Natale e capodanno in oman

“ Dove???? Ma che ci vai a fare????” mi sono sentita ripetere più volte da amici e colleghi con volti contratti in espressioni tra l’interrogativo e lo scandalizzato di fronte alla mia ammissione di voler trascorrere le feste natalizie in Oman. Quanto alla mia famiglia, beh, loro malgrado ci sono abituati, sanno che quando mi metto in testa...
Scritto da: Simona Portaluppi
natale e capodanno in oman
Partenza il: 24/12/2003
Ritorno il: 01/01/2004
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
“ Dove???? Ma che ci vai a fare????” mi sono sentita ripetere più volte da amici e colleghi con volti contratti in espressioni tra l’interrogativo e lo scandalizzato di fronte alla mia ammissione di voler trascorrere le feste natalizie in Oman. Quanto alla mia famiglia, beh, loro malgrado ci sono abituati, sanno che quando mi metto in testa di partire non c’è festività o allarme attentati che tenga. Il fatto tuttavia di andare in un paese islamico abbastanza integralista, confinante con l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e lo Yemen, separato dall’Iran solo dal Golfo dell’Oman ha inquietato un pochino anche loro.

Ammetto di essere stata spinta anche da un desiderio di caldo e sole oltre che da un profondo interesse culturale e paesaggistico. Non sapevo quasi nulla dell’Oman, se non che era un sultanato, distava poco da Dubai ed era patria del celebre “Al Bustan Palace”, l’hotel più bello del Medio Oriente della cui esistenza avevo appreso su qualche rivista in passato.

L’Oman si trova nel nostro stesso emisfero ed è attraversato dal tropico del cancro, il clima è caldissimo e opprimente durante i mesi estivi, mentre più ventilato e piacevole durante l’inverno, stagione fortemente consigliata per una visita. Il sole splende e scotta durante il giorno, permettendo bagni in piscina e tintarelle ma appena giunge la sera la temperatura cala di una quindicina di gradi e occorre coprirsi un po’ di più. In inverno capita di vedere anche qualche nuvoletta e non sono neppure del tutto escluse le piogge, cosa che onestamente ignoravo. Non oso pensare a quanto si possa soffrire ad inoltrarsi nel deserto omanita a luglio! Arriviamo a MUSCAT, l’aeroporto As Seeb dista 37 chilometri dalla città. Il nostro hotel si trova a QURM BEACH, zona residenziale caratterizzata dalle abitazioni bellissime di ricchi residenti o dirigenti europei espatriati per ragioni di lavoro. La spiaggia si estende per alcune miglia prima di terminare dinnanzi ad un piccolo promontorio, la zona adiacente è segnata da colline e le strade salgono, scendono e girano intorno ad esse. Qurm beach dista circa 20 chilometri dall’aeroporto e altri 17 da Muscat. Prima di raggiungere quest’ultima si trovano due svincoli per RUWI e MUTRAH, le quali fanno a loro volta parte dello stessa città. In altre parole, quando parliamo della città di Muscat, dobbiamo considerare tutti i quattro satelliti, separati tra loro da diversi chilometri. Questo è molto importante, in quanto ti fa subito capire che non sarai mai in grado di girare la città a piedi! E’ necessario prendere un taxi o affittare un’automobile per potersi spostare da un centro urbano all’altro, in quanto anche il servizio di autobus non è molto frequente ed è piuttosto difficoltoso individuare le fermate. Onestamente non credo che molta gente si sposti con i mezzi pubblici, ci sono in giro parecchie auto..E che auto!!! Non si contano i fuoristrada Toyota mentre di utilitarie nemmeno l’ombra, sfrecciano certi bolidi lucidi e veloci che denotano un tenore di vita decisamente alto. La cosa buffa è vederci alla guida giovani con le tuniche bianche immacolate e in testa il copricapo bianco ricamata. I costumi islamici che si mescolano al simbolo numero uno del consumismo occidentale.

