Patagonia un sogno che si avvera

Un viaggio per immergersi ai tempi di Piazzolla, per vedere l'aeroporto dell'Isla de Los Pajaros dove, fra i piloti, c'era Saint Exupéry, l'autore del Piccolo Principe. In viaggio fra i due Golfi e a Punta Tombo fra i pinguini chiacchieroni. Poi giù verso la fine del mondo a Ushuaia e poi in volo verso El Calafate per incontrare il Perito Moreno.
Scritto da: orietta44
patagonia un sogno che si avvera
Partenza il: 21/02/2010
Ritorno il: 04/03/2010
Viaggiatori: 2+2
Spesa: 3000 €
Capitolo primo

Siamo arrivati a Buenos Aires ed ecco Mafalda che ci dà il benvenuto. Se non avessi fatto uno scambio tra una collana di perle ed un viaggio in Patagonia, non avrei potuto vederla. E’ stato l’anno della mia seconda laurea: nel novembre 2009 ho raggiunto uno dei tanti traguardi che costellano la mia vita. E’ vero, sono sempre sull’onda lunga che ricercano i surfisti, l’adrenalina delle mie sfide personali è importante perché dopo l’esito positivo della sfida mi regalo un sogno. La mattina del 12 novembre, mi avevano dichiarato dottore in “Diritti dell’Uomo ed Etica della Cooperazione Internazionale” e Guido, tornando a casa, mi chiese se un filo di perle poteva essere un bel collante per sigillare il mio traguardo. Sul momento, mi sembrò che quel filo di un bianco delicato, tendente al rosa, avrebbe potuto ravvivare il mio tubino nero. Arrivata a casa mi accolsero i miei jeans, quelli di tutti i giorni, i miei compagni di viaggio, “viaggio- sogno”, altra parola magica. Provai a pensare alle emozioni di un viaggio, di un viaggio importante da barattare con un filo di perle. Avevo comperato un fumetto per Sabrina e Valentina. “Mafalda“, la storia di una bambina. Un fumetto con un personaggio “vero”, una contestataria in miniatura. Il suo profilo mi intrigava e in lei ho visto alcune caratteristiche, mescolate, nel carattere delle mie due piccoline. Valentina, quattro anni spirito ribelle, qualche indicatore di rifiuto del mondo degli adulti, Sabrina nove anni, preoccupata per gli altri, che ti copre di domande sulla pace nel mondo. E Mafalda sta diventando il loro fumetto preferito:l’una legge, l’altra ascolta, colora e disegna. Mafalda è una bambina di sei anni che odia la minestra. E’ una bimba come tutte le bimbe della sua età, che apre i suoi occhi sul mondo che la circonda ponendo domande non sempre semplici ai suoi genitori, a cui causa crisi di nervi, curate con un calmante “Nervocalm”. Come tutti i bambini ha degli amici. Felipe il suo migliore amico, che condivide i suoi ideali, Manolito, che vende caramelle agli amici, fingendo di regalarle, Susanita, leggera ed egoista. E poi c’è il fratellino Guille che adora la minestra, e ancora Miguelito che ha un nonno che parla bene di Mussolini, con grande scandalo di Mafalda ed infine la piccola Libertad che ha un papà socialista che parla spesso di rivoluzione sociale. I suoi primi cartoni sono presentati in Argentina nel 1973 in seguito, Quino, il suo disegnatore continua il lavoro, usando la figura di Mafalda solo per attività connesse per la promozione dei diritti umani. Per illustrare La Convenzione internazionale dei Diritti dell’Infanzia viene preparato un poster per l’Unicef nel 1976. Nell’88 Mafalda compare su un manifesto argentino che celebra la Giornata Universale dei Diritti Umani e il quinto anniversario della fine della dittatura. Mafalda, ma allora c’è qualcosa che ci unisce. Un incontro per caso o un segno del destino? E così ho rinunciato al “mio” Continente Africano per andare verso “la Fine del Mondo”.

Mentre Guido pensava al filo di perle e parlottava con le ragazze, Rossella estasiata, Roberta un po’ meno, io scoprivo in mezzo ai suoi giornali un dépliant della Please Give Way appoggiato sul tavolo in sala. Ad uno sguardo superficiale, niente di nuovo. Era una domenica pomeriggio, mentre bevevo un caffè l’ho ripreso in mano, sfogliandolo, e nell’ultima pagina, con una piccola carta geografica della Terra del Fuoco veniva proposto un viaggio in Patagonia per febbraio. Immediatamente la mia mente prese il sopravvento sui pensieri seri del momento: laurea, proposta di Guido. Iniziò un percorso ad ostacoli sul processo di scelta: un oggetto/un viaggio; un viaggio in sud Africa/un viaggio in Argentina. Pensieri che si rincorrevano, che restavano con me, che ne uscivano, senza però ancora alcuna condivisione esterna. C’era però Mafalda che avevo incontrato da poco, amata in America Latina, piccolo simbolo della Buenos Aires di Joaquin Lavado,” Quino”, che aveva disegnato e scritto il suo fumetto. Andando per esclusione, decisi la scelta di un viaggio. Si, perché viaggiare è un prendere, un dare, un conoscere, un migliorare, un imparare, un preparare, un sognare, un vedere, uno sperimentare, un ricordare per sempre. Iniziai ad infarcire le conversazioni leggere con frasi “certo che la Patagonia deve essere il viaggio della vita”, “ho sentito che c’è un tour interessante in Patagonia”, ma in casa non c’era indice di ascolto e di interesse. Un venerdì mattina, Guido era in ufficio al Cral chiamo per l’appuntamento settimanale in mensa e dall’altro capo del filo sento la sua voce che dice un nome “Ushuaia”: era con i suoi amici e stavano discutendo e prendendo visione della proposta del viaggio in Patagonia. Ormai la decisione era presa: la domenica una telefonata a Lele e da lì iniziò l’avventura verso un’esperienza diversa, impegnativa. Il gruppo era costituito da dieci persone. Troppi o troppo pochi? Alcuni convinti esploratori, per loro Patagonia voleva dire Trekking verso il Cierro Torre, ruta 40 in fuori strada, alberghi senza prenotazione. Erano quattro amici rodati, per gli altri si trattava di una proposta impossibile. Ma non vi si poteva rinunciare. Ripresento al gruppo un percorso più semplice. Al centro le escursioni in catamarano, e questo portò ad altre due defezioni. Per fortuna il 26 gennaio festeggiamo santo Stefano da Lele, con i ragazzi e con Vannina spumeggiante , che aveva trascorso un mese a Buenos Aires per lavoro senza poter scendere al sud. All’inizio non dimostra grande interesse per la proposta che Lele le ha fatto di accompagnarla, con noi, nella Terra del Fuoco. La sua mamma la porta a condividere la sua esperienza di giornalista in quel grande paese e mentre racconta, ci si accorge che tutta lei sta decidendo di partecipare all’avventura propostale.

Capitolo terzo

Inizia il tourbillon classico di ogni viaggio. Ma questa volta non si va a quattro ore da casa, ma si attraversa l’Atlantico e poi giù giù verso Buenos Aires. Dal 26 gennaio alla prima settimana di febbraio mi sembra che la vita di tutti i giorni apra una finestra giornaliera sulle ampie distese della terra argentina. L’esperienza che si sta delineando viene comunicata, condivisa con chi l’ha già sperimentata. Il lunedì mattina, dopo le prime trenta vasche in piscina, ci si ritaglia cinque minuti con gli amici che hanno vissuto ben dieci anni prima l’esperienza di un viaggio in Patagonia. Un’esperienza di camperisti, con visita ai parenti ed agli amici emigrati. La descrizione della natura, del ricordo di spazi infiniti, di lunghi spostamenti con il camper sono punteggiati da espressioni di meraviglia, gioia, interesse spinto alla condivisione degli stessi sentimenti provati. Un interesse che rinforza il mio desiderio di incontrare quel mondo descritto con tanta nostalgia e partecipazione. Quei racconti di vita mi inducono a non demordere. Ormai l’ipotesi è diventata realtà e a questo punto inizia il “live motive” di ogni mio viaggio: le valigie. Primo patto familiare: a ciascuno la propria valigia, la preferita senza discussioni alcuna. Non è possibile che si discuta sul colore, la capienza, la solidità, anche Guido condivide una scelta libera e stavolta non mi impone il suo pensiero maschile allineato alla logica inscritta in una visione di un bagaglio quanto mai parco e semplice. Il bagaglio è una cosa delicata se non te lo “senti” addosso”, diventa fonte di grande disagio. Per me il bagaglio deve dare la possibilità di non dover dire “sarebbe stato meglio se …..”. Il bagaglio deve essere costruito, pensato, preparato con cura, tempi lunghi e senza interferenze alcune. Fare la valigia è un momento privato, intimo, appartiene al tuo essere libero, è un atteggiamento che non deve essere occasione di discussioni, non deve essere inquinato da interferenze esterne. E’un momento di pura espressione di libertà di scelta. Fare le valigie è un’operazione di profondo afflato personale con il mondo che ti circonda, con il mondo che vai a incontrare, significa costruire un percorso fatto da delicate piegature di oggetti personali da inserire in opportune buste plasticate o di semplice cotone colorate. La lista sul bloc-notes accompagna i movimenti:prima si aprono i cassetti della biancheria: la mia e la sua; poi ci si rivolge ai cassetti dei maglioncini, là dove il profumo di mela verde racconta la voglia di freschezza. E infine le ante degli armadi per recuperare abiti e pantaloni. Jeans di cotone e di velluto fanno bella mostra nei primi posti, per lui due camicie sportive, e una cravatta, non si sa mai, la sera a Buenos Aires potrebbe servire, per me una gonna. Ma per questa nuova avventura bisogna rivolgersi ad esperti del settore. Anche perché la lettura di documenti sulla geografia, la storia ed il clima del paese alla fine del mondo ti porta a rivedere la lista sul bloc-notes: infatti manca la parte per le temperature del sud del mondo. E allora bisogna aggiungere l’abbigliamento anti vento. E per camminare: scarpe da ginnastica e scarponi da trekking. Quando ritorneremo avranno un posto speciale nell’armadio del garage, sulla loro scatola ci sarà una scritta “noi siamo state in Patagonia.”Gli scarponcini verdi mi hanno accompagnato sulle montagne di casa e quando li ho tolti dalla loro scatola ho sentito il profumo di muschio. Erano ad Ardesio, nel comodino di faggio. Sembrava fossero stati appena puliti con la spazzola umida. I lacci erano gli ultimi acquistati per la passeggiata ad Ave un sedici agosto, festa di San Rocco, quando tutto il paese sale alla piccola frazione. L’ultima scarpinata con loro quel sedici agosto, mentre aspettavo Guido e papà Enrico che venivano da Bergamo. Le bimbe con la nonna ed io, di buon passo, su verso Vodala verso il rifugio per bere un caffè: partenza alle sei, rientro giusto in tempo per calare la pasta, il brasato solo da scaldare. Scarponcini verdi, pantaloni al ginocchio, cappellino e bastone,con il profumo dei ciclamini per tutta la salita e al rifugio il caffè sulla terrazza. Per le calzature è tutto a posto. La valigia sta prendendo forma: ordine e logica sembra siano le parole chiave, per rispondere è opportuno avere davanti agli occhi i tempi ed i momenti del viaggio, il percorso completo, le località, in sequenza per avere sempre tutto sotto controllo, per non confondere il bagaglio a mano con la “Valigia” quello strumento, quel mezzo indispensabile per affrontare “il nuovo”. Ma è proprio vero? Al rientro la metà degli indumenti, soprattutto quelli acquistati per il grande freddo, sono tornati a casa senza essere stati usati, senza essere stati esposti alla luce della Patagonia ed al vento del lago Argentino.

