Una vecchia mappa, un Turista e una Missione

Diario di un viaggio in autonomia: Birmania e Thailandia
Scritto da: Franz_Zena
una vecchia mappa, un turista e una missione
Partenza il: 29/10/2015
Ritorno il: 28/11/2015
Viaggiatori: 1
Spesa: 2000 €
Mary Anne Radmacher disse: “Non sono la stessa persona dopo aver visto la luna splendere dall’altra parte del mondo”

Il mio viaggio in Myanmar è iniziato, in senso metaforico, nel 2006, la bellezza di dieci anni fa. Era un giorno verso la fine di Ottobre e non c’era lezione alla scuola di Chiang Mai, in Thailandia. Quindi, per occupare quella giornata, mi ero unito a una day trip per visitare il così detto “Triangolo d’Oro”, cioè il punto dove combaciano i tre confini della Birmania, del Laos e della Thailandia. Che poi, più che “Triangolo d’Oro” sarebbe stato più opportuno chiamarlo “Triangolo d’Oppio”, ma quella è un’altra storia, in un altro diario. Tuttavia, sebbene mi fossi già imbattuto nelle popolazioni di etnia Karen rifugiate dalla Birmania e rinchiuse in quelle specie di zoo umani Thailandesi chiamati “Long Neck Villages”, quel giorno capitai tra gli altri tipi di rifugiati. Quelli scappati dal genocidio. Uomini, donne e bambini. La gran parte mutilati e sopravvissuti, chissà in che modo, ad inimmaginabili orrori. Quel giorno mi percorse un brivido, fu allora che presi coscienza della brutalità di una dittatura di cui fino a poco tempo prima ne ignoravo l’esistenza.

Iniziai a studiare e ad informarmi sulla Birmania. Alcuni amici mi regalarono la Lonely Planet edita nel 2007 che lessi subito. Seguii le vicende di Aung Saan Suu Kyi e lessi i report di numerose organizzazioni. A questo punto fui combattuto da un doppio sentimento. La mia voglia di viaggiare aveva maturato una sorta di bipolarismo, che poi non se n’è mai più andato. Da una parte desideravo andare a testimoniare la situazione in quel paese, dall’altra non ci avrei voluto mettere piede in quanto ero conscio che il denaro da me portato avrebbe rimpinguato le casse della Giunta Militare al governo.

I tempi maturarono, Aung Saan Suu Kyi venne liberata, la pressione internazionale si fece sempre più forte ed arrivò il momento. Vennero indette le prime elezioni democratiche. La Birmania mi stava chiamando. Non potevo più aspettare.

Cosa sono io? Sono un Turista. Non mi fregio di titoli di “grande viaggiatore” e visto il caos del mio girovagare, chiunque stenterebbe a definirmi tale. Nel caso lo facesse, sarebbe ubriaco, forse sarebbe un bugiardo, oppure lo farebbe a denti stretti e sotto minaccia.

Questo racconto che state per leggere, invece, è un semplice resoconto dei miei “giorni turistici birmani”, non me ne voglia Orwell per aver parafrasato il titolo del suo libro, e non si tratta di una guida. Disclaimer: Tantomeno vuole essere un’istigazione ad imitarmi! Invece, vi suggerisco di leggere tanti diari, abbiate le idee chiare, e ritagliatevi una vacanza su misura. Siate obiettivi prima di compiere una scelta. Alcune cose sono trappole da turisti, e ci sono cascato anch’io. Informatevi bene! Solo così sarà una vacanza bellissima per voi. Se poi qualche super-viaggiatore-purista storcerà in naso, come succede spesso a chi mi ascolta, saranno problemi loro, non vostri. Ma voi avrete un tesoro di ricordi e sensazioni che vi arricchiranno per sempre.

Un anno fa. Aprile 2015. Ricordo ancora la scena. Stavo parlando con gli amici ed ero euforico di aver finalmente deciso dove andare in vacanza. “Ho un annuncio da fare!” dissi davanti ad un boccale di birra, ed un amico, speranzoso, chiese “Ti sei fidanzato?”, una pausa con un sorriso e poi replicai “no, ma vado in Birmania!”, una ragazza strabuzzò gli occhi e intervenne, in maniera molto colorita, con l’equivalente volgare di “Ma cos’è la Birmania?”. Ecco, un “cosa” e non un “dove”. Vallo allora a spiegare a chi non sa “cosa sia una Birmania” che sarei andato in quel paese indocinese, non solo per godere di bellissimi panorami, ma anche per essere in prima persona a testimoniare la situazione sociale in questo nel momento di svolta politica. Non c’è dubbio che la Birmania di oggi si evolverà rapidamente, quindi, è da visitare al più presto prima che si denaturi e diventi una nuova Thailandia. Un respiro profondo. Avrei visitato la Birmania, ma usando come mappa la mia fedele ed obsoleta guida del 2007. Missione accettata! Si parte!

Giorno 1 – 27 Ottobre 2015

Il mio viaggio è iniziato a Genova col treno per Milano delle 16.09. Poi pullman navetta nella cotica Milano e aereo. Dritto attraverso il caleidoscopio di colori dei negozi di Malpensa e subito volo della Oman Air. A bordo ho scoperto che mi è stato assegnato un posto con alla sinistra tre indiani esagitati. Avevano odore di sudore rancido, non stanno mai fermi, quello che avevo a fianco era immenso con il grasso che traboccava dai braccioli, li inglobava e simile ad una valanga adiposa invadeva anche il mio posto. Ho sperato davvero che non mi catturasse. Il tizio, quando mi ha rivolto la parola, mi ha tolto il respiro col suo alito che ricordava una discarica indiana, ma peggio, molto peggio. Gli altri due continuavano a scambiarsi di posto con altri loro connazionali, parlavano, strillavano e mettevano musica hindi al cellulare. Non gliene importava delle richieste di stare calmi. Bevevano Vino e whisky. L’India esattamente come me la ricordo. Il tizio più lontano, un anziano con turbate continuava a fissarmi con sguardo assassino, quello tra il vecchio ed il ciccione colossale, sfortunatamente, ad un certo punto, ha smesso di ascoltare la musica hindi e s’è messo a russare come un malato. Quella tratta in aereo l’ho vista lunga, molto lunga. Non riuscivo nemmeno ad addormentarmi, non con quel vecchio dallo sguardo psicotico che mi fissava. Sebbene non sarebbe mai riuscito a circumnavigare il ciccione.

Il menù della cena è stato: Manzo Stufato, Patate al forno, Carote Bollite, Insalata di Cetrioli, Torta alla crema pannosa, Dolce di datteri, carote e uvetta. La cena, per essere da aereo, era buona. I miei vicini hanno chiesto supplemento di Whisky e Vino.

Lungo il viaggio ho guardato il film di animazione Inside Out ed Ant Man. A un’ora dall’arrivo a Muscat sono andato a respirare aria pulita nel gabinetto. Si, ormai la zona economy aveva un odore che avrebbe fatto impallidire Chernobyl. Alla mia destra, oltre il corridoio, c’era Mr. Tedesco Anziano, dotato di pancia da gran bevitore. Ha passato tutta la notte tenendo in mano una bottiglietta di Whisky vuota e una lattina di birra sul tavolino. La stessa birra l’ha bevuta a colazione.

Giorno 2 – 28 Ottobre 2015

Siamo atterrati a Muscat in perfetto orario. Finalmente, non appena ho varcato il portello, ho avuto l’impressione di respirare aria desertica pulita, infatti, sono uscito dall’aereo dal varco di coda, esattamente dietro la turbina dell’aereo e stavo respirando smog compresso, ma a confronto all’odore dei miei compagni di viaggio, questo era estratto di violetta delle alpi.

Mentre ero in attesa del volo successivo, mi è venuto in mente che nel 2012 nei bagni degli uomini veniva erogato sapone dorato e vi erano nativi che, loro malgrado, porgevano salviette ai turisti di passaggio. Sono dovuto andare a controllare. Dei nativi non vi era più traccia, ed il sapone adesso era rosa e, sorprendentemente, dall’odore di rosa.

Fuori dalle finestre dell’aeroporto in una direzione si vedeva una città dai palazzi bassi, mentre dall’altra montagne brulle dalle falesie rossicce sotto un cielo turchese.

Le procedure di imbarco per il volo successivo sono iniziate con un’ora di anticipo. Il motivo è che questo volo avrebbe fatto solo scalo a Kuala Lumpur, ma poi avrebbe proseguito per Singapore. Mi ha fatto piacere, quando ci hanno chiamati, aver sentito chiamare Singapore col suo vecchio nome, cioè Singha Pura, la città del Leone sacro Singha.

Sull’aereo ho avuto alla mia sinistra una famiglia maomettana piuttosto silenziosa, fatta eccezione per la loro progenie più piccola che era veramente piagnucolosa. Ho precisato maomettana perché quando ci siamo seduti, il padre ha tenuto a specificare “Hello, we’re muslims”. Comunque, vicino avevamo i bagni e di conseguenza c’era un gran traffico di passeggeri. Purtroppo, sembrava che tutti i passeggeri dell’aereo avessero deciso di comune accordo di scontrarmi al loro passaggio.

Il menù è stato: Polo a bocconcini, Riso saltato, Zucchine bollite con sopra una crema chiara, Insalata di spaghettini trasparenti e sesamo, Torta al cioccolato, Caffè.

L’arrivo è stato in orario all’aeroporto KLIA 1, quindi sono dovuto andare al terminal KLIA 2 simile ad un centro commerciale, per prendere una capsula all’ostello “Capsule by container”. La navetta per viaggiare tra i due terminals costa 2 MYR. Il costo dell’ostello è stato di 80 MYR per 6 ore. L’ho prenotato da mezza notte alle 6.00 del mattino.

Uscito dall’area del Capsule By Container ho provato a prelevare qualche Ringgit malese all’ATM, ma nessuno sportello ha accettato la mia carta. Ho ricordato che in banca mi avevano avvisato di alcuni problemi negli sportelli malesi e birmani, in quanto sembra che leggano le nostre date alla rovescia e le carte possano sembrare scadute. Per fortuna mi ero portato dei contanti, ma questo era già un bel problema che avrei dovuto risolvere al più presto.

Cambiati 20 Euro sono andato a cenare al Food Court dell’aeroporto, dove ho preso Nasi Briyani e Frullato di Papaya, tutto molto buono, ad un costo di 18 MYR. Durante la cena ho scambiato due parole con una ragazza indonesiana che mangiava al tavolo a fianco. Ormai sembra una tradizione, che a Kuala Lumpur debba sempre incontrare persone di Jakarta. Dopo cena, doccia bollente e sono andato a letto sperando in una notte di sonno da sdraiato.

Giorno 3 – 29 Ottobre 2015 – Da Kuala Lumpur a Yangon

La notte al Capsule è stata breve. Dalle 3.00 i miei compagni di camerata hanno deciso che nessuno avrebbe più dovuto dormire e nulla li avrebbe fermati in questo intento. Posso immaginare che, probabilmente, avevano tutti aerei all’alba, ma a quell’ora è iniziata una sinfonia di sveglie che non è più finita fino alle 6.00, quando ho lasciato il Capsule. Gente continuava ad accendere e spegnere le luci compulsivamente ed un tizio s’è anche messo a strillare al telefono in lingua Bhasa. Ecco perché non sopporto gli ostelli. Ho comunque protestato in portineria e sorridendo mi hanno risposto con una frase di circostanza che ha lasciato il tempo che trovava.

Prima di fare il Check-In per la Birmania sono passato a fare colazione al buonissimo “The Loaf” con un dolce appena sfornato ed un “Latte” ad un prezzo esorbitante, ma avevo bisogno di conforto dopo tre sole ore di sonno.

Ho deciso di fare subito il Check-In in modo da avere con me solo lo zaino piccolo e mi sono visto a dover affrontare queste sei ore di attesa al KLIA-1. Questo aeroporto è piccolo, ma meno brutto di quanto mi fosse sembrato la sera precedente, la luce del sole e l’assenza di gente sdraiata nei corridoi ha fatto la differenza.

Ho trovato un’area meno frequentata dove mi sono accampato. Qui ho potuto leggere, ascoltare musica e fare un po’ di giocoleria con le mie palline. Poco lontano c’era un gruppo di persone, simili ad Hare Krishna, che stavano celebrando una sorta di rito o messa. Nessuno ha disturbato l’altro, o forse sono gli asiatici ad interiorizzare le emozioni ed a ignorare, facendo finta che non esistano, gli elementi di disturbo, come i giocolieri. Allora mi sono chiesto, ma perché la notte scorsa i miei compagni di camerata non hanno ignorato il bisogno di telefonare alle 4.00 del mattino? Anche questa è Asia, o forse, semplice maleducazione.

Ho fatto un giro per i carissimi negozi dell’aeroporto e in libreria mi sono messo a leggere la Lonely Planet dell’Italia. Qui ho scoperto che Genova viene definita come “the most serene”, cioè la serenissima. Che non sia mai detto. Che folgori e pestilenza colpiscano la Lonely Planet, a confondere la gloriosa Superba con Venezia. Dopo di che, ancora tanto tempo da passare, tanto caffè bevuto e tanto freddo preso a causa dell’aria condizionata gelida e dall’odore chimico. Poi, finalmente, è arrivato il momento di decollare alla volta della Birmania. Yangon, arrivo!

Siamo atterrati a Yangon in perfetto orario, ma era già quasi sera. Qual è il giorno di viaggio che reputo più rappresentativo per quanto concerne gli inconvenienti di viaggio? Beh, fino a ieri era Hong Kong, in particolare tutto ciò che era gravitato attorno all’Embassy Hotel e al Vecchio Cinese. Ma da oggi, no, d’ora in poi sarà l’arrivo a Yangon. L’arrivo, onestamente, è anche filato quasi liscio. Nulla di cui stupirsi, anzi, immaginavo peggio. Le solite cose, code infinite alla Immigration, interrogatori farciti di domande inutili concepite al solo scopo di far perdere tempo al turista, prendere atto che il tizio davanti a me ha sborsato una lauta mazzetta per far zittire l’ufficiale, mentre io mi sono dovuto sorbire il trattamento di quell’essere arcigno in uniforme. Anche lo zaino è stato consegnato senza essere stato nemmeno preso in considerazione dagli ispettori annoiati, probabilmente la mia nomea di “Beggar Tourist” mi ha preceduto. Tutto bene, ma “Hong Kong docet”, le rogne erano proprio dietro l’angolo. Appena entrato in suolo birmano ho provato a prelevare del denaro all’ATM. Il bancomat non ha funzionato, proprio come a Kuala Lumpur, e quando ho provato ad usare la Mastercard, la macchinetta mi ha trattenuto la tessera! Un incubo! Fortunatamente, era l’ATM di una banca, così, dopo tre telefonate con receptionist così gentili da meritare il Premio Nobel per la Pace assieme ad Aung Saan Suu Kyi, e tanta disperazione da parte mia, un ragazzo si è recato allo sportello automatico, l’ha aperto, e mi ha reso la tessera. Non credo che in Italia sarebbero arrivati a tanto.

Ho preso il taxi che dall’aeroporto mi ha portato in centro a Yangon al costo di 9000 Ks (circa 7,50 Euro). Una città decadente, dove a tratti emergevano edifici coloniali grigi e mal tenuti, scorreva al di fuori dei finestrini del Taxi. Mi aspettavo un gran traffico, ma per essere Asia, c’erano poche auto in giro. Nessun motorino, perché a Yangon, i mezzi a due ruote sono vietati. La ragione è che, sembra, un gerarca della Giunta sia stato tamponato da un tizio in motorino e di conseguenza, abbia fatto bandire tutti i motorini dall’area urbana della città. Le strade erano malconce, proprio come i palazzi. Del resto cosa mi aspettavo? Di sicuro non un Principato di Monaco in terra Indocinese. Il mio hotel, l’Ocean Pearl II è in una parte decentrata e tranquilla. Il nome dell’Hotel è solo sulla facciata del palazzo mal tenuto. Nell’atrio e all’interno si chiama “Aung Si Hotel”. La mia camera era piccola, il lavabo era rotto così come lo sciacquone del gabinetto. Per fortuna che avevo la pinza multiuso con me e li ho potuti riparare prima di venire accusato di aver devastato il bagno. Il letto era costituito da due letti da una piazza e mezza messi a castello. Sopra la testa avevo una finestra che dava sul un fresh market, ma non poteva essere aperta in quanto tenuta bloccata dalla testiera del letto superiore. L’hotel ha il WiFi gratuito. Il personale è stato gentile, spingendosi solo fino al punto in cui non c’è stato da faticare. Una volta sistemato, mi sono seduto sul letto comodo ed ho fatto una miriade di telefonate per cercare di risolvere il problema del Bancomat, fino a spendere 65 Euro. Qualche mese prima, quando avevo fatto il bancomat nuovo, avevo esortato quel mammifero di un impiegato bancario di farmi un bancomat internazionale, in quanto sapevo già che sarei andato in Birmania. Lui, il “gran genio”, me l’ha fatto solo per il territorio nazionale. Al momento di chiedere di modificarlo mi hanno risposto “affari tuoi, potevi non andare fin laggiù”. Per parafrasare una vecchia pubblicità di banche, si “La mia banca è indifferente”. Fortuna che mia madre è riuscita ad intercedere col direttore, gran visir dei debosciati che regna in quella filiale, che coi suoi immensi poteri mi ha tolto le limitazioni. Nel frattempo, sono uscito a cenare per strada. Nella via davanti all’hotel c’era l’ultima sera del Festival della Luna Piena.

Lungo la strada, al caldo torpore tropicale, a ravvivare la serata, erano allineate una miriade di bancarelle di street food dalle quali si sprigionavano nuvole di sinfonie di profumi, bancarelle di cose inutili dai mille colori e giostre vecchie di decenni. Ho cenato con Frittella di Gamberi (1000 Ks), Coscia di Pollo Fritta e Dumplings ripieni di uovo di quaglia Fritti (Coscia + Dumplings 1700 Ks). Mentre cenavo si è scatenato un temporale monsonico e mi sono dovuto riparare sotto un balcone, mentre i birmani continuavano a passeggiare e a cenare beatamente sotto quell’acquazzone. Il temporale è durato circa 20 minuti lasciando dietro di se aria molto calda e umida. Ho fatto una passeggiata mischiandomi tra la folla. Ero l’unico occidentale ad aggirarsi per quel mercato e per la prima volta in terra birmana ho visto le donne con il Tanaka in viso. Il Tanaka è una pasta ottenuta mischiando la polvere ottenuta grattugiando la corteccia dell’albero del Tanaka con acqua. Le Birmane in genere se lo danno in viso sia per proteggersi dal sole che come trucco di bellezza. Non è raro vedere ragazze che si mettono sulle guance del Tanaka sagomandolo in forme particolari, come per esempio, delle foglie. Il Tanaka sui bei visi delle ragazze birmane mi seguirà per tutto il viaggio.

Nanna alle ore 20.30. Alle 2.00 ho ricevuto un messaggio dove mi veniva detto che le carte erano state sistemate. Non vedevo l’ora di verificare.

Giorno 4 – 30 Ottobre 2015 – Yangon

Mi sono alzato dal letto che erano le 8.00, la sveglia non ha suonato. Ho pensato “si inizia bene!”. La tentazione è stata quella di scendere al Fresh Market e adottare un galletto tutto colorato che mi facesse da infallibile sveglia, oltre che, ovviamente, da animale da guardia. Non ho voluto fare colazione, ma sono corso in strada a provare il bancomat ed ha funzionato! Un senso di felicità mi è esploso dentro ed ho prelevato una cifra spropositata nel timore di avere ancora problemi analoghi in futuro.

Tornato in albergo ho finalmente fatto colazione con: Caffè istantaneo, n. 2 fette di Pane tostato, Burro birmano con un gusto che ricordava un misto di maionese andata a male e margarina calda, Confettura insapore dal colore giallo tipico dei pulcini radioattivi contraddistinta da una etichetta scritta in birmano, 1 Banana corta e fibrosa, 10 pezzi piccoli di Papaya e n. 1 Uovo sodo.

