Oltre la red line

Namibia : oltre la Red Line e Parco Etosha Avendo una gran voglia di vedere gli animali selvatici in un ambiente il più possibile ‘naturale’, abbiamo scelto di andare in Namibia, privilegiando la parte nord orientale, con solo due settimane a disposizione non siamo andati sulla costa e nel deserto del Namib, ma abbiamo preferito prenderci...
Scritto da: Gloria Bava 1
oltre la red line
Partenza il: 07/04/1997
Ritorno il: 21/04/1997
Viaggiatori: in coppia
Namibia : oltre la Red Line e Parco Etosha Avendo una gran voglia di vedere gli animali selvatici in un ambiente il più possibile ‘naturale’, abbiamo scelto di andare in Namibia, privilegiando la parte nord orientale, con solo due settimane a disposizione non siamo andati sulla costa e nel deserto del Namib, ma abbiamo preferito prenderci tutto il tempo per il parco Etosha e per la terra di Caprivi.

Partenza da Francoforte il 7 aprile 1997 per Windhoek, la capitale dove vi è l’unico aeroporto internazionale; la Namibia è situata nel nostro medesimo fuso orario, perciò partiamo verso le 11 dall’Europa ed arriviamo a destinazione alle 19,30. In questo aeroporto atterrano solo due volte la settimana un aereo proveniente dalla Germania ed uno dal Sud Africa.

Scendiamo in un ‘freddo africano’ sulla pista costellata da insetti che paiono enormi grilli.

Il mattino seguente andiamo a ritirare l’auto; quando diciamo che abbiamo intenzione di andare nel Caprivi l’addetta dell’agenzia se potesse, si riprenderebbe le chiavi dell’auto. Riusciamo comunque a sfuggire alle sue sgrinfie e partiamo. Dobbiamo comprare alcune cose però non riusciamo ad infilarci nel parcheggio del supermercato, perciò decidiamo di proseguire, appena vediamo un negozio di alimentari entriamo e siamo guardati letteralmente come ‘due mosche bianche’; comunque riusciamo a fare i nostri acquisti. Lasciamo la capitale, ordinata e pulita con le strade dedicate a personaggi tedeschi ed austriaci, una superstrada a quattro corsie su cui viaggiano solo auto tedesche, versioni lusso delle sorelle europee, conduce verso nord est.

Come impatto con l’Africa non è proprio quello che ci si può immaginare! In poche ore arriviamo al parco di Waterberg Plateau che è l’unico parco montano del paese, una sorta di tavolato su cui vivono animali in via d’estinzione. Pernottiamo in un bellissimo bungalow al campo Bernabè de la Bat, dove alla sera ceniamo in una ‘stube’ tirolese. Quando usciamo dal ristorante, la notte ci avvolge, magica, con miliardi di stelle che riempiono il cielo di un brillio adamantino, i muri ed i sentieri sono ricoperti da farfalle notturne dalle ali vellutate larghe più di 20 cm.

Costeggiamo il Waterberg Plateau viaggiando su una buona pista attraverso distese di arbusti sui quali troneggia qualche acacia; dopo circa 100 km ritorniamo sulla strada asfaltata ed arriviamo a Grootfontein, una cittadina abitata da bianchi, sempre più o meno sullo stile di Windhoek.

Nei dintorni abbiamo visto parecchie fattorie con grasse mucche pezzate al pascolo, cavalli, aeree di servizio lungo la strada: insomma più Svizzera che Africa.

Pernottiamo a Grootfontein per ripartire al mattino presto verso la striscia del Caprivi: un corridoio di circa 300 km di Namibia fra Botswana ed Angola.

