Cinquanta sfumature di deserto

Viaggio alla scoperta della Namibia in self drive
Scritto da: ollygio
cinquanta sfumature di deserto
Partenza il: 05/11/2017
Ritorno il: 22/11/2017
Viaggiatori: 4
Spesa: 2000 €

CINQUANTA SFUMATURE DI DESERTO

Quest’anno il mal d’Africa ha preso il sopravvento. Sono anni che eludiamo questo splendido paese dalle nostre rotte di viaggio, un po’perché è sempre un po’instabile politicamente, un po’perché, malgrado sia la terra più povera del pianeta, è una delle destinazioni più dispendiose. La nostra prima scelta è stata la Tanzania con i suoi immensi parchi, paradiso di ogni tipo di animale esotico ma, dopo aver chiesto vari preventivi alle agenzie locali trovate su internet abbiamo dovuto cambiare destinazione, un safari nei maggiori parchi del paese della durata di 16/17 giorni superava i 3500 € pro capite, senza il volo internazionale, decisamente troppo caro per le nostre attuali finanze! Abbiamo ripiegato quindi sulla Namibia, destinazione ugualmente cara, ma qui, a differenza della Tanzania, è possibile viaggiare con un fly and drive, cioè guidando noi stessi un’auto per le strade del paese , abbattendo notevolmente i costi. Subito eravamo un po’ timorosi nello scegliere questa tipologia di viaggio, essendo la prima volta da soli alla guida di un’auto in un paese straniero poi siamo stati rassicurati da alcuni conoscenti che hanno viaggiato così e che ci hanno detto essere un modo facile e sicuro, così abbiamo accettato la sfida ed abbiamo cominciato a consultare varie agenzie di viaggio. Esistono molte agenzie gestite da italiani che vivono in Namibia almeno buona parte dell’anno e, vista la nostra sommaria conoscenza dell’inglese, è sicuramente stato più facile consultarle. Abbiamo scelto HB Safaris, di Emiliano e Stefania che ci ha fatto il preventivo più economico, il tragitto più completo ed è sempre stata veloce e precisa nel rispondere ad ogni nostra richiesta o dubbio, una scelta davvero azzeccata e consigliatissima. Giusto per dare un’indicazione a chi legge della spesa complessiva del nostro viaggio, abbiamo pagato attorno a 1650 € pro capite il pacchetto all’agenzia, comprendente il noleggio dell’auto, 17 notti con prima colazione e 12 cene; abbiamo optato per alcune attività facoltative (mini safari con aperitivo nel deserto del Kalahari, mini crociera a Walvis Bay, escursione sulle dune a Sandwich Harbur , escursione alla ricerca degli elefanti di montagna nel Damaraland, visita al villaggio Himba) il tutto per 480 € , l’entrata ai vari parchi non supera i 50 € ,380 euro circa di carburante e 600 € di volo aereo internazionale con Ethiopin Airlines. Si cena normalmente con 15 / 18 euro bevendo vino del Sud Africa, ottimo e a prezzi modici; la volta che abbiamo decisamente esagerato, in un locale elegantissimo di Swakopmund, mangiando ostriche e bevendo ben 2 bottiglie di vino abbiamo speso 25 € a testa.

Viaggiare in autonomia è veramente facile in Namibia, le strade sono così poche che è veramente impossibile perdersi, inoltre Stefania ci ha preparato una cartina con il nostro tragitto segnato e un libretto con tutte le indicazioni sulle strade da prendere… l’unico neo che viene penalizzato un po’l’aspetto umano del viaggio, in quanto eravamo sempre noi 4 e negli hotel ci trovavamo attorniati solo da turisti.

La Namibia ci è entrata nel cuore come uno dei viaggi più belli fatti fin’ora… i colori di questi infiniti deserti che variano dal rosa, al rosso ,al giallo, al bianco, al grigio, al color cioccolato, al verde argento; questi spazi infiniti in cui guidi per ore senza incontrare nessun’altro mezzo tanto da farti credere di essere gli unici padroni dell’universo , un universo solo popolato da animali a noi non famigliari , orici dalle lunghe corna, zebre, sciacalli, giraffe, sprinbox che ti attraversano all’improvviso le lunghissime, polverose, strade bianche o che osservano il nostro passaggio indisturbati sul ciglio. L’immensità dell’oceano Atlantico con le foche che si tuffano riaffiorando tra i flotti che sembrano salutare con le pinne… Le città con architetture bavaresi, che conservano l’ordine e il rigore acquisiti durante il colonialismo tedesco , un’anacronismo in confronto a tutte le altre caoticissime, poco pulite città africane. La fauna nel parco Etosha, animali così vicini da poterli guardare negli occhi e che se avessimo allungato una mano fuori dal finestrino dell’auto avremmo potuto accarezzare ; così numerosi da nascondere le pozze d’acqua a cui si appropinquano per abbeverarsi. Una leonessa che caccia, si riposa , va a bere , richiama il branco e li conduce verso il “fiero pasto“, così vicina da guardarla nei suoi occhi gialli. I graffiti lasciati sulle rocce rugginose da antichi uomini vissuti qui migliaia e migliaia di anni fa. Gli Himba popolazione del nord del paese le cui donne si dipingono il corpo con una miscela di burro ed ocra e incuranti delle modernità , continuano ad indossare gli abiti tradizionali anche quando vanno in città; un popolo che ci ha accolto benevolmente nel loro villaggio fatto di capanne, dove si dorme a terra e , non c ‘è acqua corrente, né servizi igienici, né elettricità, ma i bambini , per una caramella ti regalano un sorriso che illumina il cielo… Il colore del cielo che si infuoca al tramonto assumendo sfumature infinite di rosso, rosa ed arancio, una magia che si ripete ogni sera, sempre nuova, sempre diversa. Il cielo più nero mai visto ma con le stelle più luminose che sembra basti allungare una mano per afferrarle. Le ostriche più dolci e succose mai assaggiate… già questo varrebbe il viaggio. Ripensando alle emozioni provate, il mal d’Africa ti assale.

5/11/2017: LA PARTENZA

Dopo 5 mesi di assoluta siccità il nostro viaggio verso Malpensa è stato accompagnato dalla pioggia. Abbiamo lasciato l’auto a Novara nel garage degli amici di Simo e Roby, quindi ci hanno accompagnato all’aeroporto. Federica ci ha fatto il check in on line, abbiamo imbarcato velocemente i bagagli, oltrepassati i controlli c’è rimasto giusto il tempo per un tè prima dell’imbarco. Viaggiamo con Ethiopia Airline, il servizio a bordo non è dei migliori, il cibo è pessimo, i film solo in inglese ed in etiope e l’aereo era strapieno così non abbiamo potuto allungarci né riposare.

6/11/2017: WINDOHEK

Alle 6,30, dopo aver assistito ad un’alba meravigliosa, siamo atterrati puntuali ad Adis Abeba… finalmente posiamo i piedi sul suolo africano! Raggiungiamo il terminal di partenza con un autobus, l’aria è abbastanza frizzante, forse non abbiamo sbagliato a portare anche un po’di abbigliamento pesante. Il terminal è vecchio, maltenuto, con i bagni situati all’interno di un container posto di lato alla sala d’aspetto affollatissima di africani, europei in transito e molti asiatici. Ci siamo imbarcati in orario e stavolta l’aereo era mezzo vuoto così abbiamo potuto occupare i posti liberi e distenderci per riposare un po’. Verso le 13 , probabilmente con qualche minuto d’anticipo siamo atterrati in terra namibiana, subito siamo stati investiti da una folata d’aria calda, che sa di estate… una meraviglia! In aeroporto abbiamo fatto una fila di oltre un’ora al controllo passaporti, solo 2 sportelli aperti per il carico di 2 aerei e, gli impiegati precedevano alla velocità di una lumaca; alla fine, stufi dell’attesa, siamo passati per lo sportello riservato ai diplomatici. Superato il primo ostacolo, come sempre, ci assalgono 2 incognite: saranno arrivati i nostri bagagli? E ci sarà qualcuno ad attenderci? Risposta positiva per entrambe le incognite! Come consigliato da Stefania abbiamo cambiato gli euro in NAD (dollari namibiani ) all’ufficio di cambio dell’aeroporto, che, eventualmente non li avessimo spesi tutti, alla fine del viaggio, conservando la ricevuta ,avremmo potuto riconvertirli in euro. Windohek dista dall’aeroporto circa una trentina di chilometri, abbiamo percorso una lunga dritta strada asfaltata che attraversa un territorio quasi desertico, raramente si scorge una casa, una villetta in mezzo al nulla, la Namibia è lo stato con la densità minore di tutta l’Africa. Ci hanno subito portato all‘autonoleggio “Africar“, di proprietà tedesca, dove ci attendeva la nostra auto una Toyota 4×4, un pick up con il cassone coperto , spaziosa ma già un po’datata e con diverse ammaccature. Qui siamo stati istruiti su tutte le funzioni dell’auto e su come si cambia una delle 2 gomme di scorta in dotazione. Qui ci ha raggiunto Stefania e, sotto ad un patio, all’ombra dal sole cocente, ci ha spiegato tutto ciò che dovevamo sapere prima di intraprendere questo viaggio, ci ha consegnato le cartine con il tracciato dell’intero tragitto, le cartine delle 3 città attraversate, i vouchers delle prenotazioni degli hotel e delle attività alternative che ha già prenotato. Ci ha dato inoltre una scheda telefonica della compagnia telefonica di bandiera da usare in caso di bisogno in quanto loro saranno reperibili 24 ore al giorno per assisterci durante le difficoltà, ma, ahimè, non siamo mai riusciti ad utilizzare perché il telefono portato da Simona non la leggeva.

Dopo questa lunga ed interessante chiacchierata su quali saranno i punti critici del viaggio, quali saranno le strategie per eliminarli, e dove c’è un’alternativa di percorso, quali sono le caratteristiche di uno e dell’altro tragitto, Stefania ci ha fatto strada fino alla nostra Guest House mentre Roby si esibiva nella sua prima guida a sinistra.

Da quel poco che vediamo stasera Windohek non sembra una città africana: troppo pulita, troppo ordinata, con casette dall’architettura europea, con giardini fioriti, anche se hanno il filo spinato sul muro di recinzione, con un traffico assolutamente sostenibile malgrado siamo in una capitale all’ora di punta, evidentemente l‘impronta tedesca è ancora molto forte! Il nostro hotel “Casa Piccolo Hotel” è in un quartiere residenziale della capitale attorniata da tante villette, anch‘essa è una grande villa ad un solo piano con una decina di stanze che si aprono su di un giardino con una fontana e una piccola piscina asciutta. Le stanze sono spaziose, confortevoli, essenziali.

Finalmente una bella doccia , abbiamo disfatto le valigie in modo da rifarle in modo più razionale e quindi scaricarne una sola le prossime sere.

Siamo andati a cena al “Joe Beer House“, un locale caratteristico affollato soprattutto da turisti e da namibiani di origine europea , al soffitto e alle pareti c’è un’accozzaglia di oggetti , antichi utensili da lavoro, teste impagliate dei vari animali, teschi con le corna e… persino wc usati come sgabelli! Abbiamo gustato un’ottima grigliata mista , 2 sole porzioni che abbiamo faticato a finire in 4 e 4 birre gelate. Malgrado il locale distasse forse poco più di un chilometro dall’hotel , siamo andati in auto, perché Stefania si è raccomandata di non girare mai a piedi dopo il tramonto perché , anche se il paese è tranquillo, può essere pericoloso , infatti tutti i negozi e le attività chiudono al tramonto e per strada non c’è più nessuno a cui eventualmente chiedere aiuto in caso di scippo o aggressione. Gli unici esercizi aperti tutta la notte sono i distributori, che hanno anche una sorta di autogrill dove si possono acquistare bevande e generi alimentari; prima di rientrare in hotel abbiamo fatto il pieno di gasolio ed acquistato un paio di bottiglie d’acqua per il viaggio di domani e poi… finalmente a letto , è stata comunque una giornata faticosa!

