New York low cost

Una fantastica settimana all'ombra dei grattacieli tra arte, shopping, lunghe passeggiate nei quartieri e viste panoramiche mozzafiato
Scritto da: letisutpc
new york low cost
Partenza il: 26/06/2017
Ritorno il: 04/07/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €

Parlare di low cost a proposito di New York sembra un paradosso, in realtà se si prenota il viaggio con grande anticipo e ci si sa muovere in rete tra i tanti suggerimenti e consigli offerti dai blog ce la si può fare: noi ci siamo riusciti!

Il 1° step è la ricerca di volo e alloggio: il consiglio è di muoversi il prima possibile e vagliare tutte le possibilità offerte. Si può prenotare il volo separatamente (se ci sono offerte delle varie compagnie aeree), oppure scegliere un pacchetto volo+hotel od optare per b&b o airbnb. Se potete scegliete di alloggiare a Manhattan, vi costerà un po’ di più ma vi risparmierete 1 ora e ½ di viaggio al giorno fra andata e ritorno. Scegliete anche un hotel con 1^colazione: anche se minima vi farà risparmiare tempo (e denaro).

CONSIGLI UTILI-> MUST HAVE

Oltre a passaporto ed Esta è utile stipulare un’assicurazione per far fronte ad eventuali imprevisti durante il vostro viaggio e soggiorno;

Adattatore di corrente per ricaricare tutti i vostri dispositivi mobili;

Lucchetto TSA, se il vostro trolley non ne è già provvisto: in caso di controlli non vi verrà distrutto il bagaglio.

Contanti e credit card: un po’ di contante ci vuole, a seconda della durata del vostro viaggio. Tutte le carte di credito vanno bene, meglio quelle del circuito American express.

Guide turistiche: Noi abbiamo consultato Lonely planet, Chatwin e National geographic per impostare ed organizzare i nostri itinerari. Di grande utilità ci sono stati tanti blog e/o pagine Facebook con video ed informazioni sempre aggiornatissime sulla città e i suoi eventi. Un grande grazie a Piero de “Il mio viaggio a New York” e a Marco di “Snapping New York” che con i loro video quotidiani ci hanno portato a spasso per la città, mostrandoci anche luoghi curiosi e non prettamente turistici.

Maps: Indispensabile quella della metro, noi avevamo quella cartacea regalo di una collega appena tornata da NY. Per quanto riguarda la city map vi consiglio di scaricare la app ULMON sul vostro smartphone e consultarla off line, per noi è stata preziosissima.

Metro card: anche questa è un must have se volete girare NY in lungo e in largo. Quella settimanale costa 32 $ e può essere utilizzata anche sugli autobus e la funicolare per Roosevelt island. La corsa sull’Airtrain da e per l’aeroporto JFK non è compresa e costa 5 $ a tratta.

City pass: sì o no? Dipende da quello che volete vedere, se vi interessano le attrazioni classiche (Statua della libertà, Empire, Top of the rock, circle line e un paio di musei) allora compratelo, se invece siete già stati a New York e preferite percorsi alternativi potete risparmiarvelo. Per salire sugli osservatori si paga sempre (il One world è compreso solo nel Sighseeing pass) ma i principali musei hanno fasce orarie ad entrata libera o “ pay as you wish”, alcuni sono sempre free, quindi cercate un po’ in rete ed organizzate le vostre visite.

Se volete vedere la statua della Libertà da vicino senza visitarla, dal Battery park ogni 30 minuti parte il ferry gratuito per Staten Island: la navigazione dura 25 min. e se farete questa escursione al tramonto non ve ne pentirete, skyline di Lower Manhattan indimenticabile e romanticismo assicurato, se siete in coppia!

Wi-Fi: Appurate prima della partenza che il vostro hotel abbia il wifi gratuito sia nella hall che nelle stanze (non sempre è così): la connessione generalmente è ultra veloce e anche in giro per la città troverete sempre reti a cui agganciarvi.

Pranzi e cene: dato per scontato che a New York mangiare bene costa molto, se potete permettervelo spendete, altrimenti cercate di accontentarvi, di fame di sicuro non morirete! A pranzo avrete un’infinità di soluzioni mangerecce tipo Prèt a manger, Pain quotidien, Chipotle. oltre ai vari McDonald, Burger king, 5 guys, Shake shak, bakeries, juice bars e gelaterie. Un’alternativa sono anche i supermercati tipo Whole foods dove potete acquistare il vostro pranzo a peso nella zona self service e consumarlo in uno spazio ristoro dove avrete a disposizione posate, bicchieri, tovaglioli. Potete rimanere quanto volete, nessuno vi manderà via, passeranno solo frequentemente a pulire i tavoli e svuotare i cestini.

Anche a cena avrete solo l’imbarazzo della scelta fra ristoranti carini, steak house, cattura turisti tipo Bubba gump, Planet Hollywood o Hard rock cafè, oppure, se il vostro budget è più limitato, ci sono le catene tipo Dallas BBQ o i diners, alcuni molto carini.

Mancia: è una regola, va sempre data! I camerieri sono molto efficienti ed attenti alle vostre esigenze. Quando meno ve l’aspettate si materializzano al vostro tavolo per riempirvi il bicchiere d’acqua gelata (adoro!) o rifornirvi di posate e tovaglioli. Suvvia, la mancia se la meritano tutta!

Sicurezza: la città sembra sicura, la polizia è sempre presente nei luoghi più critici. Di sera anche le stazioni della metro sono sempre presidiate da almeno 2/3 agenti.

Fair play/cortesia: abbiamo trovato i newyorkesi molto gentili e disponibili a dedicarci parte del loro preziosissimo tempo, vedendoci in difficoltà (un classico, davanti alla macchinetta erogatrice di METROCARD). Davanti al Gramercy park un signore si è fermato e ci ha raccontato, non richiesta, la storia del quartiere e dei suoi illustri abitanti, fra un po’ ve ne parlerò.