Organizzazione viaggio ”noi quattro” Guido, Orietta, Lele, Vannina, con gli amici della Roncalli Viaggi, tour operator Kuoni Gastaldi. Periodo: ultimo sprazzo di estate patagonica, da sabato 21 febbraio a mercoledì 4 marzo 2010. Tempo da manuale, sempre splendido.

Domenica 22 febbraio, le dieci ora locale. Sotto di noi la distesa dell’Atlantico che dall’oblò sembra cielo. Il sole sta illuminandoci, sembra voler dare il bentornato a chi ritorna nella propria patria e il benvenuto a chi giunge per la prima volta in Argentina. E’ l’ora della prima colazione, ho iniziato a fare i conti con il fuso, ma lascio perdere, il display comunica che fra due ore atterriamo. Cambierò l’ora e prenderò in giro il jet lang. Non mi sono ancora resa conto che stiamo facendo “un viaggiassimo”, un grande viaggio intercontinentale alla fine del mondo, con ghiacciai incredibili da vedere. Me ne accorgerò al rientro, per ora sono in un aereo grandissimo, completo. Ho riposato abbastanza, ho passeggiato, ho seguito i consigli ginnici di “dopo 13 ore di aereo”, ho bevuto un caffè e sto pensando che sedici ore di aereo sono proprio tante! Tuttavia il tempo passa tra un buon libro e un paio di film. Fino ad ora non ci sono stati contrattempi, al di là del mio show all’imbarco, quando ho fatto muovere noi quattro come pedine sulla dama, perché insistevo nella ricerca della poltrona 22E, già occupata: avevo in mano il biglietto d’andata MI/Roma Fiumicino. Tre spostamenti di bagaglio a mano sulla testa dei passeggeri, brontolii vari. L’incontro con la nostra guida argentina all’aeroporto di Buenos Aires ci dà subito uno squarcio della capacità di accoglienza del popolo argentino che per “farti star meglio” ti apre da subito il suo cuore sottolineando i propri legami parentali con la nostra patria. L’aeroporto di Buenos Aires è grande e molto interessante per i popoli che vi si incontrano. La nostra guida ci presenta il suo Paese dal punto di vista geopolitico. E’ mattino presto, dai finestrini del taxi ci corre incontro l’inizio della giornata in questa metropoli dove vive un terzo della popolazione argentina, circa 12 milioni di abitanti. Superficie sconfinata, dove i luoghi di maggior interesse si concentrano in uno stretto numero di quartieri, dove la loro posizione geografica e le etnie fanno le differenze. Tutto ciò viene confermato da uno sguardo attento nel primo tour. Dopo una mattinata di relax, e per pranzo il nostro assaggio di “asado”, siamo pronti per il primo approccio con Buenos Aires. Tour normale, sotto un forte acquazzone. Entriamo in Plaza de Mayo con le sue memorie e ci spostiamo verso la Boca quartiere degli immigrati italiani, passando vicino al campo di calcio del Boca Junior, con grandi scatti della macchina fotografica di Guido. Da qui via verso agli altri punti turistici dal Cementerio de la Recoleta a San Telmo e a Palermo vieja. Per questa giornata va bene un primo approccio veloce. Anche perché, su consiglio della nostra carinissima guida ci prenotiamo per una cena al Piazzolla Tango. Non pensavamo d’andare verso una serata memorabile. Siamo piuttosto scettici, ma la serata ci incanta. D’accordo che è per “i turisti” ma il pathos che ci hanno comunicato i ballerini e l’orchestra è stato indimenticabile. Ci resta ancora una giornata con una guida di eccezione: Vannina, che davvero ci fa vivere al meglio questo ambiente vicino a noi e tanto lontano, questo mondo e questa città che ha pagato con la sua gioventù il dramma della dittatura e che adesso sembra voler riscattare quei giorni bui presentandosi ai viaggiatori con la sua mediterraneità.