A tavola ho conosciuto Peter e “Compagno di Peter”, due personaggi che avrebbero potuto benissimo essere due Vichinghi in trasferta, ma poi ho scoperto che Peter fa il rappresentante di addobbi natalizi in Germania, sebbene lui sia olandese. Finito l’uovo sono tornati alla loro camera ed io sono stato libero di passare in rassegna tutto ciò che avevo davanti sul tavolo.

Ho chiesto al concierge se mi avesse potuto aiutare ad acquistare il biglietto per il night bus per Pyay per il giorno successivo, ma lui, con un dito nel naso, un occhio chiuso e l’altro puntato sulla mia maglietta, mi ha bofonchiato che Pyay è una destinazione tanto remota che non la gestisce, sarei dovuto andare ad un non ben precisato sportello, vicino alla stazione del treno. Ok, benissimo, che ci vuole? Fatto lo zaino, imbracciata la macchina fotografica e spiegata la mappa datami dall’albergo, sono sceso per strada. Ho avuto una visione. Ho visto in un fulgore di luce e petali di Loto l’immagine di Costantino della Gherardesca che dopo il suo proverbiale “Viaggiatori! La missione di oggi è…”, mi avrebbe spedito a cercare quel biglietto del bus. Si, facile, facilissimo. Che ci vuole? Alla portata di ogni turista. Lungo la strada “Bogyoke Road” mi sono fermato a visitare la bella St. Mary Church, con le diverse statue della Madonna. La chiesa era stata appena aperta e non vi era nessuno nel fresco del suo interno. La navata e le colonne coperte da piastrelle sono state un vero piacere da vedere.

Uscito dalla chiesa mi sono diretto alla stazione, ma ovviamente, visto che era troppo facile, nella mia mappa la stazione era al posto sbagliato. Tuttavia, una volta viste le ferrovie, sono riuscito a trovarla e, districandomi nel labirinto di passaggi al suo interno, ne sono uscito dal lato opposto. Qui ho conosciuto un nativo che mi ha traghettato dall’altro lato di una strada fino al tanto agognato sportello dei bus. Sono riuscito a prendere uno degli ultimi posti sul night bus al prezzo di 10.000 Ks (8,50 Euro) e ho lasciato 1.000 Ks di mancia (circa 0,80 Euro) al nativo. Sembra poco, ma una birra alla spina costa circa 650 Ks agli occidentali, quindi probabilmente gliene avrò offerto anche due. La birra alla spina, in Birmania, è la mia unità di misura. Il nativo mi ha anche proposto una inebriante giornata ad un prezzo spropositato, circa 100 Euro per una visita in un bordello e poi un tempio Buddista. In Birmania il Sacro e Profano sembrano avere un confine labile. Ho comunque deciso di proseguire con la mia esplorazione della città in autonomia. Dopo una breve sosta a comprare una bottiglia d’acqua, ho proseguito verso China Town.

Ho raggiunto la Sule Pagoda (ingresso 3.000 Ks). Essa è al centro di una rotatoria dalla quale si dipartono le principali direttrici cittadine. Il complesso è piccolo, ma suggestivo. Ovunque si guardi si vedono effigi del Buddha in un tripudio d’oro e sfarzo, oltre in fatto che spesso le loro teste sono circondate da insegne al neon lampeggianti molto kitsch. Questo è stato un denominatore comune ad una gran parte delle statue che ho incontrato in Birmania. Come lessi tanto tempo fa, molti lavori sulle pagode sono finanziati dai gerarchi della Giunta, cioè, della Dittatura, forse nella speranza di smacchiarsi un po’ il karma. Già perché nonostante i birmani sorridano, vivono sotto una enorme spada Damocle rappresentata dalla spietata ed opprimente dittatura Birmana. Dittatura che potrebbe avere i giorni contati, ma è ancora in piedi. Uno dei posti più importanti nella lotta verso la Giunta, è proprio la Sule Paya. La Pagoda, oltre ad essere un punto focale per la religione e per la viabilità, lo è anche dal punto di vista storico, visto che rivolte contro la Giunta del 1988 e del 2007 partirono da qui. Entrambe le rivolte vennero sedate nel sangue e le vittime furono per la prima alcune migliaia, sebbene per la Giunta fossero circa 350, mentre per quella del 2007 furono centinaia, mentre per la Giunta i manifestanti uccisi furono 12. La visita della pagoda richiede pochi minuti e una volta uscito mi sono diretto verso China Town, in direzione della Sinagoga.

Lungo la strada (Merchant Street), in un caldo che iniziava ad essere opprimente e un sole forte che bruciava sulla pelle, mi sono prima imbattuto in una serie di bancarelle di alimenti dall’aspetto sospetto e poi in altre bancarelle che vendevano gemme ancor più sospette. Sono passato dall’Entertainment Centre di Yangon dove mi sono concesso una birra ghiacciata da seduto al fresco della balconata, poi ho proseguito verso la Sinagoga, che ho trovato chiusa, e quindi al Bogyoke Market.

Il Mercato ha prodotti molto turistici, ma visto l’ora del primo pomeriggio, ho deciso di dare la priorità al pasto, solo dopo sarei andato a cercare qualche regalo da portare a casa. Dietro al mercato c’è una via con qualche ristorantino e mi sono seduto ad uno dei bassi tavolini lungo la strada a mangiare un “Fried Rice” accompagnato da un Te al prezzo di 1.500 Ks. Qui ho conosciuto Mr. Keiji, un signore giapponese di Tokyo che parlava un pessimo inglese e viaggiava da solo. In breve, mi ha detto di aver assunto una guida, dal nome Jiime, per fargli vedere la zona, e mi ha proposto, visto che il mio inglese era lievemente migliore del suo (il mio famoso “Survival English”), di unirmi a loro. Il programma prevedeva la visita del villaggio Lanthit vicino alla Pagoda chiamata “Ah Lain Nga Sint Paya” (in Birmano “Paya” significa Pagoda), entrambi a nord di Yangon e sullo stesso lato del fiume. Visto che la pagoda era citata sulla Lonely, ho pensato che probabilmente sarebbe stata un’occasione per vedere qualcosa fuori dal tracciato più turistico, così mi sono unito a loro.

Per prima cosa abbiamo preso un bus locale al costo di 300 Ks (circa 0,30 Euro). Subito ho avuto un sospetto. Ho pagato con 400 Ks passandoli a Jiime, ma sono dovuto arrivare quasi a litigare per avere il resto. Naturalmente, non l’ho fatto per il valore intrinseco, ma per il principio. Non accettavo di dover sorridere al fatto che mi avesse sottratto quei 100 Ks. Alla fine, comunque, usando una tecnica assolutamente infantile, cioè interrompendolo ogni minuto per chiedergli i 100 Ks, me li ha resi.

Scesi dal bus, che ormai andava verso l’ignoto, ci siamo trovati in una zona di acquitrini e case a palafitta che fiancheggiavano strade perpendicolari ad una direttrice di traffico intenso. Ecco il villaggio tipico? No, era più uno slum birmano. Forse la mia crescente malafede verso Jiime ha irritato gli spiriti locali e di conseguenza s’è scatenata anche una tempesta. Mr. Keiji, invece, dal canto suo, sembrava giulivo. Certo, in Giappone i delinquenti non esistono, o almeno, così gli stessi giapponesi dicono.

La pioggia increspava gli specchi di acqua putrida punteggiata da erbacce malsane e formava pozzanghere di fango. La gente del posto si era rintanata nei negozi o nelle palafitte. Il sole era a due ore dal tramonto. Mr. Jiime ci ha proposto di vedere casa sua, giusto dietro l’angolo. Ecco, eravamo al punto di non ritorno. La mia curiosità l’ha avuta vinta, come al solito. Viste le case dei nativi in quasi ogni paese dove sono stato, dovevo anche vedere questa.

Siamo entrati nella sua dimora, che era costituita da una stanza quadrata di tre metri per lato in una baracca di legno e lamiera. Il suolo di terra era in parte coperto da stuoie e per metà occupato da un ripiano rialzato che costituiva la zona letto. All’interno c’era sua moglie, una ragazza davvero graziosa che purtroppo non parlava inglese, e i loro tre figli. Subito Jiime si è vantato di aver conquistato sua moglie e di averla portata via dal padre che si opponeva al matrimonio. Lei è di famiglia Buddhista, mentre Jiime è maomettano. Da come l’ha messa, il padre di lei sperava in un bel futuro per la figlia, ma Jiime, più vecchio di lei di 13 anni, l’ha trascinata a vivere in quella baracca in un acquitrino. A me sembrava una scena presa dal telefilm Criminal Minds, più che una fuga d’amore. Di tanto in tanto una gallina faceva capolino e cercava di entrare in casa, mentre il tamburellare della pioggia rapidamente rallentava e lasciava preludere al ritorno del sereno. Ho provato a parlare con Jiime della situazione del Myanmar e se dalla liberazione di Aung Saan Suu Kyi ci siano stati dei mutamenti nella politica, ma cambiava subito discorso per parlare di alcool o di prostituzione avanti alla moglie che non capiva cosa stesse dicendo. Già, in Myanmar la prostituzione è vietatissima. Tuttavia, in due giorni già due perfetti sconosciuti si erano offerti di fare da papponi, e sembra che nonostante tutto, essa sia un mercato fiorente. Fortunatamente, ha smesso di piovere e sono uscito da quella situazione oltre che noiosa, imbarazzante.

Siamo usciti dalla baracca che stava imbrunendo. Mr. Jiime ha detto che in un bar lungo la strada facevano un piatto particolare. Simile ad un aperitivo. Io e Keiji abbiamo deciso di provarlo. Abbiamo quindi ordinato delle birre e degli spuntini, mi hanno portato della Morning Glory saltata in padella e dei pesciolini essiccati dalla consistenza e sapore di cuoio coriaceo e salato. Mr. Keiji mi ha offerto la seconda birra, io insistevo per tornare a Yangon. No, altro giro, questa volta Whiskey birmano dal sapore di rum. I due compagni erano ridotti a stracci, io no. Non dopo essere passato attraverso la Thailandia e Cuba. Mi ci vuole altro per scompormi.

Il sole è tramontato. Nuvole di polvere, vapore e smog si alzavano in volte sulla strada che si era asciugata. Clacson, odore di gas di scarico acre nell’atmosfera umida. Insetti che gravitavano attorno ai neon impolverati, dai quali pendevano vecchie ragnatele ormai abbandonate da lungo tempo dai ragni che le hanno tessute. Odore di alcool, mille sguardi puntati addosso. Mi sono alzato e Jiime mi ha seguito. Voleva che affittassi una moto per andare a vedere una pagoda, a questo punto mi sono rifiutato di assecondarlo ulteriormente. Basta, che ci vada lui con Keiji. Mi sono diretto verso la strada principale senza sapere dove stessi andando. Ogni volta che fermavo un taxi Jiime si intrometteva per farci rifiutare il passaggio. Non era il caso di spintonare Jiime, visto che eravamo sicuramente circondati da suoi amici. Intanto, Keiji, zigzagando, mi seguiva come un gagnolino ubriaco e muto. Arrivato alla strada, Keiji ha iniziato a fare strane facce ed ho pensato che stesse per svenire. Aveva decisamente bevuto troppo. Jiime è andato a parlargli, forse per portarlo in un bar, ed io ho fermato un Taxi. L’autista mi ha guardato e gli ho detto “Mingalabà! Yangon, Bogyoke Market?”, il tizio mi ha risposto con la mano aperta “Cinque”, “Ok, qualunque prezzo”. Ho aperto la porta e ho chiamato Keiji. Il giapponese si è illuminato di un sorriso e mi ha raggiunto. Jiime ha provato ad intervenire, ma l’ho spinto ed ho chiuso lo sportello. Ha chiesto soldi per averci “fatto da guida” e da dentro il taxi gli ho snocciolato tutti gli insulti che potevo. Intanto, Keiji gli ha allungato qualche migliaio di Ks. Tempo e soldi persi, almeno avevo limitato i danni. E la magra consolazione di non aver pagato Jiime.

Arrivati a Yangon, siamo scesi a China Town. Al momento di salutarci Keiji mi ha abbracciato spontaneamente, cosa anomala per un giapponese, e mi ha detto qualcosa tipo “mi hai salvato”. E io, sorridendo “As we say in Italy in these occasions: Sei un pirla”.

Cena ad una bancarella da solo con Zuppa di Noodles e contorno costituito da una ciotola di brodo a 1500 Ks. Sulla via del ritorno ho assaggiato da una bancarella il Jackfruit fresco, che all’interno è diviso in spicchi prismatici. E’ ottimo e dolcissimo!

Tornato all’hotel mi sono fatto una doccia bollente, ho mandato qualche messaggio a casa col WiFi e poi nanna.

Giorno 5 – 31 Ottobre 2015 – Yangon Shwedagon Pagoda

Mi sono alzato all’alba. Gli indumenti che ho lavato il giorno precedente, grazie all’aria condizionata potente come il reattore di un aereo, erano belli asciutti. Ho fatto colazione con: Caffè istantaneo inclusivo di creamer, Pane tostato, Confettura colore pulcino radioattivo, Uovo sodo e Papaya. Subito dopo colazione ho preparato gli zaini e fatto il check-out. Ho lasciato lo zaino grosso in custodia nella hall ed il gentilissimo proprietario mi ha rassicurato che, avendo prenotato un bus notturno, quella sera mi avrebbe permesso di farmi una doccia in una camera vuota prima di andarmene.

Sono uscito ed ho fatto una passeggiata fino alla Sule Pagoda. La mattina era già calda e per strada si potevano vedere gruppi di monaci passeggiare. Ho preso un taxi davanti alla Sule Pagoda e mi sono fatto portare alla famosa Shewdagon Pagoda (4000 Ks). La Pagoda, che è la più importante del Myanmar, incanta già dalla distanza sia per la sua mole, ma anche per la sua linea che la proietta, in un bagliore dorato, verso il cielo turchese screziato di qualche rara nuvola candida.

Sono stato invitato ad entrare dal lato dell’ascensore, dove si paga anche il biglietto di ingresso (8000 Ks). In realtà per Shedagon Pagoda si intende tutta l’area sacra che circonda l’enorme pagoda, costellata da edifici sacri e monumenti. Una volta saliti, si viene rapiti dalla bellezza del posto, Pinnacoli, Stupa, Pagode dalle forme elaborate, Buddha, Bodisattwa, Creature mitiche, Oro, Pietre preziose, Specchi, Canti, Campanelle, Monaci, Fedeli e tanti Turisti! Da far girare la testa! Appena entrato sono stato avvicinato da un anziano dal nome simile a “Toon” o “Tùn”. Ha detto di essere un ex professore universitario e che ora, avendo una pensione da fame, arrotonda facendo la guida abusiva. Mi ha accompagnato spiegandomi alcune cose sul buddismo birmano che mi sono tornate utili più avanti in questo viaggio. In particolare, il Malabote. Ogni giorno della settimana ha un Buddha dedicato ed un animale assegnato. Il mio, che sono nato di Venerdì, è un animale che per alcuni è una Cavia e per altri è una Talpa. Il Mahabote reputa che il numero più importante sia l’otto, che indica l’equilibrio cosmico. Le basi delle Pagode in genere hanno otto angoli e ad ognuno di essi è assegnato un giorno della settimana. Per far quadrare i conti, il Mercoledì è stato spezzato in “Mercoledì Mattina” e Mercoledì Pomeriggio” in modo da avere otto giorni complessivi. L’argomento successivo è stato molto più terreno. Gli ho chiesto cosa ne pensasse del governo e delle imminenti elezioni dove il NLD, il partito di Aung Saan Suu Kyi, aveva buone possibilità di vincere. Tùn mi ha guardato con i suoi occhi da anziano che hanno visto le rivolte dalle quali nulla è cambiato e poi, voltandosi di tre quarti mi ha detto che, per il suo parere, tutto rimarrà uguale. I gerarchi si cambieranno il colore della giacca e continueranno a governare. Ho sospirato e, da buon illuso quale sono, gli ho augurato di sbagliarsi. Ho congedato il Sig. Tùn con una piccola mancia ed ho proseguito per conto mio. Ho iniziato a fare i dovuti giri in senso orario attorno allo Stupa e, tuttavia, ho notato che i birmani, sia i monaci che i civili, giravano attorno allo stesso anche in senso antiorario. Forse la pratica di girare attorno agli Stupa in senso orario non vale ovunque.

Presto è arrivata l’ora di pranzo e visto che il biglietto è giornaliero, sono uscito a mangiare di corsa un ottimo Thali Indiano, per poi tornare nel pomeriggio. Quando sono entrato, invece di passare dall’ascensore, sono passato per la scalinata costellata di negozi. Qui nessuno mi ha chiesto il biglietto.

Mentre giravo ed ammiravo ancora i numerosi monumenti, ho conosciuto “Nam” una ragazza Thailandese appena arrivata da Tokyo. Mi ha raccontato di trovarsi a Yangon per conto della sua azienda e siamo rimasti a parlare sia di viaggi che di lavoro e buddismo, che, grazie alle informazioni datemi dal Sig. Tùn, ho riscontrato un po’ diverse da quelle più diffuse in Thailandia. Ad un certo punto il caldo si è fatto insostenibile e vista anche l’ora, ci siamo lasciati, lei è andata dai suoi clienti e io, dopo aver chiesto a Buddha di smacchiarmi un po’ il Karma, sono andato verso l’albergo.

Doccia bollente nella camera che il giorno prima era di Peter, molto più bella della mia, e sono uscito per una veloce cena. Ho scovato un piccolo ristorante lungo la strada chiamato Tiger House. Qui ho ordinato un ottimo piatto di pesce e verdure chiamato “Three Friends” e una birra. Ho notato che in Birmania, per chiamare i camerieri si deve fare il suono come a mandargli dei bacini. Anche questo mi sarebbe tornato utile nei giorni successivi.

Ho dovuto ancora attendere un po’ il taxi e nel mentre ho intrattenuto i figli del proprietario dell’albergo facendo il giocoliere. Alle ore 20.00 è arrivato l’autista che mi ha portato alla lontana e molto estesa stazione dei Pullman. Qui ho dovuto aspettare nell’ufficio della compagnia di bus per circa un’ora. Era un garage dai muri scrostati dipinti di bianco, stipato di gente, borse e merci. Ero l’unico occidentale, e di conseguenza, avevo molto occhi puntati addosso. Alle 21.30 sono partito col pullman per Pyay, una nuova fase del viaggio è iniziata.

Durante il viaggio ho incontrato la bella Zin Mar Tun supervisore in una azienda di produzione di materie plastiche. Lei parlava un ottimo inglese, ed è stato grazie a lei che non ho perso la mia fermata. Sono grato a Miss Zin!

Giorno 6 – 9 Novembre 2015 – Pyay

Quando pianificavo il viaggio, ho avuto due opzioni. Andare a Pyay o andare a Bago. Mentre Bago veniva definita “la città dei giardini”, Pyay veniva descritta come una Bagan meno turistica e con le rovine antiche che davano un maggiore senso di avventura. Inoltre, essendo stata un centro molto importante durante il dominio Britannico, quando venne nominata Prome, dovevano ancora sorgervi degli edifici coloniali di pregio. Quindi, essendo praticamente in linea con Bagan, ho pensato di fare tappa in questa cittadina in modo da usarla come preparazione alla visita del sito archeologico più importante della Birmania.

Sono arrivato a Pyay alle 3.00 del mattino. Mentre la stazione di bus di Yangon (a circa 1 ora dal centro) sembrava una città nella città, questa è piccola e desolata. Un driver mi ha subito accalappiato e mi ha portato alla Myat Guest House (Myat Lodging) segnalata anche sulla Lonely. Ho contrattato ferocemente e ho preso una camera per 30.000 Ks per due giorni, esattamente la metà del prezzo di partenza. La camera era sul brutto, ma alla fine, mi serviva solo per dormire. Letto grosso, un tavolo e niente altro. Nulla, neanche i vetri alle finestre, ma zanzariere inutili e tende sporche. Il ventilatore viene gestito da un interruttore generale governato dal proprietario puzzolente. Il motore elettrico fa un rumore uguale a quello delle eliche dei bombardieri della Seconda Guerra Mondiale. Sono entrato nel letto alle 4.00, è ora della nanna. Forse.