7/11/2017: WINDOHEK – DESERTO DEL KALAHARI (280 km)

Abbiamo dormito benissimo fino al suono della sveglia , non abbiamo il problema del jet leg , infatti siamo solo un’ora in avanti rispetto all’Italia. Abbiamo fatto la colazione in una grande sala con un abbondante buffet fatto soprattutto di cibi salati, formaggi, salumi, wurstel, poi uova cucinate in tutti i modi; altri avventori della sala sono una ventina di turisti dalla parlata teutonica, che sono poi partiti, alcuni con pullmini da una ventina di posti altri con pick up simili al nostro dotati di tende sul tettuccio. Abbiamo caricato le valigie nel capiente bagagliaio e siamo partiti per la nostra grande avventura. Lasciare la capitale è stato relativamente facile, anche perché non siamo passati per il centro, abbiamo sbagliato strada solo un paio di volte ma l’inversione non è stata problematica. Abbiamo imboccato la B1 in direzione Rehoboth, ci siamo lasciati l’abitato alle spalle , una lunga strada asfaltata attraversa il bush fatto di arbusti e basse piante dalla chioma a forma di ombrello ed erba gialla, bruciata dal sole; ogni tanto incontriamo qualche collina di pietra nera, quasi lavica, e incontriamo i primi animali: scimmie, antilopi e 2 struzzi e poi greggi di pecore, capre, mucche, cavalli, asini che pascolano tranquilli in questa immensità apparentemente senza essere custoditi. La strada è un nastro nero a perdita d’occhio in cui nelle quattro ore dell’odierno tragitto , incontriamo si è no una ventina di vetture, attraversiamo solo 2 piccoli paesi e sparse qua e là una ventina di abitazioni. In questo assoluto deserto, ogni tanto incontriamo qualche persona, che sembra essere uscita dalle viscere della terra , tutti neri e con abiti da lavoro, non si sa da dove provengano e dove saranno diretti, e cosa ci fanno in quel posto lì. I neri, i nativi namibiani incontrati fin’ora sono pochissimi e quei pochi sono costretti a fare i lavori più umili, mentre sono comandati e governati da stranieri bianchi , naturalizzati namibiani, solo perché in passato avevano armi più potenti da ridurli in schiavitù, e ciò è molto triste. Verso mezzogiorno abbiamo raggiunto “Anib Kalahari Lodge”; siamo passati attraverso un cancello dove hanno controllato la nostra prenotazione e poi abbiamo percorso ancora 3 /4 km nel rosso deserto del Kalahari prima di raggiungere il grande complesso fatto di un corpo centrale in cui è sito il salone ristorante e il bar attorno ad una delle 2 piscine, e poi tutta una serie di camere con patio, panca con cuscini colorati e dondolo. Le nostre stanze non erano ancora pronte così abbiamo approfittato per rilassarci un pò a bordo della seconda piscina, più piccola , meno affollata e davanti al deserto , dove è sita una pozza dove quasi subito è arrivato un eland, ( antilope alcina) ad abbeverarsi ed è rimasto poi a godere dell’ombra di una piccola acacia. Malgrado la temperatura oggi superi di molto i 30° l’acqua della piscina è piuttosto fredda , subito uno shock, poi un refrigerio piacevolissimo. Alle 15 siamo andati a prendere possesso delle nostre stanze che si trovano dinnanzi alla piscina grande, stanze nuovissime spaziose, ognuna con il nome di uno degli animali del deserto, con tanto di descrizione sul muro, con un letto con il baldacchino ricoperto da cuscini e un bagno color cioccolato. Alle 16 avevamo appuntamento alla reception per l’escursione nel deserto. Siamo partiti con jeep aperte e i ranger ci hanno descritto ogni tipo di pianta ed animale incontrato ma, ovviamente parlano inglese e noi abbiamo capito solo poco di ciò che ci hanno detto. Il Kalahari è definito “semi deserto” perché ha abbastanza vegetazione e molti animali vivono qui. Ci ha subito fatto notare nidi giganteschi sopra le acacie fatte di paglia che danno ricovero a diversi tipi di uccelli e ad alcuni serpenti ( è quello che abbiamo capito!). Abbiamo percorso queste strade di sabbia color mattone ed abbiamo visto i nostri primi springbok, alcune giraffe abbastanza vicine, qualche zebra, kudù, orici e struzzi.

Verso le 19 abbiamo raggiunto una duna in cui sono convogliate tutte le jeep e abbiamo bevuto un paio di bicchieri di vino come aperitivo mentre tra una coltre di nuvole nere di è aperta una striscia infuocata dai raggi del sole che stava morendo velata dai secchi rami neri degli arbusti all’orizzonte. Siamo rientrati al lodge che era ormai buio, siamo andati a cena senza neppure cambiarci; il buffet era spettacolare con un’infinità di carni tra cui il kudù, lo springbox e lì eland , tutte buonissime. Prima di ritirarci siamo tornati alla pozza illuminata accanto alla piscina ma non è arrivato alcun animale, quindi siamo andati a dormire perché domani avremo un trasferimento lungo lungo .

8/11/2017: DESERTO DEL KALAHARI – FISH RIVER CANYON (480 KM)

Sveglia alle 5,30 con la luce dell’alba che conferisce alle strutture e alla sabbia del deserto un tenue colore rosa , alla pozza c’è l’eland di ieri ad abbeverarsi. Alle 6,30 praticamente tutti gli ospiti del lodge erano davanti alle porte chiuse del ristorante che ha aperto alle 7. La colazione è stata degna della cena, con ogni ben di Dio sia dolce che salato. Alle 7 ,30 abbiamo lasciato il lodge, abbiamo ripreso la B1 direzione Mariental, dove abbiamo rifatto il pieno di benzina e poi giù fino a Keetmanshoop, lungo una strada asfaltata diritta che solca un paesaggio piatto ricoperto da arbusti e popolato solo da qualche gregge di pecore. A Keetmanshoop abbiamo svoltato su una strada sterrata che ci ha portato al parco “Quiver Tree Forest” ovvero la foresta degli alberi faretra. Questi singolari alberi della famiglia dell’aloe , che normalmente nascono qua e là su terreni desertici disseminati da massi bruni simili a tizzoni, in questo luogo ce n’è una concentrazione tale da essere definita “foresta”, e che dal 1955 è diventato monumento nazionale. Oggi fa veramente caldo, le temperature si aggirano attorno ai 40°, quindi, dopo esserci aggirati un po’per il parco siamo tornati al lodge per una birra gelata e un panino. Annesso alla foresta c’è il “Giants’Playground”, una zona in cui i sentieri si insinuano tra grandi massi scuri impilati in modo scomposto, quasi da formare delle bizzarre sculture, in alcuni tratti ricordano enormi cumuli di macerie di una città appartenuta ad un’antica civiltà forse distrutta da un nemico venuto dal deserto o per una catastrofe naturale, un possibile set di un film di fantascienza. Solo io e Giò abbiamo sfidato il caldo torrido ed abbiamo fatto una breve passeggiata in questo paesaggio lunare e poi abbiamo ripreso la via. La strada asfaltata prosegue ancora dritta per un centinaio di chilometri , quindi si svolta per una strada sterrata, fatta da saliscendi, tra collinette pietrose o sabbiose, più dissestata ma assolutamente meno noiosa. In mezzo a queste distese infinite abbiamo scorto all’orizzonte un’insegna che diceva “ice cream”, ci siamo così fermati in questo lodge attorniato da carcasse di vecchie auto arrugginite e con 3 stanze dentro buffe semisfere dall’aspetto di un ufo. La simpatica gestrice, una namibiana di origine europea, ci ha fatto accomodare sotto una tettoia di lamiera rinfrescata da uno scolo d’acqua, dove abbiamo gustato i gelati e una birra gelata. Ancora una cinquantina di chilometri ed abbiamo fatto il nostro ingesso nell ‘“Hobas Camp”, all’interno del parco del Fish River Canyon, dove prima di fare il check in abbiamo pagato il biglietto d’ingresso. Il camp ha un gran numero di piazzole per chi viaggia con la tenda e una decina di stanze, nuove spaziosissime, con una doccia immensa e un piccolo angolo cucina.

Accaldatissimi, abbiamo subito infilato il costume e siamo andati a fare un bagno nella piccola piscina. Rinfrescati abbiamo deciso , quindi di raggiungere il Canyon per ammirarlo alla luce del tramonto, abbiamo percorso una decina di chilometri ed abbiamo raggiunto il primo punto panoramico, una grande terrazza che di affaccia sulle montagne scavate da migliaia di anni dalle acque del fiume Fish, che oggi appare come un filo blu sul fondo del crepaccio, essendo nel pieno della stagione secca. Abbiamo cenato al ristorante del Camp, pressoché soli, perché, si sa i tedeschi cenano all’ora di merenda e soprattutto perché quelli che viaggiano in tenda, cucinano da sé i loro pasti. Anche stasera selvaggina: orici e springbox veramente ottimi con contorno di verdure e patatine e il dolce. Una birra a bordo piscina attorniati dal buio più assoluto e dal silenzio del deserto, rotto solo dai canti di una comitiva di ragazzi attorno ad un bivacco. Come ormai di consueto alle 21 eravamo già a nanna.

9/11/2017: FISH RIVER CANYON – AUS (380 KM)

Stanotte nella stanza faceva un caldo pazzesco, anche per me che non ho mai caldo; svegli alle 6,30, alle 7 colazione, quindi abbiamo raggiunto il primo punto panoramico; all’alba, le rocce del canyon diventano rosate , decisamente più suggestive di ieri sera che,avendo il sole che tramonta alle spalle,l’ombra viene proiettata sulle rocce che assumono una colorazione grigio scuro. Abbiamo fatto una sosta ad altri 2 osservatori posti al lato di quello centrale e , a quello all’estremo est , punto di partenza di un trekking attraverso il canyon della durata di 5 giorni, abbiamo avvistato un serpente nero che strisciava tranquillo tra le rocce. Da quassù il canyon è una maestosità assoluta, altopiani di roccia stratificata dalle sfumature rosse con spaccature larghe anche 27 metri in cui serpeggia questo rigagnolo d’acqua celeste e sul fondo qualche macchia verde di arbusti : un vero spettacolo della natura! Abbiamo percorso la strada che lo costeggia per l’intera lunghezza, una strada sterrata, spesso dissestata che abbiamo potuto percorrere solo perché in possesso di un 4×4. Qui abbiamo fatto un altro incontro inaspettato: uno scoiattolo ci ha attraversato la strada , gli abbiamo lanciato una mela che ha cercato subito di addentare ma con notevole difficoltà: appena cercava di affondare i denti rotolava via, e lui la rincorreva fino a fermarla un’altra volta, sembrava una delle scene tratte dal cartone animato l’“Era Glaciale“. Abbiamo percorso la strada fino alla fine del canyon e laggiù in fondo abbiamo fatto una piccola pila di pietre , come quelle che si trovano sulle nostre montagne, con le firme di tutti e 4, lasciando una testimonianza del nostro passaggio in questo luogo magico. Siamo tornati indietro, siamo usciti dal parco verso le 11 ed abbiamo scelto la strada più lunga, consigliata dalla titolare dell’agenzia di viaggio, perché più panoramica, anche se sterrata. Quasi subito ci siamo inoltrati in un deserto fiabesco dalle mille facce e sfumature: si è passati da una strada sabbiosa bianca abbagliante , che sale serpeggiando tra montagne di pietra nera, massi enormi tondeggianti color bruciato, colline di massi bianchi simili al marmo e pietraie grigie dalle sfumature verdi, viola, bluastre, dune di sabbia rossa e poi crema, e poi bianche ed infine color salmone… un paesaggio che cambia ad ogni chilometro, un paesaggio che sembra uscito dalla tavolozza di un pittore impressionista , nel silenzio e nella solitudine totale.

