Mingalabar Myanmar!

Un Paese in cui il buddhismo permea un popolo che sa ancora sorridere
Scritto da: diogenecinico
mingalabar myanmar!
Partenza il: 01/02/2014
Ritorno il: 21/02/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Che formidabili quegli anni del VI sec a.C.! E’ uno tsunami cosmico che cambia il mondo, o meglio, il modo di pensare il mondo e la presenza dell’uomo in esso. Pitagora, Eraclito, Confucio, Lao Tze, Zarathustra e Gautama Sakyamuni, il Buddha, oscurano il mito a favore dell’intelletto logico, abbandonano le rivelazioni mistiche arcane per utilizzare la riflessione logica del pensiero sulle Supreme Verità. E il Buddha, l’“illuminato”, con il suo insegnamento basato sulla disciplina ascetica, ne rappresenta l’esempio più eclatante, la pietra miliare nell’evoluzione dello spirito umano, paragonabile solo, 2438 anni dopo, alla formulazione einsteiniana della Relatività Generale per il pensiero scientifico moderno.

Comprendendo il Siddharta, la sua calma e il suo atteggiamento compassionevole distaccato dal mondo e la sua meditazione costante e controllata come cardine principale per raggiungere il nibbana, si può forse ottenere una chiave interpretativa di un popolo –quello birmano- del suo pensiero, delle sue opere che lo testimoniano e che noi oggi andiamo a fotografare ma che forse a non riusciamo a capire del tutto.

Il Buddhismo (che la mia guida di Yangon si ostina a ricordarmi –giustamente- che è una filosofia e non una religione) è il DNA collettivo di questa popolazione. Da questo ne deriva, ad esempio, la gentilezza e la pacatezza che permea il loro comportamento, il motivo per cui moltissimi uomini passano due brevi periodi di vita, da ragazzi e poi da adulti, vivendo, studiando e meditando in uno dei numerosissimi monasteri e il rispetto vero e genuino che tutti nutrono nei riguardi dei monaci.

Lo si vede visitando i loro templi e le loro pagode. La meraviglia che uno prova non è solo per la loro svettante architettura e l’oro che le ricopre ma anche per le persone che vi vivono dentro. “Vivere” un tempio buddhista è il contrario di “frequentare” un luogo di culto monoteista occidentale. Entriamo in una pagoda. Troviamo una famigliola di una decina di persone, dai nonni ai neonati, che, seduta per terra, consuma il pasto attingendo ad una serie di ciotole poste al centro. Mangiano senza fretta, chiacchierano, i bimbi giocano allegri. A pochi metri un gruppo di persone dorme sdraiate sulle stuoie mentre altri devoti li scavalcano per leggere le scritture e le immagini centenarie dipinte su di un muro. Dei cani randagi si rincorrono e due gatti ti guardano sornioni. Di fronte alla statua dell’Illuminato un gruppetto di fedeli sta pregando, sono inginocchiati con le mani giunte e toccano con la fronte il pavimento, dopo aver offerto dei fiori, ciotole di riso o delle banane o alcune banconote da 100 kyat.

Poco più in là un gruppetto di monaci thailandesi (riconoscibili dalla tunica giallo-arancio) scattano fotografie ed un giovane monaco locale (che porta la tuta di color porpora) attacca bottone con una coppia di tedeschi. “Per fare pratica d’inglese” mi spiega la guida che dà per scontato che si insegni l’inglese ai giovani novizi. Infatti, in un monastero-scuola di Mandalay, frequentato da alcune centinaia di bambini e bambine novizi (che spettacolo vederli giocare in cortile durante l’intervallo delle lezioni), ho intravisto in un’aula delle domande scritte in inglese su di una vecchia lavagne ed i piccoli novizi impegnatissimi a riscriverle sul quaderno.

