Norvegia “fai da te”? Si può fare!

Dove andiamo in ferie?... – Io volevo andare in Umbria; lei, mia moglie, voleva andare in Norvegia e soprattutto alle Isole Lofoten. Ero preoccupato per mio figlio (Francesco detto Pito Pato, due anni di energia pura...) e per la fatica che poteva costare portarlo in giro così lontano da casa, ma poi... Iniziai a frequentare i siti che...
Scritto da: marenkus64
norvegia fai da te? si può fare!
Partenza il: 08/08/2008
Ritorno il: 24/08/2008
Viaggiatori: in coppia
Dove andiamo in ferie?… – Io volevo andare in Umbria; lei, mia moglie, voleva andare in Norvegia e soprattutto alle Isole Lofoten. Ero preoccupato per mio figlio (Francesco detto Pito Pato, due anni di energia pura…) e per la fatica che poteva costare portarlo in giro così lontano da casa, ma poi… Iniziai a frequentare i siti che parlavano di viaggi e mi imbattei in un servizio fotografico proprio sulle magiche Lofoten ed a quel punto il fotoamatore che si nasconde in me convinse il padre preoccupato: si poteva iniziare!!! L’ITINERARIO – Per farci un’idea più precisa iniziammo con l’acquisto di alcune guide di viaggio (cfr Bibliografia); altro utilissimo materiale ci venne poi inviato a casa da Innovasjon Norge – Ufficio Norvegese per il Commercio e il Turismo (Via Puccini 5 – 20121 Milano – Tel. +39 02 85451450 Fax +39 02 85451440; e-mail milan@innovationnorway.no ) dopo il semplice invio di una richiesta via mail. Anche il sito www.visitnorway.it fu di grande aiuto: vi trovai guide da scaricare (che però si reperiscono facilmente anche nei fornitissimi uffici del turismo delle varie città), indirizzi di alberghi e molte altre preziose informazioni. Dopo lunghe e attente letture (da parte di mia moglie Elisabetta) e serate passate davanti al computer a navigare su internet in cerca di diari e opinioni di viaggio (questa parte del lavoro l’ho svolta logicamente io…) l’itinerario fu così stabilito: la prima tappa sarebbe stata giocoforza Oslo, destinazione del volo Ryan Air risultato il più economico (cfr Volagratis.com) in partenza dall’aeroporto di Orio al Serio; ci saremmo poi spostati a Bergen via treno, (NSB-ferrovie norvegesi) dove ci aspettava la crociera sul “mitico” Hurtigruten, il postale dei fiordi, che ci avrebbe portato a Svolvaer, il porto principale delle magiche Isole Lofoten; dopo quattro giorni saremmo ritornati sul continente per visitare Trondheim, l’antica capitale dei vichinghi, dalla quale saremmo ripartiti per il lungo viaggio di ritorno in Italia. NORVEGIA “FAI DA TE”? Si può fare… – Certo che si può fare: ci vuole però un minimo di pazienza (anzi, a volte più di un minimo…) un computer collegato ad Internet (anche senza l’ADSL, così come sono io…) una carta di credito ed una minima conoscenza della lingua inglese; a quest’ ultima cosa ha provveduto Elisabetta, laureata con lode in lingue. Quando non c’era, ho usato un semplice programma di traduzione (io ho “L&H Power Translator Pro” ma ce ne saranno a frotte in giro, sicuramente scaricabili anche dalla rete); se vi manca la conoscenza della lingua inglese quindi non c’è problema, se non avete il computer siete messi un po’ peggio ma SOPRATTUTTO dovete avere pazienza: anche cercare gli alberghi, contattarli e infine scegliere quello più adatto a voi può costare ore preziose rubate al sonno o alla famiglia; se non ve la sentite, rivolgetevi ad una buona agenzia di viaggio, spenderete di più ma sarete più rilassati. Visto che mi rivolgo a chi di pazienza e buona volontà ne ha, vi racconto subito il problema principale che ho avuto: come prenotare direttamente la crociera con l’Hurtigruten? Molti diari di viaggio avevano consigliato di rivolgersi ad agenzie, per diversi motivi che andavano dalla difficoltà di districarsi sulla home-page della compagnia Hurtigruten al fatto che la compagnia stessa concedeva in esclusiva ad alcuni tour-operator italiani il servizio di prenotazione e biglietteria; solo che questi tour operator vendevano già pacchetti belli e fatti, completi di voli ed alberghi molto più cari di quelli circa i quali avevamo già preso qualche informazione; ricordo ad esempio che in una agenzia volevano venderci assolutamente un volo SAS che costava circa il triplo del biglietto Ryan Air: “non trattiamo compagnie low-cost, Ryan-Air, poi….” furono le parole quasi allarmistiche della peraltro gentilissima impiegata; questo atteggiamento contrastava un po’ circa le notizie che leggevo su internet riguardo la compagnia Irlandese (voli puntuali, aerei in ordine, nessun bagaglio perso, forse solo un po’ di caos all’imbarco…) e aumentava la mia voglia di provare. Ma soprattutto c’era il problema del biglietto per la nave: se cercavo di prenotare da una delle tante pagine in italiano che parlavano delle crociere del “Postale”, venivo dirottato inevitabilmente sul sito di quei tour-operator di cui accennavo prima. Provai allora a mandare la stessa richiesta a due agenzie diverse, una di Genova ed una di Monza. La risposta da Genova fu tragicomica: quattro righe (sigh…) per spiegarmi che non potevano effettuare prenotazioni via posta elettronica e che avrei dovuto passare o presso la loro sede o recarmi in qualche agenzia affiliata. Da Monza mi arrivò invece una lunga e cortese risposta: si poteva prenotare tutto via mail e loro si sarebbero accollati le spese di invio dei biglietti tramite corriere. Era già un passo avanti e, quando stavo quasi per arrendermi, riuscii a trovare l’indirizzo giusto che mi permise di contattare direttamente la compagnia di navigazione: /www.hurtigruten.com/en La cosa che mi sconvolse fu questa: in seguito alla richiesta per un biglietto da Bergen a Svolvaer per tre persone etc etc. (in pratica la stessa e-mail che avevo inviato a Genova e Monza…) , arrivò dopo pochi giorni una mail di risposta con allegato un foglio PDF che conteneva un preciso preventivo: “se vi va bene completatelo con i vostri nomi e re-inviatelo” era la richiesta della gentilissima impiegata. Detto, fatto: nel giro di una settimana avevamo prenotato la crociera! Avremmo pagato con la carta di credito un mese prima della partenza. Come avrei voluto avere di fronte per un attimo l’impiegata del tour-operator di Genova… Vi consiglio di prenotare una cabina esterna (l’alba sui fiordi vista dagli oblò in navigazione è impagabile) a mezza pensione; secondo noi, infatti, il pranzo si può consumare in uno dei tanti porti in cui la nave fa scalo, visitando la città (e risparmiando qualcosina…) AVVISO AI NAVIGANTI: fate attenzione ai colpi di sirena della nave che vi richiama a bordo ed affrettatevi ad imbarcarvi, perché il battello NON ASPETTA ed è già capitato che incauti croceristi siano stati abbandonati a terra…. Per quello che riguarda le numerose escursioni che coincidono con gli scali, è meglio prenotarle volta per volta direttamente sulla nave: costa meno ed è più comodo. I voli e gli alberghi furono una parte relativamente più facile: con una carta VISA prenotai in 10 minuti il volo Ryan Air; qualche minuto in più (e svariatissimi euro di differenza: era il primo impatto con la “carissima” Norvegia) fu necessario per riservare i voli Wideroe e SAS da Svolvaer a Trondheim e da qui a Oslo, sempre con l’aiuto del sito “Volagratis”. Se volete davvero risparmiare cercate di prenotare per tempo: a marzo, quando iniziai a “lavorare” al viaggio che fu effettuato dall’8 al 24 agosto, il biglietto Ryan Air Orio al Serio-Oslo per due adulti-un bimbo mi costò 414 euro tutto compreso; se avessi fatto la stessa prenotazione una settimana prima di partire sarebbero stati necessari quasi 1300 euro. Altri consigli utili per organizzare un viaggio davvero “low-cost” li trovate qui. Di alberghi ne trovate quanti ne volete su guide, siti specializzati etc etc; si prenotano tutti comunicando il numero di carta di credito. Io mi sono fidato: non ci sono mai stati problemi e ve lo consiglio senz’altro. ATTENZIONE: Bergen in agosto è piena di turisti, (italiani in particolare…) e non è stato facile trovare una sistemazione economica. 