Per 300 km avremo incrociato si e no 6 / 7 auto, non abbiamo visto né un’abitazione, né un uomo, le uniche forme di vita sono state alcuni struzzi, zebre che si riparavano dal caldo sotto i rami di un’acacia, un piccolo dikdik che è subito fuggito via spaventato e 2 springbok stupiti della nostra presenza. Lasciato il passo siamo scesi in fondovalle dove il deserto lascia il posto a una lunga fascia di vigneti e una vegetazione rigogliosa sulle rive del fiume Orange, che scorre ancora rigoglioso. Da qui in poi, per quasi un centinaio di chilometri la strada corre parallela al letto del fiume in un continuo saliscendi, tra dossi e curve. Eravamo digiuni dalla colazione cosi ci siamo sfamati con le merendine portate per dare ai bimbi che avremmo incontrato sulla nostra strada e, che fino ad ora, non abbiamo ancora visto; noi ricordavamo l’Africa come un luogo in cui i bambini sbucano in ogni dove , ti corrono incontro, ti chiedono una caramella o un dono quindi siamo arrivati con una valigia di cose per regalare ma per ora non ne abbiamo ancora avuto occasione.

Giunti finalmente nel primo paese incontrato ci siamo fermati a bere una birra, quindi abbiamo affrontato gli ultimi noiosissimi chilometri d’asfalto fino ad Aus, un piccolissimo paese, dotato però di un paio di grandi alberghi, tappa obbligata per chi non vuole percorrere ancora 150 km per raggiungere Luderitz.

L’hotel “Hobanof Aus“, costruito nei locali della vecchia stazione, è confortevole ed elegante; le stanze non sono enormi ma con un bel letto a baldacchino con una bianca zanzariera che arriva fino a terra. Qui, calando il sole fa abbastanza freddo, infatti in estate (la stagione più fredda per la Namibia ) nevica, ne sono prova le foto scattate da alcuni turisti e qui appese. Dopo la doccia siamo andati a prendere un aperitivo che abbiamo sbagliato clamorosamente: un rosso frizzante anche un po’dolce, una sorta di brachetto di pessima qualità. La cena invece è stata veramente gradevole, alla carta: crepes con salmone e formaggio come antipasto, pesce al forno con verdure e strudel con panna, e, stavolta abbiamo scelto un bianco fermo veramente buono. Oggi abbiamo percorso quasi 500 km e alle 21 eravamo già sotto le calde coltri.

10/11/2017: AUS – LUDERITZ (130 KM)

Anche oggi la giornata è splendida, il cielo terso come dopo un temporale in montagna, il sole splende e le temperature vanno via via salendo. Dopo colazione abbiamo preso la strada per Luderitz e dopo una decina di chilometri abbiamo dissertato di poco per raggiungere la pozza di Garub, un invaso artificiale nel deserto dove vanno ad abbeverarsi gli ultimi cavalli selvatici della Namibia. Gli equini in questione pare appartenessero all’esercito della Strumstruppe in fuga nella seconda metà dell’800 durante le guerre contro il SudAfrica e siano sopravvissuti in questi luoghi impervi. Davanti alla pozza c’è uno spiazzo ed un osservatorio con tettoia dove si possono ammirare gli animali; stamane quando siamo arrivati c’erano già 2 camper e un pullman, anche noi ci siamo fermati in attesa fino a che abbiamo visto avvicinarsi due “ronzini” a passo lento e a testa bassa alla pozza; uno stormo di struzzi si è fermato immobile a poca distanza da loro e un gruppo di 5 springbok che si è avvicinato all’acqua ma poi non ha avuto il coraggio di abbeverarsi.

Ci siamo fermati un pò a vedere come evolveva la situazione: gli struzzi sono rimasti immobili nella loro postazione, gli springbok hanno desistito e sono tornati nel deserto e i cavalli dopo aver svogliatamente bevuto sono venuti verso di noi a sfamarsi nella piazzola dove viene lasciato loro un po’di fieno. La strada asfaltata che taglia il solito affascinante deserto prosegue per un centinaio di chilometri fino a Kolmenshop, la città fantasma che si trova quasi alla periferia di Luderitz. All’inizio del 900 in questa porzione di deserto, cominciarono a trovare diamanti, sorse così una città, prima come “dormitorio” per coloro che lavoravano nell’industria dei diamanti, ma poi divenne una città vera e propria con 600 abitanti europei e quasi mille indigeni che lavoravano come braccianti e, come tutte le città, aveva scuole, negozi, la palestra, l’ospedale ed anche un teatro. Rimangono ruderi di case davvero signorili, con vetrate, oggi purtroppo rotte, verande, ampie stanze occupate per la maggior parte da cumuli di sabbia, scaloni con eleganti balaustre in legno o in ferro battuto. In una di esse è conservata una grande vasca da bagno in granito, altre hanno ancora stucchi o della carta da parati alle pareti; le piastrelle di qualche cucina, servizi igienici posti al di fuori della casa. Nella palestra resta il campo da bowling e attrezzi ginnici, l’ospedale ,con un corridoio lunghissimo su cui si aprivano tante stanzette, per l’epoca era uno dei più moderni dotato anche di apparecchiature per i raggi x; la bottega di un macellaio con tanto di cella frigorifera e stufa a carbone su cui cuocevano le trippe. In quello che fu il teatro/cinematografo oggi è allestito un museo sulla storia della città e delle estrazioni diamantifere. Molti sono gli ambienti facilmente riconoscibili ma, purtroppo davanti ad ogni edificio l’indicazione di cosa fosse stato è scritta solo in tedesco, quindi alcuni non siamo riusciti a capirne la destinazione. Durante gli anni della guerra le concessioni vennero acquisite dal Sudafricana e la città perse d’importanza fino ad essere abbandonata del tutto nel 1956. E’bello immaginare queste case eleganti, oggi sprofondate deserto, in cui le sabbie candide si impossessano degli ambienti e li riempiono per buona parte , ovattate dal silenzio rotto solo dal soffio del vento , piene di vita , dove le donne si occupano delle faccende domestiche, i medici passano in rassegna i loro malati, le maestre con visi severi spiegano la lezioni a studenti attenti e bambini saltano giocando nei cortili e nelle strade. Pochi chilometri ci separano da Luderitz e finalmente ci ritroviamo davanti immensità dell’oceano!

Abbiamo subito raggiunto il nostro B&B il “Kairos Cafè” che si trova a Shark Point, sulla punta estrema del promontorio della città; è poco più che una villetta con una decina di stanze con un piccolo giardino davanti. Le camere sono spaziose e con un’enorme vetrata che si apre sull’oceano. Giusto il tempo di posare le valigie, e siamo andati ad esplorare la costa, c’è il sole ma la corrente del Benguela raffredda l’aria e una felpa è necessaria. Ci siamo diretti alla punta estrema della baia a Grosse Bucht ma prima abbiamo fatto sosta in una bella laguna popolata da fenicotteri bianchi che si muovevano sulle loro lunghe gambe e tuffando il loro becco aguzzo nell’acqua in cerca di cibo. La Grosse Bucht è una lunga spiaggia ricoperta di conchiglie e rami di alga essiccati al sole quasi fossero rami secchi.

L’acqua è fredda ma non gelida, sugli scogli gabbiani, cormorani, sure del Sudafrica si godono i raggi di sole e ogni tanto si alzano in volo per tuffarsi tra le onde; le onde si infrangono con violenza sugli scogli lanciando bianchi spruzzi di spuma verso il cielo. Percorrendo una pista sabbiosa abbiamo raggiunto Essey Bay, una spiaggia deserta ma riparata dal vento, ci siamo sdraiati sotto i caldi raggi del sole e abbiamo fatto un riposino. Abbiamo raggiunto Dias Point, una piccola spiaggia sovrastata da un faro e su di una punta una croce di pietra, copia esatta di quella portata da Bartolomeo Dias quando raggiunse queste coste dal Capo di Buona Speranza. Da lassù abbiamo avvistato una nutrita colonia di foche su di un isolotto lì davanti. L’idea iniziale era attendere il tramonto qui ma , è ancora troppo presto e l’unico locale che c’è qui è veramente poco invitante , così abbiamo ripreso l’auto siamo tornati in hotel. Abbiamo fatto un breve giro per la cittadina , le cui case del centro sono dipinte con colori vivaci in stile bavarese, con tetti aguzzi e finestre in legno. Sull’alto di una collina si trova la chiesa di Felsenkirche considerata una delle più belle chiese luterane dell’Africa meridionale , con bellissime vetrate e un campanile in stile neo-gotico.

Prima di andare a cena siamo saliti sulla collina dietro casa che sovrasta il porto per vedere il tramonto ma spirava un vento gelido e faceva un freddo cane e, per la prima volta, sembrava che il sole non voler tramontare mai! Abbiamo cenato all’“Essenzeit”, abbiamo mangiato pesce ottimo e freschissimo, un plateau di ostriche da paura, 2 bottiglie di vino per 15 € a testa!

11/11/2017: LUDERITZ – DESERTO DEL NAMIB (130 KM)

Stamattina colazione healthy visti i bagordi di ieri sera anche se le porzioni erano pantagrueliche. Abbiamo fatto a ritroso la strada verso Aus,e ci siamo nuovamente fermati presso la pozza di Garub che ieri ci aveva veramente deluso. Oggi ci son più cavalli che arrivano al trotto dall’interno del deserto , alla pozza ce n’è una decina, alcuni poi tornano verso l’interno, altri raggiungono la piazzola usata come parcheggio per venire a mangiare ; gli struzzi sono sempre lì a fare cornice al quadro. Dopo Aus la strada diviene sterrata e ci inoltriamo in un deserto fatto di pianure e colline dai mille colori impensabili se attribuiti ad un deserto .

Abbiamo incontrato una mandria di orici che pascolavano quasi sul ciglio della strada che poi, spaventati dalla nostra presenza, hanno preso a correre allontanandosi dalla strada.

Ci siamo fermati spesso per immortalare con una foto questi paesaggi unici , ad un certo punto però ci siamo accorti di avere una gomma a terra , siamo riusciti a raggiungere l’unico distributore sulla nostra strada di oggi ma, c’era solo un’esile fanciulla addetta alla pompa di benzina , quindi i nostri baldi giovani si sono ingegnati e in quattro e quattr’otto hanno sostituito la gomma forata. Nel bar della stazione abbiamo bevuto una birra fresca e mangiato un gelato poi abbiamo proseguito incontrando spesso mandrie di orici, animali simbolo della Namibia. Il nostro hotel è l’“Hammestein”, affollatissimo, ci sono 3 pullman di turisti, il personale tutto indaffarato ad accogliere questo e quel gruppo, non abbiamo ricevuto l’accoglienza ricevuta negli altri hotel. Anche le stanze sono più semplici ed essenziali anche se sono pulite e decorose. Appena arrivati ci hanno proposto un safari nelle praterie circostanti, promettendoci di avvistare sicuramente il rinoceronte, abbiamo accettato anche se Stefania non ce lo aveva neppure menzionato. L’altra escursione da qui è quella in un centro di accoglienza per leopardi feriti che noi abbiamo escluso a priori perché lo ritenevamo una sorta di zoo e poi perché, in Africa, gli animali è bello cercarli e scovarli allo stato brado non in un’area dove vengono nutriti, quasi addomesticati. Verso le 16 siamo partiti su Jeep aperte attraverso una sorta di prateria , divisa in tanti lotti separati, infatti abbiamo attraversato molti cancelli, qui abbiamo visto i nostri primi gnù, poi zebre, una giraffa, sprigbok, eland ma del rinoceronte neppure l’ombra! Alla luce calda del tramonto 2 zebre si sono avvicinate alla nostra camionetta , tanto vicine da riuscire quasi ad accarezzarle e poi ci hanno seguito trotterellando fino all’entrata del lodge.

