La cosa più preziosa

È la storia di un Re e del suo regno monotono e di come, grazie a una festa, a una fanciulla e al cioccolato, riuscirà a scoprire la felicità
Geromilda, 29 Mag 2013
C’era una volta un regno dove non succedeva mai niente. Gli abitanti, quando nascevano, pesavano tutti tre kili e due, avevano capelli e occhi scuri e imparavano uno tra i tre mestieri che si potevano conoscere: il panettiere, il meccanico, il sarto. Le persone erano tutte di corporatura media perché, dopo tanti secoli costretti a mangiare solo pane, certe volte preferivano digiunare o dormire, perché la loro vita non aveva poi un gran bel sapore.

Un giorno il sindaco (nonché principale consigliere del Re) morì per cause sconosciute e tutto il regno lo pianse, alla mattina, prima di cominciare a lavorare. Il Re, che era molto giovane e stava cominciando a capire le cose della vita, si chiese quali decisioni avrebbe dovuto prendere ora che aveva perso il suo fidato amico. Si rese conto per la prima volta che il sindaco era stato prezioso per lui, anche se non indossava nessun gioiello, infatti aveva sempre vestito solo un completo tutto marrone.

Poiché il Re aveva capito che gli aveva voluto molto bene, decise di organizzare una festa in onore del defunto uomo. La festa avrebbe avuto inizio al calar del sole e sarebbe terminata a mezzanotte, perché le candele del meccanico di corte sarebbero durate fino a quell’ora. Il Re si disse che la festa doveva avere un tema, e, dato che l’aveva ideata pensando al suo amico, immaginò che il tema della festa dovesse essere grande.

«Portate a palazzo ciò che di più prezioso possedete!» aveva annunciato a gran voce, e da quel momento finalmente successe qualcosa. Gli abitanti cominciarono a pensare, pensavano così tanto che certe volte pareva ci fosse troppo silenzio, dato che tutti erano immersi nei propri pensieri e nessuno parlava. I meccanici aggiustavano continuamente le carrozze, perché tutti volevano essere sicuri di raggiungere il castello, la sera della festa. I sarti cucivano vestiti, ma non i soliti vestiti, bensì abiti sfavillanti, con enormi strascichi per le signore e tessuti preziosi per i signori, i più rigidi che riuscivano a trovare. I panettieri non facevano nulla, perché nessuno aveva pensato a mangiare in quel clima di frenetici preparativi, così avevano abbandonato i loro forni e si erano messi a guardare il cielo.

La tanto attesa serata, finalmente, arrivò e tutti si recarono a palazzo con gli occhi grandi per l’attesa. Molti di loro avevano portato un vestito ricchissimo e nient’altro, perché era quella la cosa più preziosa che avevano. I panettieri erano tutti vestiti d’azzurro perché quello era il colore del cielo, l’unica ispirazione che erano riusciti a trovare. I meccanici avevano abiti colorati, ma sembravano tutti argentati perché li avevano decorati con bulloni e chiodi che luccicavano sotto la luce della luna e perché i loro strumenti erano la cosa più preziosa che possedevano. Nessuno aveva niente in mano così tutti, dame e cavalieri, si misero a ballare come non avevano mai fatto prima. Il Re osservava con stupore quel gioco di azzurri e di argenti che lo stavano per incantare, finché qualcosa non distolse la sua attenzione.

C’era una ragazza, in mezzo alla folla, che aveva i capelli color dell’oro e indossava una lunga veste marrone. Il Re per un momento pensò che quel colore triste stonasse in mezzo a tanta luce, ma poi si ricordò che quello era il colore preferito dal suo amico (sindaco e consigliere) e gli piacque subito molto. Si avvicinò alla dama e non poté fare a meno di chiederle il motivo per cui i suoi capelli non fossero scuri come quelli di tutti gli altri.

«Sono stata fuori città per un po’, mio signore, a trovare una cugina. La sua casa è in mezzo al prato verde, dove il sole splende e colora i capelli come l’oro.» rispose la ragazza con il vestito marrone.

«E perché il vostro vestito è marrone?» chiese il Re alla ragazza dai capelli d’oro.

«Il mio vestito è di cioccolato, mio signore, lo ha cucito per me mia cugina, che di mestiere fa la pasticcera.».

Il Re non aveva capito molto di quello che aveva detto la ragazza, non conosceva la parola “cioccolato” e nemmeno “pasticcera”, ma le parole della dama suonavano così belle che decise di non farle più domande.

Guardò per un attimo il suo strano vestito e si accorse che era molto bello: era decorato con piccole roselline dello stesso colore del tessuto e aveva dei bottoni molto grandi, cuciti su tutta la lunghezza.

La ragazza dai capelli d’oro disse che quelli erano cioccolatini. Quando parlava muoveva con grazia le labbra, che erano anch’esse color cioccolato e quando si chiudevano assumevano la forma di un cuore. Il Re sarebbe stato tutta la sera a guardarle, ma a un certo punto si accorse che il resto degli invitati aveva interrotto le danze. Erano tutti stanchi perché avevano ballato troppo e non rimanevano loro più energie, poiché non avevano mangiato. Il Re diventò molto triste, perché avrebbe voluto festeggiare ancora, e la ragazza dal vestito di cioccolato subito se ne accorse. Iniziò a strapparsi via i bottoni dall’abito e a distribuirli a tutti gli uomini, mentre alle donne donava le piccole rose di cioccolato. Quando qualcuno assaggiava i cioccolatini, subito iniziava a ridere e ringraziava di gran cuore la ragazza. Le dame presto ripresero vigore e strinsero a sé i loro cavalieri, tornando a ballare. La ragazza dai capelli d’oro aveva intuito che al Re piaceva fare molte domande, così, prima che potesse aprir bocca, lo fece lei al suo posto e disse: «il cioccolato porta felicità a chi lo mangia, e questa è la cosa più preziosa che ho». Ma il Re, che faceva ancora fatica a capire cosa fosse il cioccolato, non riusciva nemmeno a comprendere che significato avesse la felicità.

La ragazza dal vestito di cioccolato fece per prendere uno dei suoi cioccolatini, perché voleva farlo assaggiare al Re, quando si accorse con sorpresa che erano finiti. Il suo vestito era rimasto semplice e senza decorazioni, si sentiva molto povera. Il Re la guardò piangere, perché non era riuscita a regalare anche a lui un po’ di felicità e sentì il cuore diventare caldo perché nessuno aveva mai pianto per lui. Poi, d’un tratto, la ragazza si ricordò della sua bocca a forma di cuore, che era dipinta di cioccolato, quindi corse dal Re e lo baciò sulle labbra.

Era mezzanotte e tutti rincasarono perché la festa era finita, pur sapendo che la loro vita era appena iniziata. Nessuno scordò mai cosa significasse essere felici, perché lo avevano imparato dalla ragazza dai capelli d’oro, che era diventata la moglie del Re. La nuova Regina aveva chiamato la cugina che abitava fuori città e le aveva chiesto di insegnare ai panettieri a fare i dolci, lei aveva accettato perché era una donna buona. I panettieri erano diventati pasticceri così abili che avevano inventato ottimi panini ripieni di cioccolato da regalare sempre ai bambini, perché questo li rendeva felici. Anche il Re era felice perché aveva sposato la Regina. Non le disse mai che lo era stato dal primo momento in cui l’aveva vista, perché non voleva offenderla e perché non voleva che smettesse di dipingersi di cioccolato le labbra perché le amava, almeno quanto amava lei.