8 AGOSTO 2008: Il VIAGGIO – Il volo Ryan Air partiva alle 17.45 ma alle 13 eravamo già all’aeroporto di Orio al Serio dopo aver lasciato l’auto in uno degli innumerevoli garage custoditi che pullulano attorno al vivacissimo scalo lombardo. Già più di tre ore prima avevamo fatto il check-in, con il gentilissimo impiegato dell’aeroporto che mi inseguì perché si era dimenticato di applicare il talloncino alla carrozzina di Francesco che avremmo imbarcato con noi. L’unico problema lo avemmo all’imbarco: non era stata riservata alcuna corsia preferenziale a chi, come me, aveva acquistato il cosiddetto “imbarco prioritario”, un magico talloncino giallo che dà diritto ad essere imbarcati per primi e così ci fu un po’ di confusione, ma alla fine conquistammo tre poltrone vicine in terza fila, dove Francesco si divertì un mondo nel guardare le nuvole che l’aeroplano “bucava” sollevandosi nel cielo di Bergamo. OSLO (info presso www.visitoslo.com )- Partenza ed arrivo in perfetto orario e primo impatto con l’efficienza norvegese: i pullman (http://torpekspressen.no/) che dall’aeroporto di Torp portano ad Oslo in coincidenza con i voli RyanAir e Wizzair partono uno dopo l’altro, nessun problema di attesa ed i 120 km che separano lo scalo secondario della capitale norvegese dal centro città vennero coperti nel massimo relax, naturalmente dopo aver allacciato le cinture di sicurezza. L’andatura era così rilassata che l’autista parlò per diverso tempo al cellulare: nessun sorpasso, tutte le auto, i pullman ed i camion (pochi davvero, tutto sommato) viaggiavano diligentemente secondo i limiti di velocità, tra gli 80 ed i 100 km/h…. Il colpo d’occhio era magnifico: la luce diffusa del tramonto esaltava il colore di prati che sembravano tappeti, fattorie tanto pulite e ordinate e … ROSSE (il colore preferito dai norvegesi per dipingere le case) che sembrava di essere dentro un plastico della LEGO. Al terminal dei bus un taxi ci accompagnò velocemente al nostro centralissimo albergo/ostello (Cochs Pensjonat) situato proprio dietro al Palazzo Reale. (Piccolo particolare: la maggior parte dei tassisti sono stranieri e dispongono di modernissimi taxi con navigatore: il nostro veniva dallo Sry-Lanka e sembrava non conoscere perfettamente dove fosse ubicato l’hotel… Ma c’era il navigatore… Per fortuna…). Sistemati alla bell’e meglio i bagagli, cercammo di sprofondare nel sonno dei giusti: purtroppo il venerdì sera i numerosi studenti del quartiere si danno alla pazza gioia (che da queste parti significa ubriacarsi) con conseguente caciara seguita da qualche incursione della polizia (a sirene spiegate) causa risse. Per fortuna le sere successive furono più tranquille. SABATO 9 AGOSTO – “Can i have a espresso?” Fu con questa maldestra frase che esordii nel piccolo bar (KafèCafè, mi pare si chiamasse, o viceversa) che, in convenzione con l’albergo, serviva la colazione; il barista si voltò e sorridendo mi disse, in perfetto romanesco: “Ma cche, sei italiano?” La mia sorpresa fu grande, anche perché il tipo (di cui purtroppo non ricordo il nome) si dimostrò molto simpatico e disponibile, qualità che, ahimè, talvolta difetta agli italiani all’estero (opinione personale, ovvio…). Mi disse che lavorava lì ormai da otto anni e che la confettura di fragole era la cosa più deliziosa che avremmo potuto trovare sulle tavole per la colazione, insieme al pane, di cui in Norvegia esistevano svariati tipi, integrali, col sesamo, etc etc.: tutto vero, e la colazione fu davvero ottima. Evvai, pensai, il primo incontro con un italiano simpatico: iniziamo proprio bene… Non avevo fatto i conti con il fatto che anche la Norvegia volle poi porgerci il suo benvenuto: fu così che iniziò a piovere! La pioggia ci accompagnò ad intermittenza durante tutta la nostra visita al parco della reggia (verde smeraldo, colore dominante dei prati da queste parti e non mi ripeterò parlando della pulizia e dell’ordine…) e la successiva passeggiata lungo Karl Johan’s Gate, l’ampia via dello “struscio” ad Oslo; anzi, gli oslani (si chiameranno così?) non sembrano fare tanto caso alla pioggia: i cappucci delle giacche vengono tirati su o giù a seconda della bisogna e le carrozzine dei bimbi (robuste e anche un po’ ingombranti come utilitarie nostrane, ma qui spazio ce n’è in abbondanza, con una densità di popolazione di 12 abitanti per chilometro quadrato…) hanno delle capote impermeabili doppio strato; per finire, i bimbi stanno comodamente seduti su caldi tappetini, tipo “vello di pecora” per intenderci, che foderano tutto il sedile. Passando davanti alla reggia, non si possono non ammirare i soldati che vigilano attenti davanti ai cancelli, vestiti con eleganti bombette ornate da una lunga coda. Poi, proprio di fronte al Grand Hotel sulla Karl Johan’s Gate, una visione accende il mio orgoglio di motociclista italiano: due attempati centauri norvegesi stanno lucidando amorevolmente le loro moto… E le moto sono una Ducati Monster ed una stupenda Moto Guzzi “Griso”!! Fantastico!!! A ripensarci ora mi viene ancora il magone, anche pensando al clima che i due ex-giovanotti sfidavano quotidianamente per andare in giro con i loro luccicanti cavalli. Fotografati di soppiatto i due gioielli, cercammo la cattedrale incuranti del diluvio che si era scatenato: non si fece fatica, spiccava in mezzo ai palazzi incartata come una caramella in enormi teli di cellophane. Infatti era in restauro, niente visita. Ci dirigemmo allora verso il porto e proprio di fianco alla cattedrale (!!!) scorgemmo un piccolo e simpatico sexy-shop dal nome stuzzicante: CONDOMERIE, che faceva venire in mente più che altro una pasticceria. Se vi capita, visitate uno di questi negozi dall’aspetto tutt’altro che trasgressivo, pieni di buffissimi articoli e frequentati da giovani sorridenti. Accanto ai moli di Oslo si trova l’imponente fortezza di Akershus o Akershus festning in cui il Pito (mio figlio) diede in escandescenze talmente strazianti (il sonno e la fame si erano fatti sentire…) da intenerire un gruppo di signore cinesi (o dovrei dire uno sciame, tante erano) che gli offirono strane caramelle, sempre cinesi ovviamente, che servirono ottimamente allo scopo, calmando lo stanco mini-turista. Scendendo verso l’Akerbrygge, il molo commerciale ormai in disuso trasformato in un turbine di centri commerciali, negozi e bar all’ultima moda, si nota l’imponente mole del municipio ( o Rathus come dicono qui) dove in dicembre viene consegnato il Nobel per la pace; ha l’aspetto molto marziale, ricorda certi edifici in stile “sovietico” visti a Berlino. E’ l’ora della pappa: accoccolati in un piccolo bar, ci ristoriamo con un “caffellatte” buonissimo (lo scrivono esattamente come noi, ogni tanto eccedono con le doppie ma è davvero buono… Merito del latte) mentre il Pito per digerire cominciò a correre su e giù lungo il tappeto mobile all’interno del centro commerciale, in compagnia di una deliziosa oslana sua coetanea. Visto che la pioggia non mollava, decidemmo di imbarcarci per visitare l’Oslofjord. In attesa del battello, restammo ammirati nel vedere un corteo nuziale che si imbarcava al gran completo su di un veliero attrezzato come ristorante galleggiante, per consumare il banchetto navigando tranquillamente nel fiordo: dico “ammirare” non a caso, perché era davvero difficile ignorare le signore e signorine che accompagnavano la sposa, sia per la bellezza sia per l’eleganza; molte indossavano elaborati abiti tradizionali. Fu il primo impatto con un aspetto del popolo norvegese che ritrovammo ovunque: sono bellissimi, almeno secondo noi, e molto curati, uomini e donne; anche la più insignificante ragazzina con i jeans (firmati) ha i capelli curati ed un trucco discreto ma molto ben fatto. Mia moglie non poté non accorgersi delle occhiate che distribuivo generosamente in giro, ma invece di rimbrottami iniziò ad osservare lo sposo ed i suoi amici e non disse più nulla…. Terminata la minicrociera ed approfittando poi del sole che finalmente faceva capolino, iniziammo il trasferimento (rigorosamente a piedi, vale la pena per gustarsi la città) verso il parco più famoso di Oslo, il Frognerparken, al cui interno lo scultore Vigeland ha