Ci aggiriamo tranquillamente per le strade, io indosso sempre pantaloni o gonna lunghi e T-shirt, non mi sembra rispettoso mettere troppo in vista le mie grazie considerando che le loro donne sono coperte dalla testa ai piedi. Purtroppo il fatto di essere bionda e con la carnagione color latte non mi aiuta a passare inosservata, sento gli occhi su di me, ma non con la stessa insistenza che ho notato in altri paesi arabi.

E’ fastidioso subire gli sguardi insistenti, l’essere bandita da locali e ristoranti sempre e solo per uomini, essere trattata come un suppellettile incapace di esprimere opinioni che vengono in ogni caso ignorate. Me la prendo ogni volta come fosse un fatto personale, ma poi mi costringo ad accettarlo, io qui sono ospite, questo non è il mio paese, non è la mia cultura, e soprattutto non è il mio credo. Mi trovo in un mondo completamente diverso dal mio e se ci voglio rimanere non mi resta che adeguarmi e imparare ad accettare anche comportamenti che non condivido. D’altra parte non approvo nemmeno ciò che avviene a casa mia, dove il corpo femminile viene messo fin troppo in mostra.

Mi riprometto di documentarmi di più sulla condizione femminile da queste parti, penso che l’errore più grande consista nel generalizzare ogni volta che si parla di “Medio oriente” o di “paesi mussulmani”, ciascuno ha costumi diversi, più o meno integralisti.

Le donne si muovono quasi sempre in gruppo, sono tutte, rigorosamente in nero ed hanno il volto o a volte soltanto gli occhi scoperti. Sono truccatissime, e da sotto la tunica si intravedono abiti colorati e scarpe moderne e care. I centri commerciali pullulano di negozi di alta moda italiana, sempre ricchi di clientela femminile, allo stesso modo i tantissimi orefici. La mia impressione è che la tunica nera sia come una divisa che le donne devono indossare quando escono di casa, per non mostrarsi nelle loro forme ad altri uomini che non siano il proprio marito. Ciò forse non significa rinunciare alla proprio femminilità dopo tutto.

Ci sono anche moltissimi indiani e pachistani, li riconosci perché indossano una tunica differente, colorata i primi e bianco panna con i pantaloni larghi i secondi. Anche il copricapo è differente. Le donne indiane si distinguono per i meravigliosi Sari dalle tinte pastello e i volti scoperti, hanno mani e piedi dipinti con la tintura di hennè.

Quella dei tatuaggi di hennè è una vera arte, il corpo diviene una tela su cui imprimere magnifiche immagini floreali o tribali destinate a sbiadire in pochi giorni per lasciar spazio a nuovi disegni. Occorre avere polso fermo, molta creatività e concentrazione, nonché esperienza. Tutte doti che a me mancano, visti i pessimi risultati ottenuti con il tubetto che ho acquistato lo scorso anno a Dubai.

La spiaggia di Qurm è molto tranquilla, costeggiata da una passeggiata in asfalto accanto alla strada costiera, frequentatissima durante i giorni festivi e all’imbrunire, quando gruppi di uomini e famiglie passeggiano o siedono sulle panchine in legno all’ombra delle palme a godersi la quiete e lo spettacolo del tramonto. Al pomeriggio le acque incominciano a ritirarsi fino a raggiungere l’apice della bassa marea poco prima che scenda il sole, allora i bambini corrono sulla poltiglia di sabbia bagnata che emerge e i pescatori ormeggiano le loro barche e disfano le reti. Dal nostro hotel si può accedere alla spiaggia, ma è pubblica, e non me la sento di indossare il bikini, oltretutto l’acqua è molto fredda perciò ci limitiamo a una passeggiata sul bagnasciuga. Le poche persone che vedo immergersi sono uomini, vestiti dalla testa ai piedi.

Muscat non è rinomato per le spiagge, dicono che si debba andare al sud, verso SALAHLA per trovare il mare più bello. Giù il clima è più umido, c’è anche una stagione delle piogge che trasforma radicalmente il paesaggio in tropicale. Ma io non sono venuta fin qui per fare vita da spiaggia, bensì per visitare ciò che di bello ha da offrirmi questa terra arida del nord costituita per lo più da rocce e deserto.