Tramontato il sole le temperature si sono bruscamente abbassate e sulla jeep aperta abbiamo battuto i denti! Ci siamo buttati sotto la doccia bollente per riscaldarci, quindi siamo andati a cena nel grande, gremito salone, dove la cena non era molto varia ma la carne cucinata benissimo. Alle 9 eravamo già a letto perché domani ci aspetta il Deserto del Namib e dobbiamo partire con il buio.

12/11/2017: DESERTO DEL NAMIB

Sveglia alle 4 che è ancora notte fonda e fa un freddo polare. Abbiamo bevuto una tazza di tè bollente e sgranocchiato 2 biscotti, per colazione ci hanno preparato il lunch box, quindi ci siamo avviati giù per la strada buia, per fortuna la nostra auto è dotata di buoni fari. Passiamo attraverso alcuni banchi di nebbia e siamo accecati dalla polvere delle altre auto che ci sorpassano a velocità folle, quindi procediamo lentamente. Dopo circa un’oretta, quando comincia ad albeggiare, arriviamo davanti al cancello del parco del Namib che è ancora chiuso. Un quarto d’ora dopo , aprono, ci registrano e cosi partiamo a tutto gas giù per una strada asfaltata (fuori dal parco è tutto sterrato !) non rispettando i limiti dei 60 km/h imposti dall’ente parco per non rimanere imbottigliati tra frotte di turisti tedeschi. Su consiglio di Stefania non abbiamo fatto il biglietto d’ingresso che ci chiederanno solo all’uscita, lo faremo prima di uscire. Gli ultimi 5 km prima di raggiungere Soussovlei, sono su pista, la titolare dell’agenzia ci ha consigliato di prendere la navetta del servizio del parco, ottima decisione perché la sabbia è morbida ed è alquanto dissestata , rimanere insabbiati significa perdere tutta la giornata e non godere a pieno di questo luogo magico! Intorno a noi si estendono a perdita d’occhio dune altissime dalla cima aguzza, quasi tagliente che serpeggiano le une attorno alle altre, di un colore rosa acceso, non uniforme, con sfumature più chiare, quasi bianche, grigie , brune e verdastre date dagli arbusti che vivono alle pendici, il tutto reso più magico dalla luce delicata dell’alba. Ci siamo fermati subito a Dead Vlei , sovrastato dalla duna più alta al mondo il “Big Daddy” alta oltre 300 m. La si scala procedendo in fila indiana sulla cresta della duna che continua a salire con bruschi strappi e lateralmente si aprono ripidi strapiombi che a me danno le vertigini, quindi, ho deciso di scendere a circa metà della salita.

Da quassù si gode uno spettacolo mozzafiato sul Dead Vlei, una pozza asciutta dal terreno bianco abbagliante che spicca ulteriormente tra il rosso mattone delle dune, disseminata di alberi neri, scheletrici, quasi pietrificati.

Per mano a Simona, facendo violenza su me stessa, mi sono buttata giù dalla parete della duna: scendendo scivoli per un tratto poi la sabbia si accumula e ti frena impedendo di acquistare velocità e di cadere… col senno di poi è stato divertente! Abbiamo scattato migliaia di foto e poi siamo tornati sulla pista per riprendere la navetta e raggiungere Soussuvlei, ma dopo averne viste passare 3 o 4 abbiamo dovuto litigare con il conducente per farci salire, probabilmente prima si ci ferma a Soussuvlei e poi a Dead Vlei, non so perché stamattina ci ha fatto scendere prima qui. Sossusvlei è un bacino con alberi verdi posti di lato e il fondale bianco candido che nella stagione delle piogge si inonda e diventa un lago dalle acque turchine, oggi è asciutto , quindi sicuramente meno suggestivo. La duna che lo sovrasta e la “Big Mama”, alta ma non quanto il “Big Daddy” cosi, forte dell’esperienza appena vissuta abbiamo raggiunto la cima e poi ci siamo precipitati giù fino nel vlei. Abbiamo atteso più di mezz’ora la navetta che ci ha riportato al parcheggio dove avevamo lasciato l’auto; eravamo pressoché senza colazione quindi giunti all’auto abbiamo finito con ingordigia il contenuto del nostro lunch box bevendo anche una delle 2 bottiglie di vino acquistate all’autogrill ieri. Ci siamo fermati alla duna 45, la duna simbolo del Namib. Siamo arrivati pressoché in cima, anche se non è alta come le precedenti qui il vento era fortissimo e alzava nuvole di sabbia. Abbiamo trascorso un’oretta all’ombra nel bar del lodge a bere una birra perché le temperature ora sono veramente alte poi, ne abbiamo approfittato per pagare il biglietto d’ingresso e quello per percorrere domani il “Landmoon Scape“, quindi abbiamo raggiunto il canyon di Sesriem, un canyon stretto scavato dalle acque del fiume Tsauchab con rocce erose, quasi bucherellate. Il caldo, malgrado fossero già le 15, era veramente infernale, camminavamo in cerca di un fazzoletto d’ombra, scendendo, quando il canyon si allarga e non c’è più d’ombra, così siamo tornati indietro senza percorrere per intero i 4 km che lo compongono. Usciti dal parco abbiamo percorso circa 30 km in direzione Swakopmund nel deserto più assoluto quando abbiamo visto l’indicazione per la nostra guest farm… ed abbiamo trovato il paradiso! La guest farm “Weltevrede“ è una fattoria in mezzo al nulla , con pavoni, galline, conigli, faraone che girano liberi nelle aiuole e giardini dell’edificio; c’è una fontana con i pesci rossi e un piccola piscina, tutto attorno una decina di stanze, arredate con mobili in legno tipici africani, tutte con una veranda esposta ad ovest con sedie e tavolino di fronte ad una piccola pozza illuminata. E… cosa più bella, siamo gli unici ospiti nella guest farm, padroni di tutto!

Accaldatissimi, ci siamo spogliati e siamo andati a fare un tuffo in piscina, quindi, dopo la doccia, abbiamo acquistato una bottiglia di vino al bar e l’abbiamo sorseggiato davanti ad un tramonto da perdere il fiato! Siamo rimasti lì davanti ad un cielo che si incendiava sempre più assumendo sfumature rosse sempre più intense, nel silenzio del deserto, sorseggiando vino sudafricano, buonissimo, fruttato, profumato, dai sentori di erba, fiori e frutti maturi, pensando che certi momenti sono veramente impagabili e che restano indelebili nel nostro cuore anche se… Stasera niente animali! La cena, nel salone ristorante sotto una tettoia makuti, è stata un’insalata come antipasto, una zuppa, carne di orice con verdure, pudding di guava e una bottiglia di vino rosso: oggi ne abbiamo fatte fuori 3! È la prima volta che in ferie beviamo vino di ottima qualità e, soprattutto, a prezzi accessibili.

13/11/2017: DESERTO DEL NAMIB – SWAKOPMUND (280 KM)

La sveglia non è suonata, ma alle 6, alle prime luci dell’alba ci siamo svegliati riposati come angioletti. Il nostro primo pensiero è stato affacciarci sulla pozza di fronte alla veranda ma, anche stamane di animali neppure l’ombra! Abbiamo fatto un’abbondante colazione poi siamo partiti destinazione Swakopmund, la seconda città della Namibia. Dopo circa 30 km ci siamo fermati a Solitaire, che come dice il nome è un agglomerato di una decina di case, un distributore e… un forno, di un tedesco che pare produca una torta di mele veramente eccezionale. La pasticceria, forse perché unica in un posto desolato come questo, è diventata un punto obbligato per tutti i turisti europei; parcheggiati lì di fronte ci sono un paio di pullman e non so quanti fuoristrada. Ci siamo messi in coda tra una frotta di tedeschi per acquistarne una fetta e poi, all’autogrill abbiamo fatto un po’di spesa per i momenti di crisi: 2 bottiglie di vino, acqua, patatine, noccioline per il nostro aperitivo serale. La strada oggi è tutta sterrata, si inerpica su attraverso i passi Gaub e Kuiseb, una strada veramente brutta, dal fondo sconnesso pieno di pietre e sdrucciolevole, con tutta una serie di tornanti senza guard rail di protezione, la strada più pericolosa di tutto il nostro viaggio. Appena partiti, abbiamo incontrato sul nostro cammino orici, zebre, 2 sciacalli poi man mano che si sale il paesaggio diventa più brullo, arido, l’erba diviene paglia;qui, Stefania, ci ha detto di prestare attenzione perché è possibile incontrare i ghepardi, ma noi, come al solito, non siamo stati così fortunati!

In questa zona desertica, sabbiosa vivono piante singolari autoctone, le welwitschia, vecchie anche centinaia di anni, si allargano sul terreno con lunghe foglie attorcigliate su sé stesse e sfilacciate sulla punta dalla forza del vento.

Questa zona denominata “Landmoon scape” è un parco e per accedervi, anche se nessuno ce lo ha chiesto, abbiamo dovuto acquistare il biglietto ieri a Sossuvlei. Il paesaggio qui è veramente lunare, con grandi massi appuntiti grigi scuri, quasi neri, ci sono alcuni punti panoramici in cui ci siamo fermati per ammirare questo panorama desolato e qui abbiamo mangiato la nostra fetta di torta di mele che è grassa, burrosa, pesante… se un qualsiasi panettiere in Italia la producesse seguendo tale ricetta, credo non ne venderebbe neppure una fetta! Abbiamo finalmente raggiunto l’oceano, Walvis Bay e poi Swakopmund, la giornata è bellissima ma l’aria raffreddata dalla corrente del Benguela è freddina e si deve indossare la felpa. Swakopmund è una cittadina, allegra, ordinata, con belle case, tipicamente europee e bei negozi, come Windohek, non sembra proprio Africa! Il nostro hotel è il “Rapmund” sito in Bismack St, la via parallela all’oceano: è una casa con giardino davanti gestita da una tedesca corpulenta. Le nostre stanze sono graziose e hanno le finestre che danno sull’oceano e un bel balcone, ma la temperatura non ci permette di stare sdraiati a prendere il sole. Essendo finalmente approdati in una città, con tutti i servizi, siamo andati subito in cerca di un gommista che ci riparasse la gomma bucata, poi siamo andati a passeggiare sul lungo mare delimitato da una lunga fila di palme. Sul lungomare c’è anche una sorta di mercatino dove si vendono vari oggetti d’artigianato, ma sono i soliti animali e quadretti in legno, qualche batik ma nulla di originale ; qui vieni fermato da molti dei venditori che ti propongono la qualunque, invitandoti a contrattare e parlando anche qualche parola d’italiano.

All’estremità del pontile c’è il ristorante “Tag”, uno dei più rinomati della città , sito all’interno di un peschereccio, dove, pare, si debba prenotare settimane prima per trovare un tavolo; noi, incuranti dell’informazione siamo entrati e, miracolosamente, ci hanno riservato un tavolo per le 20.45!