Mi sono svegliato divorato dalle zanzare. Dopo una veloce doccia nello sporco bagno comune, colazione tanto orrenda quanto l’albergo. Mi è stata servita Frutta scadente, Pane tostato non tostato, Margarina, Confettura al gusto di colla, Uovo all’olio. Ma come si fa a non saper friggere un uovo? Non sono Gordon Ramsey, ma qui due padellate le avrei date volentieri a quell’incapace in cucina.

Il vecchio padrone dell’albergo mi voleva portare a vedere il circondario, ma ho cambiato discorso dicendogli che mi serviva il suo servizio di biglietteria per il bus notturno per Bagan per il giorno successivo. Il costo è stato di 14.000 Ks. Prima di lasciarmi andare, mi ha assicurato che il mattino successivo mi avrebbe portato a fare colazione in un posto speciale. Speriamo bene.

Mi sono allontanato dalla Guest House e procedendo verso Sri Ksetra, che è nella stessa direzione della stazione dei bus, ho incrociato ben due cortei elettorali. Qui le elezioni sono state prese sul serio e la campagna elettorale era fatta con parate di motociclette, auto con megafoni installati con musica folk e dei carri simili a quelli che vengono usati per il carnevale. Il primo era di un partito i cui colori principali erano in verde ed il rosso, mentre il secondo, quello con addirittura una banda musicale sul carro, era quello dell’NLD con tanto di gigantografia di Aung Saan Suu Kyi davanti! Ho fatto una marea di foto e le ragazzine a bordo del carro, vedendo uno straniero che le stava fotografando, si sono messe in posa e mi salutavano. Solo quando è passato il secondo corteo, mi sono accorto di essere capitato davanti alla sede locale dell’NLD. Sarei dovuto passarci, magari di ritorno dal sito archeologico.

Ho fermato un moto-taxi e mi sono fatto portare all’antico sito di Sri Ksetra, conosciuto anche come Thayekhittaya. Secondo gli studi fatti dagli archeologi, i primi insediamenti della civiltà Pyu, i fondatori di Sri Ksetra, che il lingua Pyu significa “Campi di Gloria”, risalirebbero tra il 50 e il 200 dopo Cristo. Tuttavia, non sono arrivate molte testimonianze della civiltà Pyu se non quelle registrate nei documenti dell’Impero Cinese, col quale avvenivano scambi commerciali, in particolare, nella dinastia Tang. Il viaggio in moto è stato lungo. Prima siamo passati davanti alla stazione di bus, e poi abbiamo proseguito per quartieri più periferici della anticha Pyay fino ad arrivare in aperta campagna. La pianura era una enorme e sconfinata risaia con le piante che ondeggiavano nella debole brezza tiepida. Lungo la strada si potevano vedere, sebbene fossero rare, le vestigia della antica città. Arrivato al museo, sito in fondo ad un viale alberato, ho dovuto pagare 5.000 Ks per il museo e altri 5.000 per il “Pass del Sito Archeologico” che non mi è mai stato chiesto. Il museo stesso è costituito da solo tre stanze nelle quale sono esposti alcuni reperti rinvenuti durante gli scavi. Il pezzo che ho preferito è stato un basso rilievo di una sinuosa Tara Devi. Tara, che in sanscrito significa “Stella” è sia una Bodhisattva Buddhista di rilievo, che una delle Divinità più di rilievo del pantheon Induista. Ella può essere rappresentata nelle sue molteplici manifestazioni, ciascuna delle quali con specifici significati.

Usciti dal museo siamo andati a cercare gli antichi Stupa. Essi sono pochi e dispersi su una vasta area. Sebbene da una parte essi sembrino “genuini”, in quanto non vi erano turisti a visitarli, ma solo gente del posto, dall’altra devo dire che per i non-appassionati-di-Stupa, possono apparire come pinnacoli di mattoni l’uno molto lontano dall’altro.

Il ragazzino che mi ha portato a visitarli è stato molto gentile e si è districato per strade sterrate e sabbiose faticando non poco. Ad un certo punto, per evitare un’auto, ha anche perso il controllo del motorino e siamo finiti fuori strada. Per fortuna che eravamo quasi fermi ed io sono riuscito a saltare dal mezzo in tempo. Nel pomeriggio, quando non sapeva più dove portarmi, mi ha condotto ad uno Stupa dorato su un’altura. Qui era vitatissimo fare foto, ma era decorato con delle belle statue su ogni lato. Campanelle ondeggiavano nel vento che frusciava tra le foglie degli alberi attorno, creando su quel suono, una sinfonia di tintinnii.

A tratti la mia aracnofobia mi ha fatto notare enormi ragnatele con minacciosi ragnoni neri e gialli. Lungo la strada principale erano letteralmente ovunque, ai alti e tra le fronde degli alberi. Guardando verso l’alto si vedevano le figure degli aracnidi, neri nel riverbero, che sembravano volare minacciosi in attesa di lanciarsi sulla preda. La mia immaginazione aracnofobica me li faceva vedere tutti a saltarmi addosso, sebbene invece fossero tranquilli a farsi gli affari loro, magari svolgendo l’utilissima mansione di sterminatori di fastidiose zanzare.

Tornati a Pyay ho dato 10.000 Ks al driver, infatti, vista la sua cortesia, ho deciso di dargli un extra sul prezzo concordato. E’ raro trovare qualcuno di così disponibile. Essendo stato fin troppo seduto ed ho deciso di fare una passeggiata. Lungo la strada mi sono fermato alla sede del partito NLD.

I candidati ed i sostenitori erano tutti eccitati per le elezioni e, al contrario di Mr. Tùn di Yangon, erano sicuri che una nuova era di Democrazia stava per nascere. Qui ho conosciuto Dr Khin Soe Soe Kyi, leader locale del Partito, che dopo una lunga intervista sulla sua campagna elettorale, mi ha dato una maglietta, ma a patto che la indossassi subito. Affare fatto! In seguito, tornato in Italia e grazie a Burma Campaign (www. burmacampaign.org.uk), una ONG che si occupa di combattere la Giunta dittatoriale, ho scoperto che ha vinto le elezioni, quindi, mi sembra di aver conosciuto una celebrità! Siamo ancora rimasti a parlare della situazione attuale. La mia percezione, dopo essere stato in Cina, la quale non brilla nell’Olimpo delle democrazie, è stata che, apparentemente, in Myanmar la Giunta non sia così presente ed opprimente come, appunto, in Cina. Tuttavia, è chiaro che stavo seguendo uno dei percorsi più turistici (molte aree della Birmania sono precluse ai turisti) e la Giunta stava mettendo in scena una soluzione di facciata per gli stranieri. Inoltre, Dr Khin Soe Soe Kyi ha rimarcato che uno degli obiettivi dell’NLD, e quindi anche suo, è quello di fermare la svendita delle risorse Birmane al partner economico Cinese. I Birmani hanno una gran voglia di riscossa e di ascesa. Tuttavia, c’è da sperare che non diventi un’altra Thailandia. Questo lo auguro davvero a questa bellissima terra e alla sua gente. Beh, non tutti, diciamo quasi a tutta la sua gente.

Tornando all’hotel mi sono fermato a pranzare in un ristorantino di Momo cinesi vicino alla stazione dei Pullman. Erano a dir poco orrendi, agghiaccianti e tremendi. Ho ipotizzato che il cuoco non simpatizzasse con l’NLD di cui indossavo la maglietta. Doveva essere sicuramente così. Momo così fatti male non potevano essere frutto della casualità.

Questo sospetto, cioè che la maglietta potesse generare reazioni avverse nelle persone, mi ha fatto prestare attenzione al comportamento delle persone che incontravo lungo la strada verso l’hotel. Ho avuto impressioni contrastanti. Circa il 30-40% della gente mi guardava male, non so se perché parteggiasse per il partito opposto o perché, forse, pensava che la stessi prendendo in giro? Il resto della gente mi salutava festosamente e mi chiedeva di fare foto assieme.

Comunque, nella speranza di non finire in un Gulag Bimano a causa della maglietta, sebbene sarebbe potuto essere uno spunto interessante per un Diario di Viaggio, sono passato alla Guest House a cambiarmi. Nel pomeriggio mi sono diretto a Shwedaung a visitare la Shemyetman Paya, la pagoda che ospita il famoso Buddha con gli occhiali (andata e ritorno 4.000 Ks, ingresso libero). La storia vuole che durante il periodo del dominio Britannico, la moglie di un ufficiale Inglese di alto rango fosse devota a questo Buddha. Poco prima che gli Inglesi lasciassero Prome, la signora è stata guarita miracolosamente da problemi che aveva agli occhi. Come voto, l’Ufficiale ha fatto costruire due grandi occhiali da donare al Buddha. Gli occhiali originali sono stati rubati poco tempo dopo, e quelli che sono presenti ora, sono repliche degli originali.

Lungo la strada del ritorno ho visitato velocemente il monastero col tempio degli 88 spiriti. Esso è un una struttura costituita da una piccola pagoda circondata da mura che disegnano una pianta quadrata. Sul alto interno delle mura vi sono 88 nicchie con altrettante statue. Qui ho visto monache curare le statue, pulirle e disporvi offerte. Inoltre un gruppo di ragazzine hanno voluto una fotografia con me. Forse è strano vedere un occidentale aggirarsi per quel tempio.

Tornato in città mi sono recato al tempio principale, la Shwesandaw Paya, ad aspettare il tramonto. Prima di entrare, merenda con una frittella ripiena di “palline”, forse legumi dolciastri. Il tempio è molto elaborato e sebbene non molto esteso, può richiedere del tempo per apprezzarne le rifiniture d’oro ed il panorama. Giusto sul lato opposto rispetto l’ingresso, c’è una statua enorme del Buddha. Il tempio, essendo su una collina, in posizione elevata rispetto alla statua del Buddha a valle, permette di guardare in pieno il visto pacifico dell’enorme statua. Ho aspettato fino al tramonto, quando hanno illuminato lo Stupa dorato coi riflettori. Un bellissimo pinnacolo dorato sullo sfondo del cielo blu scuro. Migliaia di uccellini sono arrivati e si sono annidati, cinguettando, tra gli alberi d’oro. Al buio sono tornato alla rotatoria e qui ho cenato in una beer station con riso fritto e birra (totale 3.000 Ks). Tornato alla topaia, doccia e nanna al rumore del ventilatore.

Giorno 7 – 2 Novembre 2015 – Pyay

Sveglia all’alba. Il tizio dell’albergo, dalla forma di un basso e tozzo orco, ma molto più puzzolente, mi aveva detto che mi avrebbe portato a fare colazione in un posto particolare. Invece, dal momento che siamo partiti, ha cercato di farmi fare nuovamente il giro del giorno precedente. Ho fatto le mie ragioni, mentre lui faceva finta di non capire, mentre io diventavo sempre più sarcastico. Mi ha praticamente tenuto sequestrato per 5 ore, ma alla fine dei conti, ho avuto anche modo di visitare diverse cose fuori dal circuito più turistico. La prima è stata la Shwe Nat Taung Paya, un tempio a sud di Pyay, sulla “superstrada” che porta a Yangon. Lungo la strada ho visto un enorme cartello dove la Giunta invita i bambini a preferire lo studio all’arruolamento precoce al servizio militare. Tempo fa avevo letto un articolo dove la Birmania era in uno dei primi posti per il numero di bambini-soldato. Questo cartello mi ha fatto sorridere. Ho capito che qualcuno nell’ufficio propaganda della giunta deve avere un gran senso dell’umorismo, o forse fa sempre parte del progetto propagandistico per mascherare ai turisti la realtà.

Il motorino dell’Orco sdentato e puzzone arrancava in una strada secondaria. Alla mia sinistra è apparso un laghetto con un tempietto al centro e un piccolo monastero a fianco, ma il motorino ha preso una diramazione alla sinistra e s’è inerpicato per una piccola collina. Mucche, galline, polvere e persone che vagavano. Poi, all’improvviso un arco decorato dava il benvenuto in birmano alla Shwe Nat Taung Paya. Il mio Birmano era già all’altezza di dire quattro parole, fortunatamente, una era “Nat”, che significa spirito. Ne ho dedotto che doveva essere un tempio dedicato a qualche sorta di spirito. Spero benevolo. In realtà, la struttura più antica sembra risalire ai tempi di Sri Ksetra, quindi, antichissimo. La Shwe Nat Taung Pagoda è conosciuta anche come la “Golden Nat Pagoda”. Una leggenda locale racconta che essa è stata costruita da un antico Re con l’aiuto degli spiriti, i Nat. La Pagoda ospita anche la Reliquia del Capello del Buddha.

Il tempio era quasi deserto. Lo giravo da solo, visto che il vecchiaccio era rimasto ad ammorbare il proprietario di una bancarella. Il tempio è, a dir poco, splendido, magnifico! Un tripudio di oro e decorazioni. Suono di campanelle mosse dalla brezza. Pinnacoli scintillanti nella luce del mattino si lanciavano in un cielo di blu intenso, dove lassù, quasi perfettamente allineata con la cima dello Stupa principale, c’era lei, la Luna piena! Un combinazione che per solo un attimo mi ha fatto avere l’illusione di essere in sintonia col mio Karma. “Ti rincarnerai ancora cinque volte prima di avare l’illuminazione!” così mi disse l’indovina ubriaca otto anni fa. Questa frase mi torna in mente ogni volta che nomino il Karma. Ma forse quel senso di pace era un dono di chi stavo per incontrare, colei che incontro in ogni mio viaggio in Asia, che sia una spiaggia o un luogo remoto, lei c’è sempre, e il suo sorriso mi regala sempre un attimo di pace. Sentimento per me raro, molto raro. E’ per quello che è facile da ricordare.

Forse anche in questa occasione Mary Anne Radmacher avrebbe detto “Non sono la stessa persona dopo aver visto la luna splendere dall’altra parte del mondo”.

Ho girato per questo bel tempio sentendo le onde del tempo fermarsi. Non volevo che quel momento si interrompesse. Alternavo la vista del tempio, cercando di cogliere le varie angolazioni ed aspetti, con quella del panorama. Una distesa si allargava a perdita d’occhio. Rare palme la punteggiavano e ancora più rare colonne di fumo di sterpaglie si innalzavano dissolvendosi nella loro corsa verso il cielo.

Ho fatto il pieno di energie positive, e una volta uscito dalla Shew Nat Taung Pagoda, ho chiesto di poter visitare il monastero ai piedi della collina. Anch’esso è dedicato ai Nat e se ne possono trovare statue rappresentative nelle salette alla destra del cortile di ingresso.

Sono stato intercettato da un giovane monaco che non parlava inglese. Lui, aveva un ampio sorriso e sembrava infondere calma col suo sguardo. Mi ha fatto cenno di seguirlo e mi ha portato a vedere il tempio principale, dove vi è una grossa statua del Buddha e diverse altre opere d’arte Buddhista. Le porte erano tutte aperte, il soffitto alto e tanti uccellini entravano ed uscivano dal tempio cinguettando. Siamo stati a vedere il laghetto che pullulava di carpe ed il tempio costruito al suo centro. Sulla via del ritorno verso il cortile, siamo passati davanti a due altre stanze dove, con un brivido, l’ho incontrata. Lei era li, sempre bellissima, che guardava e sorrideva. Era seduta a gambe incrociate su un fiore di Loto in una posa che infondeva pace. Kuan Yin, la Dea della misericordia. Studiosi del Buddhismo la collegano direttamente a Tara, la quale a sua volta è collegata alla forza femminile generatrice dell’intero universo e oltre. Lei ora era davanti a me. A donarmi, forse per un attimo, un pizzico di pace interiore. L’ho incontrata nei posti più impensabili, e l’ho incontrata anche qui. Un doveroso saluto alla Dea, sperando che mi suggerisca come riscattare il mio Karma e poi sono tornato al cortile.

Siamo partiti e ci siamo fermati molto più tardi ad una beer station chiamata “Kyoto” lungo la strada Yangon-Pyay per fare colazione con zuppa di noodles, riso e te dal gusto balsamico, bevuto da tazzine che non davano l’idea di essere proprio pulite.

Una nuova sosta al Monastero degli 88 spiriti. Oggi c’era molta più gente ed ho avuto tempo di visitare altre aree. Mentre in alcuni punti esso sembra antico, come per esempio un piccolo edificio avvinghiato dalle radici di un grosso albero antico, altre aree stanno venendo costruite. Probabilmente in futuro diventerà un nuovo polo spirituale con aree ricreative, o forse un nuovo monastero sulla via che collega Yangon a Pyay.

Di ritorno verso Pyay siamo passati vicino ad un bosco di alberi di Teak. Il vecchio Puzzone mi ha spiegato che quegli alberi sarebbero stati tagliati a breve ed il legname spedito in Cina. Ecco che riaffioravano le parole che Dr Khin Soe Soe Kyi mi aveva etto il giorno prima. Le risorse che vengono svendute ai partner commerciali esteri, talvolta causando disastri ambientali, invece di preservare l’ambiente e di arricchire, almeno dal punto di vista ambientale e culturale, il popolo Birmano.

Abbiamo proseguito il nostro viaggio ed abbiamo attraversato l’immenso fiume Irrawaddy. Sulla riva opposta rispetto Pyay, dopo aver lasciato la moto lungo una riva, ho potuto visitare ancora alcuni templi. Il primo, molto grande e con bancarelle che vendevano prodotti per turisti si chiamava Shwe Bon Thar Muni. Poco lontano, siamo stati ad una pagoda più piccola. L’area aveva un aspetto più abbandonato, ma profondamente più genuino. Sembrava che i Birmani che venivano qui a pregare non fossero abituati a vedere turisti ed una dolcissima signora, dopo aver chiesto di avere una foto assieme, mi ha regalato una mela. La meraviglia della gentilezza insita nei piccoli gesti.

Al lato dello Stupa principale, in una terrazza sul fianco della collina, all’ombra di alberi molto alti, ho incontrato nuovamente delle statue. Il mio autista si è inginocchiato a pregare davanti ad una di esse e mi ha chiesto di aiutarlo a compiere un rituale. Essa era la statua di una donna giovane e molto bella. Capelli neri, da bambola, nel senso che non erano scolpiti, ma sembravano veri, erano lunghi e ben acconciati. Avevo già visto questa statua da altre parti, per esempio al tempio degli 88 Spiriti e mi aveva incuriosito. Mi sono rivolto al Puzzone e gli ho chiesto se si trattasse di un Nat e lui mi ha risposto che si trattava di Maya, la madre del Buddha. Maya, che in sanscrito significa “Illusione” (una delle pochissime parole che so di Sanscrito), nel Lalitisvara Sutra viene descritta come “La sua bellezza scintilla come una pepita d’oro puro. Ha riccioli profumati come le grosse api nere (nota: in certi tipi di Bombo, le “grosse api nere”, i maschi secernono un profumo simile alla Rosa da ghiandole presenti nel torace per attirare le femmine). Gli occhi sono come petali del fiore di Loto, i suoi denti sono come le stelle del cielo”.

Ho salutato con rispetto la statua di Maya, che avrei comunque incontrato ancora tante volte durante il viaggio, e siamo tornati a Pyay. Il driver mi ha lasciato ai piedi del grosso Buddha alle spalle del tempio Shwesandaw e se n’è andato senza dire nulla. Rimasto per conto mio, ho girato velocemente per il tempio e sono tornato all’albergo per fare il check-out.

Avrei avuto voglia di prendere a pugni il Puzzone, ma sarebbe stata la scelta peggiore. Ho preferito limitarmi, una volta tornato in Italia, a scrivere una pessima recensione sulla sua stamberga, ma finché ero in quel posto, dovevo fare buon viso a cattiva sorte e cercare di levarmi da Pyay al più presto.

Per chi volesse andare a Pyay, quel che dico ai turisti è che può essere comodamente saltata. Ho sentito parlare bene di Bago. Io ho scelto Pyay, ma col senno di poi, avrei fatto meglio a usare questi giorni, e magari prenderne anche uno dal Lago Inle, per andare invece sul mare a Ngapali.

Sono andato a pranzare con Zuppa di Noodles e Birra ad una beer station (3.000 Ks) e al concorso della birra, ho vinto 200 Ks!

Alle 15.30 sono tornato alla guest house e qui ho incontrato due ragazzi di Hong Kong (maschio e femmina). Il driver Puzzone ci ha caricati sul deck di un piccolo motocarro e ci ha portati alla stazione dei pullman. Finalmente ci siamo liberati di quell’uomo e della sua guest house! Una nuova fase del viaggio iniziava.