Il modo migliore per muoversi in città è il taxi, ci facciamo portare a Mutrah, le cui maggiori attrazioni sono il suq e il castello. Quest’ultimo è molto suggestivo, soprattutto con il buio della notte, quando i faretti illuminano la cima della montagna sulla quale si erge. Si tratta di una fortificazione edificata dai portoghesi che dominarono a lungo questa terra, lasciando testimonianze un po’ dappertutto. E’ pieno di montagne qui, però sono molto basse, di color ocra, circondano la città e terminano accanto al mare. Il suq è molto frequentato, vi si trovano tutti i prodotti locali per turisti: oggettistica in argento, dipinti, brocche, pashmine, scrigni, incensi, peluche di cammelli che cantano in arabo e il magnifico khanjar, il coltello ricurvo nella custodia che è raffigurato sulla bandiera dell’Oman.

E’ molto bello, probabilmente il miglior souvenir che si possa comprare, purtroppo però, come stanno le cose è piuttosto rischioso presentarsi in aeroporto con un arma di questo tipo, e l’idea di doverlo abbandonare al check in mi fa desistere.

Attraverso il suq si giunge sulla Corniche, una lunga camminata lungomare che porta fino a Muscat. Ci sono moltissimi gabbiani, odore di mare, e alle nostre spalle una magnifica moschea del colore del cielo, in cima alla cupola una luna mezza d’oro, alle sue spalle quella vera.

Non ci sono ristoranti, non nel vero senso del termine almeno, si chiamano snack bar e hanno tavolini di plastica all’aperto, offrono swarma, falafel, spiedini o cosce di pollo, hummus e insalata, un misto di cucina libanese e indiana. Sono esclusivamente frequentati da uomini e bambini, ma qui non mi posso far intimidire, la fame è troppa. Il modo in cui mi sento osservare è strano, vedo curiosità nei volti delle donne, che si sussurrano commenti nelle orecchie quando passo loro accanto, gli uomini invece sono un mistero, non riesco a capire che cosa vedano in me, gli sguardi sono indagatori ma rapidi, mi trattano con estrema cortesia ma non si rivolgono mai a me direttamente, si stupiscono quando sono io ad interpellarli per chiedere informazioni. In altri snack bar un po’ più eleganti, come quelli che ci si trovano nei pressi dei centri commerciali di Qurm beach, ci sono due sale, una per uomini solamente, un’altra per famiglie. Normalmente viene apposta un’insegna all’ingresso, con scritto “family room avaiable”, sta ad indicare che anche noi donne possiamo avere una certa intimità mentre consumiamo il pasto. Questo per non mettere in mostra il viso pubblicamente, dato che per mangiare si è costrette a togliere il velo.

All’inizio avevo male interpretato questa usanza, temevo fosse un modo per ghettizzare le donne, è incredibile quanto l’ignoranza porti ad essere prevenuti e chiusi. Ho letto recentemente su un settimanale l’intervista ad una celebre stilista di Dubai, musulmana osservante, la quale racconta che solo quando è sola con le sorelle o le clienti si toglie l’abaya nero, altrimenti resta coperta per scacciare le tentazioni degli uomini. Mi hanno colpito alcune sue frasi, ” la donna è una perla, è giusto che sia protetta da una conchiglia”…”proprio perché così preziosa si deve offrire alla vista di pochi intimi”. Inoltre “ la bellezza dell’abito non sta nel mostrarlo, ma nell’indossarlo”.

A Ruwi ci andiamo per conto nostro, le strade che si diramano da Muscat sono belle, ben asfaltate e segnalate, perciò decidiamo di affittare un 2WD 1.3.