Ci siamo seduti sulla terrazza sul mare ed abbiamo bevuto un mohito come aperitivo, poi siamo tornati in hotel per una doccia , quasi fredda e un riposino.

Alle 20.30 siamo usciti per andare a cena e al “Tug” abbiamo mangiato veramente bene, le ostriche erano spettacolari, così il pesce con porzioni abbondantissime, anche il vino non è da meno… unico neo la confusione, malgrado fossero quasi le nove non c’era un tavolo libero!

14/11/2017: SWAKOPMUND (KM 0)

Dopo un’abbondante colazione, alle 8 sono venuti a prenderci con un piccolo bus per l’escursione nella baia di Walvis Bay per vedere le otarie e forse delfini e balene.

Appena saliti abbiamo conosciuto 2 ragazzi bolognesi che viaggiano con “Tucano Tour “, una sorta di “Avventure nel Mondo“ inglese e, in 24 giorni visitano 4 paesi: sono partiti dallo Zambia, hanno proseguito inl Boswana ,quindi la Namibia e il Sud Africa , spostandosi con autobus e dormendo sempre in tenda che devono montare e smontare tutti i giorni.

Oggi il tempo è nuvoloso e molto ventoso, ci siamo vestiti come per andare al polo e, in effetti, in barca nulla era superfluo. Infatti, la nostra imbarcazione era un catamarano aperto. Dopo pochi minuti di navigazione una grossa otaria è saltata sulla barca e, dopo averle dato alcuni pesci si lasciava persino accarezzare sul suo pelo bagnato, lucido, come una seconda pelle.

Poco dopo è toccato ad un pellicano che è planato sulla barca in cerca di cibo, un esemplare meraviglioso dal piumaggio rosato e il grosso becco giallo, anche qui le foto si sono veramente sprecate!

A questo punto, malgrado fossero passate da poco le 10 abbiamo fatto il primo brindisi della giornata con un bicchiere di sherry. Abbiamo proseguito la navigazione verso il largo, costeggiando allevamenti di ostriche fino ad arrivare nei pressi di una spiaggia dove è stanziata una grande colonia di otarie. Il nostro accompagnatore spiegava ogni cosa , ma vista la nostra sommaria conoscenza dell’inglese abbiamo capito ben poco ! Comunque mi pare di aver compreso che la colonia è costituita per lo più da femmine che danno alla luce , in questo periodo circa 2000 cuccioli ogni anno . Ci siamo spinti ancora un po’verso il largo, il mare si faceva via via più mosso ma di delfini neppure l’ombra. A bordo ci hanno offerto il pranzo a base di stuzzichini , champagne a volontà e ostriche appena aperte, una delizia! Ne avrò mangiate una ventina, sono molto più dolci e succulente che le nostre, una delizia per il palato! Siamo tornati al porto sempre seguiti da foche che si tuffavano ai fianchi della barca e salutavano con la pinna e scorgendo sulla riva gruppi di fenicotteri che talvolta si alzavano in volo. All’1 siamo sbarcati e di lì a poco si è presentato a noi Ramon, figlio del proprietario dell’agenzia che ci condurrà nel deserto tra le dune di Sandwich Harbur. Prima di raggiungere le dune , andiamo a visitare una laguna in cui un grande stormo di fenicotteri beccano in cerca di cibo, poi abbiamo raggiunto le saline, grandi vasche appena velate d’acqua il cui sale depositato sul fondo assume una colorazione rosa intenso; il sale, unicamente ad uso industriale, è la seconda fonte di reddito della Namibia. Abbiamo ripreso il nostro cammino lungo una pista che costeggia l’oceano impetuoso, una pista fatta di sabbia sofficissima accumulata dalla forza del vento, fino ad un punto in cui le onde lambiscono i pneumatici, e qui siamo dovuti tornare indietro perché la marea stava salendo ed era rischioso proseguire.

Abbiamo svoltato così verso l’interno, scalando, grazie all’abilità di Ramon, dune altissime dalla cui cima si gode un panorama mozzafiato sull’oceano che si insinua nel deserto.

Le dune qui, a differenza di quelle del Namib, sono gialline, chiare dalla punta arrotondata, morbide come una nuvola di zabaione, sulla cima tira un vento fortissimo, ogni qualvolta scendevamo dall’auto venivamo letteralmente impanati in questa sabbia finissima.

Abbiamo cercato un posticino riparato dal vento, dove abbiamo allestito un tavolino con stuzzichini per fare uno spuntino, abbiamo bevuto una birra gelata e cantato con l’accompagnamento di Ramon all’okulele che porta sempre con sé. In questo strano deserto è facile imbattersi in animali ma noi abbiamo visto solo un orice in lontananza. Rientrando a Swakopmund ci siamo imbattuti in una tempesta di sabbia, il forte vento ne alzava così tanta da sembrare nebbia e in men che non si dica l’asfalto ne è stato ricoperto completamente.

Verso le 5 siamo rientrati in hotel, e siamo andati a stenderci un po’sulla spiaggia per godere degli ultimi raggi di sole della giornata.

Anche stasera, prima di rientrare, abbiamo fatto quattro passi sul mercatino e, visto che per ora è stata l’unica possibilità per qualche acquisto, ci siamo impegnati per trovare qualcosa da portare a casa. Stasera cena all’“Ocean Cellar“ un locale alla moda, molto raffinato, di lato alla spiaggia; abbiamo mangiato benissimo, scolato 2 bottiglie di vino e, stasera abbiamo anche speso una follia per i prezzi namibiani : circa 25 € a testa, ma, soprattutto per le ostriche, forse le migliori mangiate fin’ora, il prezzo è assolutamente giustificato!

15/11/2017: SWAKOPMUND – DAMARALAND (460 KM)

Sveglia alle 7 per essere pronti a partire per le 8 , abbiamo quasi subito lasciato la città di Swakopmund per percorrere quella che è definita Skeleton Coast. Il paesaggio è surreale, quasi spettrale, si percorre un deserto piatto, giallo, privo di vegetazione interrotto solo dal solito nastro nero dritto della strada che non passa neppure così vicina all’oceano. Abbiamo impiegato quasi 2 ore per raggiungere Cape Cross , dove si trova una delle colonie più popolose di otarie di tutta l’Africa. Abbiamo dovuto attendere le 9 che aprisse la biglietteria, nell’attesa ci siamo fermati al “Cape Cross” Hotel a in cui è annesso un piccolo museo con i reperti trovati nei relitti delle navi che si sono arenate su questa costa, spinte dalla furia del vento, e lo scheletro di una grossa balena, che vive in queste acque e che fino a qualche anno fa era lecita la pesca. Alle 9 siamo finalmente entrati nel parco, dove sugli scogli antistanti il mare e sulla spiaggia si trovano migliaia di esemplari di otarie, molti dei quali cuccioli appena nati che si muovevano sull’addome ancora con difficoltà e altri si trascinavano dietro ancora la placenta. I cuccioli hanno una pelliccia nera nera ed emettono un verso simile al belato degli agnellini; le madri si sistemano a pancia all’aria per permettere loro di allattarsi e poi, per ricondurli all’ordine, li afferrano con la bocca per la collottola. È stato uno spettacolo vedere questi animali tuffarsi, nuotare, litigare, pescare, amoreggiare ma… Che puzza! Siamo tornati sui nostri passi per una decina di chilometri, quindi abbiamo imboccato la strada per Brandburg, la montagna di fuoco, alta 2530 m, uno dei massicci più elevati del paese. Per un paio d’ore la strada è monotonissima, gialla, polverosa, priva di vita e di vegetazione. In prossimità di Uis, il paesaggio si fa più verde, la sabbia gialla si ricopre di piante della famiglia delle acacie dalla forma vagamente dei noccioli, si vedono le prima capanne fatte con palizzate di legno, lamiera e teli di nylon. Ad Uis, ci siamo fermati in un fornito supermercato per rimpinguare le nostre scorte e, qui, nel Damaraland ci siamo sentiti più vicini all’idea di Africa che ci siamo portati a presso: ci sono molti venditori ambulanti che ti assillano per farti acquistare le loro collanine che ti propongono a prezzi esorbitanti per poi iniziare una interminabile e sfiancante contrattazione; abbiamo dato loro alcune magliette che tenevamo da parte dall’inizio del viaggio che si sono letteralmente strappati di mano. Ci siamo fermati per uno spuntino in un bar molto carino, con annesso giardino di piante grasse, quindi siamo andati al sito detto della “Dama Bianca” ma siamo arrivati là che erano oltre le 4, il sito dista dalla biglietteria 2,5 km , quindi , tra andare e tornare avremmo impiegato più di 2 ore e, visto che non sappiamo quanto occorre per arrivare al nostro camp, siamo tornati sui nostri passi per paura ci venisse notte addosso e, come si è caldamente raccomandata Stefania, dopo il tramonto non è consigliabile guidare su queste strade. Alle 6 abbiamo raggiunto, mediante una strada dissestata e pietrosa lo “Xaragu Camp” , un camp gestito dai Damara, con una decina di tende ed altrettante piazzole per chi viaggia con tende al seguito. Sono tende, ma estremamente confortevoli, con i tappeti a terra, un comodissimo letto matrimoniale,, doccia calda e servizi per ogni tenda, una piccola verandina in cui godere la pace del luogo, l’unica cosa che manca è l’elettricità, l’illuminazione è data da lampade a petrolio. Sembra che il campo sorga sulle rive di un fiume in secca ma a detta dei gestori sono almeno 4 anni che non vedono una goccia di pioggia, infatti qui, non ci sono animali di nessun tipo. Ci siamo gettati velocemente sotto la doccia, prima che cali il sole e di conseguenza la temperatura, quindi ci siamo goduti il nostro aperitivo con vino bianco patatine ed anacardi davanti al solito, splendido tramonto. Per andare a cena abbiamo indossato i frontalini perché il sentiero è pochissimo illuminato e qui è veramente buio! La cena è stata la più semplice fin’ora (forse siamo stati troppo ben abituati!) la carne di kudù veramente dura e la zucca troppo dolce ma anche in questo posto sperduto siamo riusciti a berci la nostra bottiglia di vino. Dopo cena siamo rientrati felici alle nostre tende ma… vista la temperatura abbiamo messo una coperta in più.

16/11/2017: DAMARALAND

Sarebbe stata una notte perfetta sotto il tepore delle morbide coperte, la luce tremolante delle lampade, il silenzio del deserto rotto solo dal cinguettio degli uccelli all’alba ma… il cuscino era così alto che la mia cervicale mi ha procurato l’emicrania. Abbiamo fatto colazione un po’più tardi e verso le 8 siamo andati a visitare Twifelfontain, un sito UNESCO dove , disperse per la montagna, pare ci siano più di 2500 incisioni risalenti a 6000 anni fa. Abbiamo lasciato l’auto nel parcheggio, pagato il biglietto d’ingresso e una guida che parlava un inglese comprensibile ci ha accompagnato a vedere le incisioni più facili da raggiungere. Le incisioni fatte sulla roccia scura piuttosto morbida sono state fatte con punteruoli di granito e raffigurano per lo più animali che popolavano questa zona e che ora non ci sono più: zebre, orici, elefanti, giraffe, struzzi, rinoceronti, persino una foca e un pinguino, segno che questi abitanti raggiungevano anche le coste dove questi animali erano numerosi. L’incisione più celebre è quella che raffigura un leone con la coda flessa ad angolo retto, tra un branco di animali che, però, probabilmente rappresenta uno sciamano che durante le cerimonie indossava la pelle della fiera. Queste incisioni servivano soprattutto come insegnamento ai giovani cacciatori che , oltre a mostrare la fisionomia degli animali, mostravano anche le orme che lasciavano in modo che fosse facile seguirle e scovare gli animali da cacciare.