Giorno 7 – La lunga strada per Bagan

La lunga strada per Bagan, ecco come si chiamava quel diario di viaggio che lessi mentre organizzavo il mio tour. Era stato scritto da un americano che proprio partendo da Pyay aveva fatto un viaggio epico in pullman fino a Bagan. Il suo viaggio, di giorno, era stato costellato da rotture del chicken-bus con cui aveva viaggiato. Io, forte del mio ottimismo, ho pensato “Beh, mica sarà sempre così!”. No, può anche essere peggio.

I due ragazzi di Hong Kong che ho incontrato alla partenza dalla guest house si chiamavano Kevin e Yuki. Quando siamo arrivati alla polverosa stazione dei bus, essendo gli unici non-birmani della zona, sebbene io fossi quello che spiccava di più per questa caratteristica, ci siamo accampati tutti vicini su una pila di materassini di bamboo nell’attesa che arrivasse il nostro veicolo. La partenza sarebbe stata alle 16.30, ma alle 17.15, dopo aver visto una moltitudine di bei pullman passare, mi sono rivolto alla signorina che gestiva le prenotazioni, la gentilissima Aung Kyaw Moe, la quale, col suo sorriso solare mi ha detto “E’ in ritardo!”, “Grazie dell’informazione, non ce n’eravamo accorti”. Nel frattempo, un pullman tutto scassato che presumibilmente arrivava da qualche area remota della Birmania si era piazzato in mezzo ai piedi e lo stavano scaricando di ogni sorta di materiale. L’autista con alcuni ragazzi dell’equipaggio si sono diretti ad un paio di barili di acqua stagnante iridescente di grasso e, tolta la maglietta macchiata, si sono sciacquati.

Alle ore 17.30 la signorina Aung Kyaw Moe ci si è avvicinata e solare ci ha detto “Sir, il vostro pullman è in partenza!”, “Scusi, ma quale?”, “Quello, naturalmente” puntando il chicken-bus con una gestualità aggraziata degna di una ballerina sorridente provetta. Ecco cos’era, si trattava di un mostro rettangolare emerso da un’altra era geologica, dipinto di bianco e ruggine, sbuffava fumo nero su un ruggito non smorzato da alcuna marmitta. Vibrava, ondeggiava e cigolava. E ci aspettava.

Siamo entrati nello spazio angusto. C’erano solo dieci file di sedili nella parte anteriore, mentre quelli posteriori erano stati rimossi per trasformare quella parte nel pianale dove caricare ogni sorta di bene. Pali di metallo, stuoie, sacchi di riso ed il nostri zaini. Tutto stipato laggiù.

La fortuna ha voluto che il vecchio Puzzone ci abbia prenotato i posti in prima fila, altrimenti noi, con misure da non-birmani, non saremmo mai riusciti a stare negli spazi angusti delle altre file. Io sono tutt’altro che alto, e questo in genere è un gran vantaggio per questo tipo di viaggi, ma in questa situazione, sarei stato stretto comunque. Ecco, un ruggito più forte, il vetro della mia finestra ha vibrato, l’intero pullman è stato scosso da una serie di sussulti e poi, con un rumore assordante siamo partiti. Kevin era sull’altro lato della fila, oltre al corridoio. Io avevo a fianco un birmano che sapeva pronunciare qualche parola di Inglese e di Cantonese, oltre che a trangugiare litri di una bevanda dal forte odore di Bubble Gum. Kevin aveva vicino la sua Yuki, davanti a loro la porta del pullman, rotta e aperta. Nulla li avrebbe potuti trattenere in caso di frenata violenta.

Con un senso di liberazione ci siamo lasciati Pyay alle spalle. Il nostro mezzo, si è lanciato a velocità folle per strade che sembravano una lunghissima serie ininterrotta di sbalzi. Ho provato a mettere l’MP3 per ascoltare un po’ di musica, ma non udivo alcunché. Il rumore del motore era tanto forte da coprire la musica a livello massimo.

Alle ore 20.00, dopo due ore e mezza di scossoni, ci siamo fermati, con tutte le ossa mischiate, per la cena. Il relitto su cui viaggiavamo era minuscolo a confronto di altri due Pulman VIP-Class parcheggiati ai suoi lati. Mentre aspettavamo di partire ho provato ad informarmi se fossero andati a Bagan per cercare di corrompere l’autista e farmi prendere, ma andavano entrambi verso Mandalay.

Ore 20.30, buio pesto. Siamo tornati sul chicken-bus e dopo la regolare serie di sussulti, siamo ripartiti. Io ho recuperato dallo zaino il maglione che mi ero messo per partire da casa e l’ho appallottolato contro il finestrino per cercare di dormire. Le cuffie non servivano a molto se non ad attutire lievemente il rumore del motore. Già, ma come fare a dormire? All’improvviso, proprio nel momento che stavo per farcela, ho percepito dei flash. Ho aperto gli occhi rendendomi conto che il motore aveva un rumore meno forte e che eravamo fermi su una strada in mezzo ai monti. Ai nostri lati c’erano due dislivelli, a sinistra scendeva verso un campo non coltivato, mentre dall’altro lato il monte scendeva verso un fiume. Improvvisamente, un boato e uno scossone. Un camion ci era finito addosso e aveva continuato la sua corsa strisciando la fiancata contro il chicken bus finché non sono rimasti incastrati. Io ero sul lato del finestrino, il fianco del camion era a 30 cm da me, e fortunatamente il vetro del finestrino non si è rotto. Ero tanto rintronato dal rumore e la stanchezza che non mi sono scomposto, ma, invece, mi è iniziata una risata isterica.

Siamo stati invitati a scendere. Nello scontro si era anche rotto il nostro motore. La strada era stretta e questo ha comportato il crearsi di due lunghe colonne di mezzi in entrambe le direzioni. I mezzi incastrati facevano da tappo e la situazione si è fatta lunga. Ho cominciato a passeggiare lungo la strada di montagna. Il sonno, la confusione e l’agitazione hanno reso tutto più surreale. Dopo un’ora di attesa gli autisti sono riusciti ad aggiustare il motore nel chicken-bus, hanno disincastrato i mezzi, ed il traffico ha cominciato a defluire. Tuttavia, mentre stava passando una colonna di camion militari, con tanto di motorini civili caricati sui pianali, uno di essi si è ingolfato. L’autista non è riuscito a frenare in tempo e iniziando a scendere in retro è finito sul camion che lo seguiva. Un bel boato e la vecchina birmana che avevo a fianco in quel momento mi ha abbracciato per la paura. Povera vecchina, quante ne stava passando quella notte!

Siamo rimasti soli sul margine della strada. Noi, il chicken-bus, il camion che ci aveva tamponati ed un altro camion il cui conducente aveva visto l’incidente. Avremmo dovuto aspettare ancora un’ora per l’arrivo della Polizia a fare il rilievo.

Senza più rumori di motori, era calata la quiete. Non c’era più odore di smog, ma un profumo si era propagato nell’aria. Mi sono allontanato dal bus e qui ho scoperto che la strada era fiancheggiata da cespugli di una pianta che aveva lo stesso odore della salvia. Nel contempo, nell’oscurità del bosco e dei monti che ci circondavano, arrivava musica sacra Buddhista. Sembrava che qualcuno stesse ascoltando la radio ad alto volume, ma era notte fonda. Rare lucciole scintillavano nel buio. D’un tratto siamo stati richiamati al bus, sebbene la Polizia non fosse ancora arrivata. Tuttavia, quando siamo partiti, dopo aver percorso poche centinaia di metri, il chicken-bus ha invertito la marcia e siamo tornati verso Pyay. Ancora una ventina di minuti di viaggio e ci siamo fermati in un agglomerato di case abbandonate che sorgevano su entrambi i lati della strada. Qui c’era la caserma della Polizia, ma essendo tutto abbandonato, essa era vuota. Avremmo dovuto aspettare qui ancora una buona mezz’ora contando le auto che passavano finché non sono arrivati i poliziotti. Erano in cinque su tre motorini civili, tra i quali uno spiccava per aver montato davanti un cestino porta oggetti rosa.

I poliziotti sono stati gentilissimi. La stazione di polizia era costituita da diversi edifici ad un solo piano circondata da un giardino degno di un resort turistico. Qui ci è stato proposto di fermarci a dormire e ripartire il mattino successivo, ma un coro di “No” si è alzato da questo gruppo di turisti che non vedevano l’ora di ripartire. Ancora una mezz’ora per la constatazione dell’incidente e poi siamo stati liberi di tornare al chicken-cus e riprendere il viaggio verso Bagan.

Mi sono raggomitolato sul mio scomodo sedile. Il paesaggio buio ha ripreso a scorrere fuori dal finestrino nel rumore assordante del motore. Ancora una serie lunghissima di soste in località anonime a scaricare gente e materiali. Sembrava infinito. Il cielo ha cominciato ad albeggiare ed alle 05.30 siamo arrivati alla stazione dei Pullman di Bagan.

Qui siamo stati assaliti da un’orda di ragazzini motorizzati che volevano 8.000 Ks per portarci agli alberghi e quando gli ho detto di no, mi hanno insultato dandomi del pazzo e denigrandomi. In genere i Birmani si sono sempre comportati con educazione, ma questi no. Erano dei concentrati di arroganza. Messi gli zaini in spalla sono partito a piedi verso Nyaung U, la località a nord della Piana di Bagan dove avevo l’albergo. Avevo già fatto i conti sulle distanze, si trattava solo di 3 Km, quindi a distanza di passeggiata. Appena uscito dalla stazione di bus, con tanto di ragazzini che da lontano continuavano a lanciarmi anatemi, ho incontrato un altro moto-taxista che fermatosi mi ha chiesto 3.000 Ks. A questo punto ho ceduto. Potevo pur dargli questi 2,5 Euro. Lungo la strada vero Nyaung U ci siamo fermati alla stazione di pedaggio dove ho dovuto pagare il biglietto di accesso all’area archeologica. Il pass mi è costato 27.000 Ks (circa 20 euro), e durante il soggiorno a Bagan non me l’ha mai chiesto nessuno.

Alle ore 05.45 ho raggiunto l’albergo che avevo prenotato dall’Italia, il bellissimo Golden Myanmar. Qui i ragazzi della reception mi hanno fatto salire subito in camera, provvista di WiFi gratuito, che fortunatamente era già libera. Una doccia bollente e mi sono lanciato nel comodissimo letto alle 6.00. Canti Buddhisti erano già nell’aria, ma non ci facevo caso, finalmente potevo dormire da sdraiato e questi sarebbero stati una buona colonna sonora.

Giorno 8 – 3 Novembre 2016 – Bagan

Sveglia alle 8.00. Sebbene abbia dormito solo due ore, mi sento bene. Non appena uscito dalla camera nella luce abbagliante del giorno, il cameriere del ristorante-terrazza che avevo davanti alla porta, gentilissimo, mi ha ricordato che, avendo il check-in in teoria quella stessa mattina, non avevo ancora diritto alla colazione inclusa. Così, lavati e stesi alcuni indumenti, sono uscito sulla strada e mi sono messo alla ricerca di un caffè. E’ incredibile quanto facciano bene alcune ore di sonno e come possa cambiare l’aspetto di una città col sole e con meno stanchezza.

Un moto-taxista mi ha fermato per cercare di avere un cliente, ma ho colto l’occasione per chiedergli indicazioni per il caffè. Lui mi ha puntato la rotatoria e mi ha risposto “Uno schifoso, ma economico, uno buono, ma carissimo”, io gli ho detto “come li riconosco?” e lui “Uno economico e l’altro carissimo”. Bene, perfetto. Ora so tutto.

Diretto alla rotatoria, dove sorge anche il mercato di Nyaung U, ho riconosciuto l’economico dal caro. Il primo era una beer station sporchissima e l’altro sembrava un bar piuttosto pulito. Sperando evitarmi un mal di pancia nella Piana di Bagan, ho optato per quello che sembrava più pulito, il “Cafè Friends”. All’interno ho conosciuto il proprietario, un signore molto simpatico che, senza motivo, si era fatto la fissa che io fossi vegetariano. Comunque, la sua pancake al cioccolato e il cappuccino bio sono stati ottimi.

Ho affittato un motorino elettrico minuscolo, dalle forme arrotondate e dal colore rosso intenso. Praticamente, cavalcavo una ciliegia silenziosa che procedeva ad una lentezza disarmante. Purtroppo, alla prima occasione di frenata mi sono accorto che i freni erano praticamente inesistenti. Quindi, ho iniziato a procedere ancora più lentamente per evitare incidenti vari.

La prima tappa è stata alla dorata Shwezigon Paya. Questo è un complesso costituito dallo Stupa principale e diversi piccoli edifici ai suoi lati. Qui ho incontrato molti turisti in gruppi guidati, la cui maggior parte erano Italiani. La pagoda è molto bella e ricca di dettagli da ammirare. In particolare ho apprezzato un’area con pannelli lignei intarsiati a rappresentare scene degli insegnamenti del Buddha. I pannelli erano intervallati da colonne coperta da mosaici di pietre colorate e specchi. Inoltre, la giornata era tersa ed era un piacere vedere il colore oro dello Stupa scintillare verso il cielo azzurro.

Essendo che Bagan è rinomata per la produzione di prodotti di legno laccato, mi sono fermato a contrattare ad una bancarella per acquistare qualche scatolina da portare agli amici. Siamo riusciti a stabilire un prezzo e le ho promesso di tornare il giorno successivo a prendere la merce, quando l’avrei comunque pagata. La negoziante, come segno di fiducia, mi ha anche regalato una spilla a forma di farfalla di carta.

Ho proseguito l’esplorazione fermandomi ad ogni singolo Stupa sulla via che collega Nyaung U a Bagan. Oggi Bagan (Old Bagan) è un’area archeologica dove non vi possono essere residenti. Gli abitanti della zona sono stati spostati nel 1990 a New Bagan e a Nyaung-U. Il sito ad oggi conta circa 2.200 monumenti che vanno da templi giganteschi a piccoli Stupa. Sebbene nel tempo molti Stupa siano andati distrutti, un po’ per l’incuria e un po’ a causa dei terremoti, il numero sta continuando a crescere. Infatti, molte persone facoltose intendono la costruzione di Stupa al livello di voti per Buddha. Pertanto, tra gli antichi monumenti se ne possono trovare di nuovi fatti in cemento e mattoni.

Il sole era alto nel cielo e bruciava sulla pelle, il cielo era blu intenso e screziato da qualche rara nuvola, mentre l’aria calda profumava di erba e fiori.

Ho pranzato in un ristorante vicino all’Ananda Temple, qui ve ne sono numerosi, con Potato Curry ed Acqua. L’Ananda Temple, forse il tempio più famoso, è in corso di restauro e si presenta dall’aspetto “molto nuovo”, comunque, le sue gallerie ricche di statue di Buddha e Devi sono impressionanti. Esse sono altissime costellate da nicchie, dall’aspetto di altissime colombaie, che ospitano le statue di fogge e dimensioni diverse. Le stesse statue, per chi le sa apprezzare, sono molto belle.

Sono tornato all’esplorazione della zona. Questo tour in autonomia è stato davvero interessante e dava un vero senso di avventura, specialmente visitando Stupa remoti. Bagan offre migliaia di opportunità per soddisfare il bisogno di esplorazione. Tuttavia, un po’ a causa del terremoto del 1975, un po’ a causa del design minimalista degli Stupa stessi, la gran parte non sono decorati se non per un’unica statua di Buddha al loro interno. Per trovare Stupa con antichi dipinti ancora intatti, bisogna o avere molta fortuna o chiedere ai venditori della zona. Loro sapranno dare valide indicazioni.

I momenti più importanti sono l’alba e il tramonto, quando il cielo e la luce offrono l’opportunità di fare fotografie meravigliose del paesaggio. Purtroppo in alcuni dei templi principali è vietato salire sul tetto in quanto pericoloso. Io sono andato in uno dei più popolari per ammirare il tramonto, la Shwesandaw Pagoda, simile ad un tempio-piramide. La cosa più fastidiosa era che gli unici a gridare erano, neanche a dirlo, un gruppo di Italiani. Il cielo si è colorato di rosso, lontane nuvole si erano alzate sull’orizzonte, mentre i pinnacoli degli Stupa e delle Pagode si allungavano con le loro siluette nere verso il cielo. In condizioni come queste, è facile fare belle foto. Essere in situazioni come queste, incanta a tal punto da togliere il fiato.

Sono rientrato all’albergo che era quasi buio. Mi sono fermato ad una agenzia di viaggi per organizzare il tour al Monte Popa per il giorno successivo e poi mi sono dedicato alla cena. Ho proseguito per la via controllando i ristoranti che ho scovato. Erano tutti tristissimi. Alla fine ne ho scelto uno a caso che si è rivelato pessimo. Ho ordinato Pollo al Curry verde troppo brodoso, Riso al vapore simile ad una pappetta collosa e Birra, il tutto per 3.500 Ks (circa 3 Euro). Tornato all’albergo ho mandato qualche messaggio agli amici e poi sono crollato sul letto.

Giorno 9 – 4 Novembre 2016 – Bagan e Monte Popa

Oggi sveglia presto. Lavaggio indumenti e poi colazione in terrazza. Ho ordinato due pancakes complete di tre ciotoline contenenti confettura di “qualcosa”, Succo di Acero e Salsa di Cioccolato. Ho fatto in tempo a finire la colazione che è arrivato il pullmino che, assieme ad altri quattro turisti, mi ha portato al Monte Popa.

Anche qui, lungo le strade abbiamo incontrato qualche corteo elettorale, ma invece di avere i carri da carnevale come a Pyay, c’erano dei pick-up con sopra una moltitudine di ragazzini e amplificatori con musica al massimo. La maggioranza delle bandierine erano verdi e rosse.

Lungo la strada ci siamo fermati, come succede sempre, ad un negozio. Questa volta è stato anche interessante. Infatti, era una struttura posticcia al lato di una strada con un ampio spiazzo davanti puntellato da alcune palme. Qui, su un lato, c’era un mulino a trazione bovina dove veniva prodotto, simbolicamente, dell’olio di sesamo. La produzione principale del negozio, invece, riguardava i derivati della palma. Infatti, la linfa della Palma da Toddy è molto zuccherina. Essa viene raccolta in piccole giare appese alla sommità delle piante e poi lavorata in laboratori, come in questo caso, anche artigianali. Gli utilizzi principali sono per la produzione di zucchero di palma ed alcolici. Lo zucchero, che ha una consistenza pastosa, può essere mischiato ad altri ingredienti e venduto in forma di caramelle. Gli ingredienti più popolari nel negozio erano: Cocco, Sesamo e Zenzero. La stessa linfa può essere fatta fermentare per ottenere il Toddy (o Jaggery) che in base alla gradazione alcolica può passare da essere una sorta di Birra di Palma ad un Vino di Palma. Lo stesso vino può poi essere distillato per produrne una specie di acquavite. In linea di massima ricordo, ma potrei sbagliarmi, che la fermentazione della frutta può portare alla produzione di metanolo, che può rimanere nel distillato se non fatto con attenzione. Onestamente, non mi sembrava un prodotto molto sicuro per essere consumato.

Abbiamo proseguito verso il Monte Popa e la strada è diventata dissestata. Man mano che ci avvicinavamo, abbiamo attraversato un’area boscosa. Molta gente era ferma sul margine della strada a fare segni, e non capivamo se avessero voluto qualcosa o chiedessero un passaggio.

Il Monte Popa è un pinnacolo che si dice essere costituito dal nucleo di un antico vulcano che ha eruttato l’ultima volta 250.000 anni fa. Oggi ospita un monastero sulla sua sommità. La leggenda dice che esso sia un monte sacro ed ospiti 37 Nat.

Per salire alla sommità si deve seguire una scalinata che oltre un certo livello diventa “terra consacrata” e va fatta da scalzi. Lungo la salita si alternano bancarelle e aree dove ammirare le statue dei Nat. Lo stesso Monte Popa ospita una enorme comunità di macachi ed il fatto che molte persone diano loro del cibo, comporta che a tratti le scale siano davvero molto sporche. Giunti alla sommità si possono visitare gli Stupa, una piccola pagoda contenente piccole statue del Buddha dedicate ai giorni della settimana e godere del bellissimo panorama sulla vallata punteggiata di Stupa dorati. Purtroppo Bagan non si può scorgere in quanto nascosto da una montagna. Molti Birmani suonavano un gong tirandogli dei pugni, così anch’io mi sono cimentato. Ho esagerato con la forza generando un gran fracasso, ma come conseguenza molti Birmani hanno voluto avere una fotografia con me.