Bene, esauriti i convenevoli, vi invitiamo a tuffarvi insieme a noi, Francesco e Letizia, in questo pazzo parco dei divertimenti chiamato New York.

Day 1: a street above the city

Dopo un ottimo volo Lufthansa eccoci a JFK: superiamo i controlli doganali, recuperiamo i bagagli e seguiamo le indicazioni per l’airtrain: la corsa si paga alla fine, ovvero a Jamaica, il costo è di 5 $ al chiosco dei tabacchi, 6 $ alle macchinette. Abbiamo già 2 metrocard con un po’ di credito quindi prendiamo la metro E e in una quarantina di minuti siamo nei pressi del nostro hotel. Grazie ai video di “Snapping New York” riconosco la nostra via e l’albergo, all’angolo fra la 23street e la 7avenue, check in poi su al 5° piano: apriamo le tende ed ecco l’Empire che ci dà il benvenuto, fantastico! Ci riposiamo un po’ (in Italia sarebbe mezzanotte), ma l’adrenalina è alle stelle e dopo un’oretta usciamo. Con la disinvoltura di 2 perfetti newyorkesi (sempre grazie ai video di “Snapping”) senza esitazione ci dirigiamo verso l’High line, uno dei miei luoghi cult. La percorriamo in entrambi i lati, prima in direzione nord poi sud. E’ il tramonto ed i grattacieli cominciano ad illuminarsi, l’Empire stasera è di un verde squillante. Ci sentiamo piccoli ma nello stesso tempo sospesi nell’atmosfera di questo spazio recuperato in maniera grandiosa. Ci sediamo su un maxi divano di legno ad ammirare il panorama: cosa vogliamo di più? Siamo stanchi morti ma vogliamo andare a vedere il Flatiron, anch’esso a poca distanza dal nostro albergo. Memorie della mia visita precedente cominciano a farsi strada. Prendiamo qualche snack in un SevenEleven poi ci trasciniamo verso l’hotel. In Italia sarebbero le 4 di notte, neanche a Capodanno abbiamo tirato così tardi. Per oggi può bastare, buonanotte New York.

Day 2: A park and the city

Anche se ci siamo addormentati solo poche ore fa, alle 4,30 del mattino abbiamo già gli occhi aperti, forse pero’ è meglio cercare di dormire ancora un po’, vero?

Il nostro primo breakfast newyorkese non è molto vario ma energetico, con muffin e bagel giganti. Il cielo è nuvoloso, quindi decidiamo di visitare l’American museum of natural history, tanto per cominciare. Primo step ricaricare le metrocard con il seven days pass, che ci consentirà di scorrazzare per tutta la settimana sui mezzi pubblici. Muniti del prezioso tesserino prendiamo la metro 1 direzione uptown e alle 10 facciamo conoscenza col gigantesco dinosauro nella hall del museo: se non fosse per le tante persone attorno a noi, ci sentiremmo catapultati nel mezzo del film “Una notte al museo”! Lo spazio espositivo è enorme, scegliamo di vedere le cose che ci piacciono di più, riservando l’ultima parte del percorso ai tanto amati (dal mio compagno) dinosauri. La cosa che personalmente ho apprezzato di più è stata “The jelly dome”: distesi all’interno di una capanna abbiamo osservato la danza di meduse di ogni tipo sui fondali marini, ed il loro incontro con gli altri abitanti del luogo. Molto belli anche i diorami, talmente ben fatti che a volte abbiamo sperato che si animassero, proprio come nel film con Ben Stiller. Dopo 4 ore siamo stanchi ed affamati, prima di allontanarci dalla zona ammiriamo il Dakota, il San Remo e tutti gli altri palazzi extra lusso dell’Upper West side. Una sosta allo Strawberry field è d’obbligo: tutt’attorno musicisti di strada suonano e cantano le famose canzoni dell’indimenticabile John Lennon. Risaliamo Central Park West fino a Columbus circle e ci fiondiamo al Warner centre: nostra meta è il Whoole foods dove ci perdiamo fra gli scaffali, i banconi e i frigoriferi pieni di tanta roba buona, salutista e cara!!! La zona self-service è fantastica, c’è un intero bancone di dolci! Noi compriamo yogurt, mirtilli, corn flakes che poi andiamo a mangiare nell’area ristoro, dove ognuno può consumare ciò che vuole (anche cibo proprio) in tranquillità: grande!

Dopo esserci rifocillati facciamo il nostro ingresso a Central Park: il Wollman rink è senz’altro più scenografico in inverno con la sua pista di pattinaggio, piuttosto che ora, occupato da un chiassoso luna park. Un’occhiata alla Dairy, trasformata in negozio di souvenir, poi percorriamo il Mall, ci sediamo un po’ su una panchina di fronte alla statua di William Shakespeare e poi ci affacciamo finalmente sulla Bethesda terrace. Attorno a noi e nella zona sottostante si muove la più varia umanità: coppie di sposi giapponesi alle prese con lo shooting nuziale, domatori di serpenti, cinesi che offrono massaggi, barboni che pescano le monetine dalla fontana… that’s New York, my friends! Ci sediamo ancora un attimo davanti al Naumburg shell per ascoltare le prove di un’orchestra poi attraversiamo il parco approdando nell’Upper East side, anche questa mica male come zona di residenza. In pochi minuti eccoci sulla Grand Army plaza, dominata dal magnifico hotel omonimo, proprio quello di “Mamma ho perso l’aereo” e tanti altri film di successo. Un po’ titubanti ci avviciniamo all’entrata e appena dentro ci si apre la hall più bella del mondo. Musica soffusa e un profumo discreto ma raffinato fanno da cornice ad un ambiente da favola. Quanto vorrei essere ricca per potermi concedere qualche giorno di vacanza qui… Con ancora negli occhi le bellezze del Plaza facciamo il nostro ingresso nella strada per eccellenza, la 5 avenue: negozi delle migliori marche di lusso del mondo, grattacieli spaziali, migliaia di persone, traffico alle stelle. Manca qualcosa? Entriamo subito nella Trump tower, ma la vista dalla terrazza all’ultimo piano è deludente, vabbè mi consolerò con Tiffany, ma è ora di chiusura, vuol dire che faremo un giro orientativo riservandoci di tornare con calma nei prossimi giorni.