Lunedì 23 febbraio Dopo la splendida serata, eccoci su un taxi chiamato dall’hotel, come d’obbligo, che ci lascia al Café Tortoni, nel Microcentro, cuore della città. Là dove Borges trascorreva il suo tempo, seduto al tavolino d’angolo dove ancora possiamo vedere il “gruppo dell’intelligentia davanti ad una tazza di caffè”. Continuiamo la nostra passeggiata accompagnate dal sole di una giornata estiva, e ci spostiamo verso la Recoleta e poi ecco Palermo Viejo per occhieggiare nelle boutique. Dopo un pranzo veloce in un simpatico ristorante ci spostiamo in San Telmo dove Vannina acquista una deliziosa borsetta. Ore 17,30 eccoci davanti al Teatro Ateneo, che ora è una splendida libreria: nel foyer si scelgono i libri da acquistare, nei palchetti ci si può fermare a leggere tranquillamente e sul palcoscenico si può pranzare. Un luogo unico al mondo ed assai intrigante. Ormai è scesa la sera, rientriamo e decidiamo per una cena a Puerto Madero, sul rio della Plata. Il ristorante è collegato con il bianco ponte di Calatrava al fronte del porto. E’ la zona dei docks, trasformati in ristoranti. Un panorama féerique. Durante la corsa in taxi conosciamo un gentile autista di origini italiane che ci documenta sulla situazione sociale della metropoli. I taxisti di Buenos Aires adorano parlare, mettersi in relazione con il turista, condividere i propri pensieri, paure, speranze con chi viene da lontano. Dare indicazioni ed invitare a conoscere la loro grande e tragica città. Rientriamo a mezzanotte, chiudiamo le valigie, e quattro ore di sonno, per chi riesce a dormire.

Capitolo quinto: Verso il sud

Martedi 24 febbraio, con un’ora di ritardo, partiamo per Trelew. C’è il sole e dall’aeroporto possiamo ammirare il panorama dello sky line di Baires, che si alza tra il verde delle piante del centro città. Sono le quattro e trenta del mattino, l’aurora sta illuminando l’orizzonte seguita dall’alba il cui colore contrasta con il verde del prato ed il blu degli aerei Australian. Sono le sette, stiamo rullando, c’è vento. L’aereo è al completo . Ecco una bimba bionda, in braccio ad una mamma bionda vicino ad un papà biondo altissimo. Lei e lui indossano splendidi, morbidissimo stivali da cavallerizzo. Sono entrambi vestiti di blu. Li vedo su di un campo da golf, vincenti per i colori dell’Australia. Si parte, vedremo il vento. Sotto di noi un nastro verde, è il fiume Chubut. Trelew è il punto di partenza della nostra grande avventura nella natura. Il suo nome viene dal suo scopritore, un gallese che ha lasciato le sue impronte. Sotto di noi un nastro verde, è il fiume Chubut. Trelew è il punto di partenza della nostra grande avventura nella natura. Il suo nome viene dal suo scopritore, un gallese che ha lasciato le sue impronte. A sud di Trelew c’è Punta Tombo, la più grande colonia di pinguini Magellano del mondo. Sono tantissimi, bellissimi, simpaticissimi. Ti attraversano la strada, si fermano sotto le piante sotto cui scavano i loro nidi. Camminano felici verso il mare. Fra gli arbusti si incontrano altri piccoli esseri viventi. Sono le 10,30 ed entriamo nell’immensa Fattoria La Perla tra colline a nord e a est il mare di un azzurro incredibile, con alte onde bianche, spumose. Il vento mi porta via il cappellino che cade nei cespugli mezzo a una famiglia di pinguini e la signora Luciana, la nostra guida, me lo recupera. Luciana è di Piacenza ed è venuta a Trelew con la famiglia a quattro anni. Ha il culto della natura, ed è innamorata dei pinguini. Ci racconta che il nome del fiume che abbiamo visto atterrando significa: chiaro e trasparente e ci indica i guanachi che scendono la collina, spiegandoci il dramma di questi animali che si stanno estinguendo in quanto sono il principale mezzo di sostentamento dei pastori Anche “lo zorro” la volpe è di casa in questa immensa fattoria. Riprendiamo la strada sterrata e ci dirigiamo verso il piccolo centro di Gaiman, classico paese Gallese in cui si trova un celebre museo paleontoligco il MEF (museo paleontologico Egidio Feruglio), dove si incontra lo sviluppo della vita dai primi organismi alla nascita del genere umano. Attraversando le varie sale illuminate fiocamente, ad un certo punto ci si trova di fronte ad un grandissimo Dinosauro, uno di quelli che vivevano in Argentina 65 milioni di anni fa.

Trelew è una città la cui stazione è stata trasformata in “Museo del pueblo de Luis”; passeggiando per le strade della città si incontrano molti edifici storici del passato, è una zona di immigrati gallesi e dei primi coloni italiani e spagnoli. Ci accompagna un sole accecante e caldo. Ci riposiamo per un the caldo e per un dolce in un delizioso ristorante gallese, prima di riprendere la strada statale n.3 che va giù……. Alla Fine del Mondo.