Mentre degli uomini (solo uomini) sono intenti ad appiccicare foglie d’oro alla statua del Buddha principale, che è stata appesantita nel corso degli anni di almeno 150 chili, ad una cappella lungo la base della pagoda un gruppetto di sudcoreani (che praticano lo stesso buddhismo theravada dei birmani) con piccole ciotole versano dell’acqua sul capo di una statua del Buddha del Martedì come atto di devozione e purificazione e si fotografano reciprocamente. Dei giovani monaci passano, tutti intenti nella loro conversazione e non li notano nemmeno. Uno di loro si gira verso di me e domanda infastidito ”ma che ci vieni a fare qui?” e la guida prontamente lo rimbecca, “dappertutto ci sono degli idioti” è il suo commento.

In alcuni templi, soprattutto lontano dalle città, è affascinante sostare presso l’angolo dedicato all’insegnamento sia per i novizi che per i piccoli della campagna circostante, “così abbiamo sconfitto l’analfabetismo” chiosa la guida. Imparano le lettere dell’alfabeto. “A come albero, B come banana…” recitano in coro poi passano a frasi più complete. Sono attenti, non si lasciano distrarre dai flash delle macchine foto dei turisti. Guardo uno dei quaderni, ci sono gli esercizi di matematica, evidentemente di una classe più elevata. Mentre i piccoli continuano a cantilenare e qualcuno, a turno, ad urlare le frasi da imparare, di fronte a loro il monaco tutor se ne sta comodamente seduto su di una poltrona di bambù impegnatissimo a leggere il giornale “Myanmar Popular”.

Un turista-per-sbaglio direbbe che è una terra “ricca di contraddizioni”. Non mi pare proprio. E’ una nazione ricca di risorse naturali, profanata il secolo scorso per ben tre volte dal colonialismo inglese e poi da quello giapponese, in mano ad una dittatura militare tra le più corrotte del mondo ed ora finalmente libera, dove il contadino che guida i buoi che tirano l’aratro o le donne che spigolano il grano a mano hanno comunque in tasca il cellulare, dove nella povera palafitta di legno in cui in una stanza vive tutta una famiglia appare nell’angolo un televisore sintonizzato sulle sitcoms sudcoreane. Non sono contraddizioni, è una società che cambia velocemente. “E’ una nazione senza disoccupati perché se il lavoro non c’è, la gente se lo inventa” chiarisce la guida indicandomi i marciapiedi di una strada di Mandalay dove centinaia di persone su bancarelle improvvisate o per terra vendono o cucinano di tutto.

E a proposito di “buoni affari”: basta tener presente che il miglior prezzo che si riesce a spuntare dopo lunga contrattazione è comunque superiore di un buon 30% di quanto paga un locale. In compenso si mangia dovunque bene e a poco prezzo. L’importante è evitare i ristoranti indicati da Lonely Planet: essendo frequentati esclusivamente da stranieri hanno prezzi dal 30 a oltre il 100% superiori di ristoranti di livello dove vanno i locali. Se poi si ama lo street food il Myanmar è una delizia con un costo irrisorio.

Le guide scrivono che il Myanmar è un Paese sicuro per il turista. Lo posso confermare. Ho camminato per ore e ore di giorno e di notte in strade e stradine (di notte scarsamente o per nulla illuminate) senza mai incontrare un problema. Solo a Ngapali Beach passando lungo la strada vicino ad una postazione militare il soldato di guardia mi ha gridato violentemente più volte “gimme dollar!” Io l’ho ignorato e l’incidente è finito così. Allo stupido basta mettergli addosso una divisa e diventa anche arrogante (naturalmente solo a Ngapali).

L’unico aspetto spiacevole del Myanmar è l’assoluta mancanza di senso di responsabilità ecologica. Ad esempio la strada che da Yangon porta al Golden Rock è un immondiziaio a cielo aperto. E vero, non ci sono lavatrici o materassi come da noi (ma qui non si usano) in compenso abbondano sacchetti di plastica, lattine, bottiglie e cartacce in attesa che le grandi piogge spostino la massa da un’altra parte. “Purtroppo non abbiamo coscienza ecologica” mi conferma la guida del lago Inle, “per questo io lavoro in una fondazione che cerca di crearne una, specialmente tra i giovani, visto che agli adulti di qui del futuro del loro lago proprio non gliene importa nulla”.