Visitiamo S. Patrick, la principale chiesa cattolica della città poi attraversiamo la strada e siamo quasi abbagliati dalla mole gigantesca della “Ballerina” di Jeff Koons, esposta temporaneamente davanti al Rockfeller Centre. La nostra passeggiata continua verso sud: di fronte alla New York public library giriamo a sinistra ed ecco stagliarsi la sagoma inconfondibile del Christler, il mio grattacielo preferito: nei prossimi giorni lo omaggeremo di una visita più approfondita.

Pochi minuti ed eccoci alla Grand Central station, come sempre di grande impatto visivo. Ci dirigiamo verso la dining court con l’intenzione di assaggiare un hamburger di Shake shak, ma la lunghissima fila ci fa cambiare idea ed optare per un take-away indiano che consumeremo ai tavoli di Shake shak. Finita la cena possiamo dedicarci all’esplorazione di questa magnifica stazione e dei suoi gioielli come la galleria dei sussurri (di fronte all’Oyster bar), la cassetta per le lettere d’argento, l’orologio Tiffany e la spettacolare volta stellata, solo per citarne alcuni. Anche la banchina dei treni ha il suo fascino, mi fa venire in mente uno dei miei film preferiti ambientati a New York, “Innamorarsi”, con Meryl Streep e Robert de Niro. Scattiamo foto a raffica, impossibile non farlo. Emozionati per le tante cose belle viste oggi, prendiamo una metro express che salta la nostra fermata, così dobbiamo tornare indietro impiegando 30 minuti, vabbè ci può stare. Dopo 12 e passa ore di camminate e poche ore di sonno salutiamo con entusiasmo prima l’Empire fuori dalla finestra poi il nostro letto, sul quale crolliamo per un meritato riposo.

Day 3: a jungle in the city

La giornata di oggi è dedicata a Lower Manhattan o downtown, se preferite. Abbiamo acquistato su Expedia i biglietti per l’One World observatory (prezzo ottimo, approfittatene!) e usciti dalla metro a Rector street ci sentiamo piccoli piccoli in questa enorme giungla di asfalto: grattacieli ovunque, e la sagoma della Freedom tower che si staglia altera su tutti. Faccio fatica a ritrovare la Lower Manhattan della mia prima visita a New York, 20 e passa anni fa. Il 9/11 ha letteralmente cambiato aspetto a questa zona, oltre che la vita di tantissime persone, qui ed ovunque nel mondo. Le due vasche sorte al posto delle Twin Towers mettono i brividi, con la mano sfioro i nomi delle tante persone innocenti che hanno perso la vita in questo posto. Il silenzio di questo memoriale, interrotto solo dallo scorrere dell’acqua all’interno delle vasche, contrasta con l’operosità di tutta la zona, ma è il giusto tributo alla memoria di chi non c’è più.

Per scelta decidiamo di non visitare il museo del 9/11, troppo doloroso: ci avviamo alla biglietteria dell’One WTC dove i nostri coupons vengono trasformati in biglietti e in meno di 1 minuto veniamo catapultati fino al 102° piano: quello che succede in ascensore durante la salita è una sorpresa, a noi è piaciuta, così come la preparazione a cosa ci aspetterà una volta che varcheremo la porta dell’osservatorio. Devo dire che la vista a 360° fa rimanere senza fiato: oltre il vetro c’è il ponte di Brooklyn e quello di Manhattan, la statua della Libertà ed Ellis island e tutta la città fino a Midtown. Essere più in alto dei grattacieli è una sensazione fantastica. Consiglio di compiere la visita quando ci si sa già orientare nella città, in modo da riconoscere tutti i luoghi di interesse. Scattiamo foto e molti video e dopo 1 ora e ½ scendiamo e ci dirigiamo verso Brooksfield place con il suo magnifico winter garden atrium, unico ricordo del mio viaggio precedente. Il palazzo è sede di tante grandi compagnie, di un centro commerciale molto chic e di una food court fantastica dove anche noi pranziamo con 2 insalatone che mangiamo ad un tavolo con vista strepitosa sull’East river. Quando usciamo visitiamo la S.Paul chapel, minuscola in mezzo a tanti giganti di cemento: nei giorni successivi all’11 settembre questa piccola chiesa diventò un punto di riferimento per tutte le persone coinvolte nella tragedia: pompieri, parenti delle vittime, tutti ricevevano cibo, informazioni, soccorso. Il bianco della pinna dell’Oculus di Calatrava è un bel colpo d’occhio che fotografo da tante angolazioni. Facciamo un salto a Century 21, di cui avevo molto sentito parlare ma che delude le mie aspettative di shopping, pazienza! Ci spostiamo all’interno dell’Oculus, perfetto nella sua asetticità: questo gioiellino, costato 4 miliardi di dollari, è stato pensato per connettere i treni Path, 11 linee della metro, le 4 torri del WTC, la piazza del memoriale, la Brookfield Place e il terminale dei traghetti Battery Park city. Il complesso ultimato ospiterà anche un mega centro commerciale di 21 mq.: che dire, grandioso!