Siamo nella provincia del Chubut che si estende nella Patagonia tra il 42 e il 46 parallelo di latitudine sud. E’ suddivisa in quattro comarches, noi siamo nella comarca Valdes. Pernottiamo in una deliziosa posada, a Puerto Madrin, dove i cani accompagnano i loro padroni sul tetto delle auto. Mercoledi 25 febbraio ore 8,30, stiamo entrando nella Penisola di Valdes. Nei primi del ‘900 sull’Isola degli Uccelli, Isla de los pajaros, c’era un aeroporto postale, fra i piloti un nome celebre, Saint Exupéry, sì proprio lui, l’autore del Piccolo Principe il cui cappello venne ispirato dalla forma dell’isola vista dall’alto. E’ un ricordo, un’informazione che mi colpisce, perché Saint Exupéry è stato il mio idolo tanto da laurearmi in Lingue e Letterature Straniere con una tesi “Gide et Saint Exupéry devant la guerre”, dove nei primi capitoli viene presentato il “pilota postale“. Guardo i due Golfi dalla strada sterrata che stiamo percorrendo, ai lati cespugli delimitanti distese immense: sono le haciendas. La terra sembra deserto, ma, come spiega la nostra terza guida Edoardo, che ha sostituito la bionda Rossana di Baires e Laura, l’antropologa di Gaiman, la terra è una farmacia e una cucina per chi la conosce perché è piena di vita. Un po’ di vocabolario: “estancia” da “essere stare” con 6/7000 pecore “hacienda” acer=fare; “rancho” casa distrutta, catapecchia “casco de la estancia” casa padronale dove c’è acqua e dove si coltiva frutta e verdura. Lasciamo il pullman sul piccolo porto e con una barca trainata in mare da un trattore inizia il nostro watching a Puerto Deseado, piccola città illuminata e delimitata da scogliere di sabbia, verso un mare color turchese, una delleriserve marine più importanti del sud America. L’esperienza in questo golfo è unica, colori, sapori, odori di mare. Bianche onde ci riempiono di spruzzi, gli animali sulle rocce, uccelli e leoni marini, e un orizzonte infinito. Si riprende il pullman per Puerto Piramides,per l’incontro con i leoni Marini. Li osserviamo da lontano, sono dodici, enormi. Quella lunga striscia di spiaggia bianca bagnata dalla spuma di altissime onde dell’oceano ci attira e ci tiene incatenati per l’ammirazione e l’emozione di “esserci”. Sopra, nella meseta volpi ed armadilli si muovono indisturbati nel loro habitat. Sono le 16,40 stiamo tornando con due pinguini di lana nello zainetto per Sabrina e Valentina. Edoardo continua i suoi racconti di vita vissuta che ci danno la possibilità di capire il processo di integrazione presente in questa parte del mondo dove i popoli dell’America Latina convivono con il resto del mondo. Ancora una giornata sulla penisola di Valdes prima di fare il grande salto verso la “fine del Mondo”. 26 febbraio ore 8,30 siamo pronti per una nuova avventura “in 4×4 sulle dune di Punta del Este”. Ci siamo solo noi, con una simpaticissima guida, pallavolista nelle Marche negli anni novanta. Diego ci spiega l’ipotesi di mattinata sulla costa e sulle dune sabbiose. Attraversiamo Puerto Madrin. Passiamo sul lungo mare in una giornata ttacolare, sole e all’orizzonte il blu del mare. Lasciato il centro della città ci inoltriamo su una strada sterrata, segnata da cespugli e sottobosco, su un alto crinale a strapiombo sul golfo chiuso da Punta Ninfan. All’orizzonte un mare dai colori indescrivibili e sotto le ruote del nostro fuori strada sassi, polvere rossa, con il sottofondo del rumore del cambio delle marce a trazione totale perché adesso siamo proprio in salita. Inizia il “percorso”: davanti a noi una discesa arditissima nella sabbia, giù verso il mare blu e poi su verso la collina coperta da fossili. Lasciamo la macchina e saliamo a piedi sulla collina camminando nel greto asciutto di un fiume e scopriamo un angolo segreto di Diego con fossili interessantissimi: conchiglie piene di storia, da emozionare. Più avanti, sulla cima della “meseta”, entriamo in due estancias grandissime di proprietà di una famiglia italiana. Allo stato brado vediamo in lontananza pecore e cavalli. 25 febbraio ‘10 sulla spiaggia Paranà con Diego Scattiamo una foto a un veliero in secca sulla grande spiaggia bianca dove gli abitanti di Puerto Madrin trascorrono i momenti liberi dal lavoro ed in questo periodo estivo lunghe serate. Scendiamo sulla spiaggia per il rito del “matè”; mentre Diego lo prepara, inseguendo un piccolo cormorano mi trovo in riva all’acqua: c’è il sole, fa caldo e non posso fare a meno di togliermi le scarpe ed entrare piano piano nel mare ripetendo “mi sto bagnando nelle acque del Golfo Nuovo, nelle stesse acque dove si bagnano i leoni marini.” La mattinata è terminata, rientriamo a Puerto Madrin e trascorriamo il pomeriggio al sole nella nostra “posada”. Dopo la cena in un caratteristico e simpaticissimo locale, indicato da Diego, inizia il rito delle valigie, però senza alcun problema.