creato un’area piena di sculture (il Vigelandsparken, appunto…) che rappresentano la sua personale visione della vita. Fu finalmente un meraviglioso sole ad accompagnarci nella passeggiata. Tempo ideale sia per saltare sulle altalene (come fece il Pito) che per fotografare… Visita da non perdere, secondo me: io non mi intendo di arte ma Vigeland è stato capace di dare caratteri molto suggestivi alle sue creazioni, che invitano davvero a riflettere su alcuni temi fondamentali della vita quotidiana, ad esempio il rapporto genitori-figli. Il Pito, a dire il vero, fu molto suggestionato dalle imponenti mammelle di una statua, tanto da arrampicarsi su di essa per palparle… Buffissimo! La sera vi consigliamo senz’altro il ristorante Lorry, proprio di fronte al Coch’s Pensjonat: le portate sono “ottime ed abbondanti”, ad un prezzo ragionevole…. Per i canoni norvegesi, ovvio, perché ricordatevi che siete nel paese dove gli euri volano via come foglie portate dal vento: quando ti fermi a fare due conti è tardi… Ragazzi, la Norvegia…. E’ CARA! DOMENICA 10 AGOSTO – Fu il giorno dei musei; non quello Nazionale dove si poteva ammirare il famoso “Urlo” di Munch, ma ci recammo nella penisola di Bygdøy per visitare il Museo delle Navi Vichinghe ed il Museo del Folklore. Appena usciti, tutto bene: pioveva che Dio la mandava. La pioggia non mollò fino al museo, dove sono esposte le tre stupende navi vichinghe ritrovate nel secolo scorso. Arrivammo per primi proprio per l’apertura, se non sbaglio alle nove e dopo neanche venti minuti le caratteristiche delle imbarcazioni antiche venivano illustrate in francese, tedesco, giapponese ed un’altra lingua che credo fosse russo da solerti ed infreddolite guide alla testa di manipoli di ardimentosi e variegati turisti, molto più interessati del Pito, che non trovò di meglio che arrampicarsi di corsa più e più volte fino al balcone che permette di ammirare le imbarcazioni dall’alto (e si tratta di ammirazione autentica, pensando ai secoli che stanno stipati come merce rara negli scafi anneriti e finemente intagliati delle navi, lì dove un tempo vennero deposte le spoglie di nobili o addirittura dei re vichinghi). Va bene, la visita non interessa, pensammo io e Betta: proviamo con il museo del Folklore (www.norskfolkemuseum.no ) con la speranza di trovare un bar aperto, visto che per imbarcarci presto avevamo saltato la colazione. Il bar c’era, proprio all’entrata del museo con tavoli ordinati, bagno pulitissimo con fasciatolo incorporato etc etc. Peccato che i prezzi fossero davvero “norvegesi”: due caffellatte, un’aranciata (il Pito reclamava “…frutta”) e due pezzi di torta 160 corone, cioè 20 euro…sigh! Ragazzi, c’è poco da fare, la Norvegia…È CARA… Ma la visita ci avrebbe fatto dimenticare in fretta le nostre pene finanziarie. Il Museo si sviluppa in un ampio parco dove si trovano ricostruzioni di abitazioni norvegesi da tutte le regioni; alcune sono state copiate, altre proprio smontate e rimontate nell’area del museo (come ad esempio la magnifica chiesa di Gol, tutta in legno, trasferita qui nel 1885); si ha proprio l’impressione di visitare in un immenso paesone, non solo, di viaggiare proprio nello spazio e nel tempo, impressione rafforzata dal fatto che diversi giovani in costume “abitano” le case antiche, chi ricamando, chi cucinando, chi facendo antichi mestieri… Un’atmosfera indescrivibile!!! Ci fu anche una deliziosa esibizione di danze tradizionali, con una ragazza che accompagnava al violino una coppia davvero brava ad interpretare lui la parte del pretendente focoso, lei quella della signorina per bene… Ma si capiva benissimo che si sarebbero sposati generando poi tanti bei vichinghini! Vabbè… Comunque il Pito si divertì un mondo a vedere le mucche ed i maiali delle fattorie (ogni dettaglio era fedele all’originale, quindi c’erano animali veri in vere fattorie) per poi sprofondarsi nel sonno del giusto, che ci permise di goderci la visita alla ricostruzione della bellissima farmacia dell’800 con annesso laboratorio. Il ritorno verso Olso, stavolta in pullman, fu scandito dalle lamentele del Pito che avrebbe dormito ancora un po’ (due orette di sonno non bastavano?) e dall’immancabile pioggia che ci portò a rifugiarci in una specie di market/caffetteria/pasticceria/panetteria di Akerbrygge, nella speranza (vana) di rifocillarci risparmiando un po’… Niente da fare, perché, ormai lo sapete, la Norvegia… È cara…. Tanto vale che per cena si ritorni da Lorry, almeno si mangia davvero bene, non come i panini del market/caffetteria/pasticceria/panetteria etc etc… Durante la notte (che per noi inizia ufficialmente solo quando il Pito si addormenta) fummo bruscamente svegliati dall’allarme antincendio: ragazzi che esperienza! Betta che fuggiva in mutande per il corridoio dopo aver gettato alla bell’e meglio una coperta sul Pito ancora mezzo addormentato, io che non riuscivo a trovare il portafoglio con i documenti, pur sapendo ESATTAMENTE dove era appoggiato… Ho capito cosa si prova dovendo ragionare in fretta di fronte ad un pericolo! Comunque, falso allarme, qui gli impianti antincendio sono più permalosi di certi opinionisti televisivi nostrani, basta un minimo innalzamento della temperatura per farli scattare. E’ comprensibile, tutto è costruito in legno e leggendo la storia delle città che abbiamo visitato mi pare che TUTTE siano state distrutte completamente almeno due volte da un incendio, quindi…. Massima attenzione! LUNEDI’ 11 AGOSTO: TRASFERIMENTO OSLO-BERGEN (NSB-ferrovie norvegesi) Avevo prenotato tre posti direttamente via internet su una carrozza dedicata alle famiglie (FAMILY-COACH, si prenota senza alcun sovrapprezzo) che disponeva in pratica di una piccola sala-giochi, che trovammo poi spoglia di qualsiasi gioco ma utile per liberare la piccola belva ed avere qualche attimo di respiro. Naturalmente sbagliammo a salire sulla carrozza (il numero dei posti era quello giusto MA NON ERA LA FAMILY-COACH), con conseguente sbarco affannoso di armi e bagagli per risalire il treno fino alla carrozza giusta (impossibile attraversare gli stretti corridoi affollati comunque di turisti con i tre enormi trolley che ci accompagnavano) e sedersi proprio in tempo per la partenza… Che corsa!!! La cosa più buffa fu la faccia dei turisti giapponesi cui avevamo involontariamente occupato i posti: rimasero in piedi, un po’ inebetiti, non sapendo se andare a protestare dal capotreno (un po’ nervoso… Ovvio) o aspettare che ce ne andassimo. Comunque tutto a posto, il treno lasciò la stazione in orario perfetto e noi iniziammo a goderci la vista delle campagne norvegesi…sotto la pioggia (c’era da dirlo??); infatti, a parte il pomeriggio al Vigelandsparken e il pomeriggio al museo del folklore, il meteo non ci aveva aiutato molto e Oslo ce la ricorderemo anche per i suoi cieli grigi. Vabbè godiamoci il viaggio, anche perché il Pito, cullato dal regolare rumore delle ruote ferrate, si addormentò in fretta. Giunti alla prima stazione, una voce iniziò a diffondersi per gli scompartimenti: era una ferroviera che annunciava la stazione in norvegese ed in inglese… Ma con che tono!!! Sembrava di sentire Ilona Staller ai tempi belli, quando faceva la telefonista erotica alla radio. I commenti dall’imbarazzato passarono in fretta al molto divertito e non si aspettava altro che il treno si fermasse per commentare i sospiri della ferroviera con la voce più sexy della Norvegia (il resto devo dire che non era all’altezza); ricordo che la comitiva di spagnoli che avevo davanti era scatenata e rideva fino alle lacrime commentando gli annunci. Non capii assolutamente nulla delle loro battute, ma risi egualmente con loro (Trovate un resoconto preciso e delle belle foto di questo viaggio in treno a questa pagina web). Posso solo dire che alla stazione di Myrdal, dove vi è la coincidenza con la famosissima ferrovia di Flåm, il 75% dei passeggeri scese e restammo praticamente soli nello scompartimento. Dopo altre due ore arrivammo a Bergen (un po’ in ritardo) e, con grande sorpresa, in stazione non pioveva…. Per via del tetto. Ma niente paura: bastò mettere