Viaggio alla scoperta della natura norvegese

Un piccolo racconto sulla mia esperienza insieme ai miei due compagni di viaggio a Bergen ed attraverso le tre rocce più famose della Norvegia: Trolltunga, Preikestolen e Kjeragbolten
Scritto da: Paoloarountheworld
viaggio alla scoperta della natura norvegese
Partenza il: 27/08/2017
Ritorno il: 03/09/2017
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €

GIORNO 1

Arriviamo all’aeroporto di Bergen con un volo partito ovviamente in ritardo da Fiumicino. Dopo aver scattato l’immancabile foto con sullo sfondo la scritta “BERGEN?”, ci dirigiamo di nuovo all’interno dell’aeroporto per ritirare la nostra auto e ci dirigiamo subito verso la città di Bergen.

Posteggiamo all’interno di un centro commerciale (Storsenter), pagando poche NOK in cambio di un parcheggio riparato. Piccolo giro al porto, cambio dei soldi, rapida spesa per giusto l’essenziale e partiamo alla volta di Odda.

Purtroppo, un po’ sprovveduti ed ancora per nulla pratici di quello che potevano essere le tempistiche degli spostamenti in auto in Norvegia, rimaniamo senza un riparo per la prima nottata; “decidiamo”, quindi, di dormire direttamente in auto. La peggiore dormita di tutta la settimana, o almeno così credevamo al nostro risveglio.

GIORNO 2

Dopo un paio d’ore di riposo in totale, passate a girarci tra il caldo e il freddo, veniamo svegliati dalle prime luci dell’alba e ci accorgiamo di essere rimasti a dormire di fronte ad un negozio di vernici, con la canna da pesca proviamo a fare qualche lancio nel fiordo in cerca di merluzzi, mentre gli imbianchini ci guardano con fare circospetto.

Ci diamo una sciacquata e partiamo per recarci alla zona base del Trolltunga (Skjeggedal Carpark). Un po’ confusi dalle indicazioni e dopo esserci fermati per strada un paio di volte per chiedere informazioni, incontriamo un signore anziano molto gentile che ci suggerisce una fantastica dritta per non pagare i 500 NOK del parcheggio: nemmeno 1 km dopo la base c’è una diga, con di fronte una miniera o qualcosa di simile: si può parcheggiare gratis lì. Gli avevamo promesso che non l’avremmo detto a nessuno… Ops.

Dopo aver sistemato gli zaini con tende e affini, e probabilmente avendo con noi anche molto più del necessario, inizia la salita. Un susseguirsi di paesaggi totalmente diversi l’uno dall’altro, che sembrano non appartenere nemmeno allo stesso tipo di ambiente. Si parte su una strada di brecciolino dove ancora circolano le macchine che vanno al parcheggio soprastante. Si segue per una lunga zona in mezzo agli acquitrini, salendo per delle “scale” di roccia che portano successivamente su una lastra di pietra scivolosa che ha tutta l’aria di essere formata dallo scorrere delle acque piovane. Si arriva poi in una zona più piatta in cui si formano alcuni laghetti (appurato: non ci sono pesci lì dentro), giungendo più avanti in una zona che si affaccia sul fiordo e che, personalmente, ho trovato essere la più suggestiva.

Durante le pause sorseggiamo acqua piovana e recuperiamo energie con sottili salamini norvegesi (che battezziamo “peni di cervo”) e panini con skinke, un orrendo surrogato del prosciutto cotto. Da esausti ci sembra squisito e durante le pause lo trangugiamo con avidità.

Siamo circa a tre quarti del tragitto e da qui in poi il paesaggio cambia poco: si cammina bene o male sempre sul fianco della montagna che dà sul fiordo. In effetti, questa è la zona che più ci è costata maggior fatica mentale perché avevamo continuamente l’impressione che si stesse per arrivare, quando invece non era così e la luce del giorno continuava a diminuire incessantemente. Qui notiamo come sia variabile il tempo: sole e pioggia che si alternano continuamente, confermando il mito per cui in Norvegia è impossibile far previsioni meteo accurate. Incontriamo una guida che vedendoci con gli zaini carichi, ci chiede se abbiamo intenzione di dormire in cima. Ci avverte di prepararci a una nottata molto ventosa.