Il traffico nell’aria urbana è abbastanza caotico e a Ruwi ancor di più. E’ la little India omanita, ben diversa dalla calma e romantica Mutrah. Un insieme disordinato di snack bar, supermercati, negozi di abbigliamento, scarpe, orologi, elettrodomestici.. Gestiti esclusivamente da indiani. E’ il centro vitale della grande Muscat, e lo si nota anche dai palazzi del business district che si ergono a pochi passi dal caos popolare. Alle 21.00 molti esercizi cominciano a chiudere, alle 22.00 la gente per le strade è più che dimezzata. Ho l’impressione che la vita notturna si consumi per lo più nei pub degli hotel di una certa categoria, dove anche gli abitanti locali, insieme ai turisti possono bersi qualche birretta in tutta tranquillità ascoltando musica occidentale dal vivo.

Naturalmente ho voluto andare a visitare l’Al Bustan Palace Hotel, icona del superlusso orientale per eccellenza. Si trova isolato da tutto il resto, raggiungerlo è facile, basta passare da Mutrah, seguire la strada costiera, superare Muscat e proseguire fino a che non lo si vede, un miraggio nel deserto. E’ enorme, con mio disappunto ha una forma piuttosto moderna, esternamente almeno. Come entri nella hall vieni investito da un’ondata di profumo d’ incenso, sembra di stare all’interno di una gigantesca moschea con pareti altissime, mentre un tappeto persiano di dimensioni mai viste copre quasi interamente il pavimento. Mi sento un pesce fuor d’acqua, sono tutti così eleganti qui dentro, temo che ci possano sbattere fuori da un momento all’altro, ma nessuno sembra far caso al nostro abbigliamento.

Onestamente sono stata più impressionata dal Grand Hyatt, di un kitch sfrontato, un misto tra il Caesar Palace di Las Vegas e le residenze dei sultani raccontati da Simbad il marinaio ne “Le mille e una notte”. E parlando di Sultani, quello dell’Oman risiede nella piccola Muscat, in un palazzo piuttosto basso, ma esteso in larghezza, di colore blu cobalto decorato con oro a profusione, un giardino colmo di fiori variopinti e una marea di soldati di guardia. E’ di fronte al mare, dove, su una grossa roccia si erge anche un castello simile a quello di Mutrah. E’ qui che incontriamo la maggiore concentrazione di turisti occidentali, per lo più olandesi.

Le montagne più alte dell’Oman si trovano nei pressi di NIZWA, a circa 3 ore di auto dall’aeroporto di Muscat, una magnifica strada a tre corsie conduce nel cuore del paese, collegando il nord al sud di Salahla, che si raggiunge in circa 8-9ore. Forse perché è Natale, ma il paesaggio intorno mi ricorda il presepe che ha costruito mio padre quando ero bambina, montagnette di carta marrone, verde fatto con gli aghi di pino, casette bianche, pastorelli, asini e caprette. Un susseguirsi di montagne rocciose, un paesaggio lunare e strabiliante si alterna a piccoli corsi d’acqua sotterranei attorno ai quali si svolge la vita dei piccoli villaggi sorti nelle oasi.

Uno di questi è SAMAIL, letteralmente nascosto dalle palme dell’omonima oasi. La moschea più antica di tutto l’Oman si trova qui, ma ora è completamente ricostruita in in blocchi di pietra, accanto ad essa una fortificazione ancora intatta fatta di fango secco e mattoni di pietra. Probabilmente un po’ di pioggia la farebbe crollare, è una fortuna che il clima sia così secco. Passano due minibus, portano i bimbi a casa da scuola, uno per i maschietti e uno per le femminucce. Si sbracciano fuori dal finestrino e ci salutano entusiasti e curiosi, come fossimo noi le attrazioni turistiche. Una donna ci indica invece il punto dove riprendere la fortezza dall’angolazione migliore.