Da lì siamo andati a vedere la Montagna Bruciata, una collina nera dai riflessi violacei, posta davanti a montagne color mattone e le Canne d’Organo, un breve canyon di dolorite tagliata in sottili sezioni verticali che gli conferiscono tale nome .

Oggi la giornata è torrida il sole brucia, non si riesce di stare al sole, se solo la piscina del nostro camp fosse piena d’acqua…

Siamo così andati a visitare il “Damara Museum” che è la fedele ricostruzione di un villaggio originale Damara, dove gli abitanti indossano ancora i costumi tipici cioè un gonnellino di pelle di capra conciato, sia per gli uomini che per le donne che girano quindi a seno nudo. Le capanne sono fatte con rami intrecciati, non abbiamo capito di quale albero, al centro del cortile ci sta quella occupata dal marito, mentre attorno quelle di tutte le sue mogli. Abbiamo assistito ad un breve e piacevole saggio delle loro danze, ci hanno mostrato come accendono il fuoco con paglia e bastoncini, come conciano le pelli, quali sono i rimedi della loro medicina, quindi il solito mercato dove esponevano i loro manufatti. Alle 13 eravamo fuori da lì e il tour alla ricerca degli eleganti di montagna partirà solo alle 16, quindi distando veramente pochi chilometri, siamo tornati al Camp, abbiamo sgranocchiato biscotti, mele e bevuto una birra gelata , riparandoci un po’dalla calura.

Alle 15 siamo partiti per raggiungere il Twifelfontain Lodge da dove partirà l’escursione. L’hotel a 4 stelle è magnifico, incastonato nella rugginosa parete rocciosa, per raggiungere la reception si passa tra lisce pareti di roccia in cui si trovano graffiti e poi ha una splendida piscina con tanto di cascata. Alle 16 siamo partiti su grandi camionette aperte, abbiamo attraversato grandi radure di erba secca color dell’oro, poi la pista è diventata sconnessa, mista a pietroni e sabbia tra colline di pietra nera fino raggiungere in un morbido deserto di sabbia rosata. Siamo arrivati infine nei pressi di un villaggio con al centro una grande cisterna dove gli elefanti sono soliti abbeverarsi: oltre, la vegetazione si fa più fitta e percorriamo il letto di un fiume in secca; finalmente, tra la vegetazione scorgiamo un elefante solo che si cibava delle fronde di un albero. Gli elefanti di montagna somigliano in tutto e per tutto a quelli della savana ma sono più piccoli, hanno zanne più corte e zampe più grande per riuscire a risalire colline pietrose. Dopo poco, infastidito dalla nostra presenza e dal clic incessante delle nostre macchine fotografiche si è voltato e si è allontanato nel fitto della vegetazione. Proseguendo ci siamo imbattuti in un numeroso branco fatto da 7 esemplari 3 dei quali cuccioli, il più piccolo, che non aveva più di 5 settimane era così minuscolo da passare comodamente sotto l’addome della madre. Ci siamo avvicinati moltissimo, abbiamo scattato centinaia di foto bellissime e per un po’ li abbiamo seguiti;rientrando alla base ci siamo fermati su di un’altura ad ammirare un altro suggestivo tramonto bevendo birra e sgranocchiando snacks. Siamo arrivati alla nostra auto che era praticamente buio, abbiamo percorso i circa 20 km che ci separano dal Camp senza incrociare anima viva, se ci fosse successo qualcosa, dall’investire un animale, all’incontro con qualche malintenzionato, ad un guasto all’auto, non ci avrebbero trovato prima della mattina seguente, ma, per fortuna non ci è capitato nulla! Siamo andati subito a cena perché eravamo in ritardo sull’orario stabilito ma abbiamo ancora dovuto attendere perché la cena non era pronta, il menù era pressoché la stessa di ieri sera, riscaldato: la carne ancora più dura, la solita zucca, un pollo pasticciato e un’insalata di carote e barbabietole. Certo che questo Camp è veramente un luogo ameno ma la cucina è tutta da rivedere!

17/11/2017: DAMARALAND – KOAKOLAND (280 KM)

Dopo una magra colazione, alle 7,30 eravamo già in marcia: la strada oggi è tutta sterrata fatta di saliscendi con dossi alquanto profondi e attraversa una zona verde di alberi di mopane. Il viaggio odierno è stato allietato quasi subito da un branco di giraffe che si cibavano tranquillamente di germogli delle acacie poste al lato della strada , poi piccoli gruppi di springbok che si riparavano dalla calura raggruppati sotto le fronde, enormi greggi di capre e mucche a cui dovevamo prestare estrema attenzione perché attraversano spesso la strada incuranti delle poche auto che la percorrono. Questa parte del paese è molto verde, l’acqua non scarseggia di certo ma non abbiamo visto un solo appezzamento di terra coltivato anche solo per il fabbisogno famigliare.

Qui le eleganti villette con giardino che si trovano a sud lasciano il posto a capanne in adobe a base più o meno quadrata di non più che un paio di metri per lato, la cui unica apertura è poi anche la porta. Arriviamo ad Opuwo, la città più africana della Namibia; la popolazione è tutta nera, i bianchi che si incontrano sono palesemente turisti. E’ caotica, vivace, i bambini ti assalgono per chiederti un dolce, un gioco, una maglietta, sporcizia e spazzatura in ogni angolo; incontriamo herrero con le loro crinoline colorate e i buffi cappelli con le 2 punte, himba scalzi, a seno nudo nei bazar e nei moderni supermercati. Abbiamo fatto un po’ di spesa in uno dei supermercati della città poi abbiamo raggiunto il nostro hotel l’“Opuwo Country Lodge “ posto sulla sommità di un colle : ha un grande corpo centrale con il ristorante e la reception con il tetto in makuti e poi, tutto attorno tanti piccoli lodge con camere confortevoli con letti dalle bianche zanzariere, bagni in pietra e una terrazza sul davanti che dà sull’abitato e una grande piscina. L’appuntamento con Antonio, la guida che ci accompagnerà nella visita del villaggio himba è per le 3 , quindi, nell’attesa, siamo andati a fare un bagno nell’acqua gelida della piscina. Non riesco a capacitarmi sul perché , malgrado le temperature di giorno sfiorino i 40°, non riescano a scaldare l’acqua delle piscine! Alle 3Antonio non era davanti al cancello ad attenderci , lo abbiamo fatto chiamare , ci ha dato appuntamento in paese, ma neppure lì si è presentato, richiamato la seconda volta finalmente si è presentato con un’ora di ritardo! Come è consuetudine prima di andare in visita ad un villaggio, si va a fare la spesa da portare al capo villaggio per ringraziarlo per l’ospitalità ; Antonio ha raccolto più o meno l’equivalente di 10 € a testa ma ne ha speso solo la metà in cibo perché gli altri li consegnerà direttamente al capo per far riparare la pompa dell’acqua. Abbiamo percorso la strada verso nord, verso il confine con l’Angola, una strada sterrata, e ad un certo punto abbiamo svoltato in un sentiero in aperta campagna fino a che non ci siamo trovati dinnanzi ad un piccolo villaggio recintato fatto di piccole capanne di fango e legno. Antonio ci ha spiegato un po’ gli usi e i costumi del popolo himba, parlando inglese, abbiamo capito che gli himba non si trovano solo in Namibia, ma anche in Angola e in Zambia; le donne, raggiunta la maturità sessuale indossano solo gonnelline di pelle di capra e collane e ornamenti attorno al collo; acconciano i capelli in trecce che terminano con grandi ciuffi e poi dipingono la loro pelle ed i capelli con una malga di ocra rossa e burro, che assume un colore rosso caldo e lucido. Al centro del villaggio c’è il recinto degli animali, il bene più prezioso, la capanna del capo villaggio poi attorno quelle delle mogli e dei figli. A quest’ora pomeridiana gli adulti sono ancora nei campi o in città a lavorare, il villaggio è interamente popolata da bambini di tutte le età, 2 giovani madri con i figli ancora lattanti, un adolescente cerebroleso, figlio del capo, e la nonna, una vecchina seduta a terra davanti alla sua capanna che ci ha subito chiesto una sigaretta che si è fumata con bramosia.

Una delle 2 giovani donne ci ha ospitato nella sua capanna e ci ha mostrato come si prepara la malga da cospargersi il corpo. I bambini ci saltano attorno festosi, indicano la nostra bigiotteria e tentano di prenderla, rimangono stupiti dello smalto colorato sulle mie unghie e non fanno che prendermi per mano e cercano di toglierlo. Sembra impossibile che bambini che non hanno veramente nulla, non sappiano cosa sia un materasso su cui dormire, non conoscano il piacere di fare una doccia calda, non abbiano altri giochi che quelli che si costruiscono da sé siano così sorridenti e sereni, mentre i nostri che hanno veramente di tutto siano sempre imbronciati ed insoddisfatti! Alla fine della visita hanno allestito il loro mercatino e, malgrado gli oggetti fossero veramente brutti, ne abbiamo acquistati alcuni. Prima di salutarli e ringraziarli abbiamo consegnato loro la spesa fatta, ai bimbi più grandi che frequentano la scuola abbiamo dato colori e pennarelli, mentre ai più piccoli caramelle e dolciumi. Dopo la doccia il nostro consueto aperitivo e poi a cena in terrazza di fianco alla piscina, con un menù alla carta buonissimo e presentato benissimo.

18/11/2017: OPUWO – ETOSHA PARK (180 KM + SAFARI)

Dopo un’ottima colazione abbiamo lasciato Opuwo, attraversando la città che si stava lentamente rianimando e, con una strada asfaltata, siamo passati di fianco a molti villaggi e prestato la massima attenzione ai numerosi greggi di capre e mucche che ci attraversavano la strada. Verso le 10 eravamo finalmente dinnanzi al Galton Gate , una delle 3 porte d’accesso al parco Etosha. Appena entrati abbiamo sbrigato le formalità: siamo stati registrati e pagato il biglietto per 3 giorni di visita quindi siamo saliti in auto per questa ultima fantastica avventura .

Qui il parco è molto verde, con alberi di mopane abbastanza alti e, malgrado procedessimo veramente piano , subito non abbiamo visto che giraffe che spuntavano oltre le chiome tonde degli alberi, alcune anche molto vicine.