Capitolo sesto 26 febbraio ’10 – L’isola di Ushuaia

Stiamo atterrando a Ushuaia: dall’oblò del piccolo apparecchio che ci ha portato giù verso l’isola più grande dell’America del sud, vediamo, nei colori del tramonto, le cime delle montagne ed il verde degli alberi che si confondono sullo sfondo del canale di Beagle. Una quattro x quattro ci aspetta e due guide sorridenti ci mettono a nostro agio descrivendoci il “loro” territorio. La città si sdraia sul porto da cui partono le navi verso l’Antartide, con le sue strade ripide accompagnate dalle case sorte alla rinfusa.

Le sue luci punteggiano l’orizzonte, stiamo percorrendo la strada costiera verso il nostro albergo, il Tolkien. Il suo nome è tutto un programma. Una costruzione in legno, incastonata tra il verde cupo degli alberi e il verde chiaro del canale con macchie di fiori della flora prealpina un sogno. Il sole si nasconde presto dietro le cime delle montagne di fronte e le stelle dell’ Antartide ci danno la buona notte. Ecco il saluto del mattino del 27 febbraio. Il verde ci circonda, e una luce biancastra che scende da un cielo grigio, ma non imbronciato, ci trasmette tranquillità, serenità e pace. Ci sentiamo bene; stamattina la nostra guida Santiago ci presenta l’escursione nel Parco Nazionale Lapataia che ci porterà attraverso i boschi della Terra del Fuoco alla località detta Fine del Mondo dove ci imbarcheremo per scendere lungo il canale di Beagle fino al Faro “les Eclaireurs”a 800 Km. Di distanza dall’Antartide. Lungo la strada del Parco, incontriamo le case di legno colorate del luogo, mentre la nostra guida ci introduce con attenzione nel suo ambiente che -si sente a pelle- è al centro di uno sviscerato amore per questa terra indescrivibile, piena di contrasti. I suoi giovani studiano e si preparano per una vita non sempre facile, pronti ad accogliere lo straniero a cui consegnare la propria storia anche attraverso i souvenir dei negozi lungo la strada principale ed i segreti del proprio mondo con la storia degli indios, di cui incontreremo le tracce durante il viaggio sul treno nel bosco e con quella dei carcerati.Ci si forma nelle scuole superiori a carattere linguistico o tecnico. Ci si perfeziona a Buenos Aires. Un po’ di storia: tra la fine dell’ottocento ed i primi del novecento venivano rinchiusi nel Carcel de Reincedentes criminali e prigionieri politici, in quanto l’Argentina, fra il 1884 e il 1947, aveva scelto Ushuaia come colonia penale. I prigionieri trascorrevano le giornate lavorative come boscaioli nelle foreste di legna a foglie decidue e di cihue sempreverde (faggio australe).

Eccoci sul Treno del Parque Nacional, al termine del percorso su rotaia iniziamo la passeggiata nel bosco fino al punto della “Fine del Mondo” per scendere al molo, dove ci aspetta il catamarano per solcare il mare fino al Faro Les Eclaireurs e all’Isla de los Lobos. A nord, dietro le nostre spalle, lontano, c’è la Cordillera di Darwin. Il canale si presenta imbronciato, con bianche spumeggianti onde: il nostro primo pensiero “… e adesso?…” ma nessun problema. La traversata è splendida, sempre in coperta a guardare, ad ammirare “il Creato”, i picchi innevati, cercando di immaginare il meridiano del Cile, nel momento in cui la guida di bordo sottolineava che l’isola alla nostra destra appartiene al Cile. Tra un gioco di piccoli pinguini che si rincorrono tra le onde e gli sbadigli dei “lobos” sugli speroni di roccia delle piccole isole giungiamo al porto di Ushuaia dove si dondolano le navi da crociera, i catamarani e le barche dei pescatori. Scendiamo, lasciando il cuore nella scia bianca delle onde che ci hanno accompagnato in questa giornata. Ci aspettano le ultime ore ad Ushuaia e decidiamo, prima della cena, di entrare nel museo del Carcel de Reincedentes. E’ un’esperienza molto interessante, rientriamo nella nostra veste di viaggiatori, ce ne eravamo dimenticati, presi dall’esorcismo della natura. Una cena deliziosa a base di granchio, e poi rientro in hotel.