Presto è arrivato il momento di tornare al pullmino. Ho avuto ancora tempo per un Dragon Fruit a 1.500 Ks, particolarmente insapore, e poi siamo saliti sul pullmino per tornare a Bagan. Durante il viaggio di ritorno ho attaccato bottone con due spagnoli di mezza età che avevano appena iniziato un viaggio di tre mesi attraverso il Sud Est Asiatico. Loro erano partiti da Mandalay ed erano già stati all’Inle Lake. Si sono rivelati simpatici e raccontandoci aneddoti di viaggio, ci siamo resi conto di aver avuto esperienze simili, quindi, mi sono sentito un po’ meno visionario.

Saremmo dovuti arrivare a Nyaug U alle 13.00, ma invece, siamo arrivati alle 14.00. Ho subito affittato un motorino elettrico e mi sono diretto alla Shwezigon Pagoda dove sono tornato, come promesso, a contrattare per le scatoline per gli amici. Dopo una nuova lunga ed estenuante contrattazione, nel corso della quale ho anche fatto il giocoliere, ho ottenuto 22 scatolette piccole al prezzo di 20.000 Ks. Alla fine la negoziante mi ha anche regalato un braccialetto rosso con appeso un ciondolo a forma del mio segno zodiacale Birmano, il Porcellino d’India. Sono tornato al Cafè Friends per la merenda con Caffè e un sandwich al formaggio e verdura. Mi sono lagnato col proprietario della cena tremenda della sera precedente, mi ha spiegato per bene dove si trova la Restaurant Street (davanti alla Shwezigon Pagoda), li avrei mangiato sicuramente bene. Quella sera on avrei sbagliato.

Sono tornato a visitare Old Bagan passando per le principali pagode. Sfortunatamente il cielo era diventato parzialmente nuvolo e di conseguenza non ci sarebbe stato un bel tramonto. Mi sono guardato attorno e da un punto elevato su una pagoda ne ho avvistata una grossa lontana dalla strada. Salito sul mio potente mezzo, il motorino ciliegia, che ho chiamato con affetto “La mia Cherry”, mi sono messo alla ricerca di quella Pagoda fuori dal circuito principale. L’ho trovata. Era molto grossa, dalle mura massicce e avvolta da un alone di silenzioso mistero, ma era già quasi buio. Ho acceso la torcia e sono entrato. Aveva una navata molto alta. Ai lati della stessa si aprivano ampie stanze vuote. I miei passi echeggiavano nell’oscurità. Lo stridio dei pipistrelli e l’odore del loro guano riempiva l’aria. Ho proiettato il cono di luce della torcia in fondo alla navata e nell’oscurità è emerso un gigantesco Buddha che mi sorrideva bonario. Ai lati dello stesso, lunghe linee di ciotole di terracotta dovevano essere state usate come lumini per qualche rituale o festa Buddhista. Ho puntato la torcia verso il soffitto dove mi aspettavo di vedere i pipistrelli, ma nel buio ho solo visto scintillare centinaia dei loro occhi. Ho subito acceso la macchina fotografica ed ho girato un breve video. Emozionante!

Uscito dalla Pagoda mi sono diretto al motorino e vicino ho trovato una timidissima bambina che non trovava il coraggio di vendermi le cartoline che aveva in mano. Mi ha fatto sorridere e le ho regalato un pacchetto di chewing gums senza zucchero che avevo nello zaino.

Velocemente è sceso il buio e il “La mia Cherry” non aveva il faro. Quindi, ho cercato la via più veloce per tornare a Nyaung U e rendere il mezzo.

Tempo di una doccia bollente e mi sono fiondato alla Restaurant Street dove ho cenato all’ottimo Rain Restaurant, sebbene fosse un po’ caro rispetto ai prezzi medi birmani. Ho ordinato una grigliata mista (Maiale, Manzo, Pollo, Pesce e un Gamberone), Verdura Cruda, Riso al Vapore e Birra. Il prezzo totale è stato 6.000 Ks (circa 5 Euro). Una breve visita ai negozi, tra i quali ne spiccava uno di coloratissimi ombrelli di carta di riso, e sono tornato in albergo.

Giorno 10 – 5 Novembre 2015 – Bagan

Questo è stato l’ultimo giorno a Bagan, quindi mi sono concesso, in vista del prossimo viaggio notturno in Pullman, di dormire un po’ più al lungo, quindi, mi sono svegliato alle 7.30.

Una buona colazione con Caffè, Succo di Arancia, Pancakes e Papaya mi ha dato le energie per preparare gli zaini e procedere al check-out. I ragazzi dell’albergo, tanto gentili da avermi quasi fatto tornare un barlume di fiducia nell’umanità, mi hanno permesso di lasciare lo zaino grande in loro custodia nella hall, e di proseguire la mia giornata nel sito archeologico con solo lo zaino piccolo.

Ho affittato un motorino elettrico, cioè “La mia Cherry” e sono tornato dritto all’Ananda Temple. Da qui sarei andato ad esplorare i templi più grandi della zona. Prima però, come gli Hobbit che fanno la seconda colazione, subito dopo l’Ananda mi sono concesso un ottimo caffè al “The Moon”, un ristorante vegetariano subito fuori dal tempio. Qui, portano come contorno a qualunque portata, che sia caffè o altro, una ciotola di noccioline. Mentre sorseggiavo il mio caffè bollente, un cameriere si è fermato a scambiare due chiacchiere con me e mi ha dato qualche consiglio su come raggiungere i templi e come visitare il villaggio di Myin Ka Bar, poco fuori Bagan, dove vi sono fabbriche artigianali di prodotti laccati.

Ho proseguito il mio tour facendo una sorta di “Temple Hopping”, cioè saltando da un tempio all’altro, esplorando solo i più grandi. Uno dei miei preferiti da fotografare da lontano è stato il Dahmmayangyi Phaya, che sembra una grande piramide. Inoltre, durante gli spostamenti mi sono anche imbattuto in un gruppo di Stupa dalle dimensioni ridotte, ma che per la conformazione hanno attirato la mia attenzione. Infatti essi erano costruiti su una struttura interrata. A mezzo metro dal suolo, tra i cespugli, si potevano vedere finestre che davano su stanze molto più in basso, ma sfortunatamente, l’accesso era chiuso da un cancello. Gli Stupa erano visitabili e all’interno ho trovato degli affreschi bellissimi e ottimamente conservati. A volte la curiosità paga.

Ancora una visita veloce al villaggio di Myn Ka Bar, dove ho visitato le officine di produzione di oggetti laccati e dove ho seguito un minitour informativo sulle procedure per laccare il legno. Tuttavia, i prezzi erano alti e non ho acquistato nulla. Una visita veloce al tempio vicino e sono tornato ancora ad Old Bagan.

Questa pianura mi è piaciuta un sacco. Visitando in autonomia gli Stupa e pagode non si stenta a credere che quando Kublai Khan invase la Birmania (nel 1297) egli fermò il suo esercito ed ordinò di non devastare Bagan in quanto era così bella.

E’ arrivata l’ora di tornare a Nyaung U. Ho fatto a tempo a rendere e salutare “La mia Cherry”, fare una doccia al bagno comune dell’albergo e cambiarmi che è arrivato il pick-up che mi ha portato alla stazione dei Pullman da dove sarei partito per Nyaung Shwe sul Lago Inle.

Ero terrorizzato di trovarmi davanti un altro chicken-bus, sebbene avessi specificato al booking desk di trovarmene uno decente. Fortunatamente, quando me lo sono trovato davanti, esso si è rivelato come un mezzo nuovo, pulito e comodo! Evviva! All’interno si ghiacciava ed avevo il posto vicino a tre francesi. Siamo partiti alle 19.00, fuori era buio pesto e la strada era fiancheggiata da alberi alti che nascondevano il paesaggio. Alle ore 21,30 ci siamo fermati in una area di sosta per la cena. Non avevo fame e sono rimasto a guardare una ragazza che avvolgeva foglie di Betel con una destrezza impressionante. Ho avuto tempo di fare qualche passo fino a un punto dove non c’erano luci ed ho ammirato il cielo stellato. Era incredibile la quantità di stelle che si potevano vedere. Era tanto che non mi succedeva.

Sono tornato sul bus e alle 22.00 siamo partiti verso Nyaung Shwe. A notte fonda abbiamo fatto ancora una breve sosta. Io ho cenato con degli Oreo e dei crackers. Credo che il famoso Chef Anthony Bourdain, il quale scrisse un capitolo del suo libro “Il Viaggio di un Cuoco” nominando ossessivamente quei biscotti, sarebbe stato fiero di me. I miei compagni parigini sono scesi a Kalaw, località da dove partono diversi tracciati di trekking, e al loro posto sono saliti dei nativi. Nulla contro i nuovi compagni di viaggio, no, qualcosa contro si che ce l’ho. Dal momento che sono saliti hanno deciso di condividere con pullman una sequela ininterrotta di tutti i rumori molesti che i loro corpi potessero generare. Sono stati disgustosi.

All’arrivo a Nyaung Shew ho dovuto pagare il biglietto d’accesso all’area del Lago Inle. Il prezzo è stato di 13.000 Ks (circa 10 euro). Per tutta la durata del soggiorno a Nyaung Shwe, nessuno mi ha chiesto questo pass. Siamo arrivati alla stazione dei pullman alle 4.30. Si gelava. Non so se fosse per tutto il freddo che avevamo preso sul pullman o se lo fosse davvero, ma sia io che gli altri turisti eravamo avvolti nelle nostre felpe e giacche.

Con un mototaxi al prezzo di 2.000 Ks sono arrivato al mio albergo, il bello L’Inle Star Hotel. Tuttavia, la mia camera era ancora occupata e mi sono accampato nella hall dove ho provato a dormire sulle scomodissime poltrone di legno intarsiato. Alle ore 6.00 lo staff ha aperto la reception, ha acceso le luci e non ho più potuto provare a dormire. In totale quella notte devo aver dormito 2 ore scarse.

Giorno 11 – 6 Novembre 2015 – Lago Inle – Nyaung Shwe

Oggi l’inizio della giornata non è stato segnato dal suono di una sveglia, ma dall’apertura della reception dell’Inle Star Hotel. Qui ho dovuto ancora aspettare un’oretta, prima di fare il check-in, nel corso della quale ho parlato con Gerard, un ragazzo di Penang che faceva da guida ad un gruppo di ragazze di Kuala Lumpur. Abbiamo parlato un po’ di viaggi, ha tenuto a lasciarmi il suo biglietto da visita nel caso avessi avuto bisogno di una guida in Malesia e poi ci siamo promessi di vederci quella sera per andare a fare un tour in bicicletta assieme. Promessa che eravamo entrambi consci che sarebbe rimasta disattesa.

Troppo stanco per essere lucido mi sono affidato alla hall per organizzarmi sia il tour del Lago Inle all’oltraggioso prezzo di 18.000 Ks che per la prenotazione del Pullman che mi avrebbe portato a Mandalay due giorni dopo.

Colazione alle 6.30 in terrazza. La nebbia ci circondava e il freddo umido sembrava non trovare ostacolo nella mia felpa e mi entrava dritto nelle ossa ghiacciandole. Laggiù, alla mia sinistra vedevo spuntare la cima delle colline. Simili a vette fantasma che galleggiavano in quel mare grigio, setoso, impalpabile e silenzioso.

Un cameriere mi si è avvicinato e mi ha dato una check-list con il menù del ristorante. Purtroppo alla domanda di che frutta avessero servito, che ho chiesto non per infastidire quel nativo alle 6.30 del mattino, ma per evitare che mi servissero qualcosa a cui sono allergico, ho scoperto che nessuno di loro parlava inglese. Perfetto, l’ideale in un albergo internazionale… E non ho provano a dire “non darmi ananas” in Thai, che sarei finito, come mio solito, a dire qualche parola che nella lingua locale sarebbe stato un insulto (si, l’ho fatto sia in Polonia che e in Thailandia). Dopo pochi minuti mi è stata servita la colazione con Caffè bollente, Uova strapazzate e Pancake al cioccolato (piccola ma molto buona).

Ho avuto tempo per una passeggiata in questa città che si stava svegliando, avvistando i barcaioli, simili a macchie antropomorfe nella nebbia, che si avvicinavano alle proprie imbarcazioni. Fortunatamente, la stessa nebbia stava iniziando a venire portata via dal sole che a tratti filtrava tra le nuvole, ma il cielo aveva ancora un volto severo e sembrava sul procinto di voler piovere.

Alle ore 8.00 mi sono incontrato col mio barcaiolo, dannazione, non parlava inglese e quelle pochissime parole che sapeva, le stesse che indicavano le aree del lago sulla mappa, le pronunciava in una lingua solo sua. Per esempio, il centro del lago, che nella mappa era indicato come il punto migliore per ammirare il tramonto, quindi “Best Sunset View”, sarebbe stato “Beh swè-wiù!”.

Siamo partiti dal molo davanti all’hotel, e siamo scesi lentamente lungo il canale. Prima abbiamo superato Nyaung Shwe, e poi piccoli gruppi di case. Molte donne si stavano lavando nell’acqua limacciosa, o stavano facendo il bucato. Ho pensato a quanto diamo per scontata la fortuna di avere acqua pulita che esce dai nostri rubinetti.

Più a valle siamo passati attraverso un’area acquitrinosa costituita da una serie di terrapieni. Un cartello indicava il nome dello sponsor dei lavori e che gli stessi sarebbero stati per creare aree coltivabili ai margini del lago.

Appena entrati nel lago ho visto apparire i primi pescatori di etnia Intha. Erano esattamente come nei reportage di viaggio. Avanzavano con la propria esile barca, rimanendo in equilibrio in coda e remando aiutandosi con le gambe, in testa avevano cappelli conici di bamboo, per molti icona stessa dell’Asia. Perfetti, troppo perfetti. Sembrava che il tempo si fosse fermato a chissà quando. Ciascuno di essi maneggiava con abilità il proprio strumento di pesca preferito, che potevano essere reti, ceste e trappole simili a quelle usate per le aragoste. Tuttavia, come ho sospettato da subito, mi è capitato di vedere da distante pescatori che remavano normalmente e alla vista di turisti si mettevano in posa, a remare con la gamba. Le barche si fermavano e loro si avvicinavano per chiedere denaro in cambio di aver fatto “da modelli” per le foto.

La maggior parte di pescatori era concentrato nella parte Nord-Centrale del lago, esattamente dove sulla mappa erano indicati i “fishermen”. Abbiamo proseguito sulle placide acque lacustri. Il freddo era ancora pungente ed ero grato al mio Kway. Tuttavia, nonostante vi fosse foschia, le cime delle montagne erano illuminate dal sole. Sembrava che il tempo stesse cambiando velocemente.

La tappa successiva è stata “gli orti galleggianti”. Mentre in Cambogia, sul lago Tonle Sap avevo visto coltivare su barche e chiatte, qui invece, i nativi avevano creato delle vere e proprie isole galleggiati fatte di materiale vegetale, sulle quali seminano piante. Al posto del terreno si usa il limo e le piante in decomposizione raccolte dal fondo del lago stesso, tuttavia, questo richiede un lavoro incessante di manutenzione delle isole e di rabbocco del materiale dal fondo del lago. Sembra che solo pochi tipi di pianta riescano a sopravvivere a questo tipo di coltivazione. In quel periodo dell’anno ovunque vi erano filari di piante di pomodoro. Le piantagioni sono in filari distanti quanto basta per permettere il passaggio delle barche. Un uomo “forse” riuscirebbe a camminare sul filare senza farlo affondare, ma non è certo. Sempre meglio stare sulla propria barca. Al passaggio delle imbarcazioni, i filari ondeggiavano placidamente col movimento armonico delle onde.

La tappa successiva è stata una trappola per turisti. Il mercato sulla terra ferma. Infatti, il mercato galleggiante si tiene solo una volta a settimana. Qui non ho trovato niente di interessante se non alcune frittelle di patate buonissime e dolci appena sfornati. Per il resto erano file di ciarpame turistico e banchi di verdure e pesce viscido di lago.

Tornato alla barca sono stato condotto in una zona con case a palafitta dove ho dovuto sopportare il tour dei negozi. Nulla da riportare se non qualche scorcio di ponti che permettono di passare da una palafitta all’altra.

Le due località di rilievo sono state il Nga Hpe Chaung, cioè il tempio dei gatti che saltano e il Phang Dow Oo. Il primo è un tempio in legno che poggia su travi come se fosse una palafitta. All’interno vi sono molti pezzi di arte sacra Buddhista di ottima fattura. Per esempio vi sono delle bellissime strutture simili ad arche dalla forma di elaboratissimi Stupa. Tuttavia, la gran parte dei turisti erano concentrati a fotografare i molti felini che popolano il monastero. Infatti, la tradizione vuole che qui i monaci siano riusciti ad ammaestrare la popolazione di gatti a saltare a comando attraverso dei cerchi. Sfortunatamente, in quel momento non vi erano monaci a far saltellare i gatti. Tonato alla barca, mentre venivo stalkerizzato da un gattino nero che mi sarei volentieri infilato nello zaino, siamo tornati a navigare attraverso un’estesa area di coltivazioni di pomodori. Il sole aveva squarciato la coltre di nubi e i colori erano diventati estremamente brillanti. Una luce tanto forte che ho dovuto mettere gli occhiali da sole.

Il tempio Phaung Dow Oo è sulla terraferma, ma ha moli per l’attracco delle barche. Questo tempio è un’altra delle icone locali. La pagoda centrale ha quattro ingressi, ognuno segnato da un colonnato con bancarelle. La struttura centrale ha al suo stesso centro un tempio Sancta Sanctorum con le statue sacre per le quali è famoso questo tempio. La tradizione vuole che si debbano acquistare delle foglie d’oro dagli appositi sportelli e poi, da buon devoto, pregando e recitando le opportune formule, le si debbano applicare sulle statue miracolose. La tradizione è così popolare che oggi le statue sono state coperte da così tante foglie d’oro da divenire dell’aspetto di pupazzi di neve. Si possono vedere le foto delle statue com’erano all’inizio e come sono ora. Tuttavia, nella Sancta Sanctorum non sono ammesse le donne. Quando una turista si è avvicinata alle statue per fotografarle, un curatore l’ha spinta via in malo modo insultandola in Birmano. Magari potrebbero affiggere qualche cartello col decalogo di comportamento per turisti. Ho comunque fatto qualche giro attorno al tempio in senso orario prima di uscire.

Sono uscito dal tempio e abbiamo iniziato il ritorno a Nyaung Shwe. Lungo la strada ci siamo fermati a l’ennesimo negozio, ma questa volta ho scoperto una cosa curiosa. Le operaie, più o meno vere, producevano una sorta di seta dalla resina dei gambi dei fiori di Loto. E’ stato molto interessante e al tatto era davvero morbida. Il ritorno a Nyaung Shwe è stato attraverso la zona dei pescatori, dove molti di essi erano in posa per i turisti.

Giunto all’albergo ho trovato la camera finalmente pronta. Fatto il bucato sono andato a cercare da mangiare finché ho trovato un buon ristorante dove mi è stato servito un ottimo “Riso Shan alla Patate”.

Qualche ora di sonno e sono tornato ad esplorare la cittadina. Ho preso la strada dietro l’hotel “Yone Gyt Street”, che si è rivelata l’unica con un po’ di vita. Pausa caffè in un posto con Free WiFi e ho riordinato le idee. Non potevo farcela, ero stordito dalle notti senza sonno. Quindi ho deciso di finire la serata presto. Sono andato a cenare. Ho provato una delle pizze locali al Golden Kite, sotto suggerimento degli Spagnoli che ho incontrato, per scoprirla abbastanza banale. In genere non mangio italiano, ma forse la stanchezza, forse l’abbinamento al freddo, o forse chissà cosa, quella sera mi è preso un blues. Il mio ottimismo deve avermi fatto il gesto dell’ombrello e forse era già sotto le coperte. Comunque, l’ho pagata un prezzo fuori mercato. Ho deciso di andare in una beer station lungo la strada a scrivere qualche pagina di diario guardando una partita di calcio videoregistrata. I nativi della beer station sono stati super cordiali ed hanno provato anche a scambiare due parole con me. Ad un certo punto mi hanno fatto segno di finire il mio boccale e che le porte erano già sprangate. Scrivendo il diario non mi ero accorto che ero arrivato oltre l’orario di chiusura. Riposto il diario nello zaino sono tornato nelle strade buie. Fatti due passi, è sceso un buio totale, un black out era in corso, il modo più giusto per finire quella giornata. Fortuna che l’esperienza indiana mi fa sempre tenere una torcia nello zaino. Doccia bollente, constatazione che il bucato era ancora bagnato e mi sono buttato in letto. Erano le 20.30. Buona notte Nyaung Shwe.

Giorno 12 – 7 Novembre 2015 – Lago Inle – Nyaug Shwe

Il sonno accumulato nei giorni precedente ha preso il controllo ed ho dormito fino alle 7.00, cioè 10.30 ore filate. Per colazione ho avuto Uova strapazzate, due fette di Pane tostato, Confettura di Fragola, Papaya e Caffè. Mi è stata anche servita la solita margarina dal gusto di rancido. Questa mattina non sembrava così freddo in terrazza, forse il semplice fatto di aver dormito tutte quelle ore e addirittura in un letto ha fatto la differenza. Questa mattina c’era solo un po’ di foschia e non più nebbia. Il sole stava cominciando a splendere forte. Pochi turisti mattinieri dalle facce assonnate ed illuminate dai riflessi bluastri dei loro smartphone erano presenti in terrazza.

Uscito dall’hotel sono tornato in Yone Gyt Street e ho fatto un passo al mercato. Qui vendevano le stesse cose da turisti che ho visto il giorno precedente al mercato del Lago Inle, ma ad una frazione del prezzo. Tuttavia, sebbene non abbia acquistato nulla, ho avuto modo di parlare con un ragazzo di una bancarella e lui mi ha parlato di un bellissimo tempio-grotta con Buddha dentro. Mi ha segnato sulla mappa dove vederlo. Sembrava l’opportunità di vedere qualcosa di non molto turistico. Era proprio il caso di trovare un mezzo per esplorare le zone un po’ più distanti da Nyaung Shwe. Ho guardato i vari negozi che affittavano biciclette. Per coscienza non potevo affittare una occidentale-filo-imperialista-americana Mountain Bike, ma volevo usare invece un mezzo più adatto ad affrontare le strade dissestate Birmane, ciò che suggella il gemellaggio tra le mondine Vercellesi e quelle Birmane, lei, la perfetta Graziella! La mia, l’unica alla quale si potesse regolare il sellino alla mia bassezza, era rosa metallizzato e con un comodissimo cestino sul manubrio dove mettere lo zainetto. Perfetto!

Mi sono diretto a Ovest, lungo la stessa via, e ho fatto la sosta per un caffè, il secondo della giornata. Volevo iniziare una giornata di l’esplorazione all’insegna del relax. Quindi, mi sono fermato ad una caffetteria al alto sinistro della strada, e dopo aver ordinato un caffè americano bollente ho osservato la gente che passava. La vita di Nyaung Shwe scorreva tranquilla. Era la vigilia delle elezioni che avrebbero potuto cambiare le sorti della Birmania, ma mentre a Pyay la campagna elettorale era vivace, qui sembrava una giornata come tante.

Ho fermato le giovani cameriere ed ho chiesto loro informazioni su templi e paesi che ho trovato citati su internet, loro non ne sapevano dell’esistenza sebbene fossero a una decina di chilometri dal centro di Nyaung Shwe.

Salutate le osti mi sono rimesso in marcia. La pedalata è stata piacevole ed ho attraversato una ampia zona coltivata, interrotta da canali percorsi dalle immancabili barche a fondo basso. Tante persone native erano intente a cercare legna da ardere lungo i margini della strada fiancheggiata da alti alberi. D’un tratto ho scovato una famiglia, era una mamma con i suoi tre bambini. L’età era probabilmente di 8, 6 e 4 anni. Un bambino e due bambine, ciascuno, dalla mamma alla bimba di 4 anni col proprio machete, piccolo o grande, a tagliare rami. Di tanto in tanto vedevo rari gruppi di anatre sui bordi dei canali e Buffali d’Acqua che si rilassavano immersi nei canali torbidi.

Lungo il percorso ho incrociano numerosi turisti che sudati arrancavano, con lo zaino in spalla, in sella alle loro Mountain Bikes, in quegli attimi ho visto una vena di invidia nei loro occhi, nel realizzare che io avevo il cestino e non dovevo tenere il mio zaino in spalla. Alla mia sinistra, in lontananza ho visto un tempio, sembrava molto bello, ed ho deciso di visitarlo. Questo implicava salire sulla collina che avevo davanti e proseguire a destra. La salita è stata lunga, ma non particolarmente impegnativa. Una volta arrivato in cima, ho svoltato a destra ed ho proseguito. Ho identificato la scalinata che portava al tempio. Così, messo il blocco alla Graziella, mi sono inerpicato sulle scale mal tenute. Una volta arrivato in cima, purtroppo, ho scoperto che non era nulla di particolare. Ovvio, se non era nelle guide, doveva esserci un motivo.

Tuttavia, lungo la strada ho visto indicazioni che citavano le Terme di Nyaung Shwe. Dovevano essere vicine! Quindi, tornato alla Graziella sono tornato sui miei passi e ho tirato dritto a sinistra della salita che mi ha portato in cima alla collina. I fianchi della strada erano costellati da alberi simili ad alte acacie con profumatissimi fiori gialli a grappolo e alberi di Teak. Una piantagione di Dragon Fruits si apriva a monte della strada. Dopo il viaggio nelle Filippine ora riesco a riconoscere quelli che chiamavamo “Le piante dei copertoni” visto che nell’Ilocos Norte le piante venivano tenute fisse a dei pali usando copertoni di bicicletta o motorino.

Lungo la strada verso le Terme ho trovato un cartello che indicava “View Point”. Molte biciclette erano parcheggiate alla base di una scalinata che portava ad una Pagoda in alto. Sono salito ed ho trovato una Pagoda piuttosto piccola circondata da uno spiazzo dal quale si intravedeva, tra le fronde degli alberi, il lago Inle. Lassù i nativi avevano sparso riso e mais ad asciugare al sole cocente. Sono bastati pochi minuti prima di tornare alla strada.

Proseguendo, dopo 5 minuti, sono arrivato alle Hot Springs. Qui mi sono fermato per una giornata di relax (Ingresso 10.000 Ks). Le Hot Springs dispongono di due piscine piccole circolari a temperatura diversa e due grosse rettangolari, anch’esse a temperatura diversa. Quella più lontana era tanto calda da non essere sopportabile.

Ho pranzato con ottimo Fish & Chips accompagnato da un succo di Anguria (5.000 Ks + 2.000 Ks) e poi sono rimasto a rilassarmi facendo il bagno, leggendo e ascoltando musica.

Alle 16.30 circa ho lasciato la Hot Spring per tornare a Nyaung Shwe ed andare a fare una degustazione di vino al vigneto “Red Mountain”. Non appena arrivato in città mi sono ricordato del ragazzo che ho incontrato quella mattina e che mi aveva citato il tempio grotta. Secondo la mappa, sarebbe stato poco distante dalla deviazione che avrei dovuto prendere per raggiungere il vigneto. Quindi, fatto un bel respiro, ho affrontato l’ennesima salita. Alla fine della stessa, la strada proseguiva con una curva, e una strada sterrata andava dritta. La mappa coi segni del ragazzo indicava che la strada giusta era quella sterrata. La Graziella non sembrava molto sicura della mia scelta, ma ho fatto forza sui pedali ed ho proseguito in quella direzione.

La strada è diventata sempre più accidentata e sembrava spingersi in una zona remota di prati. Ad un tratto, ho trovato anche dei lavori stradali. La strada sterrata stava venendo trasformata in una in cemento, ma per un lungo tratto ho dovuto portare la Graziella in spalla in quanto, a causa dei cantieri, i margini erano cosparsi di massi.

Alla fine ho raggiunto un villaggio isolato. I nativi mi guardavano stupiti. Avevano proprio la faccia di chi pensa “ma che diavolo ci fa ‘sto qua?”. Alcuni ragazzi divertiti dalla mia presenza si sono fatti avanti, forti del loro inglese costituito da “Heèlooo”, “Huummm” e risate imbarazzate. Ho provato a chiedere del tempio e loro hanno fatto un gesto con la mano come a indicare “qualsiasi direzione della bussola, basta che la finiamo con questa scena imbarazzante”. Ho scelto di levarli da quella situazione. Quindi, guardando quello che avevo davanti potevo vedere alcune casette in muratura, tra l’altro graziose, una scalinata che portava verso la cima della collina che avevo davanti a fianco di un ristorante. Le scalinate in genere portano ai templi, io stavo cercando un tempio. Doveva essere li. Quindi, messo il blocco alla Graziella mi sono inerpicato per le scale mal tenute. Alla vetta, ecco, era li. C’era una scuola e non un tempio. Altri due ragazzi si sono avvicinati “Heèlooo!”, ho chiesto del “Cave Temple”, risposta: “Hummmm” seguito da una risata imbarazzata. Quindi, ho provato a dire “Paya” cioè pagoda, ho mimato una grotta con la mani, e usando il famoso gesto di Aldo, Giovanni e Giacomo per indicare “dentro” gli ho detto “Buddha!”. Loro si sono illuminati, mi hanno detto di scendere e andare a destra e con le mani dritte piatte una a fianco dell’altra muovendole alternativamente, hanno fatto un segno che poteva dire “vicino”, “lavati le mani” o “affetta un cavolo a joulienne”.

Sceso dalla collina, ho preso dal Graziella e subito dopo il ristorante ho trovato una nuova scalinata, alla cima della quale ho trovato un varco tra due macigni. Sono entrato e subito dopo un cancello spesso bloccava il passaggio. Oltre ad esso, una nicchia nella montagna ospitava un Buddha. Ecco, questo doveva essere il tempio. Io che credevo chissà che cosa.

Sono tornato verso la bicicletta e scendendo la scalinata mi sono fermato un momento. Il tempio non poteva essere visitato, ma davanti avevo una scena che ripagava delle fatiche. La vallata al tramonto, la vita del villaggio che scorreva e un canto arrivava da una finestra aperta. Era una specie di dopo-scuola dove una maestra faceva cantare tanti bambini. Era stato davvero bello! Ho respirato a fondo. Odore di legna umida e fumo di stufa. Ho guardato il cielo. Iniziava a sfumare verso l’arancione, mentre il sole era già basso. Avevo poco tempo, forse un’ora per arrivare al Red Moutain.

Tempo di salire sulla Graziella e non appena raggiunto il ponte che separa il villaggio dalla strada in rifacimento, sono stato fermato da un vecchio monaco. “Mingalabaa!” se un monaco di chiede di fermarti, ti devi fermare. Una marea di bambini ci hanno circondati. Siamo rimasti qualche minuto a parlare di religione, egli era particolarmente era curioso del Papa e di Roma. Traduceva le mia parole ai bambini i quali di tanto in tanto ridevano. Chissà che cosa stava dicendo. Mi sembrava una traduzione “alla Benigni”. Quando mi ha chiesto cosa faccio nella vita, invece di raccontare il mio lavoro che non è particolarmente eccitante, ho tirato fuori le mie arti di giocoleria e usando tre sassi ho fatto ridere i bambini. Ho lasciato una piccola offerta al monaco in cambio della sua benedizione, e sono tornato sulla strada, verso il tramonto che stava per scendere.

Raggiunta la strada principale, mi sono lanciato a massima velocità verso il vigneto. Avevo mezz’ora o meno, ma dovevo farcela. Ho percorso la strada fino alla Red Mountain Vineyard and Winery così forte che sembravo inseguito dalla Polizia e che fossi in sella ad una Graziella costituita da acciaio e steroidi compressi. Mentre il vento sibilava nelle mie orecchie mi è venuta in mente la scena di Ritorno al Futuro e ho pensato “Se accelero ancora un po’, torno in dietro nel tempo! …e con la mia fortuna capito prima della vendemmia e con le botti di vino vuote!”. Ad un certo punto, quando ormai ero senza fiato, è apparso il nome del vigneto. Come di regola, la cantina è in cima ad una collina dalla salita ripidissima. Così, ormai come sfida a Nyaung Shwe, ho spinto sui pedali con la forza che mi rimaneva. Ho ancora immaginato Costantino della Gherardesca, sempre avvolto da fasci di luce e fiori di loto, a lanciare le sue “Missioni”, sono comunque riuscito a varcare la soglia della cantina che mancavano 10 minuti al tramonto. Ce l’avevo fatta! Un’orda di turisti aveva già preso tutti i posti migliori. Ho deciso di iniziare con un bianco fresco ed ho ordinato un calice di Sauvignon Blanc (3.000 Ks). Mentre aspettavo, sudato fradicio, mi sono appoggiato al cartello che vieta bevande dall’esterno e ho tracannato mezza bottiglia della mia acqua tiepida.

Sono uscito e mi sono posizionato a fianco delle scale per godermi il tramonto e legandolo all’aroma fruttato di questo buon calice di vino. Il sole ha dipinto d’arancione e d’oro il cielo e le nuvole. Velocemente è sceso oltre le montagne augurando Buona Notte al Lago Inle e a tutti coloro che lo stavano ammirando “Cheers!” al Sole!

Finito il bianco, ho deciso di provare un rosso. Questa volta ho scelto un Cabernet Souvignon (4.000 Ks) il quale non si è rivelato di gran pregio. Anzi, potrebbe entrare a pieno titolo nel mercato dei vini cartonati. I turisti hanno iniziato a lasciare il vigneto, e visto l’avanzare delle tenebre, ho deciso di unirmi a loro. La pedalata è stata tranquilla e alle 18.00 circa ho reso la bicicletta al negozio.

Era ora di pensare alla cena. Già quella mattina avevo adocchiato un ristorantino al margine della strada e ho deciso di provarlo. La scelta è stata azzeccata. Qui servono ottimi curry accompagnati da riso e tanti assaggi. Ho ordinato un curry di Trippe di Montone. Appena è arrivato il piatto, ho scoperto che per “Trippe” intendono genericamente “Interiora”, quindi nel piatto vi era anche del Fegato e del Rognone, ottimo! Tra gli assaggi è spiccato il “Pickled Mango”, che si tratta di fettine di Mango sotto salamoia. Questa conserva aveva un gusto particolare che alla lontana ricordava il salame. Il prezzo, compresa una bottiglia di Mandalay Beer è stato di 3.500 Ks. Sulla via del ritorno ho ancora fatto un sosta chill-out alla beer station a scrivere il diario e a guardare disinteressato un’altra partita di calcio videoregistrata. Tornato all’hotel doccia e nanna alle 20.30.

Giorno 13 – 8 Novembre 2015 – Lago Inle – Nyaung Shwe

Sveglia presto e colazione con Caffè, Pane Tostato, Confettura e Banane. Ho preparato gli zaini ed ho fatto il check-out. Oggi è il gran giorno! Ci sono le elezioni! Chissà che momento storico! Chissà cosa si vedrà per le strade! Tuttavia, al momento del check-out ho scoperto che il circuito Mastercard è stato bloccato dalla Giunta come “contromisura” per le elezioni. Contromisura in che senso? Misteri della giunta. Inoltre, se non bastasse, tra le “contromisure” anche tutti gli ATM di Nyaung Shwe sono stati bloccati. L’unico modo per avere soldi è farseli cambiare a prezzo di strozzinaggio dall’unico cambia-valute aperto oggi. Ho cambiato solo lo stretto necessario per pagare l’albergo e poco di più. Dopo di che mi sono diretto ad esplorare i dintorni. Tutto era ordinario. Mi aspettavo chissà che cosa, ma non era altro che una giornata qualunque.

Affittata la Graziella sono tornato alle Hot Springs, che erano più calde del giorno precedente, dove sono rimasto fino alle 16.30. A cena sono tornato al ristorantino dei Curry, dove ho ordinato Riso Fritto, Verdura lessa e Birra a 3.500 Ks. Alle 20.30 è venuto il pick-up che mi ha portato a Taung Gyi da dove sono partito con un VIP bus per Mandalay.

Lungo il viaggio ci è stato offerto un Croissant, Acqua e un kit con spazzolino monouso e dentifricio. Mentre cenavo ho controllato la Lonely Planet e solo ora mi sono accorto di essermi perso un tempio importante. Si tratta del Shwe Inn Thein, famoso per i numerosi Stupa sottili mal conservati, ma molto caratteristici. Facendo mente locale mi sono ricordato che la ragazza dell’Hotel mi aveva parlato di un bel tempio, ma visto che aveva passato più tempo a parlare di boschi di Bamboo nei suoi dintorni, l’avevo tralasciato. Peccato, ora mi sarebbe piaciuto visitarlo. Ecco perché non posso essere un viaggiatore, ma un turista.

Il viaggio è stato tranquillo e molto comodo, ma il ricordo della tratta Pyay-Bagan echeggiava nella memoria come un spettro del passato che mi appoggiava un dito freddo su una spalla e lo faceva scendere giù per la schiena.

Giorno 14 – 9 Novembre 2015 – Mandalay

Sono arrivato a Mandalay alle 3.30 del mattino. Appena sceso dal pullman sono stato fermato dagli immancabili moto-taxi. Ho chiesto al primo se conoscesse l’albergo, il Royal Yadanarbon, aspettandomi che inventasse una scusa per portarmi in una Guest House dove avrebbe avuto una commissione, ma invece, dopo ave fatto mente locale mi ha detto “Yes, two thousands”. Benissimo, mi è capitato un moto-tassista onesto. Nel giro di poco, passando per una Mandalay assopita e lungo le strade che costeggiano i fossati del Palazzo Reale, che in qualche modo mi ricordava una versione più piccola e peggio conservata della Città Proibita di Beijing, siamo arrivati all’Hotel. Fortunatamente il portinaio era sveglio, la camera era libera ed avrei avuto anche la colazione inclusa! Sembrava fin troppo bello, ma era vero!

Ho fatto una doccia fredda, anzi tanto gelida che sembrava arrivare dalle serpentine delle celle freezer della cucina (non arrivava proprio l’acqua calda) e mi sono buttato in letto. Mi sono alzato alle 8.00 con ben quattro ore di sonno. A confronto dello standard del viaggio, è già una apprezzabile quantità di sonno. Colazione a buffet con Noodles, Pane Tostato, Confettura, Caffè e Papaya. Mi sono rivolto ad una gentilissima ragazza dell’accettazione per sapere dove trovare ATM funzionanti ed il prezzo del tour per visitare le antiche capitali (Sagaing, Inn Wa ed Amarapura) e lei mi ha dato tantissime informazioni per le ATM ed i cambia valuta. Il prezzo del tour sarebbe stato 20.000 Ks. Ho deciso di dedicarmi prima alla ricerca dell’ATM.

Ho provato una quantità spropositata di sportelli, ma il mio Bancomat sembrava non voler nuovamente funzionare. Non so se fosse legato ancora al blocco dei prelievi per le elezioni o altro. Tuttavia, quando preso da un attacco di disperazione ho provato a prelevare con la Carta di Credito Mastercard, appoggiata su un’altra banca e con commissioni spropositate, ecco che per magia mi ha dato i soldi! Per paura di rimanere senza, ho prelevato una cifra ben superiore a quella che stimavo mi bastasse, ma avrei cambiato l’eccesso in aeroporto al momento di partire per la Thailandia.

A proposito di blocco degli ATM per le elezioni, le elezioni come saranno andate? Non si sapeva nulla. La Giunta non divulgava informazioni sui risultati e avrebbe mantenuto il segreto fino alla fine dei conteggi nelle aree più remote.