Abbagliati da tanto bianco ci avviamo verso il cuore del Financial district, ovvero Wall Street, fermandoci a dare un’occhiata alla Trinity church, anch’essa simbolo doloroso dell’11 settembre. Il mio scarso interesse per l’economia mi porta a non soffermarmi più di tanto su questa via nella quale si decidono le sorti finanziarie mondiali. Un rapido passaggio da Tiffany, dove siamo pressochè gli unici clienti ed i commessi ci stanno molto addosso ed una sosta ad un “Pret a mangèr” per dissetarci, poi cerchiamo di farci strada fra la moltitudine di turisti intenti a fotografare il Charging bull di Antonio di Modica e la Fearless girl al Bowling green: pare che Di Modica non abbia gradito la presenza della ragazzina impertinente di fronte al suo toro, adducendo la motivazione che travisava il senso dell’opera, secondo me gli toglieva semplicemente la scena. Riesco a farmi scattare una foto abbracciata alla bimba, riuscire a farlo anche con il toro è una mission impossible e rinunciamo. Ci piacerebbe visitare il National museum of the American indians ma per oggi ha già chiuso i battenti, così passeggiamo per Battery park alla ricerca dell’imbarco del ferry che ci porterà a Staten island. Girando lo sguardo ci accorgiamo della presenza di 2 statue di Keith Haring nello spazio sottostante un grattacielo: io sono felicissima, avevo fatto una mappa delle opere di questo artista sparse per la città e trovarmene di fronte ben 2 senza neanche averle cercate mi riempie di gioia. Questa è la prima di una serie di circostanze fortuite che ci porteranno ad imbatterci in cose che volevamo vedere senza neanche cercarle: caso, fortuna? Non so, comunque un grande risparmio di tempo, che in una città come New York è prezioso assai, quindi ben venga.

Saliamo sul traghetto arancione e durante i 25 minuti di navigazione facciamo tante foto e video: Miss Liberty, vista da così vicino, fa una certa impressione. Una volta sbarcati nel distretto di Staten island decidiamo di ritornare subito indietro: l’unica cosa che poteva interessarci, la casa museo dove Garibaldi visse con Meucci è ormai chiusa, quindi ritorniamo verso Manhattan godendoci i bei colori del tramonto.

Nuovo giro nuovo regalo: con la metro e arriviamo a Canal street, il cuore di Chinatown e sembra proprio di essere in Asia: tutte le insegne sono in cinese, c’è una folla pazzesca, tanti negozi, bancarelle, confusione. Finalmente vediamo l’insegna “Welcome to Little Italy” all’imbocco di Mulberry street: povera Italia, relegata nello spazio di un’unica via che ne rappresenta poco e male gli stereotipi: pizza, spaghetti, cannoli siciliani. Meglio fuggire, dopo aver ammirato 2 bellissimi murales colorati. Passeggiamo per Soho e per il Village, questa è la parte di New York che prediligo perché mi sembra più a misura d’uomo e anche perché vissi qui durante il mio 1° soggiorno newyorkese. Entriamo in qualche negozio, poi la fame comincia a farci sentire e cerchiamo un posto in cui fermarci. La scelta diventa obbligata quando un incendio su Houston street ci sbarra la strada: entriamo in un Diner e finalmente mangiamo il nostro 1° hamburger americano, veramente buono! Tutte le strade attorno al luogo dell’incendio sono state transennate e la metro chiusa, non ci resta che entrare nel Washington square park e poi incamminarci a piedi lungo la 5 avenue fino al Flatiron e di qui al nostro hotel. Avessimo avuto un contapassi oggi avremmo battuto tutti i record! Buonanotte New York

Day 4: shopping in the city

La giornata di oggi decidiamo di dedicarla allo shopping, naturalmente con qualche deviazione per luoghi e monumenti che ci interessano. Con la metro arriviamo a Columbus circle proprio sotto la Hearst tower di Norman Foster, spettacolare. Bello anche il nuovo Museum of art and design, anche se in foto rende di più. La rassegna artistica prosegue con le due statue giganti “Adamo ed Eva” di Botero nella hall del Warner centre e poi si conclude con l’Hippona ballerina scolpita a Firenze da Bjørn Okholm Skaarup e collocata davanti al Lincoln Center. Davanti a lei mi sento non magra, di più! Bellissima la piazza del Lincoln center su cui si affacciano gli edifici che ospitano spettacoli di tutte le arti performative: musica, teatro, danza, più la sede della Juilliard school, forse la più famosa scuola di arti musica e spettacolo a livello mondiale. Percorrendo Amsterdam avenue ritorniamo a Columbus circle e costeggiando Central Park sud arriviamo alla Grand Army plaza e di qui sulla 5 avenue: 1^ tappa Tiffany, il luogo dove ogni donna, me compresa, sogna di passare più tempo possibile, magari con una carta di credito no limits, mentre i mariti ed i fidanzati sudano freddo. Dopo essermi rifatta gli occhi alla vista di tanti eleganti monili e non aver comprato niente (per la gioia del mio compagno) usciamo ed entriamo subito dopo da Armani, non per fare shopping ma per vedere il negozio in sé, progettato da Massimiliano Fuksas: devo dire che è splendido, dall’ultimo piano ve lo godrete nella sua interezza.

Visto che in materia di shopping uomini e donne hanno gusti e tempi diversi, io e Francesco ci separiamo dandoci appuntamento fra un paio di ore davanti a St. Patrick. Non so come io riesco a vedere solo 2 negozi, lui tutti quelli della 5 avenue! Per prima cosa vado da Uniqlo dove compro magliette per i nipotini, poi mi perdo letteralmente in quel paradiso di femminilità e sensualità di Victoria secret. Compro regali per le amiche e per me, ecco adesso sì che ci vorrebbe una Mastercard unlimited per poter far scorta di questa lingerie così sexy! Un’occhiata all’orologio e le 2 ore di bonus sono abbondantemente passate, ahimè troppo in fretta. Ritrovo Francesco sui gradini di S. Patrick e visto che fa molto caldo decidiamo di andare a riposarci un po’ a Bryant park, meravigliosa oasi verde fra i grattacieli: peccato che il prato centrale sia completamente esposto al sole, sicuramente, stanchi come siamo, ci saremmo addormentati di botto. Mangiamo un’insalata da “Pret a manger” poi visitiamo la New York public library, luogo di culto per una bibliotecaria come me. La sala di lettura all’ultimo piano è davvero fantastica, per non parlare delle salette riservate agli studiosi che riusciamo ad intravedere sbirciando qua e là. Nella sezione ragazzi troviamo esposti, un po’ malridotti, i peluche originali che hanno ispirato le storie di Winnie the Pooh. Inutile dire che pagherei per lavorare qui, vero? Visto che il Chrysler è poco distante decidiamo di vederlo meglio entrando nella magnifica lobby art decò con pareti e soffitti in marmo rosso. Bellissimo il murale di Edward Turnbull, per non parlare delle porte degli ascensori, con disegni art decò delle stesse tonalità delle pareti. I grattacieli moderni sono fantastici, ma questo per la sua raffinatezza e particolarità rimarrà sempre il mio preferito.