Poi , piano piano abbiamo incontrato springbok, zebre, orici, gnu , impala, ma è mezzogiorno, l’ora più calda e in questa zona non ci sono pozze quindi non vediamo molti animali. Ci siamo fermata al primo Camp, il “Dolomite” che non ha lodge veri e propri ma è dotato di bar e servizi; ne abbiamo approfittato per andare in bagno e bere una birra gelata. Il camp ha una bellissima pozza che si può raggiungere a piedi con un osservatorio all’interno di una torre semiaperta con panche in legno per rimanere seduti comodamente aspettando che gli animali si avvicinino a bere. Ci siamo fermati un pò ma di animali neppure l’ombra, fa veramente troppo caldo. Questa sembra sia una delle pozze favorite dagli elefanti ma noi riusciamo a vedere solo un paio di tartarughe che nuotano pigre nell’acqua salmastra. Percorriamo, con poca soddisfazione, quasi 180 km prima di raggiungere l’“Okaukuejo Lodge” uno dei 3 lodge all’interno del parco, che è immenso, affollatissimo , è tutto un via vai di camionette, auto, anche autobus che arrivano o partono alla ricerca degli animali e… della foto perfetta. All’interno della cinta oltre a diverse categorie di lodge, alcuni bellissimi, a 2 piani con terrazza posti di fronte alla pozza, si trova un supermercato ,un rudimentale museo, un ufficio postale, un negozio di souvenir, il ristorante, 2 piscine e il distributore di carburante. Il nostro lodge, sebbene non sia una suite, è decisamente bello, ha una grande stanza, un salotto con uso cucina, un bagno con rivestimento in pietra e fuori un piccolo patio con tavolo e sedie. Abbiamo posato le valigie e siamo partiti subito per fare il giro delle pozze ma è stata una delusione, molte sono asciutte, oltre a una piccola mangusta e centinaia di springbok non abbiamo visto niente altro. L’unica pozza con un pò d’acqua, oltre a grandi uccelli, abbiamo visto 2 piccoli sciacalli abbeverarsi, anche se erano molto lontani da noi, alcuni scoiattoli a cui abbiamo lanciato una mela e che hanno faticato non poco ad addentare e… null’altro! Ci siamo così sistemati davanti alla pozza del nostro lodge ma anche qui solo springbox , poi 2 sciacalli che hanno ben presto lasciato spazio a stormi immensi di uccellini che volano tutti in gruppo creando una grande nuvola nera. Qui, davanti ad un tramonto da favola abbiamo stappato la nostra consueta bottiglia per aperitivo, poi , all’imbrunire siamo andati a fare la doccia e siamo andati a cena in un ristorante affollatissimo, malgrado avessimo riservato un tavolo non riuscivano a darci una sistemazione , ci hanno fatto spostare ben 3 volte di tavolo! Dopo cena siamo tornati alla pozza e… meraviglia! C’erano una dozzina di elefanti ad abbeverarsi e a fare il bagno; li abbiamo osservati fino a che uno ad uno sono tornati nella savana, quando la pozza è stata vuota, con passo lento dinoccolato è giunto un grosso rinoceronte, questi 2 incontri notturni hanno risollevato il nostro morale!

19/11/2017: ETOSHA PARK

Ci siamo svegliati alle 5, quando fuori era ancora buio, perché volevamo andare a dare un’occhiata alla pozza prima di partire per il safari; ai bordi della pozza c’era di nuovo un grosso rinoceronte ad abbeverarsi. Prima delle 6 siamo andati a fare colazione e, appena aperti i cancelli del lodge siamo partiti speranzosi di incontrare il maggior numero di animali possibile. Abbiamo percorso la strada che conduce all’Halali, l’altro lodge del parco, incontriamo pozze con abbondante acqua e gli animali sono veramente molti. La prima sosta l’abbiamo fatta presso la pozza Nebrowni, dove, secondo il registro che si trova alla reception del lodge , ieri sono stati avvistati alcuni leoni. Abbiamo visto branchi di springbok, orici, zebre , gnu ma… niente leoni! Nell’avvicinarsi all’acqua pare ci sia una gerarchia, i primi ad abbeverarsi sono gli gnu mentre gli altri guardano, poi, quando dissetati se ne vanno, si avvicinano gli orici, poi le zebre, quindi i più piccoli e timidi springbok. Le successive pozze, sono popolate da un buon numero di animali, ma quasi tutti erbivori. Presso la pozza Olifansbad, famosa per l’avvistamento di elefanti ,abbiamo visto uno sciacallo ed un facocero. Giunti davanti alle pozze ci fermiamo con la nostra auto per almeno mezz’ora ad ammirare l’andirivieni dei vari animali, con la speranza di veder arrivare qualche animale non ancora incontrato fin’ora e, a seconda di quante auto stazionavano di fronte all’acqua si può capire se c’è qualcosa di interessante da ammirare.

Sulla strada sterrata ci siamo imbattuti in un grosso branco di impala, i cui maschi hanno piccole corna ricurve e che non avevamo pressoché ancora visto; sempre percorrendo la strada abbiamo visto 2 grossi elefanti in lontananza. Ci siamo fermati a guardare, uno si è allontanato verso l’interno del bosco mentre l’altro si è avvicinato pian piano, ha attraversato la strada a pochi metri da noi e, pareva anche essersi messo in posa per farsi immortalare.

Testardi siamo tornati alla pozza di Nebrowni dove gli animali, erano ancora più numerosi che all’alba, e soprattutto c’era un rinoceronte bianco a bere ! Ci siamo fermati a lungo, con la speranza di veder fuggire gli ungolati per fare spazio al re della foresta, ma invano…

Abbiamo avvistato un altro rinoceronte e, essendo ormai l’una , l’ora più calda della giornata , siamo rientrati nel lodge per uno spuntino e un riposino in attesa che le temperature scendessero un pochino e che gli animali ricominciassero a muoversi.

Verso le 16, prima di ripartire , siamo tornati a consultare il registro degli avvistamenti e, pare che ieri, in una pozza dal nome incomprensibile fossero stati avvistati 14 leoni; noi, siamo tornati per la terza volta al Nebrowni ma non c’era nulla di differente che questa mattina, quindi abbiamo deciso di rifare con calma il giro delle pozze di questa mattina.

Abbiamo preso la strada che conduce alla pozza di Gemsbokvlakte e la nostra attenzione è stata subito calamitata dal corpo disteso di una zebra morta sul ciglio della strada; ci siamo fermati per vedere questo insolito spettacolo e, voltandomi, ho visto a pochi metri dalla carcassa, una leonessa sdraiata sotto le fronde di un arbusto!

Il cuore ha preso a battere a mille… finalmente siamo a pochi metri da un leone in carne ed ossa!

Abbiamo spento il motore e ci siamo fermati lì a guardare il comportamento del felino. La leonessa era chiaramente sfinita dopo la caccia, respirava affannosamente, si sdraiava, socchiudeva gli occhi e si addormentava brevemente , rotolava sulla schiena , ciondolava la testa, metteva fuori la lingua e ogni tanto sbadigliava mettendo in mostra le fauci. Dopo aver riposato una mezz’ora abbondante si è alzata , ha raggiunto la zebra, si è accovacciata davanti ed ha cominciato ad azzannarne l’addome, strappando con i suoi denti aguzzi la pelle coriacea dell’animale e facendo un bel buco da cui spuntavano le interiora. Lasciato il “fiero pasto“ si è diretta verso la pozza distante non più di un paio di chilometri. Intuendo le sue intenzioni ci siamo appropinquati all’acqua, dove abbiamo trovato, oltre ad una miriade di altri animali, un leone dalla possente criniera che lei non ha quasi degnato di uno sguardo. Quando la leonessa ha raggiunto la pozza gli erbivori non sono scappati, come pensavamo, ma sono rimasti fermi lì a guardare, senza però che nessuno osasse ad avvicinarsi all’acqua, tranne un facocero trotterellante che zigzagando tra le zampe degli altri animali ha tentato di andare a bere. Appena scorto il leone ha cercato di evitarlo avvicinandosi all’acqua dove c’era però la leonessa. A questo punto, come stretto tra 2 fuochi, si è fermato è indietreggiato, sempre trotterellando, e ben presto è sparito nella savana: è stata una scena davvero divertente! Dopo essersi dissetata, la leonessa ha emesso alcuni deboli ruggiti e di lì a poco sono arrivati altri 6 leoni: una leonessa, un cucciolo, e 3 giovani maschi. Hanno bevuto a lungo, hanno giocato come teneri gattoni, quindi sono tornati nel luogo in cui la prima leonessa aveva procurato loro la cena; davanti ad un tramonto dai colori vivissimi il branco ha cominciato il lauto banchetto. Il sole è già molto basso all’orizzonte e a malincuore abbiamo dovuto salutare la nostra amica speciale che abbiamo seguito passo a passo per l’intero pomeriggio, perché al tramonto chiudono i cancelli del lodge. Roby guidava ad una velocità sicuramente non consentita all’interno del parco per raggiungere il nostro hotel ed abbiamo rischiato di mettere sotto un paio di springbok che correvano tranquilli in mezzo alla strada, 2 rinoceronti che ci guardavano con i loro piccoli miopi occhi proprio sul ciglio della strada, che non abbiamo neppure avuto il tempo di fotografare , un grande elefante e una giraffa. Il colore del cielo era forse il più bello visto fin’ora, dalle sfumature arancioni, rosa, lilla, violetto, le nuvole erano color dell’oro… una magia! Il degno coronamento di una giornata fantastica!

Arrivati al lodge, che era già quasi buio, i cancelli erano chiusi, abbiamo dovuto farci aprire da un sorvegliante ubriaco fradicio.

Una doccia veloce e via a cena, più sconclusionata di ieri, stasera il tavolo lo abbiamo trovato quasi subito ma non si trovavano i bicchieri, avevamo quasi finito di cenare quando ci hanno portati le birre, e solo 10 minuti dopo 4 bicchieri rigorosamente uno diverso dall’altro!

Abbiamo terminato la nostra giornata alla pozza dove c’erano 2 elefanti adulti ed un cucciolo completamente immerso nell’acqua che ogni tanto tirava fuori la proboscide e spruzzava fuori acqua. Una volta uscito ha cominciato a giocare con la madre attorcigliando le proboscidi come in un bacio affettuoso.

Poi sono arrivati i rinoceronti, prima uno, poi un altro e un altro ancora, ne abbiamo contati 8 ! Alcuni si sono immersi nell’acqua lasciando fuori i loro testoni con i 2 corni aguzzi sul naso , altri si sono avvicinati alla riva solo per bere. Infine è arrivata una mamma con il suo cucciolo che nell’acqua emetteva versi strani, quasi facesse i capricci, hanno fatto il giro del lago quasi mettendosi in posa per essere fotografati.

Che giornata memorabile!

20/11/2017: ETOSHA PARK

Sveglia alle 5,30 per essere pronti a partire alle 6 all’apertura delle porte ma stamattina la colazione è stata un disastro, il buffet doveva ancora essere allestito, mancavano piatti, tazze, bicchieri, per riuscire a mangiucchiare qualcosa abbiamo impiegato quasi un’ora! Abbiamo imboccato la strada direzione Halali, nostra sistemazione per questa sera. Curiosi di vedere come era andato il banchetto ieri sera siamo ripassati dalla pozza Gamsbokvlakle e proprio nel posto dove abbiamo incontrato la leonessa ieri l’abbiamo trovata anche stamattina in compagnia di altri 3 leoni pigramente addormentati all’ombra degli arbusti; dalla zebra non sono rimaste neppure le ossa, solo una chiazza rossa di sangue sull’erba. Abbiamo proseguito verso nord costeggiando il Pan una specie di deserto bianco salino vastissimo, che durante la stagione delle piogge si riempie d’acqua formando un grande lago cristallino profondo solo poche decine di cm, che, però, deve essere uno spettacolo naturale veramente suggestivo, anche se essendo così grande è veramente difficile vedere gli animali ad abbeverarsi.

Il paesaggio è più arido, molte pozze sono asciutte e, di conseguenza, gli animali che incontriamo sono meno. Abbiamo visto zebre, springbok, gnu, qualche giraffa, un piccolo dik dik, impala, alcefali, eland, un rinoceronte nero.

Attraversando una zona boschiva, in cui ci sono alberi un po’più alti, abbiamo prestato la massima attenzione con la speranza di vedere penzolare da un ramo la coda maculata di un leopardo l’ultimo dei “Big Five” che ancora ci manca. Ci siamo fermati presso due pozze, una delle quali molto bella con un piccolo isolotto di canne al centro ma di leopardi neppure l’ombra forse perché oggi le temperature sono veramente torride. Mentre eravamo fermi ad una pozza si è avvicinata a noi un’altra auto con a bordo 3 milanesi, anche loro in cerca di un leopardo, abbiamo così parlato un po’con loro dell’andamento dell’attuale viaggio e degli altri fatti fin’ora: anche loro sono entusiasti viaggiatori e, essendo un pò più grandi di noi e, soprattutto avendo altre possibilità economiche (lui è un anestesista in pensione) hanno visitato una bella porzione di mondo.