Ho contrattato con un moto-taxi per il tour delle Antiche Capitali e il ragazzo è partito con un 15.000 Ks, ma dopo una brevissima contrattazione è sceso a un più onesto 8.000 Ks. Indossato un casco di plastica e polistirolo, siamo partiti subito per Sagaing. Il viaggio è stato lungo e l’autista ha guidato con criterio. Mentre costeggiavamo l’Irrawaddy ho notato che la strada era fiancheggiata sul lato fiume da agglomerati di baracche, la cui gente era impegnata a tagliare legna, vendere pesce di fiume o a fare stuoie con listelli di canna. Man mano che ci si avvicinava al ponte che attraversa l’Irrawaddy e porta a Sagaing, le strade si facevano sempre più polverose e trafficate.

La città di Sagaing e sulla sponda opposta dell’Irrawaddy rispetto Mandalay. Essa si estende su una vasta area collinare costellata da Stupa dorati, Pagode, Monasteri e alte statue di Buddha. L’autista mi ha lasciato ai piedi della Sagaing Hill ed io potuto iniziare la lunga ascesa verso il monastero sulla sommità. Lungo la salita, una scalinata che serpeggia su per il monte, ho incontrato diverse aree di sosta mal tenute e qualche piccolo Stupa. Sono dovuto arrivare quasi in cima per incontrare i primi turisti, che erano in una piccola area ristoro a bere bibite. Come loro, sopraffatto dal caldo, ho ordinato la versione Birmana della Sprite e mi sono appoggiato al parapetto della veranda a guardare Mandalay e la moltitudine di monumenti religiosi che punteggiavano questa riva dell’Irrawaddy e le colline su di essa.

Ancora alcune brevi rampe di scale e sono giunto in cima alla collina, dove c’è il tempio Soon Oo Ponya Shin Pagoda. Il tempio stesso è un gioiello di arte sacra, e oltre all’aspetto spirituale, da qui si può godere di un bel panorama. Ho vagato per il perimetro, sempre in senso orario, camminando scalzo sui pavimenti piastrellati dai colori sgargianti ed abbagliato dalla moltitudine di fregi d’oro che decorano l’intera struttura. Da non perdere le sale del Buddha coperte da mosaici di piastrelle di ceramica lucida multicolori.

Ad un tratto, guardando verso Nord-Ovest, sotto un cielo blu con qualche rara nuvola, ho intravisto uno Stupa semisferico. Si trattava della famosa Kaunghmudaw Paya che si eleva dalla pianura per un’altezza di 46 metri. Essa venne innalzata allo scopo di commemorare la proclamazione di Inn Wa come nuova capitale del regno. Tuttavia, la leggenda vuole che essa sia stata ispirata dal seno perfetto della Regina consorte del Re Thalun nel 1636 e completata nel 1648. Tuttavia, si dice che in realtà essa sia stata ispirata dalla Ruwanwelisaya Pagoda nello Sri Lanka. Così, una volta sceso ho chiesto all’autista di portarmici, ma essendo a 10 km di distanza verso Monya, mi sono stati chiesti 2.000 Ks aggiuntivi. Ok, ho ceduto. Lo Stupa semisferico lo si apprezza più dalla distanza che da sotto, ma comunque, quando ero ai piedi della struttura, il suo colore dorato in una giornata di sole come quella, dava un riverbero maestoso. Già, l’Oro. Per chi non lo sapesse, inizialmente lo Stupa era dipinto di bianco come simbolo di purezza, ma di recente la Giunta al Governo ha deciso di rinnovarla e conferirle maggiore sfarzo dipingendola color oro. Pertanto, per la gente del posto, il nuovo colore è associato alle scelte unilaterali dei militari al governo. Fatti i tre doverosi giri attorno allo Stupa, visitati i Buddha presenti nelle stanze site ai quattro punti cardinali, sono passato ad esplorare un’altra area. Ho visitato la riserva d’acqua attigua, molto torbida, dove le persone, a scopo votivo, liberano sia pesci che testuggini d’acqua dolce. Tornato allo Stupa mi sono concesso di andare a controllare le merci esposte nelle bancarelle, dove non c’era nulla di particolare se non i tronchi di Tanaka, per poi tornare all’autista e dirigerci all’antica Inn Wa.

Per raggiungere l’antica capitale si deve attraversare un canale. Infatti, questa città, che è stata capitale per 400 anni, è situata su un’isola. L’attraversamento del canale si fa con delle grosse longtail boats, ed il biglietto di andata e ritorno costa 1.500 Ks totali. Una volta sbarcati bisogna fare il biglietto cumulativo per l’area archeologica di Mandalay (che non comprende Mingun) al costo di 10.000 Ks. Il biglietto mi è stato solo chiesto ad Inn Wa per accedere al monastero Bagaya Kyaung.

Una volta sbarcati si viene letteralmente assaltati dagli autisti di carretti trainati da cavalli. Il prezzo, pochissimo contrattabile, è di 8.000 Ks a carretto (non a persona). Col senno di poi, credo che con una buona mappa e una buona preparazione, il sito possa essere visitato anche a piedi, sebbene i monumenti siano un po’ distanti tra loro. Visto che mi bruciava ancora il non aver visitato il tempio sul Lago Inle, ho preso il carretto affidandomi alle mani esperte di questa conducente totalmente pazza, agitata e strillante.

Siamo passati attraverso un villaggio di baracche e poi lungo le antiche mura della città. Nel clima caldo ed afoso, l’aver scelto il calesse è stata comunque una buona idea… Si, stavo cercando di convincermi di aver fatto la scelta giusta. La prima tappa è stata in un sito, chiamato “Yadana Hsemee Pagoda Complex”, dove vi erano rovine di un antico basso edificio. Ai lati si aprivano varchi, con architravi decorati a bassorilievo, che davano ad una sorta di chiostro senza mura di fondo. Nel chiostro c’erano alcune belle colonne imponenti che fiancheggiavano una statua di Buddha. Purtroppo la base del chiostro era invasa da erbe ed arbusti. Di lato al piccolo edificio, vi erano anche due Stupa non molto alti. Il palazzo col colonnato mi ha dato comunque la possibilità di scattare delle belle fotografie. Abbiamo proseguito costeggiando campi coltivati a Mais, Manghi e Banane. Di tanto in tanto spuntavano antichi Stupa a memoria dei fasti di quando in queste terre sorgeva la capitale. Con uno sforzo di immaginazione ho cancellato le coltivazioni dal paesaggio e le ho sostituite da borghi di case di legno. La mia immaginazione, sempre un po’ travisante, ha messo forse troppe case simili a quelle viste a Pingyao in Cina e troppe lanterne rosse, ma quella fantasia, che decorava la vista delle Pagode, per me non era troppo male. Il monumento successivo è stato il Bagaya Kyaungm, un antico monastero interamente costruito in legno di Teak e sostenuto da 267 pali. L’edificio è di colore scuro, ma l’interno buio, dove l’aria ha un forte odore di legno antico, è molto suggestivo. Esso è decorato con dei begli intarsi. Il monastero funziona anche da scuola per i bambini della zona, e io sono capitato proprio mentre era in corso una lezione. Bambini in abiti laici erano misti a monaci bambini. La visita al monastero va fatta rigorosamente da scalzi ed il legno nero a tratti può essere molto caldo! Abbiamo attraversato altri campi ed abbiamo raggiunto la Nanmyn, antica torre di guardia alta 27 metri. Nel 1838 è stata gravemente danneggiata ed ora è pericolosamente pendente. Per ovvi motivi di sicurezza, la torre è chiusa all’accesso. Vicino alla torre abbiamo raggiunto il maestoso monastero Maha Aungmye Bonzan. Esso è stato fatto edificare nel 1822 dalla Regina Meh Nu per il suo abate reale U Boke. Alla base del tempio vi è una estesa rete di corridoi perpendicolari che si intersecano offrendo interessanti simmetrie. Nel secondo piano, invece, ci sono le vie di accesso alle sale contenenti le statue di Buddha. Al livello ancora superiore vi sono strutture col tema della cosmologia Buddista/Induista. L’edificio è in pietra chiara e stucchi. Moltissimi turisti si aggiravano per il tempio generando un po’ troppa confusione. Dopo aver fatto il giro attorno al monastero, sono tornato dalla mia cocchiera, la quale mi ha riportato all’attracco e sono quindi tornato al mio moto-taxi.

La tappa successiva è stata Amarapura. La città è sulla strada per Mandalay, tuttavia dell’antica capitale non rimane nulla. Oggi, la cosa più significativa da visitare è il famoso U Bein Bridge, il ponte in legno di teak più lungo al mondo, che attraversa il Lago Taungthaman in un tratto in cui è largo 1,2 Km. Avevo programmato di visitarlo al tramonto (l’alba e il tramonto sono i momenti migliori per fotografarlo), e noi siamo arrivati in perfetto orario. Non avendo ancora pranzato ho guardato le bancarelle, ma sia quelle che vendevano pesce fritto che quelle che facevano noodles avevano una sporcizia inaudita e gli alimenti coperti di mosche. Meno rischioso mangiare una banana dalla consistenza pastoso-gommosa e acqua. Sono salito sul ponte, in alcuni punti mancano delle tavole dal camminamento ed alcuni pali di sostegno non sembravano molto stabili, di conseguenza, a tratti lo si sentiva ondeggiare! Lungo la prima tratta ho visto che sulla riva, verso Ovest, c’era un set dove facevano foto ad una modella in abiti simili a quelli cinesi antichi. Qui ho innestato il teleobiettivo alla mia macchina fotografica e, sdraiatomi sul ponte come un cecchino, sono riuscito a scattare qualche bella foto.

Lungo il percorso tra una sponda all’altra vi sono strutture di sosta ad intervalli regolari. In esse vi sono anche venditori di souvenir, bibite, alimenti ed anche indovini. Sono arrivato all’altra parte e non ho trovato niente di interessante se non carretti di alimenti sporchi e tanta immondizia abbandonata in giro.

Tornato sul ponte, circa a metà strada ho trovato una scala che permetteva di scendere ad un appezzamento dove si erano già appostati molti fotografi in attesa del tramonto. Mi sono mischiato a loro e quando il sole è sceso al livello del ponte colorando il cielo di arancione, tutti abbiamo scattato una moltitudine di fotografie. Quando qualcosa è così bello e suggestivo, è facile fare delle belle foto.

Non appena il sole è sceso oltre le cime degli alberi, mi sono sbrigato a tornare al mio driver, e ci siamo messi in marcia per tornare all’albergo. Purtroppo, non so cosa sia successo al tizio, ma ha iniziato a guidare come un folle. Forse aveva fretta o forse era semplicemente stufo, ma è stata davvero da paura. Io sono convinto che abbiamo evitato diversi incidenti, più per fortuna che per sua abilità. Fortunatamente, ad un certo punto si è dovuto fermare ad un semaforo, allora sono balzato giù dal motorino e gli ho dato i soldi che gli dovevo. Lui ha insistito per portarmi all’hotel, ma mi sono rifiutato di tornare sul suo mezzo. Cordialmente l’ho salutato e ho proseguito a piedi. Solo allora ho visto sulla mappa che ero alla quarantacinquesima strada e io sarei dovuto arrivare alla ventiduesima! Ero lontanissimo! Rassegnato, mi sono messo in marcia. Era buio, avevo decisamente fame e non trovavo un buco dove mangiare e la ventiduesima sembrava non arrivare mai. Ad un certo punto ho trovato una bancarella lungo la strada con tavolini dove facevano Chapati. Visto che c’erano tanti nativi a cenare in allegria, ne ho dedotto che doveva essere ottimo e mi sono fermato. Ho ordinato Chapati con contorno di Zuppa e Riso Fritto a 1.500 Ks). Lo Chapati era fritto e intriso di olio. Veramente cattivo. La minestra sembrava lavatura di piatti. Il Riso Fritto era “Sono di riso quei chicchi bruciacchiati che galleggiano in questo piatto di olio vecchio?”. Non ho finito i piatti e me ne sono andato disgustato. Lungo la strada ho trovato un ristorante dall’aspetto di un hangar. Sentendomi un po’ Chef Rubio quando chiede una birra per “sgrassare” la bocca da ciò che ha mangiato, ho fatto uguale. Mi sono seduto ad un tavolino ed ho ordinato una Mandalay Beer da bere mentre scrivevo il Diario. Qui c’erano altri occidentali. Una coppia di anziani, una ragazza bionda che parlava inglese e una ragazza bruna che leggeva una guida davanti ad un piatto di noodles. Ho scherzato con i camerieri mentre scrivevo un po’ di diario, e poi sono tornato all’hotel. Mi aspettava una bella doccia tiepida e poi nana. Alle 21.00 ero già in letto sfinito. Il mattino successivo mi sarei dovuto svegliare all’alba per una tappa importante.

Giorno 15 – 10 Novembre 2015 – Mandalay

Oggi è il giorno di Mingun (o Min Kun). Questa è la meta che mi ero prefissato per il viaggio. A Mingun sorgono diversi monumenti importanti, in particolare che ne sono due che mi ero proposto di visitare. Il primo è la Mingun Paya, presente in praticamente tutti i documentari sulla Birmania, l’altro è la Hsinby Paya, presente sulla copertina della mia guida. Essendo la seconda pagoda la più lontana, lei sarebbe stata la vera meta.

Era notte fonda, le 3.00 del mattino, quando un furgone con tanto di altoparlanti si è fermato nella via sotto la mia finestra con musica al massimo. Era musica sacra e venivano cantati mantra senza fine. Era tanto forte che mi sembrava di avere i suoi altoparlanti in camera, precisamente uno su ogni comodino. Io i mantra non li conosco molto bene, ma per quel che conosco il Pali, sono sicuro che fossero mantra e non la colonna sonora del partito locale o la pubblicità di confetture al gusto di colla. E’ già qualcosa. Il tizio deve aver avuto un barlume di pietà per il nostro sonno, o forse Buddha gli ha detto di lasciarlo dormire in pace, e alle 5.00 si è allontanato.

Sveglia all’alba, facendo finta di aver dormito, per fare colazione presto. Ho preso Riso Fritto, Pane Tostato con confettura, Anguria e Caffè. Ho controllato la stampa internazionale sullo smartphone ed ho visto che Aung Saan Suu Kyi aveva trionfato alle elezioni, mentre a Mandalay non se ne faceva parola. Al tavolo vicino al mio ho intravisto la ragazza bruna che la sera prima era al ristorante e che leggeva la guida. Fatto lo zaino ho indossato la maglietta del NLD in onore della vittoria, ed ho deciso di essere pronto per una nuova giornata di esplorazione.

Alle ore 8.00 ho lasciato l’albergo e seguendo la ventiduesima strada verso sinistra, mi sono diretto verso il molo da dove partono i battelli per Mingun (Shwe Lait Pier). Ho attraversato un mercato rionale ed ho raggiunto le rive dell’Irrawaddy. Le ho seguite verso “sinistra” e passando tra venditori di pesci, venditori di stuoie di bamboo e mezzi meccanici che sembravano partoriti da fantasie etiliche di ingegneri pazzi; ho raggiunto il molo. Lungo la strada un sacco di gente mi ha applaudito per la maglietta, alcuni volevano stringermi la mano o mi hanno chiesto una foto con loro. Mi sembrava essere un divo, sebbene fossi conscio che si trattasse di semplice euforia post-elettiva. Dopo decenni di dittatura, forse intravedevano uno spiraglio di democrazia, era ovvio che la gente fosse euforica.

Sono giunto al molo, che non è un molo. La biglietteria è una stanza in un edificio in cemento tra la strada e la riva fangosa dell’Irrawaddy. I signori della società di traghetti hanno registrato il mio passaporto ed emesso il biglietto di andata e ritorno al prezzo di 5.000 Ks. Qui ho incontrato nuovamente la ragazza bruna dell’albergo ed ho scoperto essere una italiana di nome Sara. Abbiamo parlato un po’ di viaggi e poi, con ritardo di un’ora rispetto l’orario di partenza, siamo saliti sul traghetto. Per accedere siamo dovuti salire su una serie di battelli ormeggiati parallelamente alla riva, ed usando delle tavole di legno, abbiamo dovuto fare gli equilibristi per passare da un ponte all’altro.

Ci siamo piazzati su due comode sdraio e durante il tragitto di 11 Km abbiamo osservato il panorama. Una famiglia di Polacchi ci si è seduta vicina. Erano tanto peculiari che non abbiamo resistito alla tentazione di farne la parodia. Il mio Polacco è estremamente arrugginito, ma sono riuscito comunque a capire qualcosa. Poi il tripudio di gloria è stato quando ho salutato i bambini, ma la mia pronuncia li ha terrorizzati, mentre la mamma se l’è risa di gusto.

Come vuole la regola più importante dei barcaioli birmani, l’attracco è stato eseguito scegliendo accuratamente il punto più fangoso della riva. Altra prova di equilibrismo ed abbiamo messo piede a terra, sprofondando nel limo. In quel punto, con le suole dei nostri sandali e ciabatte che facevano presa nel denso fango scuro, che abbiamo dichiarato l’inizio della esplorazione di Mingun!

Vicino all’attracco abbiamo trovato lo sgabuzzino dove ci hanno fatto pagare il pass da 5.000 Ks che comprende l’area di Mingun e Sagaing, sebbene il giorno precedente nessuno mi abbia chiesto il pass. Comunque, a questo punto potevamo entrare e visitare liberamente l’area archeologica.

La prima struttura che si incontra è la Pandaw Paya, uno Stupa di pochi metri alla cui base è collocato un modello in scala di come sarebbe dovuta essere la Mingun Paya se i lavori non fossero stati interrotti dalla morte del Re Bodawpaya che l’aveva commissionata nel 1790.

Poco più avanti si incontra la Sattawa Paya, una Pagoda circondata da palme e con una bella scalinata che porta alla riva dell’Irrawaddy. Questa Pagoda ha la caratteristica di avere una sorta di cripta, non visitabile, in cui viene custodita un’impronta del piede del Buddha. Purtroppo gli interni non avevano un aspetto molto curato.

La Mingun Paya è a monte della strada, appare come una sorta di cubo rossastro con portali a metà di ogni lato. Profonde crepe attraversano le facciate partendo dalla sommità. Questa Pagoda è tanto imponente che da lontano potrebbe sembrare una collina di roccia scolpita in quelle forme. Invece, è totalmente costituita da mattoni. Ogni lato misura circa 75 metri e se fosse stata completata avrebbe raggiunto i 150 metri di altezza. I lavori vennero interrotti dalla morte del Re Bodawpaya ed in seguito essa venne gravemente danneggiata dal un devastante terremoto avvenuto il 23 Marzo 1839.

Sebbene la Pagoda non sia mai stata completata, essa è stata comunque consacrata, pertanto è visitabile solo a piedi scalzi. Abbiamo lasciato le scarpe vicino ad una scala e ci siamo diretti a visitarla. Le sale ai lati sono piccole e contengono solo la statua del Buddha e offerte votive. Per un attimo ho avuto il Deja Vu di quando visitai Petra, e giunto al “Tesoro”, che è la facciata resa famosa dal film “Indiana Jones e l’ultima crociata” mi resi conto che al di là del portale c’era solo una piccola stanza spoglia.

Siamo saliti fino alla sommità della Mingun Pagoda. Dalla vetta si gode di un bel panorama sull’Irrawaddy e sulla candida Hsinbyume Paya. Girovagando sulla sommità fa impressione vedere le crepe formatesi col terremoto, che sembrano delle vere e proprie voragini. Di tanto in tanto si trovano dei mazzetti di incensi incastrati tra i mattoni.

Una volta scesi per le ripide scale, siamo andati a vedere la Mingun Bell, che risulta essere la campana integra più grande al Mondo. Naturalmente, come fanno tutti i turisti, siamo entrati sotto la campana mentre qualcuno la suonava, ed anch’io ho voluto suonarla per chi era entrato. Adesso posso dire di aver suonato la campana più grande del Mondo, e di averlo fatto con della gente dentro.

Siamo passati davanti al Mingun Sanitarium, che è un ambulatorio che opera per la gente della zona. Le nostre guide invitano a donare farmaci, che sembrano essere sempre accettati di buon grado. Per un attimo mi è venuto il dubbio che in Myanmar, come in Cambogia, vi sia un mercato di farmaci contraffatti e finti, per questo che vengono richiesti farmaci “stranieri”.