Yangon

Disposta lungo un fiume, città ex-capitale, è la più bella fra le (brutte) città birmane. Con i suoi due laghi, larghe strade alberate, decenti nuovi palazzi residenziali e belle testimonianze di architettura coloniale è ariosa e ben disposta. La prima impressione arrivando dall’aeroporto è per le auto (giapponesi ovviamente) con volante a destra e circolazione a destra perché solo da pochi anni si è passati dal modo di guidare inglese a quello europeo mantenendo però la guida all’inglese. La seconda è la magnifica svettante pagoda d’oro, Shwedagon, (il più importante luogo di pellegrinaggio buddhista) che delinea lo skyline della città. Chissà perché il primo stop che, entrando in città, la guida effettua è davanti alla casa di Aung San Suu Kyi, figlia del generale Aung San, eroe della lotta dell’indipendenza contro gli inglese. Scoprirò durante il viaggio che è la donna più amata e la figura più carismatica della giovane democrazia burmese. L’unico paragone che mi viene in mente è la figura del generale Garibaldi per i volontari dei Mille. Le miriadi di vie, con crateri nei marciapiedi e tombini mai coperti, brulicano di gente, negozietti, bancarelle, anche di libri di seconda mano. L’unica delusione è il Bogyoke Aung San Market che non merita la visita. Si può andare in cerca di “affari” da altre parti.

Golden Rock

La piccola pagoda d’oro se ne sta su un masso tondeggiante, anch’esso ricoperto d’oro, in bilico sul bordo di una collina. Nonostante i vari terremoti ed il fatto che basta un uomo per farlo ciondolare non è mai precipitato lungo il dirupo. E’ un luogo magnifico e, dopo il tramonto, diventa un punto dorato sospeso nella notte piena di stelle. Mi ha impressionato il sentiero che riporta da un punto panoramico al Rock: sembra un budello infernale con centinaia di negozietti di paccottiglie turistiche e cibo su palafitte precarie sullo strapiombo. Sul retro di ciascuna piccola bottega si intravvede un’unica stanza con le stuoie per terra: è lì dove vive tutta la famiglia. Davanti al negozietto la terra del pavimento è tirata lucido, dietro un mare di spazzatura.

Bago

Ci sono una bella pagoda e una grande statua del Buddha reclinato. Ma a me è piaciuto di più il monastero di Kyaly Khat Wai dove alle 11 si possono ammirare alcune centinaia di monaci che si recano in fila e con la scodella in mano a pranzare, attorniati da turisti fotografanti e da devoti che con un inchino offrono loro del cibo o della frutta e qualche snack per i piccoli novizi. Riempita la ciotola di riso i monaci entrano in un grande salone con i tavoli bassi apparecchiati con una pietanza di verdura e, accovacciati per terra, iniziano a mangiare silenziosamente. Per loro è il secondo e ultimo pasto della giornata. Si può circolare liberamente fra i vari edifici ed osservare più da vicino la vita dei monaci e le loro povere abitazioni. Capisco perché i monaci godono di così alto rispetto. Sono poveri sul serio, vivono di carità, studiano e meditano accogliendo sempre con un sorriso le persone esterne. Vi immaginate che spettacolo vedere uscire dalla Curia i preti con una ciotola in mano per mendicare il pranzo? Credo che le Chiese diverrebbero d’incanto piene di fedeli autentici.

Bagan

Da solo vale il viaggio. E’ uno dei siti archeologici più importanti dell’Asia, esteso per più di 40 Kmq e con oltre 2000 monumenti (pagode, templi, stupa e cappelle) che risalgono al XI-XII sec. Nella piana i resti archeologici spuntano come funghi con i loro colori rossi dei mattoni. Il modo migliore per godersi lo spettacolo è con la mongolfiera. Costa 290$ ma assistere all’alba galleggiando sui templi di Bagan è stata per me una delle più forti emozioni della vita. L’altro mezzo di trasporto che consiglio è la biciletta (a pedali: un po’ di fatica a spingere è tutta salute). Si può girovagare tranquillamente, scegliersi la propria pagoda personale per ammirare il tramonto lontano dalla folla, entrare nella penombra delle piccole stupa e godersi statue e pitture a tu per tu senza nessun guardiano che ti ringhia contro.

Mandalay

È il centro religioso e commerciale del Paese. Al di là del quadrato circondato da un canale contenente il Royal Palace e di alcune belle pagode è una città caotica, con traffico soffocante e orde di motorini cinesi su cui si viaggia normalmente in tre, più bagagli e senza casco, naturalmente. Belle le escursioni ad Amarapura per visitare il monastero di Mahagandaryon dove studiano oltre mille monaci (anche qui cerimonia del pranzo con sciami di turisti), la collina di Sagaing coni suoi 700 monasteri e Inwa che si raggiunge con una barca traghetto sul fiume e poi su birocci trainati da cavalli per visitare altri monasteri. Il tramonto si gusta, doverosamente, al ponte di U Bein con i pilastri fatti di tronchi di teak, il fiume però in questo periodo di secca è meno spettacolare.

Lake Inle

Dopo il trambusto di Mandalay il lago è un’oasi di pace. Dall’aeroporto di Heho ci vuole più di un’ora di machina per arrivarci. La strada si inerpica lungo colline di fertile terra argillosa, campi seminati a fagioli, grano, patate. Ci si ferma a fare qualche fotografia con i contadini che parlano volentieri. Il lago a Febbraio ha poca acqua (“sempre meno di anno in anno” mi dice la guida preoccupata), è poco profondo, meno di due metri, ed è solcato in continuazione dalle barche dei pescatori (quelli famosi che remano con la gamba destra), dalle barche che trasportano merci e da quelle dei turisti. La guida mi spiega come distinguere i turisti. Quelli infagottati con giaccavento pesanti (al mattino fa fresco perché siamo ad oltre mille metri) e ombrellini per ripararsi dal sole sono coreani. Quelli invece che indossano i giubbotti di salvataggio, cappelli da avventura sahariana estrema, scarponi pesanti e pantaloni corti sono americani. Una di loro, ad un affollato imbarcadero, mentre la barca stava per attraccare è riuscita a finire in acqua, con grande soddisfazione di tutti i presenti. Meritano le visite e gli acquisti (sempre ricordando che si paga caro in confronto ai locali) la bottega dei tessitori, il fabbro, l’artigiano che costruisce le barche di legno usando sega a mano e ascia (costo della barca 2000 dollari più altri 300 di manutenzione annua). L’hotel Aureum è straordinario. Ciascun bungalow è grande più di 120 mq, la stanza con immensa tinozza di legno di teak per il bagno è quasi più grande di una camera di un hotel 4 stelle a New York, Londra o Parigi.

Ngapali Beach

La spiaggia subito a sud dell’aeroporto di Twandee è costellata da 7 megahotel fatti di bungalows e strutture a due piani. Parecchi sono in costruzione o non ancora aperti per cui la bella spiaggia, lunga più di 2 km molto larga e mare pulito poco profondo, ideale per sguazzare e fare lunghe nuotate, non presenta problemi di affollamento. Inutile però portarsi maschera e boccaglio: non ci sono pesci né reef da ammirare. Dietro gli hotel, lungo l’unica strada ci sono quattro ristorantini per turisti con menù in inglese. I prezzi sono abbastanza bassi ed il pesce è fresco, pescato la notte precedente.

Per tutti gli hotel in cui sono stato vale un unico giudizio: molto buoni. La camere sono ampie, ben attrezzate, la colazione compresa è enorme e sono molti i servizi a disposizione.

Il costo varia dai 100 ai 200€.

Ecco l’elenco degli hotel:

Yangon: Traders, Golden Rock: Montain Top, Bagan: Amazing Bagan Resort, Mandalay: Mandalay Hill Resort, Inle Lake: Aureum, Ngapali: Amazng Ngapai Beach Resort. L’agenzia turistica che ho contattato (e pagato) direttamente dall’Italia per il servizio di guide locali English speaking e prenotazioni alberghi e 4 voli domestici si chiama Adventure Myanmar. Si è dimostrata ottima.



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