Dopo circa 10 ore passate a camminare, finalmente arriviamo in cima. Fa freddo, la pioggia aumenta e noi siamo stremati: decidiamo quindi di dare solo un rapido sguardo alla tanto agognata roccia, rendendoci conto di quanto sia spaventosa al buio, per poi sbrigarci a trovare un posto in cui piantare la tenda. Il freddo e la pioggia, ma soprattutto il vento e il buio che sopraggiunge, rendono l’operazione una vera sfida. Il terreno, prevalentemente roccioso, non si presta minimamente ad essere picchettato, le poche zone non costituite da lastre di roccia nuda si rivelano essere ormai impregnate di acqua e dense di frammenti rocciosi che rendono davvero difficile spingere i picchetti fino in fondo. La totale assenza di vegetazione o di rilievi ci rende impotenti di fronte alla forza del vento. Dopo circa mezz’ora notiamo che i pochi temerari che hanno deciso, come noi, di accamparsi in cima per poi ridiscendere il giorno dopo, sono già nelle loro tende. Probabilmente sorseggiano tè caldo mentre noi esultiamo per aver appena spinto alla base il nostro terzo picchetto. Hanno portato con loro tende da bivacco, leggere e veloci da montare. La nostra è una tenda da campeggio, pesante quanto tre o quattro delle loro ed estremamente lenta nel montaggio. I loro materassini sono in schiuma espansa, dopo essere srotolati sono pronti per essere usati. I nostri materassini sono in pesante pvc e vanno gonfiati con la pompa a pedale. Insomma, dopo non meno di un paio d’ore riusciamo a infilarci in tenda. Siamo esausti, infreddoliti, consapevoli che metà della nostra attrezzatura è rimasta a inzupparsi fuori dalla tenda per mancanza di spazio. Lo spazio per trovare la posizione “comoda” e addormentarsi è inesistente. L’odore di sudore che non vuole saperne di uscire dalla tenda è insopportabile. Il rumore della pioggia che scroscia sulla tenda è incessante. Il vento attraversa il fiordo, dopo averlo risalito ci investe violentemente, flettendo gli steli della tenda e schiacciandola sui nostri volti. Siamo terrorizzati dall’idea che qualche picchetto possa cedere a causa del terreno zuppo, permettendo al vento di portarci via il telo di copertura e lasciarci in balia delle più avverse condizioni atmosferiche che potevamo aspettarci di incontrare. A volte ci sembra di sentirlo, il telo di copertura che vola via, ma stiamo sognando. Nonostante tutto ciò, riusciamo a dormire più della notte precedente.

GIORNO 3

Ci svegliamo prestissimo, credo attorno alle sei. La tenda è ancora in piedi, i picchetti hanno retto. Sistemiamo l’attrezzatura come meglio possiamo e ci vestiamo con i pochi vestiti rimasti parzialmente asciutti. Ci rendiamo conto che lo skinke è arrivato alla fine del suo ciclo vitale, facciamo quindi una visita ai servizi igienici del Trolltunga: sopra uno strapiombo roccioso di qualche metro si erge una struttura in legno di poco più di un metro quadro, il cui unico elemento d’arredo è una piccola panca con un buco in mezzo. La porta non c’è, sarebbe costata troppo. L’avrebbe pagata volentieri il tedesco che abbiamo sorpreso alle sei di mattina intento ad espletare le sue funzioni corporali.

Il cielo è limpido, ci rendiamo conto di quanto la fatica del giorno prima sia stata ben ripagata: un panorama incredibile, sicuramente indimenticabile, davanti al quale è impossibile restare indifferenti.