il naso fuori dal grande atrio per accorgersi che “la porta dei fiordi” era anche peggio di Oslo, in quanto a precipitazioni. Infatti, se nella capitale pioveva almeno ad intermittenza, qui le nuvole erano così fitte e la pioggia così intensa che non si vedeva nulla dei monti attorno alla città e si faceva fatica a vedere la collina poco distante dove era sistemato il nostro albergo. “Prendiamo un taxi?” …abbozzai… ”Mi sembra che la strada sia un po’ in salita?” Risposta perentoria: “Un taxi? Ma sull’ e-mail dell’hotel c’è scritto che dista solo 5 minuti… E poi, dopo tutto questo tempo seduti, io ho voglia di fare quattro passi…”. Altro che quattro passi: la strada iniziò a salire, prima dolcemente, poi in modo sempre più rapido, fino a che mi trovai, bagnato fradicio (contro la pioggia bergenese non c’è gore-tex che tenga…) a trascinare i due trolley che avevo in dotazione su di una ripida salita alla cima della quale si intuiva esserci il parco al cui limitare ci aspettava il nostro hotel. Devo dire che non appena varcai la soglia dello Steens Hotel ogni fatica svanì: de-li-zio-so, che altro dire, come la signorina della concierge che mi volle anche aiutare a portare un valigia fino al terzo piano, dove era la stanza con vista sul laghetto del parco; naturalmente, tutto in legno, dalle pareti al parquet; mancava solo un termosifone per far asciugare i nostri zuppissimi vestiti che ci fu recapitato poco dopo. Scesi in città, ci dirigemmo verso il porto per visitare il mercato del pesce ed il notissimo Bryggen, cioè gli antichi magazzini. Gironzolando sotto le tende dei banchi, venimmo “agganciati” da un ragazzo italiano vestito da perfetto pescatore norvegese (salopette gialla di cerata, stivaloni di gomma e maglione a collo alto) che lavorava come commesso nel banchetto… Ma dai!!! Ma allora la Norvegia è piena di paesani. Gregorio (questo il nome del tipo) si dimostrò davvero in gamba, uno capace di vendere ghiaccio agli esquimesi. Ci spiegò le qualità del pesce del suo banco, suggerendoci che, se avessimo voluto, ci poteva preparare un enorme piatto di pesce fresco (“per voi solo 200 corone, e vi metto anche il salmone selvatico… Lo diamo solo noi, qui…”) da consumare seduti sotto i capaci tendoni della bancarella di fronte, (“sono amici non vi dicono nulla…”); infine, mi consigliò di non acquistare da bere al suddetto banchetto (e qui ho avuto dubbi sulla parola “amici”) ma bensì al market più economico dietro l’angolo (supermercati KIWI, davvero convenienti). Insomma, mi aveva organizzato una perfetta cena tipica economica, cogliendo al volo quello che volevo fare… Mica male. Ovviamente seguimmo i suoi consigli, senza chiederci più di tanto che tipo di rapporto ci fosse tra i due banchetti dirimpettai, se il salmone fosse veramente selvatico o quanto avesse riposato nei capaci frigoriferi discretamente nascosti poco lontano dal mercato: era tutto davvero buono, una delle cene migliori di tutta la vacanza. Mangiammo fianco a fianco con turisti spagnoli, tedeschi, francesi giapponesi, “agganciati” anch’essi dai tantissimi ragazzi di svariate nazionalità che lavorano nei diversi banchi. Insomma, tutti avevano un loro “Gregorio” . Poi, un incontro terrificante in banchina: la squadra di calcio del Marsiglia!! Perché terrificante? Io sono un tiepido tifoso milanista ed ho ancora negli occhi la finale di Coppa Campioni persa ad Istambul nel 2005; particolarmente impressa mi è rimasta la danza tribale che tale Cissè, giocatore francese di colore in forza al Liverpool, improvvisò abbracciando la grande e prestigiosa “coppa dalle grandi orecchie”: vi giuro che me lo sono sognato per un paio di notti. Ebbene, quella specie di orco (si tinge i capelli e la barba di biondo platino… Orribile) era proprio lì accanto a me sul molo di Bergen, vestito con la tuta bianca del Marsiglia, sua attuale squadra, forse in tournèe nel nord-europa. Non sono riuscito a staccargli gli occhi di dosso per un bel po’, meno male che durante la notte non ebbi incubi, forse per merito della stanza allo Steens Hotel. MARTEDI’ 12 AGOSTO – Ballando a BERGEN (visitbergen.com) – Tralascio la descrizione della colazione davvero ad “abbuffet”: passammo un’ora esatta per gustarcela… Incoraggiati dalla prima mattinata senza pioggia, tornammo poi sulle banchine del Bryggen. Il colpo d’occhio fu magnifico: attraccate ovunque vi erano imbarcazioni a vela di tutti i tipi, con ogni sorta di vessillo innalzato sulle sartie e sui pennoni. Bergen infatti era tappa della “Tall Ships Race”, una regata in cui giovani di tutte le nazionalità e stati sociali potevano cimentarsi con la vela di altura, sotto la guida di attenti istruttori. Vi erano anche le navi scuola della Marina Militare Uruguayana e Messicana. Era il momento della partenza, l’atmosfera non poteva essere più struggente: schierati in coperta, chi con variopinte tute, chi con inappuntabili divise con i colori dell’imbarcazione che li ospitava, i giovani marinai si salutavano con grida festose in un clima di grande cameratismo ed entusiasmo. Già abbondantemente commosso, stavo per mettermi proprio a piangere quando una musica attirò al mia attenzione: allineata sul tetto della cabina di pilotaggio di un veliero militare, una banda suonava a tutto spiano delle cornamuse, con due tamburi che tenevano un ritmo forsennato. Non si riusciva a stare fermi ed anche i due attempati turisti tedeschi al mio fianco tenevano il tempo sorridendo. Quando la nave, manovrando, mi arrivò più vicino, all’allegria si unì lo stupore: non erano scozzesi, ma marinai asiatici dalla pelle scura, forse di qualche ex-colonia inglese, e continuarono a suonare con grande energia per tutto il tempo della manovra. Piano piano tutte le imbarcazioni lasciarono il porto e tornava a farsi sentire un certo nodo alla gola, pensando a tutti quei ragazzi che avrebbero sfidato il mare fino in Olanda, tappa finale della regata. Restava solo il grande veliero della Marina Militare Messicana, sulla cui coperta si potevano scorgere i marinai impegnati in una riunione. Ad un certo punto, una musica iniziò a diffondersi dal veliero e gli uomini iniziarono con calma la manovra, mollando le pesanti gomene che lo tenevano attraccato alla banchina. Ascoltando più attentamente non potei trattenere un sorriso: dagli altoparlanti disseminati in coperta veniva l’inconfondibile melodia di una orchestrina “Mariachi” , allegra e romantica… FANTASTICO! Pensate alla nostra “Vespucci” che salpa con l’orchestra di Renzo Arbore che suona “Luna Rossa” a tutto volume ed avrete l’immagine di quello cui ho assistito sul molo di Bergen. Anche il cielo sorrise sentendo quella musica e dalle nuvole fece capolino nientemeno che il sole, che ci accompagnò fino all’acquario di Bergen. L’acquario ospita alcune foche (tra cui un cucciolo salvato la scorsa primavera da una famiglia in crociera che onestamente faceva un po’ pena) e dei pinguini, nonché coccodrilli, rettili e qualche altro animale. Non è granché, ma per passare in modo diverso un pomeriggio con vostro figlio può anche andare. Dopo aver resistito all’istinto di gettare il Pito in pasto ai coccodrilli (era particolarmente in vena di rompere quel pomeriggio) imboccammo la strada per tornare verso il centro, sempre accompagnati dalla musica Mariachi a tutto volume che rimbombava sulle pareti del fiordo; i marinai erano ancora intenti alla manovra… Quando si dice “ritmi messicani”! Di ritorno infine dall’immancabile gita alla funicolare (Fløybanen) con vista su Bergen inondata di sole (!!!), imboccammo uno dei tanti sentieri che scendono in città per fare quattro passi nei boschi in pace, incontrando norvegesi di tutte le età che correvano, chi in salita, chi in discesa, accompagnati spesso dai loro cani ed abbigliati di tutto punto con leggere e robuste scarpe da “running”. Fu così che conoscemmo un altro aspetto di questa gente: amano vivere a contato con la natura, talvolta ancora selvaggia, della loro nazione. MERCOLEDI’ 13 AGOSTO – L’imbarco sulla motonave “POLARLYS” – Forse per il sole che incredibilmente ci accompagnò fino al terminal del