Non tutti parlano inglese qui, la maggior parte della popolazione che vive fuori da Muscat o non lavora in strutture commerciali parla solamente arabo. Io imparo a dire “shukran” (grazie) “afwan” (prego) “sabah al khayr” (buongiorno) e “masa al-khayr” (buonasera), rimangono piacevolmente impressionati quando esordisco con questi termini. Da Nizwa procediamo per BAHLA, una città vivace e pittoresca sorta ai piedi della montagna. Avventurarsi con l’automobile per le sue stradine labirintiche è sconsigliabile, a meno di amare il rischio a tal punto da volersi buttare ad occhi bendati in un dedalo di vicoli e strettoie da perdere il senso dell’orientamento e finire insieme al bestiame nel giardino di qualcuno.

Di lì si raggiunge il massiccio roccioso JEBEL SHAMS il cui picco supera i tremila metri. E’ possibile addentrarsi su di una strada sterrata e raggiungere un punto di osservazione panoramica ma la salita è molto ripida e sdrucciolevole e occorre avere un 4WD.

A JABRIN si trova un altro castello portoghese, il più grande di quelli visti fino ad ora, con la bandiera omanita che sventola in cima alla torre. NIZWA è una gran bella cittadina, una parte centrale circondata da mura alte e massicce fa da teatro alle strette viuzze del suq, fuori da essa la bella moschea e tanti negozi di tessuti dai colori splendidi. Per la strada si aggirano solamente uomini, un gruppetto di cinque donne è seduto sugli scalini di una casa sotto l’ombra dei portici, con il velo tirato anche sugli occhi. Alcuni bambini, anch’essi abbigliati come gli adulti, giocano a palla accanto alle mura, mentre, calato il torrido caldo pomeridiano, con l’arrivo della brezza serale, riaprono le serrande dei negozi.

Una pasticceria vende, tra le altre cose, paste sfoglie ripiene di pollo, uova, curry, cipolle, penso sia una specialità, l’ho già viste altrove.

Lungo la strada vediamo numerose moschee, tutte diverse l’una dall’altra, quanto a dimensioni, colori, decorazioni, e quando giunge la sera vengono illuminate dai faretti e sembrano ancora più belle. Mi viene da pensare alle nostre chiese, in Italia, anch’esse tutte diverse tra loro, in base allo stile architettonico, l’anno di costruzione, i santi cui sono dedicate e anch’esse affascinanti e romantiche al calar delle tenebre.

Quale sarà la ragione per cui esiste tanta diversità tra le diverse moschee? Alcune hanno il minareto sulla cui cima si trova l’altoparlante che diffonde la voce del Muezin per le strade, altre no. Alcune sono bianche, altre variopinte, l’ingresso alle donne è quasi sempre vietato, in certi casi si trova affisso all’ingresso un cartello che nega l’ingresso ai non musulmani.

La più impressionante è “la grande moschea”, di dimensioni veramente incomparabili, completamente bianca, non la si può non ammirare sul lato destro lungo la strada che dall’aeroporto conduce a Qurm beach. Lasciate le montagne, ci imbarchiamo in una impresa non molto semplice, raggiungere SUR lungo la strada costiera. La mappa stradale di cui disponiamo in questo viaggio, altro non è che una fotocopia consegnataci dall’impiegato dell’agenzia di noleggio a Muscat. Rappresenta solo una parte dell’Oman, e manca la legenda a piè di pagina, la rete stradale si divide in percorsi neri, bianco e neri, bianchi. Viste le magnifiche strade trovate fino a quel momento avevo dedotto che le nere fossero le superstrade, le alternate strade provinciali e le bianche stradine locali ad una corsia. Nulla di più sbagliato. Nemmeno la guida di cui disponevo era troppo chiara in proposito. Perciò, quando su di essa trovavo la definizione “blacktop road” pensavo si trattasse di una superstrada, ma solamente nel momento in cui siamo giunti a Quriyat mi sono resa conto che il significato corretto è “asfaltata”.

Questo per dire che da QURIYAT a Sur si procede lungo cento chilometri di strada sterrata, fatti in parte di salite e discese vertiginose su colline a strapiombo sul mare. Sempre la nostra guida riporta che è possibile effettuarla con un 2WD, sebbene un 4WD sarebbe preferibile. Bene, se le avessimo dato retta avremmo probabilmente dovuto ripagare interamente il prezzo dell’automobile danneggiata alla riconsegna.