Devo essere onesto: certamente non siamo arrivati nello stato di forma ottimale per affrontare questa salita, ma la difficoltà per raggiungere la cima è stata decisamente elevata. Probabilmente sono stati i 14km più faticosi delle nostre vite. La fine sembra non arrivare mai e spesso ci siamo sentiti un po’ come se forse non ne sarebbe valsa la pena. Invece ne vale la pena, ECCOME.

La roccia è spaventosa vista dall’alto, quando ci si è sopra invece non si ha la percezione della propria posizione precaria e si guadagna un ingannevole senso di sicurezza, che svanisce non appena si arriva sul ciglio. È ancora mattina presto, e sulla roccia ci siamo noi e pochi altri. Il panorama è sensazionale e vorremmo rimanere più a lungo, ma ci rendiamo conto che la discesa è lunga e abbiamo ancora molto da fare.

Scattate le centinaia di foto di rito e girati alcuni video, iniziamo a scendere. Siamo affaticati ma l’esperienza del giorno prima ci ha reso più forti, siamo consapevoli che la discesa non è solo in senso letterale.

Durante le circa 8 ore di discesa, aggravate dal maggior peso degli zaini che ora portano indumenti e attrezzature intrise di acqua, ci rendiamo conto che sarebbe stata necessaria una notte in hotel o Bungalow, per cui una volta arrivati in auto decidiamo di cercare qualcosa su booking. Troviamo una struttura relativamente poco costosa in una posizione ottima per le due rocce successive nella cittadina di Hjelmeland.

Dopo aver steso tutta la roba bagnata in camera con un complesso sistema di cavi da noi inventato, mangiamo e ci mettiamo a dormire sul presto; il giorno successivo ci aspettava il Preikestolen.

GIORNO 4

Decidiamo sin da subito che saremmo rimasti una seconda notte in struttura, data la comodità della posizione rispetto anche alla terza tappa del tour. Ci prepariamo e partiamo quindi con relativa calma. Arriviamo alla base del Preikestolen (qui non avevamo scuse, il parcheggio ci è toccato pagarlo ben 200 NOK) e ci incamminiamo subito. Tra un lampone e l’altro, saliamo per l’ennesimo susseguirsi di paesaggi di varia natura. Rispetto alla salita per il Trolltunga, questa è molto più corta e meno faticosa, ne è testimonianza il fatto che incontriamo numerosi bambini e anziani sul percorso. Mantenendo un ritmo tranquillo, riposandoci spesso per bere e per mangiare, noi ci abbiamo impiegato circa 3 ore per arrivare in cima. L’ultimo tratto è sicuramente il più suggestivo: circa 1km prima dell’arrivo si giunge su delle pareti scoscese, dove qualcuno non troppo amante dell’altezza potrebbe anche aver difficoltà a procedere.

Ovviamente però la nostra meta è ben altro, e ci saremmo arrivati di lì a poco: il Preikestolen ci si presenta dal suo lato sinistro. Sarò sincero, il paesaggio da sopra la roccia è stupendo, probabilmente il più bello dell’intera vacanza, ma la vista della roccia stessa non mi ha lasciato granché. L’unica cosa che salta all’occhio all’altezza della roccia è la parete quasi perfettamente verticale che la sostiene. Rimaniamo lì per una mezz’ora, ci riposiamo e decidiamo poi di arrampicarci ancora, su una parete molto più complicata, per vedere se riusciamo a vedere il Preikestolen dall’alto.

Adesso sì che abbiamo LA vista: da circa una ventina di metri più in alto, la forma della roccia è molto più chiara, e finalmente capiamo il motivo per cui viene chiamata “pulpit rock”. Si riesce a vedere bene sia da destra che da sinistra, tanto che è impossibile non trovare la scusa per cambiare foto profilo su Facebook.