Riprendiamo la 5 avenue in direzione sud, i negozi sono sempre meno belli e fa un caldo esagerato, così decidiamo di tornare in albergo a riposarci un po’. In zona flatiron entriamo nel negozio lego, dove leggiamo la storia di questo palazzo, sede del 5 avenue hotel, a suo tempo uno dei migliori della città, che fu demolito agli inizi del 20° secolo per lasciare posto ad una fabbrica di giocattoli che visse la sua età d’oro durante la 1^ guerra mondiale. Forse non è un caso che il negozio lego sia proprio qui! Una volta in albergo crolliamo addormentati e ci svegliamo dopo un paio d’ore, eravamo proprio distrutti! Belli freschi (si fa per dire, fuori ci sono ancora 30°) con la metro approdiamo a times square, un unico grande luna park. Dopo aver passeggiato naso all’aria accecati dalle 1000 insegne luminose ed avere visto (per un colpo di fortuna) uno stupendo e gigantesco murales di lichtenstein nella hall di un palazzo, finalmente cerchiamo un ristorante per cenare. Scartati i vari Hard Rock Cafè e Bubba Gump optiamo per Dallas Bbq, dove mangiamo pollo con riso e patatine. Guardando i tavoli vicini ci sentiamo un po’ a disagio per il nostro ordine modesto, ma sono le 11 di sera e se mangiassimo le quantità di cibo fritto dei nostri vicini passeremmo la notte in bianco! A mezzanotte siamo sulla scalinata di Times Square ubriachi della marea di gente che si muove attorno a noi: turisti, venditori della qualunque, personaggi di disney con cui farsi le foto, musicisti, ballerine dipinte a stelle e strisce… aiuto, fateci scendere da questa giostra impazzita!

Day 5: art and the city

Oggi è un caldo terribile fin dal primo mattino, oh my God, ce la faremo a rispettare la nostra fittissima tabella di marcia? Domandarselo è inutile, let’s go! A pochi passi dal nostro albergo c’è il Chelsea hotel, un’icona per tutti gli appassionati di arte, letteratura e musica: ora in fase di ristrutturazione, un tempo dimora di tanti artisti famosi fra cui Arthur Miller, Dylan Thomas, Thomas Wolfe, Bob Dylan e Leonard Cohen. Qui Andy Warhol girò “Chelsea girl” e Syd Vicious uccise la fidanzata, insomma, ne successero di cotte e di crude.

Prendiamo la M 1 e scendiamo nel cuore del Village, il mio quartiere preferito. In lontananza vediamo la Jefferson market Courthouse, uno degli edifici più belli di New York, ora biblioteca pubblica: come si fa a non entrare? Al di là della sua destinazione d’uso è un edificio bellissimo ed insolito, sia all’interno che all’esterno. Il giardino poi è una vera chicca, con piante e fiori lussureggianti. Una simpatica signora ci invita ad entrare, peccato non averlo fatto. In questo giardino si è svolto il matrimonio fra Miranda e Steve in “Sex and the city”. Da qui raggiungiamo Christopher Park, che ha come particolarità le Gay Liberation Statues, una coppia di statue bianche che celebrano l’amore omosessuale, oggi infiocchettate con un boa di struzzo, resti dei festeggiamenti del Gay pride appena concluso. Passeggiare per il Village è piacevolissimo, le vie sono strette ed alberate come quelle europee, i negozi piccoli e curati, si respira calma invece dello stress che anima il resto della città. A Washington Square facciamo conoscenza con uno scoiattolo al quale regaliamo una delle nostre noci, poi, seduti su una panchina all’ombra, ascoltiamo musicisti di strada che cantano e suonano il banjo: relax puro! Gironzoliamo un po’ poi entriamo a dare un’occhiata allo store della New York University. E’ ora di affrontare la lunghissima Bowery, dove New York si trasforma a mano a mano in una città cinese a tutti gli effetti: entriamo in qualche supermercato e in una pasticceria, qui l’inglese se lo sono proprio dimenticato!!! Finalmente raggiungiamo il Mahayana temple, la cui visita è un’esperienza unica per chi, come noi, non è mai stato in Oriente.

Dopo aver lasciato un’offerta peschiamo dal cesto un bigliettino giallo beneaugurante, (un po’ come nei biscotti della fortuna), poi entriamo nel tempio vero e proprio dominato dall’enorme Buddha dorato ai piedi del quale sono sistemate piante, vasi di fiori e cesti di frutta, omaggi dei fedeli alla divinità. A suo modo è un posto magico. All’uscita ci immergiamo nel caos di Canal street, troviamo anche “The original Chinatown icecream factory” in negozio microscopico dove i tanto decantati gusti di gelato hanno colori così innaturali che non ci ispirano neanche un po’, così prendiamo la metro scendendo a Midtown dove pranziamo in un “Le pain quotidien” con un’insalata ed un’ottima bagel. Mentre percorriamo la 53east in direzione Moma, ci imbattiamo nel Paley park, un’oasi di fresco fra i grattacieli di Manhattan: con la sua cascata offre refrigerio a tutte le persone che si siedono in questo delizioso spazio urbano per sfuggire all’afa cittadina. Veramente delizioso!