Facendo un passo indietro, da Muscat a Quriyat, cittadina dal grazioso porticciolo dei pescatori, si possono ammirare alcuni tra i più bei paesaggi del nord dell’Oman. E’ puro deserto roccioso, ed è bellissimo, se si ama il genere chiaramente, ma la cosa più bella è vedere cammelli e dromedari che pascolano liberamente.

Per raggiungere Sur su strada asfaltata occorre tornare a Muscat, seguire per As Seeb , poi prendere la direzione Nizwa e svoltare a sinistra al primo svincolo di Bid Bid. Sono circa quattrocento chilometri, in quanto si passa per l’entroterra per poi rispostarsi lungo la costa.

A circa metà strada, all’altezza di Ibra, il paesaggio comincia a cambiare, le rocce pian piano lasciano spazio alla sabbia e alle dune del deserto. Siamo in prossimità di WAHIBA SANDS, la maggior attrazione turistica del paese.

Con l’automobile si corre praticamente al fianco delle dune, è possibile abbandonare la strada principale, addentrarsi di cinquecento metri, lasciare l’auto e salirci a piedi per poi godere del panorama che si estende a perdita d’occhio.

Noi lo facciamo, arrampicarsi sulla sabbia è molto faticoso, per ogni passo che faccio verso l’alto scivolo giù di altri tre, il caldo è soffocante, sto per desistere ma so che me ne pentirei, così proseguo e…WOW, la sensazione che provo mi toglie il poco fiato rimasto, mi fa scivolar via la fatica di dosso. E’ meraviglioso, è ciò che più di ogni altra cosa esprime il concetto di infinito. E’ il deserto.

Ha una estensione di circa 150 chilometri quadrati, e termina da un lato sulla costa est dell’Oman. Naturalmente l’industria del turismo si è data da fare per sfruttare al meglio questa risorsa, organizzando ogni genere di gita di uno o più giorni su fuoristrada o su cammelli, con partenze dalle vicine Muscat e Sur.

SUR è una città di mare, ma non nel senso che intendiamo noi, fatto di spiagge e bagnanti, bensì perché vi si trovano barche e pescatori. Il nostro albergo è sul lungomare, in una zona tranquilla ad un paio di chilometri dal centro città. La spiaggia è fatta di sabbia e roccia, il mare è molto mosso ed è pericoloso fare il bagno, il rischio è di essere sospinto da un’onda contro le rocce scivolose e farsi male. C’è anche qui un po’ di vento, ma è più caldo di quello a Muscat, anche le serate sono più calde. Di recente è stata costruita una strada pedonale sul lungomare, al momento lunga solo un chilometro, affiancata da alcuni lampioni, è piacevole passeggiare, assaporare il profumo della salsedine, farsi accarezzare dalla brezza marina, osservare la gente seduta a chiacchierare sulle panchine dei gazebo.

Ci sono uomini ma anche donne, camminano fianco a fianco, ma niente mano nella mano e niente effusioni, una coppia siede sulla spiaggia, di fronte al mare. Contrariamente a quello che mi sarei aspettata vedo costumi più liberi qui rispetto alla più cosmopolita Muscat.

Nel nostro hotel c’è un night club dove si esibisce una band russa, accanto ad esso un locale senza finestre dal quale esce sempre musica araba a tutto volume, vedo entrare molti uomini, penso ci siano delle ballerine.

Le abitazioni nei dintorni sono molto belle, tutte bianche e con ingressi sontuosi, le facciate colme di finestre tendate dalle quali non si può vedere l’interno. Alcune hanno delle sbarre, chissà se per bellezza o difesa.

Da qui organizzano anche gite notturne in fuoristrada per andare a vedere le tartarughe marine che depongono le uova a RAS AL JINZ, ma non è questa la stagione migliore, si corre il rischio di fare centotrenta chilometri per nulla. I mesi ideali sono settembre e ottobre, e la cosa migliore è pernottare in un hotel a Al Hadd, alzarsi prima dell’alba e disturbare le povere creature in spiaggia.

