespugli di capelli bianchi, barbe lunghe, vestiti con sari colorati e con l’ aria svanita di chi si è appena fatto una canna ; c’ è chi medita fermo immobile nella posizione del loto, invalidi cenciosi che chiedono la carità, bambini allegri che ti corrono incontro chiedendoti 10 rupie.

Oggi fa veramente caldo e camminare all’ombra è piacevole, siamo stati più volte avvicinati da giovani con fare sospetto che ci offrivano hashish o oppio, tantissimi barcaioli che si offrivano di portarci a vedere il tramonto dal fiume ma è sempre bastato un “No, grazie!” per allontanarli .

Abbiamo camminato fino a raggiungere il secondo crematorio e, fermandoci ad osservare il rituale ci siamo accorti che qui, il defunto viene ricoperto tutto dalla legna tranne la testa, chissà perché ?

Tornando indietro verso l’ Assi Ghat, ci siamo nuovamente imbattuti nella cerimonia dell’ Ganga aarti, e, tra la folla, ci è sembrata un po’ più suggestiva.

Varanasi è considerata da tutti la culla della spiritualità ma io non sono riuscita a sentirla tale, probabilmente farò inorridire molte persone ma molti riti, a parer mio,non hanno nulla di mistico, a cominciare dai bagni purificatori, che dopo il momento di preghiera terminano con una vigorosa insaponata .

Durante le cremazioni i famigliari dei defunti sono riuniti in una crocchia a chiacchierare, nessuno versa una lacrima ,né sembra contrito, mucche mangiano indisturbate le corone di fiori al collo delle salme mentre sono distese sulle pire, i pali di bambù con cui sono costruite le lettighe con cui vengono trasportati i morti si usano per attizzare il fuoco come si fa per le caldarroste ….; i templi dai colori fluorescenti, la sporcizia per terra data dai residui delle offerte, un pantheon di dei dai colori strani e dalle altrettanto strane fattezze …. Sarò blasfema ma in tutto ciò non riesco a trovare nulla di spirituale o mistico, sentimenti invece evocati in me dai templi buddisti .

Siamo rientrati in hotel perché avevamo un appuntamento con il referente Get’s Holiday perché non tornava l’ orario del volo per Delhi di domani sera; abbiamo scoperto che l’ orario scritto sui nostri biglietti è solo indicativo, la compagnia lo può modificare anche il giorno precedente. Collegatoci sul sito abbiamo appurato che è alle 19.30, quindi l’ autista verrà a prenderci alle 16.30.

Stanchi, ora anche stanchi della cucina indiana, abbiamo cenato alla solita pizzeria vicino all’ holtel, pagando veramente un’ inezia per una cena abbondante, consumare la birra, fa veramente la differenza sul conto del ristorante !

2/02/2016: VARANASI – DELHI

Oggi, penultima mattina in India, avremmo potuto dormire un po’ più a lungo, ma l’abbaiare insistente dei cani, il prolungato scampanio seguito dal cantilenare delle preghiere, alle 6.30 eravamo svegli come grilli.

Colazione e poi ci siamo avviati per il centro cittadino con l’ intento di tornare indietro percorrendo i gaat ; stamattina però il traffico è già intenso, zig zaghiamo tra bancarelle di frutta, evitiamo biciclette e risciò, siamo assordati dai clacson e dai motori, quindi dopo un’ ora di questo caos, abbiamo deciso di prendere un tuk tuk e ci siamo fatti portare al Raja Ghat ,il più settentrionale dei ghat, in prossimità del ponte che attraversa il Gange.

Nella piazza dove ci ha lasciato il tuk tuk ci sono decine di autobus parcheggiati, autobus sgangherati con scatoloni legati sul tettuccio, sari sventolanti stesi al vento e persino la paglia a terra per rendere più soffice il pavimento su cui dormire.

Malgrado fossero passate le 10 ancora molti pellegrini si apprestavano a fare il bagno, moltissimi i lavandai, tutti uomini che, con i piedi a bagno, fregavano e battevano i panni da lavare sui massi ; i gahat sono ingombri di file e file di panni distesi su fili o allargati a terra.

Qui probabilmente la scolarizzazione è bassissima perché i bimbi per strada sono moltissimi, alcuni vendono lumini votivi da abbandonare tra le acque della “Grande Madre”, altri giocano facendo volare aquiloni o impugnando la mazza da cricket .

Pochi sono i turisti che si avventurano fino qui, praticamente siamo gli unici occidentali, ed è molto bello immergersi nella vita locale, passeggiando pigramente per il lungo fiume .

Spesso incontriamo templi e tempietti ,quasi tutti contengono il sacro lingam di Shiva ,adornato da fiori o da incensi. ; pare che a Varanasi ci siano oltre 4000 templi ; in uno dei ghat si trova la grande statua di una mucca, in un altro si scorgono le cupole rotonde di una moschea fatta costruire sotto la dominazione mogul al posto di un tempio induista. Molti sono i bei palazzi che si affacciano sul Gange, molti dei quali in stato di abbandono, purtroppo.

Oggi è una giornata estiva, il sole è caldo ed è una gioia crogiolarsi a godere il tepore dei suoi raggi

Arrivati al crematorio principale ci introduciamo all’ interno del dedalo di viuzze della città vecchia e siamo andati in cerca del “blue Lassì” consigliato come il miglior locale della città che serve lassì ; il locale è piccolissimo, con pochi sgabelli serve lassì di diversi gusti, noi lo abbiamo gustato alla mela.

Nel tempo che siamo rimasti lì a bere il nostro lassì sono passati nel vicolo 7 cortei funebri, uno accompagnato da una sorta di banda musicale, tutti costituiti da soli uomini, in quanto le donne vengono considerate troppo emotive, e dove il defunto è steso su una lettiga di bambù avvolto in un sudario arancione e dorato.

Abbiamo ripreso la via verso l’ Assi Ghat, fermandoci qua e là a scattare foto; da qui in poi la presenza di turisti è maggiore, europei già attempati con folte chiome spesso canute, dall’ abbigliamento improbabile e con l’ espressione stranita, sembra che vogliano in qualche modo uniformarsi ai santoni locali .

In prossimità dei due crematori ti si avvicinano spesso ragazzi che ti avvertono che non si può fotografare per rispetto al dolore dei famigliari dei defunti per poi raccontarti tutta la solfa del rituale della cremazione e poi chiederti soldi o ti propongono di accompagnarti in un luogo poco distante da cui si può assistere alle cremazioni e fotografare indisturbati .

In prossimità della pizzeria ci siamo fermati per una merenda- cena perché stasera arriveremo a Delhi dopo le 10 e sicuramente digiuneremo .

Siamo arrivati in hotel con mezz’ ora d’ anticipo rispetto all’ ora fissata, abbiamo atteso sulla terrazza l’ autista che, attraversando il traffico infernale ci ha portato in aeroporto, impiegando un’ ora e mezza a percorrere 40 km, siamo arrivati in aeroporto in orario, due ore prima del decollo del nostro volo e, non vedendolo scritto su nessuno dei tabelloni abbiamo chiesto all’ impiegato della compagnia che ci ha detto che il nostro volo è partito mezz’ ora fa !

La compagnia in questione da anticipato il volo alle ore 16, ha preavvisato i viaggiatori ma il nostro corrispondente “Get’s Holiday” non ha risposto al telefono e neppure all’ email inviatogli quindi, malgrado gli avessimo lasciato il nostro numero di telefono per avvertirci in caso di ulteriori variazioni ci ha condotto in aeroporto secondo gli accordi presi ieri .

Abbiamo telefonato a Vishal imbufaliti e non avendoci subito prospettato una soluzione ed essendo in partenza l’ ultimo volo della serata per Delhi, non abbiamo potuto far altro che acquistare 4 biglietti pagandoli oltre 200 € a testa, per fortuna avevamo con noi la carta di credito .

Dopo mille peripezie ci siamo imbarcati e alle 20.45 siamo atterrati a Delhi e abbiamo assolutamente avvertito il rappresentante che è venuto a prenderci che domattina vogliamo essere condotti negli uffici di Get’ s Holiday per farci rimborsare il prezzo del biglietto pagato altrimenti intenteremo un’ azione legale!

3/02/2016: DELHI

Anche stamattina sveglia alle 6.30 per il via vai nei corridoi dell’ hotel di gente che parlava ad alta voce. La colazione è stata misera : solo toast e marmellata dal gusto indefinito e dall’ improbabile colore rosso sangue. L’ hotel “Rapun” è il peggiore incontrato in tutto il viaggio! Con noi sono scesi due romani che partivano oggi per un tour di 12 giorni del Rajasthan, forse al primo viaggio perché ci sembravano alquanto spaesati ; abbiamo raccontato quanto di bello abbiamo visto e vissuto fin’ ora ma, ancora inviperiti per l’ increscioso incidente di ieri abbiamo caldamente raccomandati di prestare attenzione a “Get’s Holiday” e al loro voler fare i furbi ; speriamo di non averli terrorizzati !

Alle 9.30 è arrivata la guida e, dopo aver fissato l’ appuntamento in sede siamo partiti per tour della capitale.

Ci siamo subito recati nel parco di Raj Ghat, un enorme area verde, con aiuole e siepi fiorite dove si trova una piattaforma di marmo nero ricoperta da corone di fiori su cui arde una fiamma eterna : è il luogo in cui è stato cremato Ghandi, il padre della patria, le cui ceneri sono state sparse ad Allabad, alla confluenza dei 3 fiumi sacri .

A Delhi, le temperature cambiano radicalmente rispetto a Varanasi, il caldo quasi estivo di ieri ha lasciato il posto ad un vento gelido, tanto che è quasi una sofferenza stare fermi ad ascoltare le spiegazioni della nostra guida.

Il secondo monumento per importanza è la “Moschea del Venerdì” uno dei monumenti indiani più rappresentativi dell’ epoca mogul, la più grande di tutta l’ India . E’ stata costruita da Shah Jhan in arenaria rossa e marmo bianco, ha interni spaziosi ma spogli, come tutte le moschee.

Malgrado fossimo imbaccuccate fino al collo, oltre a farci togliere le scarpe, ci hanno fatto indossare una palandrana lurida lunga fino ai piedi .

Qui di fronte si erge il Red Fort, ancora oggi in gran parte occupata da caserme e spazi a disposizione dell’ esercito e, a detta della nostra guida, l’ interno non è nulla di eccezionale quindi lo vediamo solo da qui.

Abbiamo così passeggiato per la città vecchia ; le strade sono strette e sporchissime si cammina su un tappeto tale di spazzatura tanto da non vedere il selciato sottostante e ogni tanto cumuli di spazzatura ostruiscono il passaggio di biciclette e pedoni tanto da creare ingorghi spaventosi .

Ci sono tanti negozi di sari, di monili pacchiani, di stoffe e passamaneria; ci siamo trovati più volte schiacciati tra pedoni, risciò, motorini e carretti con carichi pesanti trainati da uomini: tanto caos e tanta sporcizia non lo avevamo trovato in alcun altro posto in 22 giorni a zonzo per l’ India!

Unico lato positivo qui non ci sono mucche ad intralciare la viabilità già così difficoltosa .

Abbiamo fatto un breve tratto sul risciò fino al mercato delle spezie dove oltre alle varie miscele di masala per cucinare carne e pesce, c’ erano montagne di frutta secca, datteri e gli immancabili tè dai mille sapori ma ne abbiamo già acquistati ovunque e ne abbiamo mezza valigia piena !

Abbiamo ora visitato la zona moderna di Raj Path, la zona coloniale costruita durante la dominazione inglese. Un viale lungo 2 km collega la maestosa India Gates con i palazzi governativi al cui centro si trova l’ imponente cupola del palazzo presidenziale con 340 stanze, racchiuso da un’ elegante cancellata in ferro battuto immerso nel verde di giardini e gorgoglianti fontane .

Il nostro stomaco è saturo di cibi piccanti e speziati, ieri Giò si è sentito male durante il viaggio di rientro a Delhi, stanotte è stata la volta di Simo e Roby ed anche io non sono al massimo, abbiamo chiesto alla guida di portarci in un ristorante per uno spuntino e ci ha accompagnato in un posto lussuosissimo dove per 4 roti e 2 bottiglie di birra abbiamo pagato una follia .

Nel pomeriggio siamo andati a visitare il Guardwara Bangia Sahib un tempio sikh di marmo bianco con grandi cupole dorate.

I sickh si distinguono per indossare i turbanti a punta dei colori più svariati dove nascondono i loro capelli che non tagliano mai ed hanno tutti la barba . Per entrare bisogna togliersi scarpe e calze ( ma qui a differenza dei templi indù c’ è molto pulito !) e coprirsi il capo con una sorta di bandana .

Al centro dell’ immensa sala con i pavimenti ricoperti da tappeti c’ è una specie di altare dove è custodito il libro sacro del Sikkhim, un gruppo di persone cantano incessantemente lodi e i fedeli si siedono a terra ascoltandoli . Alla sera, terminata la preghiera, il libro viene riposto in una sorta di Sancta Santorum.

Di fianco al tempio c’ è un lago sacro le cui acque pare abbiano virtù curative. Abbiamo visitato l’ enorme refettorio dove vengono offerti pasti ai fedeli e a chiunque ne faccia richiesta ed ogni giorno se ne servono migliaia.

I proventi per preparare i pasti vengono dall’ elemosine e dal lavoro volontario di ogni fedele ; la cucina è tutta un brulicare di persone intente a mescolare pentoloni colmi di riso o a tirare la pasta per il ciapati.

Il giro della città è terminato ma, malgrado la ritrosia dell’ autista ci siamo fatti condurre all’ altro capo della città nell’ ufficio della sede di Get’s Holiday per chiarire il disguido di ieri. Abbiamo finalmente conosciuto Vishal, sentito tante volte per telefono,che oggi ha fatto solo da traduttore, la trattativa l’ abbiamo condotta con uno dei dirigenti. Egli ha cominciato dicendo che, quando abbiamo telefonato in sede, loro si sono immediatamente attivati per farci soggiornare un’ altra notte a Varanasi, ci avrebbero portati stamane a Delhi con il volo delle 9 e alle 10.30 avremmo potuto iniziare la visita della città, quindi per colpa della nostra fretta, volevano risarcirci solo metà dell’ importo pagato . Dopo una lunga e faticosa contrattazione e dopo averli minacciati di intraprendere un’azione legale che avrebbe coinvolto anche la loro visibilità ed affidabilità in Italia, avendo inoltre mostrato loro che al nostro arrivo abbiamo dovuto pagare circa 50 € in più a testa per non si sa cosa visto che l’ email che lo spiegava a noi non è mai stata spedita, ci hanno risarcito 800 €, quasi la totalità della cifra pagata per i voli, che ci verrà rimborsata mediante bonifico bancario tra 60 giorni . Qui, mentre litigavano con il “capo” abbiamo potuto salutare ancora una volta Manoj, venuto in sede per prendere le consegne sui nuovi turisti che accompagnerà da domani . Abbastanza soddisfatti, abbiamo impiegato più di un’ ora per raggiungere l’ hotel, recuperare le valigie, e poi, sempre in un traffico bestiale, abbiamo impiegato un’ altra ora per raggiungere l’ aeroporto. Alle 10 siamo entrati in aeroporto e, abbiamo scoperto che il nostro volo sarebbe partito con un’ ora di ritardo, non all’1,40 ma alle 2,25 . Simona sta malissimo, è rimasta seduta per tutto il tempo, noi abbiamo passeggiato un po’ per le eleganti boutique ma anche qui non ti puoi avvicinare ad alcuna merce senza che arrivi una premurosa commessa a proporti un acquisto …. Ora siamo veramente stanchi !

Alle 2.25 siamo decollati puntuali ed il resto del viaggio di ritorno è stato regolare, abbiamo fatto scalo a Parigi e a mezzogiorno siamo atterrati, puntuali a Genova .

CONCLUSIONI

L’India è il paese dai mille colori, dall’odore delle sue numerose spezie e dalla puzza delle sue numerose discariche, dalla sontuosità dei suoi palazzi e la miseria delle sue baraccopoli.

E’ la culla delle emozioni forti, della gente che dorme per strada, dei bambini emaciati che lavorano nei campi, degli storpi che mendicano ai lati della strada, quasi schiacciati dalla folla : un paese che puoi amare od odiare ma è un paese che non potrà mai esserti indifferente .

Noi abbiamo cercato di vivere il più a contatto possibile con queste persone per capire veramente la loro cultura e non essere attratti solo dai capolavori artistici di questo paese dalle tradizioni millenarie anche se ci sarebbe tanto di più da vedere e capire, quindi per noi questo non sarà

Certamente un addio ma un arrivederci “Incredibile India!”

Tornando al contenzioso con “Get’s Holiday’s” dopo circa 70 giorni, quando ormai avevamo perso le speranze, il bonifico è arrivato ma sono state decurtate le spese di spedizione, che avevano promesso sarebbero state a carico loro !



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