Oggi al MOMA l’entrata è free dalle 16 alle 20, avendo letto che i tempi d’attesa possono essere lunghi, ci mettiamo in fila un po’ prima: alle 15.45 siamo già all’interno del museo… God bless America! Visitiamo la mostra temporanea che celebra il 150° della nascita di F.L. Wright, poi saliamo agli ultimi piani per vedere i capolavori assoluti della pittura moderna. E’ sconfortante vedere la gente passare davanti a capolavori assoluti della pittura mondiale solo per fotografarli o farsi un selfie, senza degnarli di uno sguardo. Pensavo accadesse solo in Italia, ma mi sbagliavo. Avvicinarsi alla Notte stellata di Van Gogh è impossibile, mi alzo sulla punta dei piedi e la ammiro da lontano. Dopo un paio d’ore scendiamo nel bellissimo giardino interno, ci sediamo ad un tavolino e sfogliando il mio quaderno di appunti scopro che stasera, fino alle 22, l’entrata al Whitney è “pay as you wish”: una rapida occhiata alla cartina e scopriamo che la metro blu può portarci poco distanti, così, attraversando il Meatpacking district (ed adocchiando localini per la cena) arriviamo al nuovo Whitney, a firma Renzo Piano. Pare che l’aspetto dell’edificio abbia diviso l’opinione pubblica americana: è massiccio, ma anche il vecchio Whitney lo era. Le terrazze al 7° ed 8° piano sono spettacolari ed offrono una vista fantastica su Manhattan, altro che rooftop! Anche questo museo mi delude non poco, dove sono finiti tutti i quadri di Hopper che fanno parte della collezione permanente? Ci consoliamo pensando che non abbiamo pagato il biglietto intero… il ristorante che avevamo adocchiato 2 ore fa non è più di strada, decidiamo di riprendere la metro sulla 14^, non prima di aver visto le simpatiche sculture in bronzo di Tom Otterness disseminate ovunque nella stazione. Quanta arte in questa giornata newyorkese… è giunto il momento di pensare alla pancia quindi, una volta nei pressi del nostro hotel, ci fiondiamo al Dallas BBQ dove mangiamo hamburger sontuosi. La cameriera, che fra l’altro ha il mio stesso nome, cerca di invogliarci ad ordinare enormi beveroni colorati e super alcoolici ma fa troppo caldo per reggere anche una sbronza! Ripassando davanti al Chelsea hotel penso all’atmosfera che si respirava qui quando Bob Dylan componeva “Sad eyed lady of the lowlands”, o Arthur Miller piangeva la fine del suo matrimonio con Marylin o Dylan Thomas perdeva la sua battaglia contro l’alcool… che tempi memorabili! Alzando gli occhi al cielo l’Empire ci saluta vestito dei colori della bandiera americana, il 4 luglio è vicino, buonanotte a noi!

Day 6: A city inside the city

Oggi, per la prima volta proviamo l’ebbrezza degli autobus, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta, dalla nostra via ne passano a decine! Un gentile signore ci spiega come convalidare la nostra metrocard prima di salire a bordo del 23 che ci porta a Park Avenue. Prima meta del giorno è il magnifico Gramercy park, un’oasi di pace e silenzio incantevole ed esclusiva: l’accesso al parco, infatti, è consentito solo ai residenti. Vogliamo parlare delle case che incorniciano il parco? Ognuna in uno stile diverso, ricche dimore per abitanti vip. Sbirciando all’interno del giardino vediamo una bella scultura di Calder, oltre a curatissimi cespugli di ortensie ed altri fiori. Mentre stiamo girando un video ci si avvicina un signore che comincia a raccontarci la storia della piazza e dei suoi abitanti: Richard Gere che abita proprio a pochi passi da noi, il nipote di Calder, che ha donato al parco la statua che abbiamo appena visto, risiede sull’altro lato, mentre l’anchor man Jimmy Fallon ha ben 7 appartamenti in quell’edificio lì. Noi rimaniamo esterrefatti in primis per la spontanea e non richiesta elargizione di tante informazioni interessanti e curiose, nonché della gentilezza di questo signore. Senza accorgercene abbiamo registrato tutto, sarà un souvenir originale che ci porteremo in Italia!

La giornata è iniziata davvero alla grande, chissà cos’altro ci aspetta. Arriviamo a Union Square, dominata dal Metronome, il simbolo della piazza. Oggi è giorno di mercato, il coloratissimo “Farmer’s market”: frutta, verdura, fiori meravigliosi, apple pie che sembrano appena uscite dal forno di Nonna Papera… Siamo curiosi di assaggiare qualcosa, per fare confronti col cibo km 0 italiano. Italia batte USA 10-0! Tanta gente fa la spesa al mercatino, nel resto del parco giocatori di scacchi si sfidano in interminabili partite. Eccoci davanti alla libreria “Barnes&Noble”: è qui che sorgeva la famosa factory di Andy Warhol. Entriamo e ci perdiamo fra gli scaffali di questo tempio della letteratura un po’ demodè ma pieno di fascino. Io compro un peluche per mia nipote, Francesco cerca qualche libro, poi diamo un’occhiata alla bellissima caffetteria dove si fronteggiano 2 murales in cui i grandi della letteratura mondiale condividono gli stessi tavoli di caffè, una sorta di cenacolo letterario. Anche questo luogo è davvero incantevole.