Noi optiamo per una gita fai da te, affittiamo un fuoristrada per un giorno e ci rechiamo a vedere proprio quel pezzo di strada costiera verso Quriyat che pochi giorni prima ci era stato precluso, Il primo tratto è il peggiore, su è giù per una strada sterrata stretta e ripida, col terrore di incontrare altri mezzi che ci vengono incontro o che ci si fermi l’auto proprio a metà di una salita. Ma con il 4WD è tutta un’altra storia, tiene la strada benissimo e anche i sassi sparatici addosso accidentalmente dalle ruote degli altri non sembrano scalfire la forte corazza che ci protegge.

Grazie al cielo il buon senso non ci ha fatto procedere con la nostra auto, sarebbe stato un vero massacro. Il panorama è mozzafiato, scogliere a picco sul mare contro le quali si infrangono le onde impetuose, montagne alte e cupe che incombono sul lato opposto. Dopo il primo tratto più difficoltoso, la strada diviene pianeggiante, fatta eccezione per alcuni tratti dove sembra scomparire, e ci si trova davanti ad una discesa a novanta gradi con relativa risalita. Questo accade in prossimità dei WADI, antichi guadi di fiumi che una volta attraversavano le montagne e dei quali ora rimangono solo delle profonde ferite, come tanti piccoli canyon. Alcuni di questi sono tutt’ora delle magnifiche e verdi oasi, nelle quali ancora scorre acqua fresca e sono proprio quelle che stiamo andando a visitare.

Un tempo doveva esserci più acqua in Oman, a giudicare dai numerosi wadi che si incontrano lungo le strade, si scorgono dei palmeti in alcuni di essi, il che significa che dell’acqua scorre sottoterra.

Giunti a TIWI ci ritroviamo nel paradiso terrestre, prato verde, palme, pastori, pecore, asinelli, la cosa più incredibile che ci si possa aspettare di vedere in un posto così arido. Subito dopo, sulla sinistra posteggiamo l’auto, saliamo su una barchetta con la quale dei bambini ci portano in pochi minuti dall’altra parte del guado, punto nel quale ha inizio la camminata nel WADI AL SHAB. E’ il più famoso, attrazione numero due dopo il deserto dell’Oman.

Seguiamo un sentiero lungo il corso d’ acque dolce verde smeraldo, ci troviamo in un canyon, montagne attorno a noi, ma vegetazione tropicale sotto di noi, è meraviglioso. Dopo circa un’ora giungiamo in un punto dove è possibile tuffarsi, l’acqua raggiunge la profondità di diversi metri e dall’alto delle rocce diversi giovani turisti olandesi impavidi affrontano la loro prova di coraggio. Si odono urla provenire da più avanti, è il punto dove il fiume entra in una grotta e prosegue il suo viaggio sotterraneo. Si può raggiungere solamente a nuoto, il sentiero finisce qui.

L’acqua è gelida, la temperatura esterna non è così eccessiva da infondermi il coraggio necessario per un tuffo, ci limitiamo a contemplare, affascinati, lo spettacolo naturale che ci circonda. Mi meraviglio sempre davanti alla forza e la bellezza di ciò che madre natura offre ai nostri occhi increduli in ogni parte del mondo in cui ci troviamo. La camminata ha la durata di circa due ore, meglio effettuarla nei mesi meno caldi, altrimenti può essere molto difficoltosa in quanto i raggi del sole giungono con tutta la loro forza attraverso la ferita nelle montagne.

Da Ash Shab non resta che tornare indietro e fare un’ultima tappa presso una costruzione diroccata dove un tempo sorgeva QALHAT, probabilmente il centro abitato più antico dell’Oman. Sono rimaste solamente una tomba e una cisterna, oltre ad un cartello scritto in inglese sul quale leggiamo con piacere e sorpresa che anche Marco Polo è passato di qui.



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