Finito il solito giro di foto, torniamo alla macchina. Nonostante la relativa facilità della passeggiata, siamo comunque molto stanchi al nostro rientro. Dopo una breve e vana pescata e una rapida spesa, rientriamo al nostro camping. Fortunatamente, avevamo a disposizione una cucina e un grande tavolo dove potevano mangiare tutti gli ospiti insieme. Per tenere alto lo stereotipo italiano abbiamo monopolizzato i fornelli con una pentola titanica per far bollire l’acqua e una padella mastodontica dove preparare il sugo. Siamo stanchi dello skinke. Accanto a noi un signore cinese prepara in un pentolino della verza bollita con alcune polpette, usando l’ultimo misero fornellino rimasto. Ci chiede se siamo italiani mentre mantechiamo un chilo di fusilli dentro un mare di sugo di tonno. Rinvigoriti dall’abbondante cena, nonostante i fusilli Barilla norvegesi non c’entrino nulla con quelli italiani, andiamo soddisfatti a dormire.

GIORNO 5

Per l’ultima delle passeggiate ci siamo dovuti alzare molto presto; abbiamo scoperto che, nonostante la relativamente breve distanza che ci separava dalla base del Kjeragbolten, ci avremmo impiegato circa 5 ore ad arrivare. Considerando che tutte le guide, sovrastimando la camminata, ci indicavano un tempo per andare e tornare di circa 8 ore, non abbiamo avuto molta scelta. Comunque, dopo aver caricato la macchina lasciamo per l’ultima volta il camping ed andiamo. Alla base ci aspetta un bel parcheggio ben organizzato, affianco al quale c’è anche un ristorante (“where they sell the most expensive waffles in the world”, ha aggiunto il parcheggiatore).

Ci incamminiamo alleggeriti di due zaini su tre, per evitarci fatiche inutili; per fortuna abbiamo fatto questa scelta, dato che la salita è tanto ripida da necessitare di sostegni metallici per “arrampicarsi”.

Il primo tratto è molto scosceso e, in alcuni momenti, ha l’apparenza di non essere troppo sicuro; specie sulla cresta, dove il vento tira forte e quasi riesce a spostare le persone. Un ragazzo inglese urla disperatamente il nome della sua compagna, crede che sia caduta dalle rocce. Fortunatamente dopo circa un quarto d’ora la ragazza riappare. È tutto surreale. Andando avanti c’è una grossa zona pianeggiante, nella quale si crea anche una piccola valle che ha un aspetto molto particolare. A noi ricordava la Contea del Signore Degli Anelli, con il vantaggio di essere tappezzata di squisiti mirtilli.

Lungo il tragitto non ci sono molte indicazioni riguardo la strada percorsa, il che ha fatto sì che, almeno per noi, la strada è sembrata più corta di quello che ci si aspettava. Dopo un lungo tratto dove le uniche cose visibili erano il cielo, la roccia e una parte di fiordo sulla destra. All’improvviso, quasi a sorpresa, si intravede in fondo ad una specie di vicolo di roccia, e in fondo ad esso il Kjeragbolten!

Una volta visto da lontano, ci è venuto spontaneo correre per arrivarci prima.

Giunti lì di fronte, la sensazione che trasmette è strana. Un misto di paura e di “ma come cavolo c’è finito qui?”. Di fianco alla pietra incastrata c’è una fila di coraggiosi che hanno voglia di salirci sopra per farsi fare una bella foto a 1100 metri. Ovviamente noi non eravamo tra loro. Anche qui approfittiamo della sacrosanta sosta per riposare le gambe e mangiare le nostre barrette ed i salamini che ci hanno accompagnato per tutte le scarpinate. Tornati giù, dopo aver raccolto altri fantastici mirtilli selvatici, riprendiamo l’auto e decidiamo di avvicinarci il più possibile a Bergen; abbiamo trovato una struttura a Røldal, di strada e a metà tragitto, apparentemente perfetta. Una volta arrivati ci accorgiamo del motivo per cui il prezzo su booking fosse così vantaggioso. La struttura è un rifugio sciistico durante la stagione invernale, al buio è spettrale, non c’è un ingresso ben definito, non c’è reception e l’intera struttura appare disabitata. Sembra l’hotel di “Shining”. In una delle innumerevoli stanze sentiamo finalmente dei rumori, bussiamo, un ragazzo ci dice che bisogna contattare la proprietaria per telefono. La proprietaria è Randi, una sinistra signora scarna e dai capelli grigi che attraverso un lungo corridoio ci accompagna nella nostra stanza, angusta, sporca, rivestita di attempata moquette e carta da parati fuori moda anche lo scorso secolo. Su uno dei materassi si palesa una misteriosa chiazza marrone. Decidiamo di dormire vestiti.

GIORNO 6

Senza fretta, ci svegliamo e ci prepariamo per finire la nostra tappa verso Bergen.

In questo giorno non abbiamo fatto granché, per lo più la cosa che ci ha impegnati è stata la strada, che neanche a dirlo è ancora una volta un susseguirsi di paesaggi bellissimi, pazzeschi e tanto diversi da non credere di essere sempre nella stessa nazione. Addirittura ad un certo punto sembrava di essere in Sudafrica. Impossibile descrivere questi luoghi: per capire cosa si intende è necessario visitarli; ogni cento metri vien voglia di fermarsi per fare fotografie.

Per l’ultima notte, abbiamo deciso di coccolarci un po’ e di prenotare un vero Hotel al centro di Bergen. Arrivati in città, troviamo subito il parcheggio coperto (consigliato dall’hotel stesso) che ovviamente aveva un prezzo alto (230NOK per notte, ovvero circa 25 euro).

Decidiamo di trattarci bene per cena, dopo aver girovagato per il mercato del pesce alla ricerca di idee, ci sediamo e ordiniamo una zuppa di pesce mista, del baccalà al pomodoro e della carne di balena. Una settimana dopo il nostro rientro la caccia alle balene è stata bandita in Norvegia, ci riteniamo quindi fortunati per essere stati tra gli ultimi a poterne assaggiare la carne, dal gusto davvero particolare e molto forte, sicuramente per pochi.

Rientrati in albergo ci facciamo delle vere docce, diamo una veloce sistemata ai bagagli e ci mettiamo a dormire.

GIORNO 7

L’ultimo giorno della nostra vacanza lo abbiamo passato gironzolando per Bergen: una città piccola ma che vale veramente la pena di visitare. Ci sono due mercati del pesce: uno ufficiale ed uno ufficioso. Ci sono moltissimi italiani e spagnoli, che ovviamente ti invogliano ad assaggiare ed acquistare i prodotti dei loro banchi. Per chi ha dei regalini da fare e ama far conoscere i prodotti culinari di altri luoghi, questo è il posto ideale dove far compere. In generale tutto costa molto, ma alla fine quando si è in vacanza, chi guarda al portafogli? Superato il mercato “ufficioso” e la punta del fiordo che taglia la città in due, c’è il famoso quartiere Bryggen. Un luogo le cui strutture sembrano ancora ferme al 1800. Effettivamente è piccolo, ma ci sono molti negozi (sia sulle famose case colorate che si affacciano, sia all’interno) dove si possono comprare piccoli oggetti di qualsiasi natura: pellicce, gadget, canne da pesca, borse in pelle e piccoli troll portafortuna.

Dopo aver girovagato per la città per un po’, siamo tornati all’aeroporto a consegnare l’auto, poi siamo tornati con un trenino. Per perdere tempo, ci siamo messi a pescare vicino al porto, a Bontelabo, dove attraccano i traghetti. Noi abbiamo preso due pollack (merluzzi neri) e uno sgombro, che grigliati al momento hanno costituito la nostra ultima cena norvegese. Per fortuna c’erano due signori di origine africana che, avendo vissuto in Italia, hanno potuto spiegarci come usare il nostro grill portatile.

La nostra vacanza finisce dopo una serata nella città e una nottata scomoda a dormire in aeroporto, ma comunque non la meno confortevole di tutte 🙂

NOTE

1. Al ritiro dell’auto ci sono stati chiesti in anticipo 3000 NOK per il deposito cauzionale (questo sul sito della Hertz non era scritto, ma fa nulla). Piccolo consiglio: se potete, utilizzate una carta di credito; altrimenti vi verranno presi e congelati i soldi (sono oltre 300€) dal conto, fino ad un paio di giorni dopo la restituzione del veicolo.

2. Il cambio per noi con l’euro è leggermente sfavorevole. Un signore di un infopoint ci ha consigliato di cambiare in un posto vicino al mercato del pesce di Bergen, perché non facevano pagare le tasse. Effettivamente è stato così, solo che anziché cambiare a 1€=9,85NOK ci hanno fatto 1€=7,96NOK. Occhio quindi al tasso di cambio che vi viene fatto. Se avete tempo girate un po’, i luoghi per cambiare non mancano e sicuramente qualcuno conviene sull’altro.

3. L’acqua in Norvegia costa tantissimo, una roba tipo 5€ per litro. La cosa buona è che ogni rubinetto o torrente fornisce acqua potabile, quindi il mio consiglio è di fare come noi: prendere una tanica di acqua e riempirla una volta finita con acqua “raccolta”. Fidatevi: anche il sapore è migliore di quella in bottiglia.

4. Come in tutta l’Europa, internet è disponibile senza sovrapprezzo come se ci si trovasse ancora in Italia. Tra l’altro, la ricezione è ottima tanto in città quanto in alta montagna (non abbiamo mai avuto mancanze di linea, se non in alcune gallerie)

5. Se affittate l’auto, preparatevi a spendere più di quello che avete preventivato: tanti tratti di strada sono a pagamento e, tramite una sorta di telepass, vi verranno addebitati dei soldi per questi (non molto, una media di 15NOK). Inoltre, in molti casi sarete costretti a prendere dei traghetti che fanno da spola. Questi hanno prezzi variabili anche a seconda di quante persone ci sono in auto. Noi in tre pagavamo una media di 150NOK per traghetto.

6. Per il trasporto dall’aeroporto alla città di Bergen (che non distano poco tra loro), molti siti consigliano di prendere un taxi (circa 500NOK a corsa) o un bus (circa 200NOK a testa), per un tragitto di circa 25/30 minuti; noi un po’ per caso ed un po’ per fortuna, abbiamo trovato un trenino che impiega circa 40 minuti e che costa solo 64NOK a persona, a tratta. Si prende proprio sotto l’aeroporto ed i biglietti si fanno in un istante con le macchinette automatiche davanti ai binari.

Le strutture che abbiamo utilizzato per dormire sono state:

Camping a Hjelmeland: https://www.booking.com/hotel/no/hjelmeland-hostel-nokling.it.html?aid=375011;sid=29e15cc0eea6ffb2e17c952cf3653104

Motel su strada a Røldal: https://www.booking.com/hotel/no/hay-radalen-hytteutleige.it.html?aid=356981;label=gog235jc-hotel-XX-no-hayNradalenNhytteutleige-unspec-it-com-L%3Ait-O%3AwindowsS10-B%3Achrome-N%3AXX-S%3Abo-U%3AXX-H%3As;sid=1ba7020f8cd3239a6e5b5375a99fa756;dist=0&sb_price_type=total&type=total&

Hotel a Bergen: https://www.booking.com/hotel/no/p-hotels-bergen.it.html?aid=375011;sid=29e15cc0eea6ffb2e17c952cf3653104

Un breve video in cui mostro ciò di cui parlo: https://www.youtube.com/watch?v=ojYP6g4mVzE



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