Da Union Square la metro ci porta al Meatpacking district: abbiamo visto il video di “Il mio viaggio a New York” dove Piero degustava un fantastico gelato magnum personalizzato e non vogliamo perderci questa esperienza che in effetti è mistica, peccato che il gelato finisca presto! Da qui al Chelsea market il passo è breve: l’antica fabbrica di biscotti Oreo è stata trasformata in una fantastica food court dove sono rappresentate tutte le cucine del mondo. Oltre ai ristoranti ci sono anche negozi e la sede di You tube ai piani superiori. L’ora di pranzo e la pioggia hanno radunato qui tanta gente, noi che abbiamo già pranzato riusciamo a farci un’idea del posto, davvero bello ed originale. La pioggia ci impedisce di visitare le gallerie d’arte di Chelsea, ci vorrebbe troppo tempo e noi siamo ansiosi di sbarcare a Brooklyn, la città dentro la città. La prima impressione, appena sbucati dalla metropolitana è di grandi spazi e grande calma. Brooklyn hights è una zona residenziale bellissima e silenziosa, apparentemente lontana anni luce dal caos di Manhattan, che è solo sull’altra riva dell’East river. Dopo una sosta di una mezz’oretta su una panchina all’ombra, percorriamo l’incantevole Promenade godendoci la vista su downtown e scattando tante foto e video. Scendiamo verso Dumbo, la vista dal basso dei 2 ponti in successione è fantastica! Vicino al Carousel coppie di sposi posano per i servizi fotografici, ad attenderle, all’angolo della strada, enormi limousine. Senza cercarla troviamo Washington street, la via immortalata in “C’era una volta in America”: la foto dell’Empire incastrato sotto l’arcata del Manhattan bridge è d’obbligo! Ci piacerebbe tanto gironzolare per Dumbo, nuovo quartiere bohèmien, ma il cielo è minaccioso e visto che vogliamo attraversare a piedi il ponte ci conviene affrettarci. Brooklyn Bridge, a noi: percorrerlo ci emoziona tantissimo, facciamo video e tante foto per immortalare l’impresa. Che bello passare sotto le arcate del “ponte” per antonomasia: i ciclisti sfrecciano veloci, infastiditi dai pedoni che invadono la loro corsia. Improvvisamente, quando i grattacieli di lower Manhattan sono ormai vicinissimi, si scatena un acquazzone inopportuno: a poco serve l’ombrello che avevamo con noi! Quando finalmente troviamo riparo sotto il porticato della NY city hall siamo fradici: niente paura, il caldo della metro ci asciugherà!

Una volta in albergo una doccia e un po’ di riposo sono necessari: usciamo per cena sull’8^avenue, ma nessun ristorante ci soddisfa, quindi compriamo 2 tranci di pizza e via. La giornata iniziata in modo idilliaco termina in maniera surreale con una donna paludata in strati di vestiti e copricapi che ci si para davanti all’improvviso urlando come una matta “Help me!” e buttandosi a terra. Io mi spavento tantissimo e mi allontano, chi si avvicina se ne va rapidamente scuotendo la testa. Che sia un’istituzione del quartiere? Chissà, comunque anche questo è New York.

Day 7: God bless the city

Oggi è domenica e il caldo non manca. Sulla 6^ prendiamo l’autobus M7 che con una quarantina di fermate ci porterà ad Harlem, consentendoci di vedere una bella fetta della città comodamente seduti al fresco: grande invenzione, gli autobus! In pochi minuti ci scorrono davanti agli occhi i grandi magazzini Macy’s, la Bank of America, la scultura Love di Robert Indiana, non male, direi… Oltrepassato il Lincoln center il paesaggio comincia a cambiare, i grattacieli lasciano il posto ad edifici più “umani” (e modesti), finché si aprono gli immensi boulevard di Harlem, assolati e pieni di chiese, mai viste tante in vita nostra! Scendiamo dall’autobus di fronte al “Sylvia’s restaurant”, famoso per la soul kitchen: il menù per il brunch è davvero invitante e la gente si sta già mettendo in fila davanti all’ingresso ma… sono solo le 11 di mattina! Camminando verso l’Apollo theater incrociamo due donne che entrano nel portone bianco della “High rock Baptist church”. D’istinto le seguiamo e così, del tutto per caso assistiamo anche noi ad una funzione Gospel, magari in una chiesa di serie B ma a suo modo coinvolgente. Tutti, vecchi e giovani, partecipano attivamente, l’energia del gruppo è contagiosa, tanto che dopo un po’ anche noi intoniamo il ritornello di “Shake the devil off”. Prima dell’inizio della predica ci defiliamo, contenti di aver aggiunto un altro tassello di vita americana all’incredibile puzzle di questa nostra vacanza.

Arrivati davanti all’Apollo theater ammiriamo le targhe sul “walk of fame”: tutti i più grandi cantanti e musicisti black sono passati di qui, nessuno escluso! Camminando per una Harlem sempre più assolata arriviamo finalmente al campus della Columbia University: una foto davanti alla statua dell’Alma Mater è d’obbligo, per 2 ex studenti come noi! La Low library, la monumentale biblioteca che domina il campus è chiusa, dovrò dirlo ai nostri studenti che sostengono che negli Stati Uniti le biblioteche universitarie siano aperte h. 24! Ci sediamo all’0mbra: oggi c’è una sorta di open day, un gruppetto di future matricole, tutte asiatiche, sfila con aria disorientata per i viali del campus.

Prossima destinazione la chiesa di St. John the divine, l’eterna incompiuta: ad attirare il nostro interesse è la pala d’altare di Keith Haring dal titolo “The life of Christ”: quest’opera, datata 1990, fu l’ultimo lavoro, emblematico, dell’artista. Il caldo non dà tregua e neanche la fame, ma quest’area è totalmente priva di locali, ci spostiamo quindi in zona più centrale e mangiamo 2 panini in un McDonald: non ho idea di dove ci troviamo, probabilmente nel Barrio, visto che tutti parlano spagnolo. Riprendiamo l’autobus e scendiamo sulla 86^: la nostra idea è quella di attraversare Central Park nel senso della larghezza e percorrere il museum mile fino al Guggenheim, ce la faremo? Eccolo là, il Guggenheim, l’aspetto è inconfondibile: entriamo nella hall, non abbiamo però le energie per intraprendere una visita, quindi ci sediamo ad ammirare l’originale struttura e le famose scalinate.