Postale, forse per la romantica musica messicana, ma il Pito (in spagnolo “El Pato”) proprio non ne voleva sapere di abbandonare Bergen ed inscenò una indegna gazzarra per riuscire a prendere l’ascensore che dal piano del terminal da cui si accedeva direttamente al ponte di accoglienza della nave portava al piano terra. Alla fine, convinto a più miti consigli con molta pazienza (ed un paio di sculaccioni, devo confessarlo… ), anche lui si imbarcò con noi scoprendo che la nave che ci avrebbe ospitato era davvero bella, con moquette dappertutto ed eleganti decorazioni per i vari ponti e corridoi. Vi era anche una minuscola sala-giochi…. Con dei veri giochi, vale a dire una piscina di palline cui si accedeva da uno scivolo; siamo salvi, pensai, anche vedendo che Francesco aveva già fatto amicizia con una bimbetta italiana dal nome Greta, i cui genitori Patrizio e Stefania sarebbero stati degli ottimi compagni di crociera. Entrati in cabina, il dramma: trovammo solo due letti… E il Pito? . Purtroppo per errore dalla sede centrale ci avevano riservato la cabina sbagliata. Messe in moto le truppe di assalto (Betta ed il suo ottimo inglese) restai in attesa di eventi, un po’ depresso, poichè mi sentivo, almeno in parte, responsabile. E verso sera, miracolo (la nave mi sembrava veramente affollata…) , saltò fuori una cabina più grande in cui venimmo spostati: come mi sembrò buona poi la cena… Qui devo dire che il personale fu disponibile e gentile: ogni volta che passavo davanti al suo banco, l’ufficiale di bordo mi chiedeva se ero soddisfatto della nuova sistemazione… Lo avrei abbracciato! GIOVEDI’ 14 AGOSTO : ALESUND ed il GEIRANGERFJORD – Il maltempo che ci aveva abbandonato a Bergen ci aspettava qui: mare grosso e pioggia. Alle 6 del mattino mi svegliai perché la nave “ballava” un po’ troppo ed uscii sul ponte cercando di non farmi sbattere per terra dal vento rafficato. Dopo un’altra incredibile colazione “ad abbuffet” scendemmo ad Alesund per avere il primo impatto con la precisione del capitano della nave: 5 minuti dopo aver lanciato il colpo di sirena di avvertimento per chi era sceso in porto, le ancore venivano levate… Senza appello. Imparammo quindi a fare molta attenzione ed a girare per i vari porti con le orecchie bene aperte ed un occhio all’orologio. Ripartiti, purtroppo il tempo perdurava al brutto, con nuvole basse (che impedivano la vista del decantatissimo fiordo di Geiranger) e pioggia. Scesi comunque per l’escursione che ci avrebbe condotto fino alla “scala dei Troll” attraverso la “strada delle aquile” (che non sono altro che due tortuosissime strade di montagna che si snodano in paesaggi incontaminati…. Almeno, così disse la guida… Perché non si vedeva un piffero…), fummo imbarcati in un pullman dedicato solo ai turisti italiani, accompagnati da una graziosa guida norvegese che parlava… Romanesco, essendo fidanzata con un paesano di Roma. L’effetto era divertentissimo, mi ricordava il buon vecchio Nils Liedholm. Scoprimmo così grazie a lei che in quella zona della Norvegia che stavamo attraversando vi erano sterminate coltivazioni di ottime fragole (ecco perché la marmellata è così gustosa…) alla cui raccolta partecipavano anche laureati provenienti dalla vicina Lituania, che guadagnavano più nei pochi mesi di lavoro all’estero che in un anno facendo i medici o gli ingegneri a casa propria, almeno così ci raccontò la nostra spigliata vichinga romana. VENERDI’ 15 AGOSTO – TRONDHEIM – Di questa prima fermata nell’antica capitale dove saremmo poi tornati alla fine della vacanza ricordo solo il centro medico dove accompagnai Betta che aveva contratto un’infezione da streptococco e la successiva visita in farmacia per l’acquisto degli antibiotici, seguita dalla lunga fuga verso il molo per non farsi lasciare a terra dall’inflessibile capitano… Che stress… SABATO 16 AGOSTO – il ghiacciaio SVARTISEN e l’arrivo alle magiche isole – La crociera volgeva al termine e meno male: sì che la navigazione nei fiordi era magica, sì che ci si rilassava, ma l’età media dei partecipanti era altina (direi oltre i 65) e questo non favoriva certo un clima frizzante a bordo. Per fortuna ci aspettava l’escursione al magnifico ghiacciaio Svartisen sotto un sole magnifico, in compagnia di Patrizio e Fabiola, altri due paesani romani con cui legammo al volo, anche in considerazione del fatto che lei, Fabiola, si innamorò di mio figlio. Amava i bambini…. Anzi, credo in verità che desiderasse parecchio farne uno, solo che iniziava ad “ingranare” sul lavoro da poco ed il suo simpaticissimo compagno Patrizio ancora “nun ce sentiva” da quell’orecchio. Chissà, magari a quest’ora un “pupone” è in arrivo. Ed alla fine, dopo un’ultima sosta a Bødo (che si legge Bada), finalmente si affrontarono i 30 km. Del braccio di mare che separa il continente alle magiche Lofoten, traversata che un tempo i pescatori attratti dalla pescosità del mare attorno alle isole affrontavano in barca a remi (!). Lo sbarco serale a Svolvaer avvenne dopo avere salutato i paesani toscani che continuavano la crociera fino a Capo Nord; non solo, io volli salutare personalmente il commissario di bordo per ringraziarlo ancora una volta della sua gentilezza. L’atmosfera attorno al rorbu (Lofoten Rorbu) che avevamo prenotato non sono capace di descriverla: il mare era completamente fermo, sembrava un laghetto di montagna, viste anche le cime che circondano il principale porto delle Lofoten; ma soprattutto la luce: azzurra diffusa, qualcosa di liquido che avvolgeva tutto. Da vivere. Da respirare, anzi. Facemmo purtroppo anche conoscenza con “frau Blucher” (ve lo ricordate “Frankenstein Junior”?) l’odiosissima padrona del residence: non sopportava i bambini, particolarmente quelli che strappavano le margherite dai suoi vasi. Ora, vi giuro che cercammo in tutti i modi di impedire a Francesco di spogliare le sue preziosissime coltivazioni (forse le margherite a queste latitudini sono più preziose delle orchidee) ma sapete come sono i bimbi piccoli…. ogni volta che il Pito staccava un fiore, lei magicamente appariva sulla porta della reception con una faccia… Pazienza, ogni vacanza ha i suoi “spaccamar….ni” e noi avevamo trovato frau Blucher; a parte questo, le isole si presentavano davvero magiche come me le ero immaginate e la sistemazione era ottima. Nel cortile trovammo anche l’auto che avevamo preso a noleggio, ordinatamente parcheggiata per non fare infuriare l’arcigna padrona: domani sarebbe stata una grande giornata. DOMENICA 17 AGOSTO – il TROLLFJORD e i sorprendenti incontri- Mi svegliai con la stanza inondata di luce che filtrava dall’oblò sulla porta. Prima di rendermi conto che erano solo le 4,30 del mattino ero già arrivato accanto alla finestra per guardare fuori: nessuno, non si vedeva nemmeno il sole che sarebbe comparso qualche ora dopo. Imparai così che a queste latitudini la luce arriva molto ma molto prima del sorgere del sole. Pensai a come avrei potuto accecare la finestra, altrimenti addio sonno mattutino. Prima di imbarcarci sulla barchetta che ci avrebbe condotto nel fiordo, visitammo il locale ufficio informazioni per qualche ragguaglio sulle escursioni che si potevano fare da Svolvaer e dintorni. Appena entrati, un turnometro simile a quelli che si trovano nei supermercati regolava la peraltro esile coda, formata da due/tre turisti in tranquilla attesa; quando venne il turno di Betta, una intraprendente paesana mai vista e conosciuta prima di quel momento non trovò di meglio che saltare la coda per affiancarsi alla mia esterrefatta consorte, squittendo garrula “tanto devo chiedere le stesse cosette…”. Non ci siamo mai spiegati come facesse a sapere che cosa avessimo noi da chiedere, ma restò a parlare in un pessimo inglese a lungo con l’attonita impiegata, sfidando tranquillamente lo sguardo incavolato degli sparuti e disciplinati turisti in coda. Eh, cosa non si farebbe per dimostrare che noi siamo sempre i più furbi… Vabbè, il tempo era buono e la barchetta (che si chiamava come la meta della nostra escursione, Trollfjord) aveva un aspetto invitante e familiare: sul ponte, fissate alla bell’e e meglio, vi erano una ventina di sedie da giardino di plastica ognuna con la sua brava coperta antivento, i compagni di crociera avevano un viso tutto sommato simpatico e, soprattutto, non vi era nessun italiano dalla faccia furba; meno male, non avrei sopportato altri “colpi di genio” quella mattina! In cabina di pilotaggio trovammo poi dei thermos con acqua calda, caffè e biscotti; sottocoperta, dove vi era un ampio vano da usare in caso di pioggia, anche un comodissimo bagno. Mare piatto, sui panorami non ho parole che siano diverse da “mozzafiato” o “bellissimi”, quindi non mi dilungherò. Il famoso fiordo è davvero stretto, vedere i grossi traghetti dell’Hurtigruten che girano su loro stessi sfiorando le pareti arrivati al fondo (l’insenatura non ha uscite: si entra e si esce dallo stesso posto) dev’essere davvero uno spettacolo notevole. Noi non incontrammo nessuna nave ma la barchetta si fermò per pescare: in 15 minuti la signora che fungeva da equipaggio (oltre a lei vi era solo il pilota) issò in coperta tre bei pescioni, offrendo anche ad altri volenterosi turisti la possibilità di pescare con dei bolentini, ma nessuno fu capace di imitarla. Sul momento non capii il perché di quella sosta e nemmeno capii perché la signora, sulla via del ritorno, iniziò a gettare pane secco in acqua, richiamando in breve numerosi gabbiani. Siccome noi italiani oltre alla furbizia amiamo far risaltare la nostra innata simpatia, mi avvicinai alla imperturbabile isolana e con un sorriso a metà tra lo spaccone e il compassionevole le dissi: “ma il pane è per l’aquila di mare?”. Avevo infatti notato che vi erano alcune foto di questo meraviglioso rapace in cabina e pensavo che ogni tanto, con un po’ di fortuna, qualche turista fosse riuscito a fotografarla dopo che questa si era avvicinata, forse per curiosità, alla barchetta…ma non avrei mai immaginato quello che stava per succedere… La signora mi rispose tranquilla che il pane era solo per i gabbiani ma che da li a poco sarebbe arrivata sicuramente anche l’aquila. Non le risi in faccia solo per educazione. Il mio avvizzito spirito da cittadino non poteva concepire la possibilità di venire a contatto con animali selvaggi, forse per il dimesso aspetto della barchetta. E invece…. Invece, dopo pochi minuti, mentre ero intento a giocare con Francesco che si era svegliato dopo due ore di sano pisolino comodamente adagiato su due sedie, sentii Betta che urlava: “Angelo, guarda lassù, l’aquila!!!”. Sorpreso, non riuscivo a vedere nulla e quando misi a fuoco la sagoma inconfondibile del grosso rapace dalla testa biancastra, l’unico pensiero fu quello di cercare la macchina fotografica che avevo lasciato a poppa, abbandonando il frastornato figlio alla mamma. Purtroppo l’operazione fu contrastata dal flusso contrario degli altri turisti che risalivano verso prua dove l’aquila, compiuto un giro di ispezione sul tetto della cabina, si era diretta; ero talmente agitato che non scorgevo la grossa borsa blu che conteneva il mio armamentario da fotoamatore. Dopo alcuni interminabili istanti, riuscii a montare il teleobbiettivo che continuava a scivolarmi tra le dita nervose ed iniziai a scattare: che spettacolo! Il magnifico uccello ci scrutava dall’alto, impegnato in un volo planato che non gli sembrava costare alcuno sforzo. Mentre la barca rallentava fino quasi a fermarsi, io finalmente capii a che cosa servivano i pesci pescati nel fiordo: erano il pasto dell’aquila. Il pilota infatti si sporse oltre il bordo agitando uno dei pescioni che lanciò in acqua quando fu ben sicuro che l’aquila lo avesse visto: a quel punto infatti essa si lanciò verso il pesce che stava lentamente affondando per ghermirlo con gli artigli. Il primo tentativo andò a vuoto, ma né il rapace né il pilota si diedero per vinti: mentre uno riprendeva quota, l’altro tirava su un altro pesce per ripetere l’operazione e stavolta gli artigli dell’uccello sollevarono trionfanti la preda. Fu a questo punto che scattai la foto più bella, nella quale si notano gli anelli di segnalazione che cingevano entrambe le zampe del magnifico rapace, che si dileguò poi con potenti colpi di ala verso le montagne vicine. Che emozione! Restai scombussolato per tutta la giornata e raccontai eccitato l’episodio ai nostri amici romani durante la cena presso il Bacalao Pub (che fantasia…) in cui incontrammo un altro paesano degno stavolta di onorevole nota. Si trattava infatti di un simpatico capotecnico di una ditta friulana che stava curando la costruzione del nuovo hotel nel porto, unico italiano a capo di una squadra di sei romeni (!). Alle nostre curiosità su come fosse la vita alle isole, rispose dicendo che la sera non c’era assolutamente nulla da fare ed era diventato un grande esperto di “sudoku”. Durante l’inverno la vita era ancora più dura, a causa delle lunghe ore di buio. Infine ci rivelò che aveva avuto l’impressione che gli isolani contassero sempre più sul turismo: secondo lui, il governo aveva avviato un piano di aiuti finanziari per convincere i contadini e quanti non vivessero di pesca (che occupa massicciamente la gente, comunque, per non più di 4/6 mesi) a non abbandonare le case dell’interno. “Io sono nato nella campagna friulana” disse “ e non ho mai visto una famiglia vivere bene con solo due mucche ed un piccolo campo coltivato… E poi i trattori sono troppo nuovi….” fu l’arguta conclusione. Fatti gli immancabili quattro passi digestivi, ci salutammo presto per andare a dormire: l’indomani ci aspettava la lunga escursione in macchina fino alla famosa Reine, durante la quale avemmo modo di riflettere sulle parole del nostro compaesano (c’erano fattorie un po’ dovunque proprio con magnifici trattori nuovi parcheggiati sull’aia… E nessuno che lavorava i campi…); sulla carta erano “solo” 122 km, ma per coprirli ci avremmo messo circa due ore e mezza a causa della tortuosità della strada ed i ferrei limiti di velocità. LUNEDI’ 18 AGOSTO – In auto ad… Å – Quando uscimmo per prendere l’auto, mi sentii salutare in italiano: un’altra paesana occupava l’appartamento vicino al nostro.Ma guarda tu… Ci sono più turisti italiani qui che a Fregene a ferragosto… Questa aveva un aspetto decisamente molto simpatico, come molto simpatico si rivelò il suo compagno Thom Ohle, norvegese dall’alta statura, che ebbe la pazienza di scambiare due parole sforzandosi di capire il mio terribile inglese. Mi raccontò di essere stato alle isole Lofoten 20 anni avanti e di averle trovate profondamente cambiate da allora: “tutti pensano ai turisti, turisti, turisti… Un tempo qui dormivano i pescatori ed il pavimento era di terra battuta; adesso nel pavimento del bagno c’è addirittura il riscaldamento, la lavatrice e tutte le pareti sono in legno… È un altro mondo!”. Come dargli torto? Dirigendoci a Kabelvåg sulla “mitica” E10 per recuperare Patrizio e Fabiola mi resi conto del motivo per cui il noleggio dell’auto mi costò così poco: delle due chiavi in dotazione una non apriva assolutamente nulla, la frizione slittava che era un piacere, il sedile era praticamente sfondato ed aveva il simpatico vezzo di riscaldarsi a suo piacimento. Mentre guidavo di tanto in tanto sentivo il sedere che mi scottava ed avevo voglia di saltare giù dall’auto. Ma che simpatica vetturetta! Dopo neanche 10 km di strada il mio occhio venne attirato da una sagoma ferma su di un sasso: un’aquila di mare ci osservava dagli scogli sulla spiaggia a nemmeno 30 metri da noi. Inutile sottolineare che restò ferma giusto il tempo di tirare fuori la macchina fotografica e montare il teleobiettivo: non appena scesi furtivo come una mangusta mi rivolse un’occhiata scocciata, aprì le immense ali e se ne andò verso la parte opposta del fiordo… Ci avrei scommesso! Pazienza, l’incontro fu lo stesso inatteso ed emozionante. Avete già capito che non mi dilungherò nel tentativo di descrivere le spiagge immense e deserte alle cui spalle si alzavano, come quinte teatrali, alte montagne. Neppure vi accennerò al mare che disegnava articolati arabeschi sulla sabbia bianchissima, alla sensazione di libertà che l’aria assolutamente