Siamo arrivati alla candida Hsinbyume Paya, una pagoda che venne dedicata dal re alla sua moglie più anziana, la Regina Hsinbyume. La Pagoda riassume la cosmologia Induista e Buddhista, con la pagoda centrale ce rappresenta, come descritto dalla mitologia Buddhista, il Monte Meru circondato dalle “Sette Catene Montuose”. Qui vi erano molti venditori di fiori e l’aria profumava di un odore dolce, simile a Gelsomini misti a Gigli. Questo tempio era il mio obiettivo. La mia mente è volata un’altra volta a Pechino Express e mi sono sentito come se avessi vinto l’intera trasmissione. Avevo superato numerose difficoltà ed ero riuscito a raggiungerla. Lei, la Pagoda, brillava nel suo riverbero candido, ed era bellissima! Siamo entrati ed abbiamo fatto una moltitudine di fotografie. Naturalmente, essendo essa ritratta nella copertina della mia guida, ho voluto fotografare la guida con sullo sfondo la stessa Pagoda.

Ho lasciato la Hsinbyume Paya con sensazioni contrastanti. La gioia che forma la trama del viaggio stesso e la tristezza di aver raggiunto la fine del tour della Birmania. Ma come dice Costantino della Gherardesca “Viaggiatori! Zaini in spalla, il viaggio continua!”. Ancora un saluto alla Hsinbyume Paya e siamo ripartiti, ma prima pranzo con un ottimo Riso Fritto e Coca Cola (3.000 Ks a persona). Siamo tornati al battello ed abbiamo continuato a fare la parodia dei Polacchi. Infatti, prima hanno avuto il problema esistenziale di rischiare di non finire la birra prima della partenza del battello, poi, una volta partiti i bambini correvano come indemoniati vicino ai parapetti delle murate, e di genitori non battevano ciglio. Ad un certo punto al più piccolo è caduto un biscotto sul ponte sporco di fango, grasso è chissà che altro, il papà gli ha soffiato sopra e l’ha fatto mordere al bambino, quello avanzato, il bambino l’ha dato alla mamma. Lei, senza sapere che fosse rotolato sul ponte, l’ha morso e gentilmente ne ha dato un pezzo al papà il quale ha risposto con una faccia come se avesse voluto dire “Fossi scemo!”. Comunque il momento più bello è stato quando i due bambini hanno fatto amicizia con due bambini Birmani, i quali hanno iniziato ad accarezzare i capelli lunghi e biondi della bambina polacca.

Tornati ai docks e dopo aver dato prova delle nostre rinomate e raffinate doti di equilibrismo, siamo tornati a piedi all’albergo. Sara è rimasta stupita dalle reazioni che i birmani avevano alla mia maglietta e alla pronuncia del mio Birmano assolutamente approssimativa, ma efficace nel far ridere la gente.

Fino a questo punto per imparare a dire:

“Salve!” dicevo “Mingalabaa” pensando al famoso intercalare Siciliano “Minch…”

“Molte Grazie!” dicevo “Gesù ti malè!” come ad accorciare la frase “Gesù ti maledica!”

“Arrivederci” era “Ta Dah!” cioè il disco dei Scissor Sisters.

Il Birmano, a impegnarsi, è una lingua che mette il buonumore!

Arrivati all’albergo Sara si è diretta al Palazzo Reale, io invece, avendo letto che il Palazzo Reale è una replica dell’originale distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale, ho pensato di andare a cambiarmi la maglietta fradicia di sudore per poi dirigermi alla Mandalay Hill.

Entrato in Hotel il ragazzo alla porta è sbiancato e mi è corso in contro “Sir! Presto! Si nasconda!”

“Io?” ho detto guardandomi attorno “Che ho fatto?”

“La maglietta! Se la levi subito!”

“La maglietta (del partito NLD)? Puzza così tanto?”

“No! E’ vietato esporre simboli di partiti durante le elezioni!”

“Ma sono finite… Due giorni fa…”

“No! Non hanno ancora dato i risultati di alcuni posti! Se la Polizia ti vede, ti sbatte subito in galera! Sei pazzo a girare così!”

“Ma che ne so io delle vostre leggi…” già leggi fatte da una dittatura che perderà contro il partito di Aung Saan Suu Kyi. Ecco perchè è vietato!

Ho capito perché tutti quei Birmani mi salutavano e volevano foto con me. Forse mi vedevano come un pazzo che sfida il sistema, se ne infischia delle leggi Birmane e mette in mostra la sua ribellione ad una dittatura straniera rischiando di finire in un Gulag Birmano. Ecco, ad averlo saluto mi mettevo la maglietta di Little Miss Sunshine! Comunque, sono corso in camera e mi sono messo una bellissima maglietta senza marchi né simboli, una delle tante che ho preso nei mercati notturni in Thailandia.

Sono tornato in strada e mi sono diretto verso Mandalay Hill. All’inizio mi è venuta voglia di fotografare i bastioni sul fossato del Palazzo Reale, tuttavia, una volta fatte le foto, non ho più trovato moto-taxi. Di conseguenza, mi sono fatto a piedi tutta la strada fino alla base della Mandaly Hill. Proprio in quella zona vi sono due templi di rilievo per la loro importanza religiosa. Il primo è il Sandamani Paya, con uno Stupa centrale circondato da 1774 grosse lastre di pietra con sopra incisi dei canoni Buddhisti. Le lastre sono conservate in cappelle disposte in schiere ordinate. Sul lato opposto del tempio, attraversando una zona povera, si raggiunge la Kuthoijaw Paya, considerata come “Il Libro più grande al Mondo”. Non è esattamente un libro, ma come nel tempio precedente, sono presenti 729 lastre di pietra incise con canoni Buddhisti. Essendo queste più grandi in dimensioni, sebbene meno di quelle della Sandamani Paya, hanno comunque preso il titolo più importante. Infatti, se le lastre venissero intese come fogli ed impilate, allora diventerebbero un libro. Anche queste lastre sono conservate in cappelle. Entrambi i templi hanno un aspetto desolato e trascurato. I pavimenti, in entrambi erano molto sporchi.

Sono tornato alla base della Mandalay Hill ed ho contrattato con l’autista di un moto-taxi. La corsa fino in cima alla collina e poi fino all’albergo non era nulla di impressionante come distanza, ma il tassista, così come i suoi amici hanno fatto cartello e volevano farmi pagare la oltraggiosa cifra di 8.000 Ks. Ho esordito con 4.000 Ks, generando ilarità nel gruppo. Ho insistito giocando sul fatto che la benzina costa 750 Ks al litro, la sua moto avrà avuto autonomia di 20 Km al litro e la strada che avrei dovuto fare sarebbe stata circa 10 Km totali, quindi, 8.000 Ks era un prezzo demenziale. L’ho tanto mandato nel pallone che ad un certo punto, mentre insisteva a volere 6.000, ha detto esasperato “Five thousant plus une tousands, give me six thousands!” ed io “Ok, four thousand plus one thousands, right?”, “Yes” ed io “means five thousand, deal!” e, con riflessi che mettono invidia ad un Black Mamba, gli ho preso la mano. Per avere quella corsa a 5.000 Ks è stato estenuante, ma mai mettere alla prova la resistenza di un genovese quando c’è da risparmiare! Gli amici del moto tassista sono scoppiati a ridere!

La salita è stata piena di curve e con moltissimo traffico. Arrivati al parcheggio vicino alla sommità sono entrato nell’area sacra, scalzo (i sandali nello zaino) per salire in vetta con le scale mobili. Anche qui il pavimento non era proprio pulito.

La vetta di Mandalay Hill è a 230 m si ha un bel panorama sulla città, sulle campagne, sull’Irrawaddy, Sagaing fino a vedere in lontananza la Hsinbyume Paya di Mingun. Il cielo era diventato nuvolo, quindi non sono rimasto fino al tramonto. Ho fatto alcuni giri, sempre in senso orario, per ammirare sia il paesaggio della luce cangiante che lo scintillio delle tessere lucide sulle colonne della Pagoda. L’aria tiepida profumava di incenso, alberi avevano grappoli di fiorellini bianchi che conferivano all’aria un profumo dolce. La luce è calata, il sole si è nascosto dietro le nuvole. Io sono sceso al parcheggio passando per la scalinata fiancheggiata da bancarelle. Sono tornato all’Hotel alle 18.00, in tempo per prepararmi per uscire a cena con Sara e la ragazza anglofona bionda della sera prima. La ragazza in questione era una Svizzera, di cui ho dimenticano il nome nel momento stesso in cui l’ha pronunciato, parlava un idioma Franco-Italico e diceva di vivere a Zurigo.

Siamo andati a cena in un locale a buffet dove abbiamo preso una enorme varietà di piatti per assaggiarli. Alla fine, bevande incluse, abbiamo pagato circa 3.500 Ks a persona. E’ stata una serata divertente tra viaggiatori a raccontarci aneddoti.

Siamo tornati in albergo presto perché l’indomani io e la italofrancofona avremmo avuto tappe impegnative, mentre Sara, se non fosse diluviato, sarebbe voluta andare a Pyi U Lyn. Buona Notte Mandalay!

Giorno 16 – 11 Novembre 2015 – Da Mandalay a Ao Nang in Thailandia

Oggi è il giorno della partenza. Dopo due settimane di Pullman, ora gli zaini devono essere rifatti da capo per i voli in aereo. Una confusione incredibile regna in camera. Ma come ho fatto un anno fa per un mese in Cina?

Fatti gli zaini e fatta una bella doccia, sono sceso a colazione. Ho preso Noodles, Pane Tostato, Confettura di Fragole, Caffè, Anguria e due Uova Strapazzate. Tempo di sedermi e sono arrivate le ragazze, sembrava quasi che ci fossimo dati appuntamento al ristorante dell’albergo. Anche loro hanno optato per il mio stesso menù.

Finita la colazione ho fatto chiamare un taxi. Sarei dovuto essere all’aeroporto per le 9.00 per il check-in in quanto l’aereo sarebbe decollato alle ore 12.30. Ho salutato le ragazze e poco dopo è arrivato il mio autista. Proprio in quel momento è iniziato a diluviare. Ecco, forse il Myanmar mi ha mandato la pioggia per non darmi rimpianti per la partenza. Mentre ero sul taxi, ascoltando musica all’MP3, è capitata la canzone “Emerald Island” dei Leaves Eyes che parla di una donna che lascia la sua isola. Ad un certo punto dice “Stay with me, Stay with me”. In quel momento mi è sembrato che fosse la Birmania a chiedermi di rimanere ancora un pò. Mi mancherai, Burma.

E’ incredibile quanto un posto, una nazione, possa entrare dentro e creare un legame così profondo. Non è stato un viaggio facile, decisamente. Ma proprio per questo ho potuto conoscere tanta gente che è sempre stata felice di aiutarmi e insegnarmi parecchio. Non so quando ci rivedremo, ma mia cara Birmania, rimarrai sempre con me.

All’aeroporto non vi erano negozi di cambio aperti. Ho ingannato l’attesa facendo il giocoliere finché il mio volo non è stato chiamato. L’aereo è partito in orario. Sul volo ho conosciuto Peter, un simpaticone del Minnesota. Un genio, un inventore, un viaggiatore e chissà cos’altro! Se i Minnesotiani sono come lui, allora è un posto che deve valere la pena visitare!

Siamo atterrati a Bangkok Don Muang alle 15.30. Il mio stato d’animo era diviso. Stavo sentendo già la mancanza della Birmania, ma dall’altra parte non vedevo l’ora di iniziare questa nuova fase di viaggio. Il tour che mi ha portato in tutti quei posti tra Yangon a Mandalay mi aveva ricaricato le forze e esorcizzato dallo stress accumulato in un anno. Ma ora anelavo lo “spaparanzo”. Volevo le spiagge di sabbia, il Mare delle Andamane, cene di pesce, incontrare altri pazzi ed ascoltare musica. In una parola: Relax.

Raccolto lo zaino, mi sono diretto alla zona “arrivals” del relativamente piccolo aeroporto a cercare un negozio di cambio che mi convertisse i Kyatt Birmani in Baht Thailandesi. Mi era avanzato l’equivalente di circa 100 Euro e non volevo conservarli in valuta non spendibile. Purtroppo i cambiavalute ufficiali non accettavano denaro Birmano. Per un attimo mi sono sentito come ad aver perso tutti quei soldi, ma poi ho avuto un’idea. Mi sono recato ad un “Tourist Information” per chiedere se loro sapessero a chi rivolgermi, e loro “We change it!”, loro me l’avrebbero cambiato. Tuttavia, sono dovuto scendere a compromessi. Si, mi avrebbero cambiato i Kyatt, ma l’avrebbero fatto ad un tasso elevatissimo. Infatti, mi hanno trattenuto in commissioni il 30%.

Il secondo volo, quello per Krabi, è decollato alle 18.00 e alle 19.30 ero già fuori dall’aeroporto di Krabi a cercare il bus per Ao Nang (150 THB). Io sono convito che ogni posto abbia un odore particolare. Una sorta di impronta digitale olfattiva. Appena messo il piede fuori dall’aeroporto con l’aria condizionata e sentita quell’ondata di tepore tropicale avvolgermi, ho percepito l’odore di quella terra che conosco bene, la Thailandia. Lontana, la mia mente è volata lontana, sia nello spazio che nel tempo. I primi passi non li ho fatti a Krabi, ma vedevo Chiang Mai, quando vi arrivai nel 2006. Ridestato mi sono reso conto che il mio pullman stava partendo. Quindi, altra corsa con gli zaini messi male, schivando passeggeri e relativi bagagli, per letteralmente lanciarmi le mezzo che mi avrebbe portato ad Ao Nang.

Sapevo che il tragitto sarebbe durato tra i 30 e i 45 minuti, ma avevo uno strano stato di agitazione che mi faceva sembrare un bambino che continua a chiedere “Siamo arrivati?”. Ero già stato in queste zone un po’ di anni fa, ma ero arrivato via mare, quindi, non sapevo come orientarmi. Man mano che proseguivamo, più vedevo posti con zero vita notturna, bui e desolati. Lungo le strade sfilavano ristoranti vuoti, alberghi con le luci spente e bar tristi. Ho pensato “Ecco, ho scelto il peggio. Siamo in bassa stagione e non c’è niente e nessuno”. Ma poi, siamo arrivati nella vivace Ao Nang. Questa piccola città, davvero molto piccola, si è rivelata una bella località turistica, non sfrenata come Phuket, ma con bel clima easy, come insegna Bob Marley.

Il mio hotel, l’Harvest House, è a fianco della moschea e nell’ingresso ho incontrato un gruppo di hippy che facevano meditazione. Il mio pensiero è volato all’Aurobindo Ashram di Pondicherry, in India. La camera era larga, pulita, ma lo scarico del bagno aveva un cattivo odore. Peccato, perché la doccia era bella! Avevo comunque un terrazzo ampio e, stesa la mia corda, l’ho trasformato nella mia lavanderia personale.

Uscito dall’albergo ho cenato con street food, cioè, spiedino di pollo e spiedino di totano. Sono passato alla Scuola di Roccia per prenotare una Full-Day lesson per il giorno seguente, e poi è stato il momento per la prima Singha Beer di questa vacanza! Buona Notte Ao Nang!

Note sulla Thailandia

Esistono veramente tanti diari sulla Thailandia, molto più dettagliati ed interessanti dei miei. Non che ci voglia molto. Tuttavia metto in luce solo alcune note di rilievo ed aneddoti.

Scuola di Roccia a Krabi

La sera stessa che sono arrivato ad Ao Nang mi sono iscritto ad una scuola di roccia. Io non sono un climber, ma amici arrampicatori mi hanno fatto venire voglia di provare il loro sport.

Mi sono rivolto a questa scuola perché sembrava avere delle buone referenze. Il giorno successivo al mio arrivo siamo partiti prestissimo e con altre tre ragazze, due russe e una statunitense, siamo stati portati alle falesie di Phra Nang Beach, la spiaggia famosa per le Grotte-Tempio dedicati alle Due Principesse e famosi perché pieni di statue falliche. Qui ci è stata fatta una lezione introduttiva e poi abbiamo iniziato ad arrampicare su una piccola parete. Forse chiamarla “parete” potrebbe far sorridere, se non proprio sbellicare dalle risate, gli arrampicatori esperti. La mattina è trascorsa bene e a mezzogiorno le ragazze, terminata la loro “mezza giornata” se ne sono andate. Solo io avevo prenotato il giorno intero. A questo punto l’insegnante è diventato quasi infastidito di dover passare il resto della giornata con me. Nel pomeriggio, sempre più scontroso e scocciato, mi ha fatto fare una arrampicata su una parete ben oltre le mie capacità. Il motivo era che non aveva voglia di prepararmi la corda in una parete facile ed ha voluto usare quella già preparata da chi era arrivato prima. Lungo l’ascesa mi sembrava che la corda di sicurezza fosse poco tesa. A metà salita, che sorprendentemente sono riuscito a raggiungere, ho incontrato un passaggio troppo difficile per me ed ho cominciato a cadere ripetutamente su una terrazza di roccia. Ho chiamato l’istruttore dalla mia postazione e l’ho visto che si faceva beatamente gli affari suoi. Un’amica climber, quando gliel’ho raccontato mi ha comunque detto che non è da tutti azzardare così tanto da cadere. In genere i principianti rimangono inchiodati all’appiglio. Ma forse sono semplicemente pazzo. Ho fatto ancora un paio di tentativi e poi ho deciso si scendere calandomi con la corda. Quando sono sceso l’ho trovato che fumava una canna. A questo punto, sebbene avessi ancora delle ore di lezione, vi ho rinunciato e me ne sono andato coi miei mezzi. Cioè, sono andato a Rilay Beach e con una delle barche che fanno da spola con Ao Nang, sono tornato alla mia cittadina. Quindi il consiglio è quello di scegliere con attenzione con chi fare lezione di roccia.

Spiagge

La spiaggia di Ao Nang non è molto bella. Si ha difficoltà ad entrare in acqua a causa dei coralli, o meglio, macigni che in passato sono stati dei coralli. Per fare delle belle nuotate si devono prendere delle Day Trip che portano alle isole vicine. Ho visto che la spiaggia Nopparat Thara Beach sembra bella, ma non sono entrato in mare, quindi non posso esprimermi.

Kai Islands

Questa è la parte più triste. Nel 2007 ero andato a fare una day trip in queste isole e qui avevo trovato un discreto reef. Nulla a confronto di El Nido nelle Filippine, ma per chi non ne ha mai visto uno, anche quello sarebbe stato bello. Tuttavia, delle distese di coralli non è rimasto nulla. Il turismo di massa l’ha completamente raso al suolo. In alcuni punti c’è solo una distesa di corallo tritato e basta. Quando ero a El Nido, visto come i nativi trattavano la Barriera Corallina, gli avevo detto di fare più attenzione, ma non avevano capito. Ora, in piccolo, ho visto cosa può fare lo sfruttamento turistico di un posto.

Rientro in Italia

Sono tornato in Italia un mese dopo la partenza. Sebbene un mese possa sembrare tanto, in realtà è decisamente volato.

Non voglio concludere questo diario con frasi fatte e buonismo. E’ stata dura, difficile, sfide si sono presentate a ripetizione, ma la fatica ne è valsa la pena. Non ho attraversato questi paesi per il gusto di aggiungere alla collezione qualche posto visitato, ma per vivere emozioni in queste località e cogliere quegli attimi che, toccandoci l’anima con un dito, sembrano far fermare il tempo. Ci sono riuscito. Non solo per merito mio, ma grazie a tutte quelle persone che solo per il fatto di essere loro stesse, hanno reso questo girovagare un’esperienza indimenticabile. Grazie ai bambini dell’Aung Si per avermi fatto ridere mentre giocavamo a fare i giocolieri, Grazie a Kevin, Yuki e la Vecchina terrorizzata sulla Lunga Strada per Bagan, Grazie alla Venditrice di Scatoline che ha trasformato una contrattazione in una festa di famiglia, Grazie alla Venditrice di Frittelle di Patate del Lago Inle che ne ha fritte due più grosse per me, Grazie a Sara per avermi sopportato a Mingun, Grazie al Monaco Gentile che mi ha fatto incontrare Kuan Yin e tanti altri. Ma il Grazie più grande è per chi ha resistito a leggere fino a questo punto. Grazie!

Gilbert Keith Chesterton disse “Il Viaggiatore vede quello che vede, il Turista vede quello che è venuto a vedere”.

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Bagan Sunset



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