Dopo poco eccoci davanti al MET, il museo dei musei: purtroppo non siamo riusciti ad includerlo nel nostro tour, vorrà dire che avremo una scusa per tornare, prima o poi… Tanta gente sta uscendo, se vogliamo vedere almeno la hall ci conviene affrettarci. Per 2 amanti dei musei come noi è un vero rammarico essere a NY e non vedere il MET, pazienza. Quando usciamo prendiamo un autobus al volo che ci porta all’incrocio fra la 5av. e la 53^: mentre Francesco schizza via verso il negozio NBA, io ho la curiosità di vedere “American girl place”, un negozio pazzesco anche per chi non è più bambina: qui ogni bimba può avere una bambola con le proprie sembianze, vestirla ed anche pettinarla a sua immagine, un piccolo clone, insomma. Al 3° piano un team di parrucchiere sistema le bambole nella classica poltrona da parrucchiera e le pettina come la bambina chiede… se non lo avessi visto non ci avrei creduto! Ancora divertita per questa novità (costa 115 $, però) esco e raggiungo Francesco all’NBA store: abbiamo in mente di fare merenda da Junior’s con una delle sue fantastiche cheese cake. Nel giro di 10 minuti siamo seduti ad uno dei tavolini rossi con vista mozzafiato su Times Square, pronti ad assaggiare una original American red velvet cheese cake. Che delusione! Dopo poche forchettate ne ho abbastanza, questa cheese cake è troppo acida e burrosa, quella che faccio io è decisamente meglio! Ripercorriamo Times Square, oggi decisamente strabordante di persone, odori e rumori e riusciamo a salite su un autobus che ci porti downtown. Scendiamo lungo il famoso “fashion mile” e ci dirigiamo nel tempio dello shopping, i grandi magazzini Macy’s di Herald square, “the world’s largest store”: non appena varcata la soglia io mi sento male, anzi malissimo … sudore, nausea – Maledetta cheese cake – penso mentre Francesco mi conduce fuori pregandomi di non svenire… Nel giro di 10 minuti mi riprendo un po’, saliamo sull’autobus e quando vedo l’insegna del nostro hotel tiro un sospiro di sollievo!

Alla sera nessuno dei 2 ha fame, così decidiamo di farci stampare le carte d’imbarco alla reception dell’albergo e poi concederci un’ultima passeggiata di commiato a New York, magari tornando sull’High line da dove il nostro viaggio è cominciato. Purtroppo, a causa dell’inesperienza del concierge, una pratica burocratica che richiede al massimo 10 minuti ci porta via 2 ore e non va a buon fine, perché le 2 carte d’imbarco stampate non hanno il QR code quindi non vanno bene, che nervoso! Quando finalmente usciamo dall’hotel è mezzanotte, l’HighLine ha già chiuso, così come tutti i locali dove volevamo fare un brindisi d’addio. Ma NY non era la città che non dorme mai? Evidentemente questa regola non vale per il quartiere di Chelsea. Compriamo lo stesso 2 Corona in un drugstore h 24 e ce le beviamo alla finestra della nostra camera, davanti ad un bellissimo Empire vestito a festa.

Day 8: bye bye to the city

Oggi è il nostro ultimo giorno a NY e siamo tanto tristi. Proviamo a chiedere all’impiegata della reception la stampa delle carte d’imbarco ma risponde che dai loro terminali non riescono, mah, mi sembra una scusa bella e buona. Comunque non vogliamo rovinarci il poco tempo che ci rimane e dopo aver lasciato i nostri trolley in deposito prendiamo l’autobus: il “Ladies’ mile fashion district” ci aspetta! E’ un vero peccato essere approdati qui l’ultimo giorno di vacanza, ma anche un sollievo per le nostre carte di credito! Iniziamo da Gap, dove prendo 2 t-shirt per i nipoti, poi finalmente entriamo da Macy’s, una vera metropoli dello shopping spalmata su 11 piani. Sulla piantina scegliamo cosa vedere e cominciamo a scendere e salire con le scale mobili, meravigliose quelle di legno che risalgono agli anni 20. Ogni piano è gigantesco e contiene anche caffè e ristoranti Quando usciamo, dopo 2 ore abbondanti, abbiamo visto solo una minima parte di questo paradiso dello shopping, in compenso non abbiamo più mani per reggere le borse con gli acquisti fatti. Visto che l’Empire è a pochi passi, vediamo se riusciamo ad entrare almeno nella lobby: la fila è troppo lunga e ci tocca rinunciare. Recuperati i trolley in hotel ci avviamo sempre molto tristi verso il nostro ultimo viaggio in metro: ci consola l’esibizione di un funambolico ballerino che si arrampica su e giù per i corrimano del vagone della metro al ritmo di “Sweet dreams” degli Euritmics. La fila all’imbarco bagagli è lunghissima e temo di perdere l’aereo (Francesco, come tutti gli uomini viaggia col solo bagaglio a mano ed evita la fila, vorrà dire che tornerà in Italia senza di me). Fortunatamente un simpatico addetto mi fa passare davanti ad altri e mi stampa anche le carte d’imbarco. Con quelle di Francesco, solo sul tablet, avremo qualche problema in più ma tutto si risolverà per il meglio. Gli aerei Lufthansa ci portano prima a Francoforte poi a Bologna, dove arriviamo alle 9.30 di mattina: a New York sarebbero le 3.30 di notte, e noi abbiamo già tanta nostalgia.

Conclusioni

New York è una città pazzesca, ogni volta che tornerete vi stupirà con i suoi continui cambi di scenari e con i 1000 mondi che racchiude. Non vi annoierete mai, anzi a volte vorrete fermare l’orologio per fare durare all’infinito le sensazioni che state provando. Ho reso l’idea? Alla fine del viaggio il numero delle cose che vi pentirete di non aver visto sarà senz’altro maggiore delle tante che avrete visto e vi metterà subito la frenesia di tornare, prima possibile, per sentirvi ancora una volta protagonisti di questo fantastico film che si chiama New York.



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