fresca e pulita dava entrando nei polmoni. Infine, non vi racconterò assolutamente nulla della magia di ogni sosta, in cui si camminava nel silenzio più assoluto coccolati dallo sciabordio delle onde… Come potrei fare? Non riuscirei a spiegare la sorpresa arrivando nel golfo occupato dalla deliziosa Reine, forse un po’ troppo scenografica (sembrava un set hollywoodiano: pescherecci ordinatamente ancorati nel porto, case di un rosso che più rosso non si poteva, ordinatissime con fiori dappertutto) ma davvero bella… Quindi nemmeno proverò a farlo. Vi racconterò solo che prolungammo un pochetto la visita per arrivare fino ad Å su consiglio degli immancabili paesani scovati durante la pausa pranzo. In questo piccolo borgo di pescatori si può vedere il celeberrimo museo dello stoccafisso che si rivelò molto carino, gestito da un simpatico vichingo che parlava italiano, francese, spagnolo, inglese e credo anche tedesco. Davvero un bel tipo, un altro che avrebbe venduto ghiaccio agli esquimesi, tanto per capirci (e infatti faceva l’importatore di pesce). Dopo averci offerto un biscottino ed un caffè, ci raccontò che non esiste un legame così forte tra un paese scandinavo ed un paese mediterraneo come tra Norvegia ed Italia (un pochetto me ne ero accorto, devo dire): nel 2007 infatti la Norvegia aveva esportato in Italia stoccafisso per 500 milioni di Corone (!!!). Il prezioso pesce essiccato sbarcava nel nostro paese soprattutto a Genova, Vicenza, Venezia e Sorrento. Ogni regione predilige una diversa qualità di pesce, di cui esistono 16 varietà. Tornammo a Svolvaer per la cena che a quel punto non poteva essere che a base di stoccafisso. Davvero buono, devo dire, così come il locale (Børsen Spiseri, ci recammo lì su consiglio del direttore del museo dello stoccafisso) si dimostrò molto accogliente, tutto in legno, ricavato da un vecchio deposito di pesce. Il costo? Molto norvegese… Quindi caro, era da dirlo? MARTEDI’ 19 AGOSTO – HENNINGSVAER e la bellezza che fa piegare le gambe – Avete mai visto una lontra dal vivo? Io mai e nemmeno Betta, che scambiò il simpatico mustelide per un topo! Andiamo per ordine: diretti ad Henningsvaer ci fermammo per sgranchirci le gambe (e far raffreddare le terga arroventate dal sedile particolarmente dispettoso, quel giorno) su di una spiaggetta liberata dalla bassa marea; atmosfera assolutamente magica nonostante le nuvole e silenzio cristallino. Mentre Betta gironzolava sul fianco erboso della spiaggia io e Pito salimmo su di un curioso scoglio tondo e proprio mentre ci guardavamo attorno, dall’erba alle nostre spalle spuntò un lungo animale che correva ondeggiando, come uno scoiattolo, puntando velocemente verso l’acqua. Arrivato poco più avanti dello scoglio, su cui io e Pito seguivamo senza respirare la scena, si impantanò nella sabbia ancora intrisa di acqua e, forse agitato dalla nostra presenza, girò di novanta gradi per riguadagnare la riva erbosa…. Proprio in direzione di Betta, che andò in confusione e iniziò nervosamente a chiedere come doveva comportarsi con quel “topo”. Io risposi con un filo di voce “…è una lontra, guarda che bella, non gridare che sennò scappa…” ma ormai la frittata era fatta e lo spaventato animale si dileguò nell’erba alta. Che visione, un incontro davvero speciale!!! Poco prima di Henningsvaer decidemmo di lasciare poi la macchina per raggiungere “la piccola Venezia delle Lofoten” a piedi. Avete capito che ora potrei iniziare con la solita litania “… Non ci sono parole per descrivere…” “… Bellissimo…” etc etc… Ma non lo farò poichè io non sono capace di scrivere. Quindi non vi racconterò di come era meraviglioso il silenzio in cui eravamo immersi; nemmeno sarei capace di descrivere il panorama, ovunque rocce di tutte le dimensioni spuntavano dal mare calmo, prima grigio come il cielo e poi sempre più luminoso man mano che il sole faceva capolino. Posso solo provare a raccontarvi cosa è stata la passeggiata ad Henningsvaer da una sensazione: era tutto così bello che non riuscivo proprio ad abbracciarlo né con lo sguardo, né con gli altri sensi. Facevo una fatica pazzesca per cercare di comprendere tutte quelle magnifiche sensazioni e visioni e più di una volta mi dovetti fermare. Mi tremavano un po’ le gambe, come dopo una ripida salita. Era la “bellezza che ti piega le gambe” una sensazione “fisica” che arrivava dagli occhi accecati dai riflessi sul mare, dal senso del vento sulla pelle, dal caldo del sole, dal silenzio… una sensazione di bellezza che si manifestava fisicamente, unita ad un senso di naturale armonia provato poche volte, in qualche gita in montagna, forse nel parco del Gran Paradiso o nella conca del Rifugio Morelli in valle Gesso, mentre un compagno di gita suonava la tromba ed il suono veniva amplificato da una magica eco. Una sensazione che auguro a tutti di provare, in Norvegia, in montagna o, perché no, magari nel giardino di casa propria. Della “piccola Venezia” ricordo i canali silenziosi con le barche ordinatamente ancorate, i depositi di pesce che sembravano abbandonati ed erano solo chiusi, magari senza lucchetto (nessuno ruba a queste latitudini), il bar gestito da due simpatici asiatici in cui prendemmo del “buon” caffè norvegese caldo mentre ascoltavamo della stranissima musica indiana, molto di atmosfera ed infine l’incredibile numero di compatrioti che gironzolavano nelle viuzze e sui canali… Ma siamo proprio ovunque! Nel pomeriggio la visita al museo vichingo di Borg ci fece conoscere Silvia, una guida italiana appassionata di vichinghi, ma soprattutto i simpatici cavallini che scorazzano nei campi attorno al museo, che furono molto gentili ed accettarono l’erbetta che Francesco offriva loro, rendendolo felice… Come un bimbo felice. Il massimo della vita! MERCOLEDI’ 20 AGOSTO: SVOLVAER-TRONDHEIM – Oggi è giornata di trasferimento; non dimenticherò mai il viso atterrito di Betta quando vide l’aeroplanino su cui dovevamo salire, né la faccia divertita del Pito vedendo quello che forse a lui pareva un enorme giocattolone. Io pensai semplicemente che stavo per salire su di un pullman con le ali. Il volo fu tranquillissimo; anzi, approfittando della relativamente bassa velocità e quota del giocattolone volante, riuscii anche a scattare qualche bella immagine del braccio di mare che separa Svolvaer da Bødo. Il B&B di Trondheim (Lade B&B) si preannunciava carino: avevamo addirittura a disposizione un mini-appartamento, in cui spiccava un enorme televisore attaccato al muro proprio sopra ad un letto… Forse sarei riuscito a vedere qualche scampolo di Olimpiadi… GIOVEDI’ 21 AGOSTO – TRONDHEIM – Io avevo pensato a Trondheim come una tappa di defaticamento prima del grande ritorno e così fu. Gironzolare per il delizioso centro storico dominato dalla celeberrima cattedrale di Nydaros fu davvero rigenerante. Ma andiamo per ordine. Scesi in città dopo la “solita” colazione (deliziosa…), fummo colpiti dal gran numero di adolescenti che giravano in nutriti stormi contraddistinti ognuno da un diverso colore di maglietta, che recava la sponsorizzazione del comune di Trondheim. Si trattava di una specie di festa di benvenuto per i nuovi studenti delle scuole superiori; gli “anziani” davano il benvenuto alle “matricole” accompagnandoli… Nel giro dei bar!! Eh sì, il benvenuto consisteva proprio in questo: girare per tutte le taverne dei dintorni fermandosi di tanto in tanto per testare il tasso di…. “ambientamento” dei novellini (corrispondente a quello alcolemico) con simpatici giochi di società come correre vorticosamente attorno a dei birilli senza stramazzare al suolo. Probabilmente il giro dei bar veniva sospeso quando nemmeno uno dei giovani neo-iscritti riusciva a restare più in piedi! Il Pito volle partecipare ai giochi raccogliendo ordinatamente tutti i birilli che un caposquadra aveva appena disposto; il gentile studente ringraziò e tornò a sistemare il “circuito” per il suo stormo di novellini, impazienti di mettersi alla prova. Questa tendenza ad alzare un po’ troppo il gomito ci fu confermata alla sera dall’unico cameriere italiano del…. Ristorante italiano in cui