Tra Grootfontein e Rundu e tra Tsumeb e Ondangwa la Bl e la B8 attraversano la ‘Red Line’ o Linea Rossa, una recinzione di controllo veterinario che separa i territori del sud destinati all’allevamento commerciale dei bovini dalle terre comuni del nord, dove si pratica l’allevamento di sussistenza. La Red Line segna di fatto il confine tra il Primo e il Terzo Mondo. I paesaggi a sud della recinzione sono caratterizzati da un bushveld arido coperto di arbusti dove vasti ranch ospitano nient’altro che bovini e qualche allevatore. A nord del cosiddetto Animal Disease Control Checkpoint’ (Punto di Controllo delle Malattie degli Animali) si entra in una zona di fitta boscaglia, baobab, mopane e piccoli kraal, dove gli animali girano liberi lungo le strade e l’aria è impregnata del fumo dei fuochi accesi per cucinare e per distruggere la vegetazione. E’ da tener presente che oltre questo vero e proprio confine vivono i tre quarti della popolazione. Nel tardo pomeriggio arriviamo in prossimità dell’Okavango, il grande fiume che separa la Namibia dall’Angola. La costa namibiana è alta e su di essa c’è la città di Rundu, ultimo insediamento prima del Caprivi.

Da qui andiamo a Popa Falls ed al piccolo, ma spettacolare parco Mahango.

Popa Falls deve il nome a una serie di cascatelle che l’Okavango genera in una zona ricca di vegetazione, soprattutto manghi e liane.

Troviamo alloggio in un albergo gestito da una ragazza tedesca, la terrazza della nostra palafitta è zona di caccia per un camaleonte che va su e giù catturando le prede con lanci fulminanti della lunghissima lingua e cambiando colore se lo si sfiora con un rametto. Farfalle bellissime ed insetti fantastici riempiono l’aria dei loro voli, contendendosi la scena con i colibrì, nelle acque del fiume sguazzano gli ippopotami.

Nel tardo pomeriggio siamo andati al parco Mahango, che è anche via d’accesso al Botswana.

Per primi abbiamo visto un gruppo di struzzi che correvano nella sabbia, poi uccelli bellissimi, gazzelle a non finire, fra cui i rari Kudu maggiori e minori. All’improvviso ad una curva due grandi elefanti a pochi metri dal muso della nostra auto: una grande emozione. Più oltre la cortina di vegetazione si apre sull’ampio letto del fiume pieno di erbe palustri fra le quali pascola un grande branco di elefanti. Gazzelle attraversano la pista con lunghi balzi eleganti e scompaiono fra l’erba alta. In un pianoro la splendida galoppata di gnu che si abbeverano ad una pozza e giocano con i loro piccoli sollevando la polvere che il sole cadente indora aggiungendo suggestione a suggestione. Torniamo a Grootfontein facendo qualche digressione per passare nei villaggi, la strada è uno spettacolo di gente che va e viene nella polvere sollevata dal vento, sotto il sole cocente già alle nove del mattino. Sotto tetti di frasche lungo la strada sono esposti manufatti in legno, terracotta, semi; naturalmente compriamo qualcosa da bambini cenciosi, scalzi, carichi di croste, polvere e mosche che tormentano loro occhi, bocche, nasi. Non è bello, né tipico, né pittoresco.

Tutti gli alberghi, i negozi, gli uffici hanno porte, finestre e vetrine protette da pesanti grate di ferro, i muri di cinta sono sormontati da rotoli di filo spinato, si guarda la splendida natura, gli animali, il cielo meraviglioso sia di giorno che di notte, ma c’è questo disagio che prende: si è privilegiati e si capisce quanto sia ingiusto l’esserlo.

Andiamo verso l’Etosha costeggiando il lato meridionale del parco, la pista attraversa una savana di bassi cespugli e prati, dobbiamo aprire e chiudere decine di cancelli nelle recinzioni che segnano i confini fra le varie proprietà. Alla fine entriamo nel parco ad Okaukejo, la porta più occidentale.

Bellissimo villaggio con piscina, negozi, ristorante, bar, albergo ecc.

Dopo cena andiamo alla pozza illuminata per vedere se arriva qualche animale. Sveglia prima dell’alba (il sole sorge verso le 6) per poter partire appena aprono i cancelli che verranno chiusi con teutonica irremovibile puntualità alle sei di sera.

Andiamo verso ovest. La sterrata s’insinua tra l’erba che, ancora verde grazie alle recenti abbondanti piogge, si estende a perdita d’occhio e, fra l’erba, una quantità di gazzelle saltanti, bufali, zebre. Tanti sono i piccoli che camminano accanto alle madri o giocano fra loro.

Non vediamo i leoni, ma incominciamo a penetrare la bellezza di queste praterie infinite dove vivono allo stato primordiale migliaia di animali.

Gazzelle di varie specie pascolano tranquille sorvegliate dal maschio del branco, i piccoli saltellano e giocano, mandrie di zebre attraversano la pista con tutta calma per andare ad abbeverarsi agli stagni che s’intravvedono luccicare all’orizzonte, orici dalle lunghe corna dritte stanno sdraiati all’ombra di qualche acacia, cani del deserto scavano grandi buche nella sabbia della pista e scappano al nostro arrivo mentre un unico esemplare resta a sentinella per richiamare gli altri quando il pericolo sarà passato. Ci spostiamo quindi al campo di Halali a 50 km per compierli impieghiamo circa nove ore, tali e tante sono le soste e le deviazioni su piste secondarie per andare a vedere cosa si cela dietro alle erbe, ai cespugli, per seguire la corsa ondeggiante delle giraffe o le orme che si vedono sulla sabbia. Costeggiamo il Pan: la superficie salata, in questo periodo ancora ricoperta da un velo d’acqua, ampia circa 4700 chilometri quadrati che è il cuore del parco e, con le sue sorgenti perenni, permette la vita degli animali.

I bordi sono coperti di salicornie ed altre erbe ed alghe che vivono in ambienti salmastri, i loro colori sono vari e bellissimi e colorano l’orizzonte di onde rosse-arancio-gialle-grigie-azzurrine.

Halali è un campo meno chic di Okaukejo, non vi sono pullman di turisti ed il ristorante è molto alla buona, un gran cuoco, la cui pelle scurissima luccica sotto un’enorme ‘toque’ candida, offre con un sorriso smagliante spezzatino di coccodrillo, kudu, antilope o arrosto di fagocero. L’omlette credo sia di uovo di struzzo, come minimo! Da Halali andiamo a Namutomi, il campo più ad est dell’Etosha, sistemato in un fortino, al centro di una zona paludosa ricca di uccelli.

Qui vediamo una gran quantità di giraffe che spesso combattono a testate il cui rumore si sente a notevole distanza, tante zebre, gazzelle, buceri, bufali, orici, fagoceri, serpentari, aquile di varie specie, avvoltoi, sciacalli ecc.

Nel sole del mattino vediamo una jena maculata che beve sulla riva di uno stagno, nonostante la distanza la sua è una presenza inquietante Andiamo fino al confine estremo del parco: all’Andoni Plain. E’ una distesa di erba alta che dà veramente il senso dell’immensità, di quanto ci sia tanto ancora oltre il punto in cui è arrivati.

Per uscire da Etosha abbiamo scelto di ritornare ad Okaukejo in modo da poter nuovamente costeggiare il bordo del Pan al mattino presto e il destino ci premia della levataccia: in prossimità di Halali vediamo una bellissima leonessa che si aggira minacciosa fra un branco di gazzelle e zebre. Sta tentando una caccia.

E’ la visione tanto attesa che Etosha ci regala.

Usciamo dal parco dirigendoci verso Windhoek, staremo un giorno in questa ricca e patinata capitale di bianchi.

In Namibia cercavano gli animali il più possibile liberi, non importa se non abbiamo visto tutto quanto si sarebbe potuto vedere in Kenia, e ce ne siamo beati per oltre una settimana; cercavamo i mille colori del cielo ed abbiamo avuto albe, tramonti e nottate meravigliosi; cercavano un’immagine sociale un po’ reale di questo affascinante continente e qualcosa siamo riusciti a capire. Questo è tutto, anzi è molto.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche