In fondo al mar rosso.. In un relitto di guerra

Questa, anche se i fatti sembreranno inventati, è una storia verissima. Chi va a Sharm el Sheihk, ci va di sicuro solo per il suo mare. Non si mangia bene, la gente ti guarda sempre male e solo come una miniera di soldi da svuotare, si hanno un sacco di limitazioni e gli alberghi, anche se sono di importantissime catene (Sheraton, Marriot...
Scritto da: Massimo Santi
in fondo al mar rosso.. in un relitto di guerra
Partenza il: 31/08/2003
Ritorno il: 07/09/2003
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
Questa, anche se i fatti sembreranno inventati, è una storia verissima.

Chi va a Sharm el Sheihk, ci va di sicuro solo per il suo mare. Non si mangia bene, la gente ti guarda sempre male e solo come una miniera di soldi da svuotare, si hanno un sacco di limitazioni e gli alberghi, anche se sono di importantissime catene (Sheraton, Marriot ecc..), hanno un servizio “più leggero” rispoetto allo stesso servizio fornito inun altra città.

Quindi mare e sole… E se è mare allora si va per le immersioni.

Questa non è la solita immersione, ma L’immersione per eccellenza.

Chi si immerge a Sharm lo fa sui reef davanti Naama Bay, Nabq Bay o Ras Mohammed, si vede i suoi bei pescetti, i sanitari della “ideal standard” e torna a casa contento. Chi invece vuole provare quel brivido che ha creato Sharm lo fa al Thiglestorm.

Piccola storia: Il thiglestorm è una nave da trasporto britannica costruita nel 1940 e subito messa in mare per trasportare “materiali da guerra” alle truppe d’istanza in egitto. Al tempo per raggiungere l’egitto si doveva circumnavigare l’africa, perchè infilarsi nel mediterraneo equivaleva ad essere un topolino che si infila a dormire nella cuccia del gatto. Il thiglestorm circumnaviga tutta l’africa con il suo carico di guerra (proiettili, munizioni, carri armati, divise e stivali, camioncini e perfino un treno completo di locomotiva. Appena entrata nel canale di suez si mette all’ancora in attesa che gli alleati gli diano le direttive per risalire le coste egiziane in quel periodo teatro di scontri. Appena ricevuto l’ok riparte. Solo che uno stormo di aerei tedeschi lo intercetta e lo silura. Un siluro nel punto letale: sulla prua, nel deposito munizioni. La barca cola a picco dritta perfetta, solo la prua scende storta e si adagia su un fianco.

Rimane li per oltre 30 anni finchè il comandante Jacques Cousteau non lo scopre ed allo stesso tempo scopre quel paradiso chiamato Sharm el sheihk. Dapprima meta di esploratori subacquei, poi meta di vacanza e di summit sul medio oriente. Si può dire che fu proprio il comandante Cousteau che inventò Sharm.

Il thiglestorm è ancora li, ad una profondità che varia dai 33 della poppa ai 25 della prua. La vedo nelle indicazioni delle immersioni consigliata. Livello di difficolta 3 (1 facile, 3 difficile). Mi sono stufato del solito squaletto nei reef di Tiran o, seppur sempre bellissime e piene di sorprese, delle solite immersioni a ras mohammed o sempre le stesse gorgogne delle local. La mia ragazza è pure via tutto il giorno per andare al cairo a vedere la sfinge (che piccola che è…) e le piramidi.. Ma sì… La faccio.

Parlo con Moreno, il responsabile del Diving che mi dice:”ah, domani fail il thigle??.. Preparati mentalmente perchè ci sarà qualcosa che girerà storto.. Mi raccomando!” gli chiedo spiegazioni e mi dice che purtroppo, che io sia un esperto o un novellino, sul thigle c’è sempre un alone di sfiga: dalle guide che non riescono a sistemare a dovere le cime che ancorano le barche al relitto (con relativo addio alla propria barca e tu che rimani in mezzo al mar rosso), qualcuno che va in decompressione senza saperlo, bombole mezze piene nonostante i controlli. Qualcuno c’ha pure lasciato le penne e non è stato mai ritrovato ma basta che stai vicino alla guida e te la cavi…”, insomma, non ero proprio tranquillo.. Vebbè, partenza ore 4.00 (sigh!.. Per fortuna che in vacanza ci si riposa) dall’albergo. Si monta in barca e si va. A quell’ora sembra di navigare sul nulla.. Tutto buio, solo all’orizzonte si vede il chiarore del solo, ma è solo un ombra.

Colazione di rito, bella carica: uova, salame, pancetta, pane.. Insomma, il cuoco ci ha preso per tedeschi mentre noi ci buttavamo sul nescafè.. Dopo la colazione, in attesa che passino le 4 ore di navigazione ci si butta un a fare un pisolino, non prima di vedere l’alba che è una delle più veloci che abbia mai visto in vita mia.

A metà mattinata si arriva nel punto stabilito, si riconosce anche dalla presenza di altre barche. La nostra guida, Alessandro, si prepara e si immerge per effettuare la “shamandura”, cioè per fissare le cime della barca sul relitto in modo che possiamo scendere sullo stesso con facilità. Dopo qualche minuto, passato noi a preparare mute, bombole, computer ecc, lui a fissare 2 cime ci si immerge.

L’acqua è limpidissima, la corrente sottomarina abbastanza forte tanto che più di uno del gruppo ha difficoltà a scendere preoccupandosi di sgonfiare il GAV (giubbetto che aiuta a controllare l’assetto in acqua grazie all’aria che si immette al suo interno), compensare, controllare la profondità… Insomma tutte cose che di solito si fanno in automatico.

Arrivati a -10mt si inizia a scorgere qualcosa, un ombra che più si scende e più prende forma. E’ lui: il thiglestorm, nella sua remota bellezza. Subito, mentre percorri quegli ultimi 10 mt, ti metti a pensare a come era, inevitabile il raffronto con il Titanic (chi vedendo un relitto non ci pensa). La prima immersione è dedicata all’esplorazione del relitto all’esterno. L’acqua è così limpida chesembra quasi di essere all’aria aperta. E’ facile individuare i vagoni che erano in coperta, le mitragliatrici sul ponte, la cabina del comandante, la locomotiva (che a causa dello sbandamento della coda è ad una 15 di metri dal relitto… Ti metti subito a pensare al fischio che facevano i siluri quando erano in acqua e si avvicivanano al bersaglio, a quello che potevano pensare quella dozzina di uomini che erano sulla barca (era tempo di guerra e sulla nave c’era lo stretto necessario per la navigazione) che si sono visti già naufraghi, al panico, al loro sforzo per nuotare fino a ad una riva (la più vicina ad oltre un paio di chilometri) in un mare notoriamente infestato di squali.. Insomma: che sfiga hanno avuto. E qui si ritorna sui discorsi di NAVEPORTASFIGA!!! Si ritorna in barca, ci si cambia in fretta e ci si rimmerge dopo una 40 di minuti spesi a controllare attrezzatura e fare un briefing su quello che faremo stavolta: è prevista l’esplorazione all’interno. Bisogna fare attenzione perchè alcuni passaggi sono molto stretti e si rischia di restare impigliati con le fruste (sono quei 4 “tubi” che fuoriescono dalla testa della bombola che vanno nel gav, nel manometro e nei 2 respiratori), di tagliarsi ed in genere di farsi male.

Via, secondo tuffo, si scende, ci si avvicina al punto d’entrata e partono i fasci luminosi delle torce. Si gira dentro, si vedono le stive piene zeppe di stivaloni in gomma (il più piccolo sarà stato un 46), le motociclette, i camioncini Bedford, i motocarri con mitragliette, le jeep… Poi ad un certo punto ecco la fama del thiglestorm!!! per uscire dal thigle si deve percorrere un tratto abbastanza stretto che ha come finale il passaggio in un portello “tipo sommergibile”, davanti a me c’è un francese, Christophe. Sono a 3/4 di metri da lui quando, nell’affrontare il passaggio, il portello… Si chiude. Con un colpo di pinna lo ha mosso un pochino e la corrente ha fatto il resto. Vedendolo chiudersi faccio come marcia indietro ed il respiratore di riserva, di solito chiuso tenuto fermo da un gancio del gav, si stacca e resta dov’è cioè tra il portello e la chiusura. Il portello è di metallo, arrugginito e corroso dal tempo e sulla gomma del tubo ha l’effetto che ha avuto su decine di nobiluomini e nobildonne francesi.. Effetto ghigliottina.Ora, riassumendo, sono chiuso dentro un relitto sottomarino, con altre 20 persone dietro che non hanno visto e quindi non capiscono, con poca aria nella bombola (eravamo a fine immersione) e con un respiratore rotto dal quale esce una marea (visto che siamo in mare…) di preziosissima acqua. Naturalmente tutti gli sforzi per riaprire il portello sono vani perchè si è incastrato tutto in un mix di ruggine, pressione, corrente e anche la gomma del mio respiratore secondario. Immaginatevi anche i miei gesti fatti a quella sporca ventina di malcapitati per fargli capire che il portello era rotto e che dovevamo inventarsi qualcosa. Naturalmente tutti avevano poca aria e quindi nessuno si è offerto di aiutarmi con il respiratore… Gli spiego che bisogna tornare indietro, non capiscono ma veddendomi in difficoltà mi seguono. Riesco in qualche modo a recuperare la strada fatta in precedenza attraverso mille porte e mille passaggi. Alla fine è mare aperto, si lotta contro la corrente per ritrovare la cima. La vedo è ad una 20 di metri da me e vedo anche il mio accompagnatore intento ad aprire il protello. Qualcuno gli fa segno che “abbiamo fatto il giro”, lui si volta e TAC, il portello si apre… Mi viene incontro e mi da un respiratore. Guardo il manomentro: avrei avuto ancora una decina di boccate d’aria e poi sarebbe finito (già mi vedevo isterico, attaccato a qualcuno intento a strappargli il respiratore in barba a tutte le regole subacque). Risaliamo e vedo il thigle scomparire sotto di me. Risalgo e a bordo della barca c’è un silenzio, tutti mi guardano come un miracolato, io penso a me, alla paura, al brivido, a quanto veramente, quando l’acqua arriva alla gola (in immersione?!!?!) si nuoti ed anche bene. Per i giorni seguenti tutti mi chiedevano di raccontargli cosa era successo. Io avevo vissuto un’esperienza “strana” che volevo anche mettere in qualche meandro un pò più nascosto nella mia mente, ma che inevitabilmente mi avrebbe fatto sentire un pò più uomo. C’è una domanda che mi gira sempre in mente: come mai tanta paura e come mai mi ritufferei anche in questo momento sopra il thigle per farmi un giretto???



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