cenammo, un simpatico ragazzo pugliese. Alla fine dell’ottima cena, ci raccontò che al venerdì notte la zona dei pub traboccava di giovani ubriachi che si appisolavano un po’ dovunque. “Nonostante l’alcool costi carissimo, trovano comunque il modo di prendersi delle solenni sbronze” fu il commento a metà tra il divertito ed il rassegnato. Devo dire che anche noi fummo un po’ impressionati da questa passione per gli alcolici dei giovani studenti norvegesi, ma, si sa che “paese che vai, usanza che trovi…” …che dire…contenti loro…. Tornando alla visita del centro città impossibile non restare impressionati dalIa cattedrale gotica di Nydaros, antico luogo ove venivano incoronati i re vichinghi convertiti. Rispetto alle “consorelle” che vidi in Francia, l’interno della chiesa è molto buio e si riesce a scorgere qualcosa del soffitto e solo grazie ai lampadari ed a qualche luce sparsa qua e là. Strana questa cosa: in un posto dove per mesi la luce del giorno dura non più di sei/sette ore, mi sarei aspettato vetrate più luminose della cattedrale di Chartres, ed invece l’atmosfera era abbastanza cupa. Tutt’altra atmosfera si respirava alla fortezza che domina la città, KRISTIANSEN FESTNING, dove ci concedemmo una deliziosa pausa sorseggiando caffè, torta e waffel. I consigli per il consumo di questa specialità mi furono generosamente suggeriti dalle giovani e gentilissimi cameriere del bar: bisognava prendere il waffel (il mio era ancora caldino…) disporlo in un piatto, coprirlo con uno strato di crema di yogurt seguita da un altro strato di leggendaria marmellata di fragole…. e via, pronti per 5 minuti di delizioso delirio culinario. Dopo quella sosta, il waffel divenne il mio spuntino preferito. Al ritorno, foto a volontà sull’antico ponte che domina il canale in cui si specchiano gli antichi magazzini in cui si stoccavano le merci, l’altrettanto celeberrimo quartiere di Bryggen. Ed alla sera finalmente un piccolo assaggio delle olimpiadi, con la cronaca diretta della finale di pallamano femminile, vinta, naturalmente, dalla Norvegia opposta nella finale alla Russia. Non avevo mai visto una partita di pallamano femminile: in questa mi colpirono l’avvenenza delle atlete, particolarmente quelle norvegesi, e la disinvoltura con cui si picchiarono allegramente con le loro colleghe russe per tutta la durata del match. Sembrava in certi momenti di vedere due squadre di modelle della “settimana della moda” milanese impegnate a darsele di santa ragione…. Però! VENERDI’ 22 AGOSTO – Relax a tutto spiano e tempo bello (15° e sole tutto il giorno…) per la visita all’isola di Munkholmen al mattino e la lunga passeggiata al Trøndelag Folkemuseum al pomeriggio, in pratica una copia del museo del folklore di Oslo molto più deserta, purtroppo… In mezzo un favoloso pranzo a base di baccalà al Ravnkloa, che non sarebbe altro che una specie di grande pescheria più una salumeria più un ristorante molto informale, dove il menù è scritto su di una lavagna, ci si siede poco distante dal bancone dove fanno bella mostra di sé svariate specie di pesci e il ragazzo che ti viene e servire porta i jeans e un sorriso tranquillo sempre in volto… Ma meglio di così? Vista l’atmosfera e la prelibatezza del pesce che mi servirono (una specie di stufato di baccalà con enormi e dolcissime patatone, servito caldo caldo dentro il tegame dove era stato appena preparato…) il pranzo batté alla grande la comunque deliziosa cena di Bergen al mercato del pesce. SABATO 23 AGOSTO – Dopo aver assistito al mattino ad un altro matrimonio corredato dalle solite dame e damigelle in costume tradizionale (ed in cui mi colpì l’aspetto rilassato del pastore che ci salutò abbandonando la funzione: mentre saliva su di una bella familiare giapponese sorrideva tranquillo, forse pregustando l’accoglienza che gli avrebbe riservato la famiglia al ritorno a casa…. A quando preti così sorridenti qui da noi?) ci incamminammo per la passeggiata nel fiordo di Trondheim. Devo dire che non ero entusiasta dell’idea, temevo di annoiarmi… Ed anche qui fui clamorosamente smentito. Tanto per cominciare, c’era davvero un sole “che spaccava le pietre” e dopo poco ci trovammo a camminare in maglietta e calzoncini corti. Poi il panorama: mare azzurrissimo e monti a perdita d’occhio all’orizzonte, in mezzo barche a vela e motoscafi intervallati da qualche grosso traghetto o cargo (ma davvero pochi). E poi, la solita organizzazione “norvegese”: ogni tanto si trovava un angolo con altalene e giochi per bimbi, così anche il Pito ebbe occasione di appassionarsi al sentiero. Infine l’apoteosi: sosta con waffel in un piccolo chalet in riva al mare, una casetta deliziosa tutta legno e vetri colorati alle finestre con vista sul fiordo… So che non riuscite a immaginarlo, quindi andateci appena potete, mi raccomando! La sosta qui mi rese consapevole in modo definitivo dell’energia che avevo incamerato durante le vacanze; avevo lasciato alle mie spalle la stanchezza di mesi di lavoro e di impegni ed ora mi sentivo carico come una pila atomica… Quasi come Pito Pato, ecco, che ebbe ancora la forza di correre dietro a svariati “bau-bau” (sarebbero i cani, nel linguaggio del Pato) che percorrevano il sentiero, e questo dopo aver camminato per quasi 4 chilometri… Mica male! Al ritorno a casa un ultimo controllo ai trolley e poi a letto: domani ci aspettavano 3500 chilometri! DOMENICA 24 AGOSTO: il grande ritorno – Sveglia naturalmente presto, il taxi ci aspetta e poi il bus fino all’aeroporto; l’autista che conduceva il bus era davvero odioso… Ma fu solo il preludio di una giornata davvero difficile. Infatti, mentre aspettavamo di superare il metal detector (fianco a fianco con la squadra di calcio del Rosemborg, un po’ la Juventus della Norvegia) il Pito decise che voleva sgranchirsi un po’ le gambe e, passando letteralmente sotto al lungo serpentone di gente che attendeva, si infilò nell’ascensore che portava al piano terra. Potete immaginare il panico che si impadronì di me: cercando di non far ruzzolare nessuno, partii velocemente alla rincorsa dello scellerato figlio, catapultandomi giù dalle scale. Per fortuna giunsi al piano proprio mentre le porte dell’ascensore si aprivano ed il viso soddisfatto del Pito appariva sulla soglia. Purtroppo per lui ad attenderlo c’erano un paio di solenni sculaccioni, primo perché ero spaventato a morte, secondo perché il piccolo temerario mi era scappato ignorando bellamente i richiami belluini miei e di sua mamma. Dal quel momento non ci fu più nulla da fare: Francesco cercò in tutti i modi di vendicarsi facendo sfrontatamente il monello durante la lunga attesa all’aeroporto di Oslo-Sandefjord. Fu un pomeriggio davvero lungo e ci rasserenammo solo quando il piccolo teppista crollò addormentato sul volo RyanAir che ci riportò a Bergamo, partendo con un’ora di ritardo (non ci voleva proprio…). Pazienza, la felicità di tutti i meravigliosi momenti vissuti in Norvegia ebbe comunque il sopravvento e trascorremmo serenamente le ore del volo. All’arrivo all’aeroporto ci aspettava il pulmino del garage dove avevo lasciato l’auto ed in capo a 10 minuti ero alla guida per il ritorno in autostrada. CONCLUSIONE – Poco da dire… Ripartirei domani! DEDICATO … A chi ha voglia e pazienza per organizzarsi in proprio un viaggio, cui spero di essere almeno un poco di aiuto… al personale di terra e di mare delle navi Hurtigruten, disponibile e preciso… a mio figlio Francesco, il “Pito-Pato”, che a soli due anni è stato comunque capace di divertirsi e rilassarsi a 3500 chilometri da casa, permettendo a mamma e papà di godersi una vacanza in un posto davvero speciale… A mia moglie Betta che è stata come al solito perfetta… E ho fatto anche la rima!

BIBLIOGRAFIA · NORVEGIA – Guida del Touring Club Italiano – edizione 2004 · SVEZIA, NORVEGIA E DANIMARCA – Le guide verdi MICHELIN – edizione 2007 · NORVEGIA – Lonely Planet – edizioni EDT – 2004 SITI DA CONSULTARE WIKIPEDIA – L’enciclopedia libera turistipercaso.it wideview.it viaggi.ciao.it chimelofafare.it cisonostato.it viaggiaresicuri



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