Capitolo settimo 28 febbraio – Los Glaciares

Lasciamo l’isola alla fine del mondo, abbandoniamo la Rute 30 per la Rute n.40 (RN 40) che corre parallela alle Ande verso Bariloche sino al confine con il Cile. Il parco nazionale del Perito Moreno e quello, più a Nord, de Los Glaciares sono i luoghi di maggior interesse dell’entroterra della Patagonia. Ci lasciamo alle spalle il clima impronosticabile di Ushuaia per salire verso El Calafate: c’è un posto per noi quattro al Tehuel Plaza, per tre giorni. Troviamo la nostra guida all’aeroporto con un fuori strada bianco. Ottima accoglienza umana, è tardo pomeriggio e i colori del lago Argentino su cui si stende El Calafate ci accompagnano sin sulla soglia dell’albergo. La strada sterrata che percorriamo, per arrivare prima, come sottolinea l’autista sorridendo, è una vecchia pista di aeroporto. Attraversiamo la piccola città con i suoi negozi e il suo centro turistico e locale, e ci immettiamo su una strada piena di buche e fossati. Sta calando la sera, poche luci lungo la strada: sulla collina si vedono le insegne sfolgoranti degli alberghi e cerchiamo di immaginare quale ci accoglierà. Costeggiamo la Laguna Nimez, a nord della cittadina, un importante habitat naturale per gli uccelli, incontriamo stupendi fenicotteri rosa. La strada è fangosa, i quartieri che attraversiamo sono piuttosto degradati. Usciti dal centro pare di trovarsi in un grande cantiere. Ed ecco il nostro albergo: una curva strettissima, una salita ripida e sassosa, però ai lati dello sterrato ci sono splendide piante acquatiche e fiori di pascoli montani coloratissimi. Dalla spiaggia sassosa del lago salgono il rumore delle onde e i quac quac petulanti delle anatre selvatiche. Eccoci nella hall dell’albergo: impressione a pelle “l’albergo del film di Hitckoch Psycho”. Interessante; è ora di cena e decidiamo di scendere in città con lo stesso mezzo dell’arrivo, dopo aver preso possesso della camera da letto. Non mi preoccupo, guardo tutto con occhio curioso, accogliente camera da letto, ampia sala da pranzo (senza possibilità di cucina la sera, per ora) c’è internet con web cam: splendido. Ceniamo in un delizioso ristorante che presenta un “asado” stupendo e poi l’accoglienza al ristorante è davvero molto calda: il cameriere ci coccola, è accogliente e ci mette a nostro agio. C’è una bella atmosfera. Il programma di questi ultimi giorni prevede un’ubriacatura di steppa, ghiacciai ed ambiente ad alto livello di rispetto ecologico e di etica ambientale che fa sparire i primi moti di disagio. Pecore e cavalli allo stato brado in immense hestancias, in mezzo alla neve. Volpi che attraversano le lunghe strade asfaltate dove per centinaia di chilometri non incontri anima viva. Qui ti senti davvero in un altro mondo. Qui i giovani studiano nelle città di Rio Gallegos e all’università a Buenos Aires. Anche qui le aree di studio attengono alle lingue straniere per preparare le future guide e i futuri albergatori. E’ molto interessante la lettura che la nostra guida fa del suo paese. E’ chiaro che tutti gli argentini hanno un occhio particolare per noi italiani che sentono vicini per i legami di sangue che ci sono con i loro nonni e a volte genitori. Primo marzo, mi sveglio presto e non posso fare a meno di scendere in riva al lago accompagnata dalle anitre e da due fenicotteri rosa. Sulla riva raccolgo alcuni fossili, ma soprattutto ammiro le cime innevate e il colore argenteo delle acque del lago. Dopo una splendida colazione, eccoci pronti per la prima grande escursione al “Perito Moreno” attraverso la steppa Patagonica.

Siamo nel Parqe Nacional Los Glaciares, “patrimonio naturale dell’umanità” dove si trova una delle distese glaciali più grandi al mondo dopo l’Antartide e la Groenlandia. Punto base El Calafate da cui inizia l’ esperienza dell’incontro con una delle meraviglie più indimenticabili del pianeta, il ghiacciao del Perito Moreno. La natura non è grandiosa solo per i ghiacciai, ma si presenta in tutta la sua varietà attraverso la RP 11 con la steppa pre-cordillera e con i confini delle sue “estancias ” che caratterizzano questa zona. Oggi la nostra meta è il Perito Moreno, l’oceano di gelo che raggiungiamo da un’angolazione che ci impedisce di vederlo finchè, a bordo di un catamarano doppiando la punta della penisola non ce lo troviamo davanti in tutta la sua maestà. E’ un impatto indescrivibile: avevo letto di lui, avevo visto nei documentari, la guida ce l’aveva descritto ma essere lì, davanti a lui e con lui ..… non ci sono parole per esprimerne l’emozione. Un pezzo della tua vita viene vissuta con questa forza della natura. Non si può fare a meno di pensare alla canoa con a bordo il ricercatore scientifico Francisco P. Moreno che scoprì il ghiacciao che porta il suo nome, durante una delle spedizioni per conto della Società Scientifica Argentina.

Ecco il cuore della zona meridionale del Parque Nacional, i numeri di questo ghiacciaio: 30 Km di lunghezza, 5 Km di ampiezza, 60 m di altezza, ma soprattutto straordinario è il suo avanzare costante di 2 metri al giorno, che lo rende unico nel momento in cui questo movimento causa il distacco di pezzi di ghiaccio alti come un palazzo. Il distacco solleva una grande massa d’acqua: questo avvenimento porta fortuna a chi vi presenzia: e noi c’eravamo!!!! La caduta nell’acqua di enormi pezzi di ghiaccio costituisce un evento: è in quel preciso momento che si “sente” il ghiacciaio, non si tratta di un boato spaventoso, ma di un suono particolare costituito dalle azioni che si susseguono prima e dopo il distacco. Spruzzi altissimi si librano a mezz’aria e velano con il loro colore azzurrino il biancore della massa d’acqua ghiacciata Questo immenso ghiacciaio viene formato dalle perturbazione cariche di umidità che arrivano dal Pacifico e che si scaricano sotto forma di neve. Da qui nascono iceberg dalle forme e dal peso diverso. Alte montagne fanno da corona a questo angolo indescrivibile di mondo. Osserviamo il lato nord del Perito Moreno dall’alto della passerella in legno costruita di fronte, per ammirarlo dalla terra ferma. La prima giornata di avvicinamento ai ghiacciai è terminata. Si rientra, decidiamo di goderci il centro di El Calafate: il centro ci accoglie con i suoi negozi e con i suoi bar. E’ una giornata calda, lungo il viale principale si muove la folla del tardo pomeriggio: turisti e locali.

Il rito del Matè è d’obbligo, e Lele che ripete le azioni apprese sulla spiaggia di Puerto Madryn, con Diego. Ma non siamo di fronte al mare, qui siamo circondati da montagne alte 3200 metri, come il Cierro Torres, la steppa che abbiamo attraversato per giungere al Perito Moreno è grandiosa. Lo scorrere dei millenni ha cambiato la fisionomia del territorio patagonico: diciottomila anni fa il meraviglioso ghiacciaio si ergeva al centro del Lago Argentino, ora si trova a 100 Km da El Calafate e chiude il Lago, la cui profondità tocca 350 metri. Lo so che i numeri sono noiosi, non volevo usarli, ma penso siano importanti per sottolineare la particolarità e l’eccezionalità dei luoghi che stiamo incontrando e che, con i numeri, ci resteranno nella mente ben incardinati e nel cuore per lo stupore. E sempre per stupire con i numeri non si può dimenticare che il capoluogo di El Calafate, Rio Gallegos, si trova a 320 Km dalla cittadina Si tratta di un porto sull’Atlantico molto attivo con strutture sanitarie e scolastiche importanti. Dopo il rito del Matè sull’Avenida del Libertador e un breve momento di simpatico shopping, ecco una deliziosa cena a base di “asado” con il cameriere che ci aveva adottato. In albergo ci aspettava una splendida sorpresa: la possibilità di attivare internet con la web cam e di parlare con le bimbe.

2 marzo 2010

E’ l’ultimo giorno a El Calafate, ci aspetta un’altra giornata memorabile, la traversata del Lago Argentino fino ai ghiacciai Upsala e Onelli ed ancora il Perito Moreno. Il lago Argentino ha un letto di 1600 kmq, è il più vasto bacino idrico del paese e noi abbiamo la meravigliosa possibilità, non solo di vederlo, ma di poterlo attraversare con il catamarano e di poter vedere e sentire ancora il più grande ghiacciaio del mondo ….. Il Perito Moreno.

Ci si imbarca a Puerto Bandera su uno splendido velocissimo catamarano. La traversata inizia in modo piacevole, il tempo è buono, la temperatura permette di stare in coperta e di ammirare la schiuma bianca della scia della nave. Stiamo navigando su un grande lago , un bacino idrico immenso le cui sponde sono le immense rocce che si lasciano scivolare nelle sue acque e che si aprono a formare piccole insenature, al riparo dai venti. In una di queste si trovano dei cavalli selvaggi discendenti da un antico branco che viveva in cattività in un piccolo insediamento vicino al lago,con le capanne strette a cerchio vicino alla parete rocciosa a tutelare il proprio territorio e a salvaguardare le proprie mandrie. Mentre passiamo vicino a questo pezzo di storia vediamo scendere dall’alto due Condor dalle ali immense. Tutti passeggeri si spostano sui ponti per osservarli, per godere della loro vista, dell’eleganza della loro danza in discesa verso le acque verdi lasciandosi spingere dalle correnti aeree. Condor, animali mitici, portatori di pensieri positivi forieri di buoni auspici. L’incontro con loro valeva un viaggio: Questa Patagonia è ormai fa parte davvero della nostra vita, ci è entrata dentro, da divenire indimenticabile. La nave riprende con grande velocità il suo percorso per portarsi vicino al ghiacciao Upsala ed entrare in seguito verso il ghiacciao Onelli. Ma, spiega il comandante, il canale è ostruito dagli iceberg che galleggiano e si spostano piano, illuminando le acque del lago Argentino con la loro azzurra trasparenza. Fotografiamo con gli occhi del cuore questa natura immensa; il nostro mitico viaggio sta per terminare ma, prima di rientrare a Puerto Bandera, cerchiamo di fermare il tempo lasciandoci andare alle foto di gruppo, sì, proprio a quelle cose che abbiamo sempre visto come “puramente turistiche” con arricciamento del naso! Ma perché non “lasciarsi andare” come tutti i compagni di viaggio? E’ un momento da ricordare per sempre e da poter condividere con coloro che ci aspettano a casa e che in questi giorni condividevano le nostre emozioni tramite “mms” e brevi narrazioni alla “web-cam”.

3 marzo 2010

E’ ora di lasciare El Calafate. L’areo per Buenos Aires pare volerci far salutare questa terra in fase di decollo. Col naso appiccicato al finestrino tento di rivedere alcuni punti di riferimento: lontano, all’orizzonte, le linee nitide delle montagne, sotto di noi El Calafate. Dimenticavo, a cena ieri sera ci hanno fatto assaggiare “el calafate” il frutto che ha il potere di far ritornare in Patagonia chi lo mangia. Buenos Aires ci aspetta ed anche la nostra guida è pronta a darci le ultime comunicazioni. Sono le 11 del tre di marzo 2010, stiamo percorrendo con il taxi l’avenida Libertad e di fronte a noi un grande cartellone ci dice ”Aprehender es mas mucho que estudiar”. E con questo messaggio Buenos Aires ci saluta e ci augura buon rientro in Italia.



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