Siamo abbastanza delusi, qui gli animali sono veramente pochi rispetto all’Okaukuejo e ci siamo detti di aver fatto male a spostarci di campo ma tanto, ormai, ciò che è fatto è fatto. Poco dopo mezzogiorno siamo arrivati all’Halali, che è molto più piccolo dell’Okaukuejo e si trova sotto uno sperone di roccia grigia. Le nostre stanze non erano ancora pronte, abbiamo così atteso in piscina, grande bella ma… con solo 6 lettini posizionati attorno! Abbiamo fatto un bagno ristoratore e poi mangiato il nostro panino seduti sul bordo di un’aiuola. Alle 13.30 abbiamo preso possesso delle nostre stanze, simili a quelle dell’Okaukuejo solo un po’più piccole ma ahimè la nostra non aveva il rubinetto del lavandino in bagno. Siamo andati a reclamare e un’indolente impiegata ci ha detto che avrebbe mandato qualcuno.

Nell’attesa ci siamo fatti la doccia entrambi, io ho persino asciugato e tirato i capelli e non si era ancora visto nessuno, siamo tornati alla reception e la solita svogliata impiegata ha finalmente chiamato in nostra presenza un operaio che è arrivato in pochi minuti con le chiavi in mano di un’altra stanza a dimostrazione che erano già a conoscenza del problema e che malgrado ciò hanno tentato di rifilarcela comunque.

Forse sarò tacciata di razzismo, ma possibile che in tutti gli hotel, guest farm, b&B gestiti da bianchi fosse tutto impeccabile e quelli gestione statale avessero lacune in ogni dove?

Fatto cambio di stanza, verso le 16 siamo ripartiti poco fiduciosi per il giro delle pozze qui attorno. Giunti a Goas abbiamo subito notato alcune auto ferme , un animale spuntava con la testa e spariva nell’acqua, un altro fermo lì sulla riva: 2 iene ! Una vera sorpresa perché sono animali prevalentemente notturni e non è facile imbattersi di giorno .

La pozza è praticamente deserta , i pochi erbivori distano centinaia di metri dall’acqua , più spaventati che al cospetto dei leoni. Dopo poco una, stufa delle evoluzioni in acqua è uscita passando a pochi metri dalla nostra auto con la sua andatura quasi zoppicante. Abbiamo atteso a lungo che anche l’altra uscisse dall’acqua ma nulla, continuava a godere della frescura ; abbiamo raggiunto così un’altra pozza ma era deserta , siamo tornati a Goas, abbiamo visto un’altra iena aggirarsi attorno alla pozza , forse era quella che non voleva uscire dall’acqua e poi un’altra in lontananza quindi un intrepido cucciolo di giraffa.

Rientrando al campo abbiamo incontrato sul limitare della strada 3 piccoli dik dik e 3 splendidi esemplari di kudù dalle corna ricurve su sé stesse. Siamo rientrati nel lodge poco prima che chiudessero i cancelli mentre il sole tramontava con i soliti ineguagliabili colori dell’Africa .

Con la nostra fida bottiglia di vino ci siamo arrampicati su per un sentiero pietroso che conduce all’osservatorio della pozza del lodge. Appena arrivati e preso posto sulle pietre ancora calde dai raggi del sole la pozza era deserta ma pochi minuti dopo è arrivato un rinoceronte e2 splendidi esemplari di leoni maschi. La cena è stata decisamente migliore di quelle all’Okaukuejo , ci hanno subito assegnato il tavolo, che era apparecchiato per intero ,anche il cibo cucinato con maggior cura anche se hanno poi tentato di addebitarci la cena, per fortuna Stefania ci aveva avvertiti di tale eventualità e di essere irremovibili in quanto le cene erano già state tutte pagate da lei al momento della prenotazione. Siamo tornati alla pozza dove c’era una gran folla di turisti in attesa di qualche fortuito incontro , infatti di lì a poco sono arrivati 5 rinoceronti ma , mentre eravamo lì seduti un gruppo di ragazzi dietro di noi hanno detto di aver visto un serpente strisciare tra i loro piedi, quindi un’enorme nero millepiedi è passato sui piedi nudi di Giò, cosa che ci ha convinti a tornare al sicuro tra le mura della nostra stanza!

21/11/2017: ETOSHA PARK – WINDOHEK (480 km)

Sveglia alle 5.30 , abbiamo fatto una puntata ala pozza , ma dopo mezz’ora non era ancora arrivato nulla, quindi siamo andati a fare colazione e poi abbiamo ripreso la strada verso Okaukuejo e quindi verso l’uscita del parco. Ci siamo fermati subito alla pozza Aus , dove. facendosi largo tra un buon numero di ungolati, è arrivata una giraffa, che, lemme lemme si è avvicinata all’acqua e flettendo all’indietro, in modo assolutamente innaturale, le zampe anteriori ha cominciato a bere; una cosa che in questi 3 giorni non avevamo ancora visto. La seconda tappa è stata all’Olifantsbad, che ieri era pressoché deserta, mentre oggi, c’erano ben 13 elefanti, di cui 4 cuccioli ed uno piccolissimo. Ci siamo fermati a lungo ad osservare il numeroso branco che beveva, molti si spingevano per avere il proprio posto in cui dissetarsi tranquilli, altri giocavano incrociando le proboscidi , sventolando le grandi orecchie. Un’altro spettacolo indimenticabile! Ci siamo fermati ad un’altra pozza dove il numero di animali era cos’grande che nascondeva del tutto la seppur grande pozza artificiale. Sulla strada, pressoché nel punto in cui abbiamo incontrato la leonessa l’altro ieri, abbiamo visto 2 leoni che dormivano all’ombra e uno si è rigirato sul dorso rimanendo a zampe all’aria, come un grosso pacifico gattone. Anche a Nebrowni il numero di numero di animali era enorme, sembrava uno zoo: zebre che scalciavano imbizzarrite, orici, springbox, struzzi, gnu, ma nessun leone e, soprattutto nessun leopardo, anche questa volta ci tocca lasciare il parco senza riuscire a vederne uno! Ci siamo fermati all’Okaukuejo per una sosta “idraulica” quindi ci siamo diretti verso l ‘Anderson Gate, abbiamo fatto ancora una sosta alla pozza di Ombika ma era pressoché asciutta e gli animali pochissimi. Usciti dal parco abbiamo proseguito su una strada asfaltata con tutta una serie di indicazioni per resort e hotel lussuosissimi ma soggiornare all’interno del parco è un’altra cosa, anche se le strutture sono un po’ più semplici.

La solita strada dritta verso la capitale è una noia mortale , ci siamo fermati per uno spuntino ad Otijwarongo dove in una pasticceria abbiamo mangiato una fetta di torta buonissima, altro che quella di Solitaire!

Ultima tappa, nel pomeriggio è stata a Okahandja per vedere un mercatino dell’artigianato ma, gli oggetti sono pressoché sempre gli stessi ; gli oggetti in legno intagliato belli ma molto cari, praticamente impossibile trattare, quindi abbiamo comprato quasi nulla.

Ancora 70 km e siamo a Windohek, abbiamo trovato il “B&B Violet” senza difficoltà.

Si trova anch’esso nel quartiere residenziale , è una bella villetta chiusa da cancello elettrico con un tranquillo patio ombreggiato da alberi di agrumi, una piccola piscina asciutta e poche stanze il cui colore predominante dell’arredamento è il viola.

Abbiamo scaricato le valigie, le abbiamo sommariamente pulite perché non avevano più il colore originale per quanto erano impolverate, le abbiamo fatte con un minimo di criterio, io ne ho eliminata una, cioè una piccola l’ho messa in quella grande perché l’abbigliamento usato in questi 17 giorni l’ho lasciato tutto alle persone che me lo hanno chiesto quindi ho riportato a casa solo l’intimo.

Del nostro fondo di emergenza erano rimaste ben 2 bottiglie che ci siamo scolati come aperitivo , chiacchierando e facendo il punto sull’andamento del viaggio, che è stato forse uno dei più belli fatti fin’ora e soprattutto ci ha dimostrato che sappiamo cavarcela anche senza l’ausilio di un autista. Siamo andati a cena al “Joe Beer House” e anche questa volta abbiamo mangiato benissimo, quindi ubriachi per il vino e l’adrenalina che ci ha provocato questa avventura siamo andati a letto per l’ultima notte in Namibia.

22/11/2017: WINDOHEK – ADIS ABEBA -MILANO – SAVONA

Stamattina abbiamo dormito, o meglio abbiamo tentato di riposare un po’ più a lungo per affrontare meglio il lungo viaggio di ritorno, ma abituati alle levatacce dei giorni scorsi alle 7 eravamo svegli come grilli! Abbiamo finito di preparare le valigie prima di andare a fare colazione nella graziosa saletta. Ben pensando al cibo pessimo della compagnia aerea ci siamo rimpinzati ben bene di macedonia di frutta fresca, yogurt, pane tostato e uova. Io avrei voluto andare a fare un giro in centro, giusto per dare un’occhiata alla capitale prima di riconsegnare l’auto, ma ci siamo fatti prendere dalla pigrizia e dalla paura e non siamo mossi da qui. Infatti nel nostro B&B alloggiano anche 4 ragazze italiane, che ieri si sono fermate in centro per un paio di commissioni e, mentre erano all’interno del supermercato sono state derubate di parte dei loro bagagli con conseguente rottura del vetro dell’auto. Abbiamo così atteso l’ora per riconsegnare l’auto seduti in giardino poi alle 10 siamo tornati all’autorimessa dove Stefania ci aspettava per salutarci e per sentire le nostre impressioni sul viaggio. Le abbiamo fatto un resoconto dettagliato di tutto ciò che abbiamo visto e delle nostre avventure e soprattutto ci siamo complimentati con lei per l’organizzazione perfetta e degli hotel che ci ha prenotato. Con altri turisti siamo partiti alla volta dell’aeroporto e subito dopo l’auto con a bordo Giò e Roby che erano tornati in hotel a recuperare le valigie, è dovuta tornare indietro perché mi sono dimenticata la busta con i passaporti e i biglietti aerei sul tavolo dell’autonoleggio… Che stupida!

Alle 14.30 il nostro volo è decollato puntuale ; l’aereo era semivuoto così ho potuto occupare i 3 sedili centrali e sdraiarmi ma, essendo finita vicino alle due signore milanesi conosciute sulla strada verso l’Halali abbiamo finito per chiacchierare tutto il tempo, soprattutto di viaggi. Verso le 22,30 siamo atterrati ad Adis Abeba, un aeroporto affollatissimo, in cui si mescolano persone di tutte le etnie, molte delle quali indossano i loro abiti tradizionali. Ci sono ristoranti, gioiellerie dagli enormi pacchiani monili, duty free e… 2 stanze per la preghiera islamica, una per gli uomini e una per le donne. A mezzanotte ci siamo nuovamente imbarcati ma stavolta l’aereo era pieno zeppo e non abbiamo potuto fare che sonnecchiare sulla punta del sedile, per di più abbiamo fatto anche uno scalo a Roma, che ci ha fatto perdere un’ora, anche se per noi, diretti a Milano è stata solo una sosta. Alle 7 abbiamo finalmente toccato il suolo italiano, bagnato da una triste, sottile pioggerellina. Siamo partiti con la pioggia e la pioggia ci ha accolto al nostro ritorno ma questi 18 giorni sono stati illuminati da un sole splendente in un cielo turchese.

Che splendida vacanza!



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche