Myanmar o Birmania… l’importante è visitare questo meraviglioso Paese

Pagode, templi, monasteri, natura, etnie e… ovunque persone meravigliose
Scritto da: family
myanmar o birmania… l'importante è visitare questo meraviglioso paese
Partenza il: 16/04/2014
Ritorno il: 27/04/2014
Viaggiatori: 5
Spesa: 3000 €

MYANMAR (Birmania)

17/4/2014 – 27/04/2014

Abbiamo organizzato il viaggio prenotando i voli intercontinentali tramite edreams, un albergo con Booking (il Governor’s Residence), un Abergo con Agoda (il Mandalay Hill) e il resto con l’intervento dell’agenzia di Teo, operatore della Birmania con cui ci siamo trovati benissimo, sia nella fase organizzativa, sia per i servizi che ci ha offerto.

17.4.2014 – Volo intercontinentale THAI Airlines da Milano Malpensa a Bangkok poi prosecuzione per Yangon.

18.4.2014 – All’aeroporto di Yangon ci aspetta la nostra guida Zayyar che ci porta all’hotel da noi prenotato “The Governor’s Residence” della catena Orient Express, splendido hotel in stile coloniale tutto realizzato in teak. Appena arrivati, subito una pausa rilassante in piscina anche per smaltire lo stress da volo intercontinentale. Alle 14,00 ci incontriamo con Teo e poi proseguiamo con una passeggiata attraverso il centro storico della città che si conclude con la visita al tramonto della grande Pagoda Shwedangon, interamente ricoperta di foglie d’oro, che rappresenta uno dei tre posti più sacri del buddismo meridionale (Birmania, Cambogia, Laos, Thailandia e India). Poiché il giorno prima è stato il capodanno buddista e ci sono le relative vacanze dell’inizio dell’anno buddista, il sito è pieno di fedeli, di monaci e monache e di famiglie locali; i turisti occidentali sono pochissimi – L’effetto jet lag è devastante e due dei nostri tre figli si addormentano sulle nostre gambe.

19.4.2014 – Sveglia all’alba, colazione rapida e trasferimento all’aeroporto nazionale di Yangon, splendida costruzione coloniale arricchita da elementi decorativi di legno pregiato. Volo KBZ per Bagan. La nostra guida si occupa del check in, i controlli agli imbarchi sono quasi inesistenti.

La pianura di Bagan è infuocata. I 40 gradi centigradi ci tengono fedele compagnia. L’hotel (Tharabar Gate) è molto bello: stile coloniale, teak, e grande piscina immersa in un giardino tropicale.

Appena arrivati andiamo subito al mercato locale, stracolmo di ceste e ciotole con fiori, canna da zucchero, zucchine di ogni forma, soia, uova e riso di ogni colore, pesce secco, frittelle di gamberi, frutti tropicali, stoffe, longi per uomo e per donna e anche souvenir come maschere, borse, parei, ombrellini … Dopo andiamo alla Pagoda Shezigon, dove facciamo il nostro primo incontro con le donne PA Ho (che indossano dei teli colorati di spugna come copricapi) e vediamo le prime sale di preghiera in onore dei NAT, spiriti sacri che derivano dalla tradizione animista che qui si fonde col buddismo.

Bagan è un posto unico al mondo. Si tratta di una grande area pianeggiante nella quale, durante il primo regno birmano (dal 1044 d.c. al 1250 d.c.) sono state erette circa quattromila costruzioni sacre, tra pagode, templi, stupa e monasteri, quasi tutti ancora esistenti; alcuni restaurati (purtroppo, a volte, con tecniche non sempre adeguate all’importanza dei luoghi), molti altri, ancora abbandonati; tutti emergono dalla vegetazione e svelano, nel loro complesso, il mistero che, ancora oggi, avvolge questo incredibile sito archeologico.

Pranzo in ristorante per soli birmani: ci vengono servite varie scodelle con riso e vegetali stufati da gustare con pezzettini di carne di maiale e pollo. Frutta tropicale e caffè lungo. Le cucine sono incredibili: il cibo viene cucinato in grossi pentoloni di rame posizionati su fornelli alimentati da braci e legna. Pausa di due ore in albergo. Bagno rigenerante e rinfrescante nella splendida piscina. Nel pomeriggio, visita di un tradizionale e remoto villaggio birmano dove il progresso ed il turismo di massa non sono ancora entrati. Scopriamo che i lavori più importanti e, a volte, anche più faticosi, sono riservati alle donne. Visita di un laboratorio dove si fabbrica la lacca utilizzando la resina di alcune piante. Visitiamo anche il tempio Htilominlo e, infine, tramonto su un altro tempio. Rientro in albergo, piscina, doccia, e cena in un ristorante birmano ma con vocazione turistica che si chiama Star Beam. Cena a base di riso, noodle, vegetali e poca carne.

20.04.2014 – ci svegliamo prima dell’alba, in hotel noleggiamo quattro bici (fede con papà), e ci dirigiamo nella immensa pianura di Bagan per trovare un tempio da scalare nella cui sommità poter ammirare il sorgere del sole. Troviamo una bambina che si mostra contenta di farci da guida e di accompagnarci in un tempio vicino casa sua. Lo raggiungiamo in dieci minuti di bici, tra campi e stradine sterrate; ovviamente, trattandosi di un tempio poco noto, non c’è nessuno. Ci leviamo le scarpe e iniziamo la risalita attraverso una scala stretta e buia; raggiungiamo la sommità e ci godiamo lo spettacolo dell’alba. Il consiglio è di evitare i templi più segnalati nelle guide turistiche e sceglierne uno poco battuto, tra i tanti esistenti. La nostra amica, in cambio dei servizi turistici, ci chiede di acquistare le sue cartoline. Rientro in bici in hotel, colazione nel ristorante all’aperto a bordo piscina. A quel punto inizia il nostro giro per la piana di Bagan: vediamo tanti templi e pagode, ciascuno col suo speciale fascino. Da non dimenticare, tra le altre, Ananda, la Shwesandaw Paya, che sembra un tempio messicano, Sulamani Patho, con stucchi pieni di vetri colorati e circondato da alberi di mango a cui vengono appese coloratissime marionette in vendita, la Lawkananda, in bella posizione in riva al fiume, dove assistiamo a una cerimonia animista di ringraziamento e, infine, la Pyathada Paya, da cui godiamo la vista di uno splendido tramonto. A differenza della pagoda mattutina, molto privata, la pagoda del tramonto è affollata da turisti locali. Il bello di viaggiare fuori stagione, infatti, è che i turisti occidentali sono pochissimi e i luoghi sono pieni di turisti birmani, cambogiani o thailandesi che, approfittando delle vacanze per il loro capodanno, visitano la zona di Bagan, che per loro è sacra, data la quantità di templi e pagode buddhiste. La gente è affabile e incuriosita da noi e dai nostri tre figli, che ricevono continue richieste di foto e, spesso, ci saluta accarezzando il viso dei bambini (ci spiega la guida che sono attratti dalla pelle chiara e sono curiosi di conoscerne la consistenza).

Al ritorno in hotel, rigenerante bagno in piscina e cena al ristorante Be kind with the animals o The Moon (su tripadvisor sono censiti come due ristoranti, ma da quanto abbiamo compreso è uno solo); come suggerisce il nome, è un ristorante vegetariano e si trova a Old Bagan, a pochi passi dal nostro hotel, ma ci piace meno di quello della sera precedente siamo soddisfatti di avere trascorso due giorni a Bagan, rinunciando, anche in considerazione delle alte temperature, alla escursione al Monte Popa che avrebbe, comunque, sottratto tempo alla visita di questa indimenticabile zona archeologica.

21 aprile – Di buon mattino prendiamo il volo per Mandalay e, come prima tappa, ci rechiamo ad Amarapura per visitare il grande e popolato monastero buddhista (composto da sale di lettura, camerate, cucine, librerie). Assistiamo al celebre pasto dei monaci. Avevamo letto dell’invito a non assistere a questo pasto, per non disturbare la quiete dei monaci, ma la curiosità ha prevalso. Devo, però dire che, forse complice la bassa stagione, i turisti non sono tantissimi e sono tutti silenziosi e rispettosi.

I monaci, d’altro canto sono un esempio di seraficità e tranquillità e dai loro occhi non traspare né fastidio, né insofferenza per i turisti, ma – al contrario – hanno sguardi buoni e amichevoli.

Alla fine del pasto ci concedono di entrare e, probabilmente inteneriti dalla presenza dei nostri figli, ci offrono delle bibite fresche (succo di lichy e succo di ginger) che sono un vero sollievo, dato il caldo. Il pasto dei monaci è costituito da una ciotola di riso, dei grissini, una lattina di succo e da carne e verdure che trovano sul tavolo. Dopo ci rechiamo nel vicino ponte U Bein’s, tutto in legno teak, molto bello e affascinante. Dal ponte si osserva la vita nei vicini campi e sul lago Taungthaman. Arrivati sull’altra sponda del lago, decidiamo di tornare in barca con un barcaiolo. Lasciata Amarapura ci rechiamo ad Ava (o INWA), una delle tappe più affascinanti del viaggio. Si raggiunge Ava con una barca e colpisce il fatto che questa località, che fu capitale del regno birmano, oggi appare come ina campagna ricca di piante di banana e di giganteschi alberi di mango, dove il mezzo di trasporto sono i carretti trainati da buoi, che procedono lenti, come lenta procede la vita in questi luoghi. Facciamo pranzo al ristorante Ave Maria sotto gli alberi di mango, guardando il fiume, ci concediamo una breve pennichella sulla sdraio e poi iniziamo il nostro giro e… a poco a poco, in mezzo alla campagna, vediamo comparire stupa, monumenti, monasteri… Visitiamo il monastero giallo (bello e “fotogenico”), la torre pendente (niente di che) e lo splendido e unico Bagaya Kyaung, monastero in teak intagliato pieno di statue, bassorilievi, altari, tutto rigorosamente in legno. E la bellezza è che non è un museo, ma è ancora popolato da piccoli monaci che qui ricevono l’istruzione. Assistiamo all’interrogazione sulla lezione del giorno che si conclude con un elogio delle solerti monache bambine e un richiamo dei più distratti monaci maschietti.

Andando via da Ava proviamo già nostalgia, forse per il bimbo che ci ha seguito con la sua sgangherata bicicletta, fiero di potere comunicare con noi col suo inglese imparato a scuola e che ci saluta fino a quando la barca gira l’ansa del fiume separando i nostri sguardi… Ci avviamo a Mandalay e sulla strada vediamo la collina di Sagaing e il suo santuario. Arriviamo al nostro lussuosissimo albergo Mandalay Hill, troppo grande con poca atmosfera, ma dopo la giornata più calda del viaggio (con picchi di 45 gradi) la lussuosa piscina, i morbidi teli e le comode sdraio ci danno un graditissimo ristoro. L’albergo è nel mezzo del nulla, sicchè ceniamo in hotel al buffet thailandese, dove conosciamo una simpaticissima famiglia romana con cui chiacchieriamo dopo cena.

La colazione della mattina è la migliore del viaggio: omelette, waffle, crepes, pancakes espressi e una varietà infinita di piatti caldi e freddi. Ci rechiamo al molo da cui partono le barche per Mingun. Sono barche di legno abbastanza grandi, su due livelli, che potrebbero contenere almeno 30 persone, ma qui si usa che ogni gruppo di turisti (anche se composto da una sola coppia) abbia la sua barca privata e così facciamo la nostra minicrociera personale sul fiume. Arrivati a Mingun decidiamo di prendere un taxi locale… un carro trainato da due Zebù (sono i tipici buoi locali caratterizzati da una gobba, tanto più grande quanto maggiore è l’età dell’animale). Visitiamo una bella pagoda ricca di decori in stucco bianco, vediamo dei carri in festa per il noviziato di alcuni bambini (che equivale al nostro battesimo), vediamo l’enorme campana di bronzo e la incompiuta Mingun Paya. Tornati a Mandalay andiamo al Golden Duck, ristorante cinese che ci piace tanto, al punto che decidiamo di tornare qui la sera a cena.

Di pomeriggio visita alla Mahamuni Paya, celebre per l’enorme e veneratissima statua di Buddha ricoperto da foglie d’oro, cui possono avvicinarsi solo gli uomini (Andrea e figli maschi si avvicinano rispettosamente al grande simbolo religioso).

La pagoda è bella, ma non entusiasmante; ciò che invece meraviglia è potere osservare la devozione di intere famiglie che vengono qui a trascorrere giornate di preghiera e qui mangiano, i bambini giocano, i grandi si fanno il pisolino, le donne chiacchierano e fanno acquisti (tutto il mondo è Paese!!). Se volete fare un po’ di shopping, questo è un buon posto perché le tante bancarelle hanno un vasto assortimento e prezzi modici, essendo rivolte per lo più ai pellegrini locali. Ma, in mezzo a corone di preghiere, statue di buddha di tutti i materiali e dimensioni, coloratissimi e alquanto azzardati accessori per il noviziato, troverete bellissime stoffe, comode infradito, oggetti in giada e borsette varie…

Successivamente visitiamo un altro monastero in teak e, infine, la Kuthodaw Paya, pagoda circondata da centinaia di stupa bianchi, ciascuno dei quali contiene una tavola con incisi versi sacri per il buddismo, tanto da essere definito “il libro più grande del mondo”. Il tramonto in questo luogo, con tutti gli stupa bianchi che si colorano di arancione e rosso creando magnifiche ombre, è stata una bellissima esperienza.

Prima di cena bagno nella piscina dell’hotel e chiacchierata a bordo piscina con una coppia siciliana (come noi), che abbiamo già incontrato a Bagan e che ci racconta di splendidi viaggi, dandoci spunti per le prossime mete.

23 aprile 2014 – Dopo colazione si vola per Heho, l’aereoporto piu vicino al lago INLE. Arrivati, andiamo a visitare la grotta di Pindaya. Piena di statue di Buddha donate da fedeli di tutto il mondo. La deviazione è lunga, ma i villaggi attraversati sono belli. Pranzo sulla riva di un lago e poi di nuovo in bus per il lago INLE, diretti al nostro resort, l’Inle Resort, che si raggiunge in lancia. Arriviamo al tramonto ed è un vero sogno: resort incantevole, soprattutto le deluxe villas… I pasti lasciano alquanto a desiderare (cena buona, ma cara), colazione scadente, ma il posto è notevole.

24 aprile 2014 – Giornata indimenticabile sul lago Inle, osservando panorami, usanze, tradizioni, monumenti, mercati, le donne giraffa, orti galleggianti, produzioni artigianali di tessuti, sigarette, carta prodotta dal gelso, ombrellini di carta, pagode e, perfino, le riprese di un film…

25 aprile – Giornata di trasferimento: dal resort prendiamo la lancia, poi il bus per l’aeroporto di heho, poi l’aereo da Heho a Yangon, con scalo a Ngapali, da Yangon 4 ore di bus per la base del Golden Rock e da lì… 1 ora di CAMION (!!!) stipati uno sull’altro, con due bambine letteralmente appese alle nostre spalle, perché non avevano posto a sedere; sembrerebbe la descrizione di un incubo e invece no, perché alla fine di tanto peregrinare arriviamo al Golden Rock (terzo luogo sacro del buddismo meridionale), meta che non sempre è nei tours, proprio per la difficoltà di raggiungerla.

Direi, però, che se il viaggio in Myanmar deve iniziare alla Pagoda Shwedagon a Yangon, lo stesso viaggio deve terminare o, quanto meno, passare da Golden Rock, luogo di grande devozione, che, oltre ad essere suggestivo dal punto di vista naturalistico, è colmo di emozioni; qui si potrebbe restare più giorni fermi senza annoiarsi perché si vedono passare tante persone, tante etnie, tante tradizioni, tanti costumi tradizionali e tutto è permeato da quel sorriso, da quella apertura e da quella serenità che viene detta “birmanità”.



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